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Penale.it - Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Milano, Questione di legittimità costituzionale 9 marzo 2006

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Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Milano, Questione di legittimità costituzionale 9 marzo 2006
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Una seconda questione sulla legge Pecorella. Dalla Procura Generale di Milano

                                                   PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA
                                                   PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI MILANO
 
Alla Corte d’Appello di Milano
Sez. 2
Processo R.G. 3655/05
 
Eccezione di illegittimità costituzionale ex art. 23 L. 11.3.1953 n. 87
 
Rilevanza
 
All’esito del processo celebratosi con il rito ordinario e conclusosi con la sentenza in data 10.11.2004 il Tribunale di Milano ha assolto XX, YY, ZZ e AA dai reati rispettivamente ascritti di associazione per delinquere, corruzione e turbative d’asta.
Ha altresì assolto da alcuni dei reati loro ascritti gli imputati XX e XX, condannandoli per altri.
(Altri originari imputati sono stati assolti e non sono appellanti né appellati)
Contro la sentenza hanno proposto appello Il P.M. e gli imputati. In particolare il PM ha proposto appello nei confronti degli imputati assolti XX, XX, XX e XX, nonché appello nei confronti di XX e XX per alcuni capi per i quali erano stati assolti e ha chiesto altresì l’aumento delle pene.
Per tutti sussiste la connessione di cui all’art. 12 c.p.p..
Nelle more del processo d’appello è stata promulgata la L. 20.2.2006 n. 46, pubblicata sulla G.U. n. 44 del 22.2.06 ed entrata in vigore in data 9.3.06, che limita il potere d’appello del P.M. avverso le sentenze di proscioglimento (art. 593 c.p.p.) alla sola ipotesi della sopravvenienza di nuove prove, disponendo altresì (art. 10) che l’appello già proposto contro una sentenza di proscioglimento venga dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile.
Poiché con l’appello avverso le assoluzioni dei detti imputati il Procuratore della Repubblica non ha dedotto nuove prove, in applicazione delle due norme citate la Corte d’Appello dovrebbe dichiarare inammissibile l’impugnazione, ai sensi dell’art. 10 stessa legge che ne prevede l’applicazione ai procedimenti in corso.
La L. 46/06 ha altresì modificato l’art. 576 c.p.p., norma che riguarda la Parte Civile, che è regolarmente costituita nel processo de quo, e l’art. 580 c.p.p. .
La questione di costituzionalità di dette norme è quindi manifestamente rilevante perché solo la dichiarazione di incostituzionalità di esse consentirebbe alla Corte d’Appello di esaminare i motivi d’appello proposti dal PM appellante.
 
 
Eccezioni 
Art. 593 c.p.p.
 
 
L’art. 593 c.p.p. così come modificato dall’art. 1 L. 46/06,prevede che, salvo alcuni casi particolari, il PM e l’imputato possono appellare (solo) contro le sentenze di condanna.
Questa norma è costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3 e 111, co.2 cost.
Per i seguenti motivi:
L’art. 111 co.2 cost. impone il principio della parità tra accusa e difesa.
L’art. 3 cost. impone il principio della uguaglianza, dal quale deriva che qualsiasi violazione di tale principio può essere costituzionalmente legittima solo se rientrante nei limiti della ragionevolezza.
 
L’art. 593 ha limitato il potere di impugnazione dell’imputato e del PM alle sole sentenze di condanna. Entrambi potranno ricorrere in cassazione avverso le sentenze di proscioglimento.
Apparentemente, quindi, è rispettato il principio di parità di cui all’art. 111 cost.
Ma la parità prevista dalla nuova formulazione dell’art. 593 è, evidentemente, una parità solo formale in quanto è assolutamente ovvio che nessun interesse avrà l’imputato ad appellare contro le sentenze di proscioglimento, e l’art. 568 c.p.p. n. 4 sancisce espressamente “per proporre impugnazione è necessario avervi interesse”.
La Cassazione ha interpretato sempre in senso restrittivo l’interesse dell’imputato a impugnare una assoluzione ex art. 530 comma 2 c.p.p.
La norma quindi limita il potere di impugnare all’unica parte che ha reale interesse ad impugnare una sentenza assolutoria, vale a dire al PM.
Il ricorso in cassazione non potrà mai avere la stessa estensione dell’atto di appello, perché mentre questo attiene al merito il primo attiene solo a determinati profili di legittimità tassativamente previsti dalla nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p.
La Corte Cost. ha più volte chiarito che il potere di impugnazione del PM non costituisce estrinsecazione necessaria dei poteri inerenti all’esercizio dell’azione penale (sent. 280/95, ord. 426/98), ma ha anche più e più volte ribadito che il principio della parità tra accusa e difesa può sopportare una diminuzione dei poteri processuali del PM solo nei limiti della ragionevolezza.
Limiti che nell’art. 593 nuova formulazione sono stati varcati.
Infatti, proprio dall’esame delle più recenti ordinanze nelle quali la Corte Cost. ha affrontato la questione della legittimità costituzionale degli artt. 443 comm. 3 e 595 c.p.p. nella parte in cui non consentono al P.M. di proporre appello sia in via principale che in via incidentale avverso le sentenze di condanna emesse a seguito di giudizio abbreviato, appare evidente che i limiti della ragionevolezza sono stati individuati nella particolare caratteristica del rito abbreviato. “La preclusione dell’appello della parte pubblica avverso le sentenze di condanna (quando non vi sia stata modifica del titolo di reato) trova giustificazione nell’obiettivo primario di una rapida e completa definizione dei processi svoltisi in primo grado secondo il rito abbreviato” (ord.421/01, 347/02,165/0346/04).
A quanto detto aggiungasi, inoltre, una seconda sostanziale differenza:
nel caso del rito abbreviato il divieto di appello per il PM avverso una sentenza di condanna non intacca l’esercizio dei poteri di iniziativa penale proprio del PM, in quanto questi hanno pur sempre portato ad una sentenza di condanna, che segna la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere nel processo dal P.M. (sent. 363/91).
Mentre il divieto per il PM di impugnare una sentenza di proscioglimento viene ad incidere proprio su detto esercizio.
Proprio in tale ottica è stato ritenuto costituzionalmente legittimo il potere del PM di impugnare una sentenza di condanna nel processo conclusosi con il rito abbreviato se l’impugnazione riguarda il titolo del reato.
 
