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Non sempre si decade dalla potestà dei genitori nei reati sessuali: le anomalie del sistema
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Claudio VITALONE - Presidente Dott. Pierluigi ONORATO - Consigliere (est.) Dott. Alfredo Maria LOMBARDI - Consigliere Dott. Aldo FIALE - Consigliere Dott. Giulio SARNO - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da: 1) Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Genova; 2) B.D. nata a ... il ...;
avverso la sentenza resa il 04 maggio 2005 dal Gip del Tribunale di Genova.
Visto il provvedimento denunciato e il ricorso; Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato; Letta la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vittorio Meloni, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi; Osserva: SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1- Con sentenza del 04/052005 il Gip del Tribunale di Genova, su concorde richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p. ha applicato a B.D. la pena di cinque anni di reclusione in ordine ai seguenti reati uniti nella continuazione, commessi in danno della figlia minore di anni 14, T.C.: a) artt. 519 comma II e 609bis commi I e II, 609ter comma I n.1 e comma III c.p.; b) art.600ter; c) artt. 3 e 4 n.2 legge 75/1958 e art. 600bis c.p., con recidiva.
In sostanza all'imputata era stato contestato di aver costretto la figlia a compiere e subire atti sessuali con tale G.R., di aver sfruttato la figlia per realizzare materiale pornografico e di aver sfruttato la prostituzione minorile della medesima.
Il Giudice ha inoltre dichiarato la B.D. interdetta in perpetuo dai pubblici uffici, privata della potestà genitoriale e del diritto agli alimenti ed esclusa dalla successione della persona offesa, nonchè interdetta in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e alla curatela.
2 - Ricorre il Procuratore Generale di Genova, deducendo due punti: a) Inosservanza dell'art. 444 comma Ibis c.p.p., atteso che l'imputata era recidiva reiterata e non poteva quindi accedere al patteggiamento allargato; b) Mancanza o manifesta illogicità di motivazione in ordine al giudizio di prevalenza delle attenuanti di cui agli artt. 62 n.6 e 62bis c.p. rispetto alle aggravanti contestate e alla recidiva.
3 - Propone ricorso anche il difensore della B.D. deducendo due punti: a) Erronea applicazione dell'art.609nonies c.p., atteso che la perdita della postestà genitoriale ivi prevista presuppone che la qualità di genitore sia elemento costitutivo del reato e pertanto richiede una condotta commissiva e non omissiva da parte del genitore medesimo; b) Erronea applicazione dell'art. 29 c.p., giacchè la interdizione perpetua dai pubblici uffici presuppone una condanna non inferiore ai cinque anni di reclusione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4 - Il ricorso del Procuratore Generale va respinto. Il primo motivo è infatti privo di fondamento giuridico. Invero, secondo l'art.444 comma Ibis c.p.p. sono esclusi dal cd patteggiamento allargato introdotto dalla legge 12/06/2003 n.134 per i reati punti con pena detentiva non superiore ai cinque anni, ivi computata la diminuzione di un terzo per il rito, soltanto i processi per i reati di particolare allarme sociale, tassativamente indicati nei commi IIIbis e IIIquater dell'art. 51 c.p.p. e quelli contro i delinquenti abituali, professionali o per tendenza ovvero contro recidivi reiterati ai sensi dell'art. 99 comma IV c.p.. Orbene, nel caso di specie, i reati contestati alla B.D. non rientrano in quelli suindicati, mentre all'imputata è stata contestata solo la recidiva semplica, non già quella reiterata asserita dal ricorrente.
Su questo ultimo punto, questa Corte ha già avuto modo di precisare correttamente che, ai fini della preclusione stabilita dal citato comma Ibis dell'art. 444 c.p.p., non è sufficiente che dal certificato penale risulti una recidiva reiterata, ma è necessario che questa sia stata ritualmente contestata (Sezione VI, n.39238 del 07/10/2004, P.G. in proc. Bonfanti, rv 230378).
Anche il secondo motivo non può essere accolto. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il procuratore distrettuale, pur avendo una posizione istituzionale sovraordinata rispetto al pubblico ministero che ha partecipato al patteggiamento della pena, non può sostituire la propria volontà a quella espressa da quest'ultimo sulla base della conoscenza diretta degli atti processuali, sicchè egli non può proporre come motivi di ricorso censure che si sostanziano in un recesso dall'accordo (Sezione IV, n.20165 del 29/04/2004, Pm in proc. Malla, rv 228567; Sezione V, n.627 del 04/06/1999, Peressotti, rv 213520).
Nel caso di specie, il Pm d'udienza aveva prestato il suo consenso ad una pena determinata sulla base della concessione dell'attenuante del risarcimento del danno e della attenuanti generiche e della prevalenza di queste rispetto alle aggravanti contestate. Il Giudice aveva espressamente riconosciuto la legittimità delle attenuanti e del giudizio di prevalenza e quindi la congruità della pena così determinata. Per conseguenza il Procuratore distrettuale non può denunciare un vizio di motivazione sul punto, così rimettendo in discussione il patteggiamento di pena già perfezionato e ratificato.
