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Strappare il chador integra l'aggravante della discriminiazione ed dell'odio razziale e religioso
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MAIO Guido - Presidente Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere Dott. PETTI Ciro - Consigliere Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere Dott. SARNO Giulio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da C.G. nato il ... avverso la sentenza del 12/01/2005 della Corte d'Appello di Genova; visti gli atti, la sentenza ed il procedimento; udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. De Maio Guido; udito il Procuratore Generale in persona del Dr. Izzo Gioacchino che ha concluso per inammissibilita' del ricorso. udito il difensore Avv. P. R. (Genova).
MOTIVAZIONE
Con sentenza in data 12.1.05 la Corte d'Appello di Genova confermo' la sentenza 6.10.03 del Tribunale di quella citta', con la quale C.G. era stato condannato alla pena di giustizia perche' riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 81 c.p., comma 1, art. 527 c.p. e D.L. n. 122 del 1933, art. 3 (perche' diceva a P.N. e C.R., in presenza di entrambe e di piu' persone, "negre di merda, musulmane di merda, sparatemi un bocchino, voi che fate bocchini agli altri, fatemene uno anche a me" e nel contempo estraeva ed esibiva il membro virile sulla pubblica via, con l'aggravante della recidiva reiterata specifica nel quinquennio e di avere commesso il fatto per finalita' di discriminazione ed odio etnico razziale e religioso, essendo le persone offese musulmane e in presenza di piu' persone, in ....
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, il quale denuncia: 1) che la Corte di merito sarebbe "incorsa in una erronea qualificazione giuridica dei fatti, supportata da una motivazione illogica e contraddittoria", in quanto dagli atti sarebbe emerso: a)che "i fatti di cui al procedimento avrebbero dovuto essere eventualmente ricondotti alla fattispecie ex art.726 c.p."; b)che "la condotta del C. non era neppure supportata dall'elemento psicologico del reato"; 2) violazione del D.L. n. 122 del 1993, art. 3, e insussistenza della relativa aggravante, in quanto "il C., anche in considerazione dello stato di alterazione psico-fisica in cui si trovava, pur avendo proferito una frase obiettivamente oltraggiosa, certamente non si era rappresentato coscientemente quei contorni razziali di cui alla contestata aggravante".
Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, dovendosi rilevare, quanto al primo motivo, che e' ineccepibile la motivazione sul punto della sentenza impugnata che ha escluso la fondatezza della tesi difensiva della ravvisabilita' del reato di cui all'art. 726 c.p. sulla base del rilievo che l'estrazione del pene sarebbe stata finalizzata all'azione di orinare contro il muro. Esattamente, infatti, la sentenza impugnata ha rilevato che la tesi stessa presuppone una arbitraria scissione della condotta in fasi separate, laddove, invece, la condotta stessa risulta ("proprio attraverso l'articolarsi dei gesti, posti in essere senza soluzione di continuita' e accompagnato da parole che provano anche l'elemento psicologico del reato") finalisticamente unitaria e tale da connotare in termini ben precisi e definiti il reato di cui all'art. 527 c.p. ("...deve aversi riguardo al complesso della condotta, caratterizzata dall'abbassamento dei calzoni, dall'esibizione del sesso attraverso il gesto di toccare il pene, anche se coperto dalla biancheria intima, ma accompagnato da parole inequivocabilmente oscene, quali appunto l'invito al coito orale e solo al termine di cio' dalla minzione contro un muro"). Peraltro, la censura del convincimento in tal modo espresso dai giudici di merito e' mancante del requisito della specificita', in quanto apodittica e meramente assertiva.
Quanto al secondo motivo, va osservato che anche su tale punto la motivazione dei giudici di merito e' ineccepibile. Essi, infatti, hanno desunto, in modo logico ed adeguato, la volonta' lesiva dell'integrita' morale di persone appartenenti a una cultura religiosa, quella islamica, diversa da quella cattolica dominante nel Paese, dal significato delle parole e dal contesto nel quale le stesse furono pronunciate ("cioe' cercando di togliere il velo che la religione musulmana impone alle credenti, che vennero apostrofate mentre si stavano recando alla moschea e aggredite al ritorno"). Peraltro, anche a tale proposito la censura risulta meramente assertiva e, quindi, mancante di specificita'.
E' opportuno precisare che in relazione al presente ricorso non e' ravvisarle, in considerazione dei motivi dedotti, la possibilita' di presentazione di motivi nuovi di cui alla L. 20 febbraio 2006, n.46, art. 10, comma 5. La deduzione sub 1), contenente da un punto di vista formale una censura di illogicita' della motivazione, si esaurisce in realta' nella prospettazione di una violazione di legge (riferibilita' del fatto al reato di cui all'art. 726 c.p., e non a quello di cui all'art. 527 c.p.).
Alla declaratoria di inammissibilita' consegue la condanna del ricorrente alle spese processuali, nonche' (non essendo ipotizzarle un'assenza di colpa) al versamento alla Cassa delle ammende della somma, equitativamente fissata, di Euro 500,00.
P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 500,00 alla Cassa delle ammende.
Cosi' deciso in Roma, il 9 marzo 2006. Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2006
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