Art. 576 c.p.p.
 
L’art. 111 co. 2 cost. impone anche una parità tra P.M. e Parte civile; la violazione di questo principio costituisce violazione dell’art. 3 cost.
La nuova formulazione dell’art. 576 c.p.p. (così come modificato dall’art. 6 L. 46/06) ha eliminato dal testo ogni richiamo e parificazione alla disciplina del potere di impugnazione del P.M. Se la parte civile non decide di proporre direttamente ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 591 n. 1 c.p.p., il normale mezzo di impugnazione di cui dispone è l’appello.
Il potere di impugnazione della parte civile è tuttora esistente ed è sganciato dai limiti statuiti per il gravame di merito in ordine ai capi penali della sentenza.
Questa interpretazione – che corrisponde alle intenzioni palesate dai compilatori – è confortata anche da altri due argomenti:
1) è rimasta invariata la previsione che permette l’appello della parte civile contro il punto della sentenza di primo grado che attiene alla provvisoria esecuzione delle condanne in materia risarcitoria (mancata pronuncia o rigetto); cosicché, a meno di proporre un’abrogazione implicita dell’art. 600 c. 1 c.p.p., sarebbe davvero singolare che la legge negasse alla parte civile il potere di appellare le sentenze in ordine ai capi civili e lo consentisse poi con esclusivo riferimento all’esecuzione provvisoria negata;
2) L’art. 10 della L. 46/06 stabilendo la disciplina transitoria non dice alcunché riguardo agli appelli proposti dalla parte civile prima dell’entrata in vigore della legge stessa, mentre contempla una laboriosa dinamica quanto ai gravami proposti da imputato e P.M.. Questa mancata previsione implica necessariamente che i poteri di impugnazione della parte civile sono rimasti invariati.
L’unica interpretazione possibile, quindi, dell’art. 576 c.p.p. così come novellato dalla L. 46/06 è che mentre la parte civile potrà proporre appello contro la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di primo grado, esattamente come prima della L. 46/06, il PM potrà solo proporre ricorso per cassazione.
E’ evidente la violazione del principio della parità tra accusa pubblica e privata, violazione ancora una volta oltre i limiti della ragionevolezza.
 
Art. 580 c.p.p.
 
La limitazione del potere di appello del PM è illegittima anche nel caso di conversione disciplinato dall’art. 580 nuova formulazione. Anche in questo caso, sussiste una violazione dell’art. 111 cost. e del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 cost..
Infatti, anche in caso di conversione del ricorso in appello, il PM comunque
potrà proporre solo motivi che rientrino nei parametri dell’art. 606 così come modificato dall’art. 7 L. 46/06, mentre l’imputato con il suo appello originario ha potuto proporre tutti i motivi di merito. L’A. G. che si trova a decidere il ricorso da convertire in appello – quale che essa sia – dovrà solo nei riguardi dell’impugnazione del PM esercitare prima il giudizio rescindente e poi quello rescissorio. Limitazione che non riguarda l’impugnazione dell’imputato.
 
Tutti i suddetti articoli costituiscono altresì violazione dell’art. 111 cost. sotto il profilo della ragionevole durata del processo.
 
Ogni impugnazione della sentenza penale ritarda la definizione del processo e quindi comporta un costo per il bene, costituzionalmente protetto, della ragionevole durata. Tale costo è tuttavia giustificato, entro i limiti stabiliti dal legislatore ordinario, dall’esigenza di porre rimedio all’eventuale ingiustizia della sentenza evitando che divenga definitiva senza possibilità di controllo e consentendone la riforma giudiziaria.
Anche la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di primo grado può essere ingiusta, e la L. 46/06 lo riconosce lì dove mantiene alla parte civile la possibilità di impugnarla con l’appello.
Ma l’appello perseguito dalla parte civile anche se in un processo penale ha solo un interesse meramente risarcitorio, che può essere azionato anche davanti a un giudice civile. Viene quindi a violarsi il principio della ragionevole durata del processo penale per tutelare un interesse estraneo all’interesse pubblico, che attiene al ripristino dell’ordine giuridico violato dal reato e la cui tutela appartiene al P.M. in base all’art. 112 cost.
Aver consentito al P.M di impugnare solo le sentenze di condanna costituisce - anche sotto il profilo della irragionevole durata del processo - quella “incongruenza” rilevata dal Presidente della Repubblica nel messaggio con il quale ha rinviato alla Camere l’originario resto della legge 46/06.
 
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Per tutti questi motivi il sottoscritto Procuratore Generale chiede che la Corte d’Appello voglia ritenere non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità testè proposte e voglia con ordinanza disporre l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, sospendendo il giudizio in corso.
 
Milano 9 marzo 2006
Il Procuratore Generale
Laura Bertolè Viale, Sost
 
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