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La prima decisione di merito sul mandato di arresto europeo
Nr. 44/05 Reg. Riesami
TRIBUNALE DI BOLZANO Sezione per il riesame
Il Tribunale di Bolzano, riunito in camera di consiglio, composto dai Magistrati : Dott. Edoardo Mori Presidente Dott. Claudia Montagnoli Giudice Dott. Eliana Marchesini Giudice ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Visto il ricorso proposto da T. A., indagato per il reato di detenzione di stupefacenti in Austria, ha così deciso.
In data 14 luglio 2005 T. A., residente in provincia di Bolzano, studente universitario incensurato, è stato arrestato dai Carabinieri in esecuzione di un mandato d'arresto europeo, inserito nel sistema informatico di Schengen a cura dell'autorità giudiziaria di Innsbruck, la quale procede contro di lui per l'accusa di aver trasportato circa 10 kg di hashish dall'Austria in Italia, all'inizio del 2003.
Il presidente f.f. della Corte di Appello ha convalidato l'arresto e imposta la misura cautelare della detenzione in carcere con provvedimento personale.
L'indagato ricorre ora a questo Tribunale chiedendo la revoca della misura cautelare per vari motivi.
Al fine della decisione del caso in esame occorre comprendere perfettamente il meccanismo creato dalla L. 22 aprile 2005 n. 69 che ha dato attuazione alla corrispondente decisione quadro del Consiglio d'Europa.
Trattasi di una legge sofferta e contorta che ha cercato, senza riuscirvi, di conciliare normative di paesi in cui i diritti dell'imputato sono talvolta inferiori a quelli del cittadino italiano di cinquant'anni orsono (mancanza di rapide procedure di riesame, assenza di difensore d'ufficio e di gratuito patrocino, pochi gradi di giudizio, processi inquisitori, ecc.) e in cui la pena viene applicata con rigidità ignote al nostro sistema e non consone con i nostri principi costituzionali (quale garanzia vi è che l'espiazione di una pena all'estero contribuisca al recupero del condannato? La soluzione ovvia non avrebbe dovuto essere quella di prevedere che ogni condannato espii la pena nel suo paese, tra la sua gente, con la sua lingua, così da poter essere poi reinserito in quel paese quando esce dal carcere?). E non poteva riuscirvi, come già riconosciuto dalla corte Costituzionale della Germania, perché, per stessa affermazione della nostra Corte Costituzionale, le garanzie costituzionali non possono essere violate o messe in disparte ad opera della normativa europea. Invece di stabilire il principio sacrosanto per cui il trattamento penale di fatti illeciti deve essere il più possibile omogeneo nei vari paesi europei, si è accettato il principio per cui uno Stato può decidere di punire, ad esempio, più severamente lo spaccio di marijuana che quello di eroina e che quindi un cittadino italiano può essere inviato a scontare 4 anni di galera in quello Stato per avervi venduto uno spinello, mentre in Italia avrebbe subito solo una pena simbolica.
Quindi non vi è articolo della legge che non lasci intravedere ipotesi di severa incostituzionalità, sia per la violazione di diritti primari del cittadino italiano, sia per l'indeterminatezza di molte norme le quali non hanno considerato che le stesse espressioni possono assumere significato diverso in altro ordinamento giuridico; ben altra precisione tecnico-giuridica deve possedere una norma che incide sullo status di libertà del cittadino (alcuni esempi: manca una nozione unitaria di arma, di sostanza stupefacente, di bene culturale, di rifiuto pericoloso, sebbene queste nozioni varino da paese a paese; manca una differenziazione fra reati perseguibili d'ufficio od a querela, così che si può essere perseguiti d'ufficio per una truffa commessa all'estero e che in Italia sarebbe improcedibile per mancanza di querela, ecc. ecc.).
Appare infine del tutto illogico che si sia totalmente equiparata la situazione della estradizione dello straniero a quella del cittadino italiano: è evidente che sono due situazioni oggettivamente ben diverse quella del cittadino austriaco che deve essere consegnato all'Austria (e che quindi ritorna nel suo paese, con la sua lingua, con i suoi avvocati, con procedure che già conosce) e quella del cittadino italiano che deve essere consegnato ad un paese straniero con conseguenti ridotte possibilità di difesa.