5 - Il ricorso proposto per l'imputata, invece, è solo parzialmente fondato.
5.1 - Corretta è l'applicazione della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, giacchè essa, da un parte è consentita dall'art. 445 c.p.p. quando la pena principale è superiore a due anni di reclusione, e dall'altra è imposta dall'art. 29 c.p. quando la stessa pena non è inferiore ai cinque anni di reclusione.
Nel caso di specie la pena principale applicata ex art. 444 comma I c.p.p. era uguale (non inferiore) a cinque anni di reclusione e quindi imponeva la pena accessoria de qua.
5.2 - E' invece illegittima l'applicazione della pena accessoria della perdita della potestà genotoriale. Infatti, a mente della'rt. 609nonies c.p. la condanna per i delitti di cui all'art. 609bis, 609ter, 609quater, 609quinquies e 609 octies c.p. comporta incondizionatamente la pena accessoria dell'interdizione dalla tutela e dalla curatela (n.2) e determinati effetti penali (n.3), e comporta inoltre la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale (n.1) ma solo quando la qualità di genitore è elemento costitutivo del reato (e non più quando è circostanza aggravante del reato, com'era previsto dall'art. 541 c.p. previgente).
Pertanto, la decadenza dalla potestà genitorale è propriamente possibile solo per il delitto di cui all'art. 609quater n.2 che, punendo gli atti sessuali commessi dal genitore con figli consenzienti infrasedicenni, è l'unica fattispecie in cui la qualità di genitore è elemento costitutivo del reato.
Proprio perchè non è più contemplata l'ipotesi della qualità di genitore come circostanza aggravante, la pena accessoria in esame non è applicabile neppure alla fattispecie prevista dall'art. 609ter n.5.
In conclusione, il richiamo che il citato art. 609nonies fa agli altri delitti, diversi dall'art. 609quater, si giutifica solo in relazione alla pena accessoria della interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e alla curatela (di cui al n.2) e all'effetto penale della perdita del diritto agli alimenti e della esclusione dalla successione della persona offesa (di cui al n.3 della stesso art. 609 nonies), per i quali, a differenza del previgente art. 541 c.p., non è più richiesta la condizione che la qualità di genitore, di tutore o di curatore sia elemento costitutivo (o circostanza aggravante) del reato.
5.3 - Per queste ragioni appare chiaramente illegittima, nella sua genericità e omnicomprensività, la massima giurisrudenziale secondo cui "in caso di procedimento per violenza sessuale aggravata in danno di una figlia minorenne, è legittimo il provvedimento che dispone a carico del condannato la perdita della potestà di genitore per tutti quei delitti di cui agli artt. 609bis, 609quater, 609quinquies e 609 octies c.p., nei quali detta qualità è elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato" (Cass. Sez. III, sentenza n.29196 del 18/06/2003, Tuzzolino, rv 225733).
Ha una portata diversa (nonostante che il massimario la qualifichi come conforme) e pertanto è condivisibile, la sentenza della stessa Sezione n.34793, dep. il 25/9/2001, Calabrese, rv 219993, secondo la quale "in caso di procedimento per il reato di violenza sessuale in danno di un figlio minore di anni dieci, risulta legittimo il provvedimentio di sospensione dall'esercizo della potestà genitoriale, venendo tale misura ad incidere sull'esercizio di quegli stessi poteri in relazione ai quali l'abuso appare perpetrato, ed avvalendosi dei quali non solo potrebbe verificarsi una reiterazione di analoghe condotte, ma altresì porsi in essere comportamenti idonei ad influire sulla genuina acquisizione della prova nel successivo iter processuale".
Quest'ultima decisione, infatti, regolava la possibilità di applicare una misura cautelare personale a contenuto interdittivo (appunto la sospensione della potestà genitoriale) la quale è soltanto condizionata ai requisiti previsti dall'art. 274 e 288 c.p.p. che certamente non richiedono la qualità di genitore come elemento costitutivo del reato.
Vero è che tale sistema normativo denota una certa incongruenza laddove consente in ordine la delitto di cui all'art. 609 bis c.p. la sospensione della potestà genitoriale come misura cautelare e non la decadenza dalla stessa come pena accessoria definitiva. Ma si tratta di una incongruenza derivata dal chiaro tenore letterale delle disposizioni codicistiche, che sembra impossibile rimediare sollecitando il giudice delle leggi a un intervento additivo in malam partem.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso del Procuratore Generale; annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena accessoria della perdita della potestà genotoriale, pena che elimina; rigetta nel resto il ricorso della B.D.
Così deciso in Roma il 13 gennaio 2006.
Depositata in data 18 maggio 2006.
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