Altrettanto illogico è che si sia impostato tutto il problema sull'argomentazione semplicistica secondo cui "se uno va a commettere un reato all'estero sono fatti suoi" perché ci si può trovare imputati in un procedimento all'estero solo per concorso, senza aver mai messo piede fuori dell'Italia, magari per una confessione poco limpida.
Ad ogni modo non è necessario sollevare questioni di incostituzionalità, pur sollecitate dalla difesa, perché non appaiono rilevanti ai fini della decisione.
Il meccanismo normale previsto dalla legge in esame e che porta alla consegna di un cittadino italiano ad uno Stato estero per essere giudicato o per espiare la pena è il seguente:
- lo Stato estero emette il mandato di cattura europeo usando un modello predisposto; il mandato deve essere sottoscritto dalla competente autorità giudiziaria ed essere motivato (art. 6). Se il mandato non contiene tutte le informazioni necessarie, l'autorità giudiziaria italiana deve richiederle urgentemente all'autorità richiedente (art. 6 comma 2 e art.16). Al mandato di arresto deve essere allegata una relazione sui fatti con indicazione delle fonti di prova, del tempo e luogo di commissione dei fatti, della loro qualificazione giuridica (art. 6 commi 3 e 4). Se le informazioni richieste non vengono fornite, la richiesta di consegna viene respinta.
- il mandato viene trasmesso al Presidente della corte d'appello competente il quale, dopo aver provveduto ad acquisire le informazioni di cui sopra, se mancanti, può applicare con provvedimento collegiale una misura cautelare coercitiva se sussiste il pericolo di fuga dell'interessato (art. 9 comma 4). Quindi non è richiesta necessariamente l' applicazione della detenzione in carcere e si scopre così che il mandato di arresto è in realtà solo una richiesta di consegna con eventuale arresto dell'estradando; ma allora per quale assurdo ragionamento si arresta con assoluto automatismo, chi avrebbe il diritto di attendere tranquillamente a casa propria la decisione sulla consegna?
- si devono osservare le disposizioni del codice di procedura penale in quanto applicabili, fatta eccezione per gli art. 273 commi 1 e 1bis (vale a dire che si prescinde dalla esistenza di gravi indizi di colpevolezza, la cui valutazione è lasciata al giudice straniero ancor prima di aver sentito le difese dell'imputato!) per l'art. 274 comma 1 lett. A, e C (vale a dire che il giudice italiano non può valutare se vi sono effettive esigenze cautelari quali il pericolo di inquinamento o di reiterazione e che la carcerazione viene disposta solo per assicurare l'esecuzione di una ipotetica pena futura; vale a dire che un imputato di cui si presume l'innocenza per dettato costituzionale, viene incarcerato solo perché non abita nel paese dove ha commesso il reato!) e per l'art. 280 (stabilisce limiti di pena al di sotto dei quali in Italia non si può essere incarcerati, ma per cui ben si può essere mandati in un carcere straniero!).
Pare logico ritenere che l'art. 274 lett b si applichi nella sua interezza per cui la custodia cautelare non può essere applicata quando si ritiene che la pena da infliggere in concreto non sarà superiore a due anni (ma già vi è contrasto di opinioni!).
- Se non viene imposta una misura cautelare si seguono, in sostanza le norme sulla estradizione (art. 9 comma 7 L.69/05 e art. 719 CPP).
- La decisione sulla consegna viene deliberata dalla corte d'appello in camera di consiglio (art. 10 comma 4; esso è scritto in modo equivoco, ma la competenza della Corte e non del solo presidente è implicita per ragioni sistematiche derivanti dal parallelo art. 9 comma 4°).
È previsto però anche un meccanismo più rapido che passa attraverso la cattura diretta dell'interessato ad opera della polizia giudiziaria italiana:
- l'autorità straniera inserisce il mandato nel sistema informatico di Schengen (SIS);
- la polizia che trova l'interessato lo arresta e lo mette entro 24 ore a disposizione del presidente della corte d'appello del luogo di arresto;
- la polizia informa il Ministero il quale, urgentemente, richiede allo Stato che ha emesso il mandato di inviare il mandato stesso e la documentazione di cui all' art. 6.
- entro 48 ore il presidente della corte, con procedura analoga a quella prevista per l'arresto in flagranza di reato o per il fermo di p.g., provvede ad interrogare l'interessato.
- se non vi sono motivi per una liberazione, il presidente (art. 13) convalida l'arresto con ordinanza a norma degli articoli 9 e 10. Vale a dire con ordinanza collegiale. Che si tratti di ordinanza collegiale si ricava dalla lettera dell'art. 9 e dalla logica considerazione che non si può prevedere una minore tutela giuridica per chi viene arrestato in via sommaria rispetto a colui al quale la misura cautelare viene imposta dopo una procedura in cui può anche difendersi preventivamente. Anzi, il caso dell'arresto ad opera della p.g, è molto più delicato perché la convalida avviene quasi sempre sulla base di elementi molto scarsi.
- La convalida perde efficacia se entro 10 giorni non perviene il mandato europeo (art. 3; sembra logico ritenere che esso deve essere munito dei prescritti allegati, essenziali per valutare la richiesta in tutti i suoi aspetti).
- La corte d'appello può richiedere ulteriori informazioni se non ritiene sufficienti quelle contenute nel mandato e suoi allegati (art. 16; questa norma conferma chiaramente che la decisione spetta alla corte e non al solo suo presidente).
- La consegna può essere rifiutata in vari casi previsti dall'art. 18; ad es. se il fatto risulta commesso in presenza di esimenti oppure se per lo stesso fatto si procede in Italia. È evidente che in presenza di queste circostanze non può neppure essere imposta una misura cautelare.
Esposte così le linee guida del procedimento, possiamo esaminare la questione oggi all'esame di questo Tribunale del Riesame.
Va detto subito che la legge 22 aprile 2005 n. 69 ha previsto una autonoma procedura per impugnare "i provvedimenti che decidono sulla consegna della persona interessata" (art. 22) e cioè il ricorso alla Corte di Cassazione che decide, anche nel merito, entro 15 giorni dalla ricezione degli atti.
La formulazione usata dal legislatore lascia perplessi perché non si capisce bene se egli ha voluto attribuire alla competenza della Cassazione anche la procedura del riesame della misura cautelare oppure semplicemente la valutazione del provvedimento finale che decide la consegna dell'estradando.
Dai lavori preparatori sembrerebbe doversi propendere per una volontà del legislatore di voler demandare alla Cassazione ogni tipo di decisione, ma il fatto è che la lettera della legge è invece chiara nel limitare la cognizione ai provvedimenti che decidono sulla consegna. Inoltre alla disposizione si deve doverosamente dare una interpretazione conforme alla Costituzione, idonea ad evitare disparità di trattamento; disparità che sarebbe palese nel caso che si escludesse la competenza del Tribunale del riesame perché i termini per la decisione della Cassazione sono maggiori (quindici giorni dalla ricezione degli atti contro i dieci giorni del tribunale del riesame), senza alcun logico motivo. Inoltre una diversa interpretazione porterebbe a privare l'indagato di un grado di giudizio con disparità di trattamento sicuramente non ammissibile; anzi, in casi del genere in cui si rinunzia al principio primario della tutela del proprio cittadino, le garanzie giurisdizionali dovrebbero essere maggiori e non minori.
In dottrina si è affermato che il legislatore avrebbe fatto grave confusione usando senza un preciso criterio frasi in cui egli si riferisce alla esecuzione del mandato ed altre in cui parla della consegna, ma significa attribuire al legislatore un' ulteriore colpa che non pare meritarsi perché un certo criterio lo ha senz'altro osservato; tra l'altro ha correttamente posto l'art. 22 dopo gli articoli 18-20 in cui si parla della consegna e non certo dell'arresto e relative misure cautelari.
Né va dimenticato il chiaro richiamo dell'art. 9 alle norme del titolo I, libro IV del codice di procedura penale, da applicarsi in ogni caso in cui esse non contrastano con la legge sul mandato europeo; e proprio non si vede per quale motivo le norme sul tribunale del riesame non possano trovare applicazione. Se anch'esse non si applicassero, non resterebbe alcuna norma da applicare, salvo quelle relative a formalità di dettaglio.
Va quindi ritenuta la competenza del Tribunale del Riesame a valutare la legittimità della misura cautelare applicata.
I motivi di illegittimità sono numerosi, ognuno di per sé sufficiente a far decadere la misura cautelare applicata; ed invero:
1) La misura cautelare è stata convalidata dal magistrato incaricato dell'interrogatorio e non con provvedimento del Collegio;
2) Il provvedimento non motiva in alcun modo sul pericolo di fuga da parte dell'indagato, individuando concreti sintomi di tale pericolo, ma si limita a riportare una frase di stile da cui si ricava che tutti possono scappare, come se la convalida fosse un dovuto automatismo.
E' appena il caso di precisare che il pericolo di fuga rispetto al cittadino italiano deve essere poi motivatamente valutato non in rapporto allo Stato estero che procede contro il soggetto, non avendo lo straniero alcun dovere di restarvi, ma rispetto al territorio patrio in cui si trova e tenendo conto del fatto che è ben difficile che egli si rechi all'estero, sapendo di aver sulle spalle un mandato di arresto che consente di catturarlo in ogni stato europeo. Tra l'altro nel nostro diritto la custodia cautelare per il pericolo di fuga è stata prevista per impedire pericolose situazioni di latitanza di pericolosi criminali e non certo per facilitare l'esecuzione della pena; nel mandato di arresto europeo, visto che si prescinde dalla prova della sussistenza di esigenze probatorie e del pericolo di reiterazione, la cattura basata sul pericolo di fuga finisce per avere solo la funzione di mettere un imputato nelle mani di una giustizia meno garantista di quella italiana che spera così di ottenere facili confessioni oppure che non concepisce un giudizio senza l'imputato in catene davanti a giudice ad espiare la pena prima della condanna. È quindi chiaro che la motivazione sul pericolo di fuga deve essere oltremodo penetrante e non può trasformarsi in una vuota formalità.
3) Non è stato motivato circa la necessità di applicare proprio la misura più affittiva.
4) Non sono stati neppure chiesti gli allegati al mandato di cattura, ma ci si è limitati ad esaminare il modulo contenuto nel sistema SIS; quindi è mancato ogni esame, con relativa motivazione, circa la sussistenza di tutti i requisiti richiesti.
5) Siccome l'importazione di hashish è avvenuta dall'Austria verso l'Italia e quindi l'indagato ha commesso in Italia il reato di importazione di stupefacenti, era doveroso informasi se per caso in Italia non pende procedimento per lo stesso fatto, il che precluderebbe la consegna dell'indagato (pare in effetti che il complice italiano sia persino già stato giudicato).
Si aggiunga, per completezza, che se anche si ipotizzasse la competenza della Cassazione per iriesame della misura cautelare applicata in previsione dell'estradizione, nel caso di specie ci si troverebbe di fronte ad una carcerazione in base ad un titolo emesso da giudice incompetente (giudice monocratico invece che collegiale), e quindi da considerare tamquam non esset . Perciò il ricorso viene ad investire non il provvedimento, ma la situazione di un soggetto detenuto senza titolo legale, la cui valutazione non può essere sottratta al Tribunale del Riesame per ineludibile principio generale sistematico.
PQM
Accoglie il ricorso e revoca la misura cautelare imposta a T. A..
Ordina trasmettersi copia degli atti al PM in sede per la notizia di reato a carico di T. A. in ordine alla introduzione di hashish in Italia.
Bolzano, 28 luglio 2005
Il Presidente Edoardo Mori
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