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Penale.it - Corte Costituzionale, Sentenza 14 dicembre 2005 (dep. 28 dicembre 2005), n. 466

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Corte Costituzionale, Sentenza 14 dicembre 2005 (dep. 28 dicembre 2005), n. 466
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Immigrazione: illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), risultante dalle modifiche introdotte nel testo dall’art. 12 della l. 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo)

  SENTENZA N. 466
  ANNO 2005
 
  REPUBBLICA ITALIANA
  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
  LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-  Annibale  MARINI  Presidente
-  Franco  BILE  Giudice
-  Giovanni Maria  FLICK  "
-  Francesco  AMIRANTE  "
-  Ugo  DE SIERVO  "
-  Romano  VACCARELLA  "
-  Paolo  MADDALENA  "
-  Alfio  FINOCCHIARO  "
-  Alfonso  QUARANTA  "
-  Franco  GALLO  "
-  Luigi  MAZZELLA  "
-  Gaetano  SILVESTRI  "
-  Sabino  CASSESE  "
-  Maria Rita  SAULLE  "
-  Giuseppe  TESAURO  "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso dal Tribunale di Gorizia, nel procedimento penale a carico di D. Z., con ordinanza del 4 agosto 2003, iscritta al n. 849 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 16 novembre 2005 il Giudice relatore Francesco Amirante.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso di un procedimento penale a carico di un cittadino macedone imputato del reato di cui all’art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), il Tribunale di Gorizia, con ordinanza del 4 agosto 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del predetto art. 13, comma 13-bis, in riferimento agli artt. 2, 3 e 27 della Costituzione.
Osserva il remittente che, nel procedimento penale sottoposto al suo giudizio, il cittadino macedone è imputato del reato di cui alla norma impugnata perché, denunciato in Gorizia per il reato di cui all’art. 13, comma 13, del d. lgs. n. 286 del 1998 ed espulso con decreto prefettizio del 1° novembre 2002, aveva fatto reingresso nel nostro Paese. Nell’ambito del procedimento in corso l’imputato ha avanzato richiesta di patteggiamento della pena con l’accordo del pubblico ministero, ma il Tribunale ritiene di dover sollevare d’ufficio la presente questione in quanto, fermo restando che il fatto contestato appare riconducibile alla fattispecie in esame, dalla risoluzione della questione dipende l’accoglimento o meno della proposta di pena concordata.
Ciò premesso, il Tribunale rileva che i commi 13 e 13-bis dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 prevedono due distinte ipotesi di reato, stabilendo, nel primo caso (rientro nel territorio dello Stato dopo il decreto prefettizio di espulsione), la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno e, nel secondo (violazione del divieto di reingresso su ordine del giudice), la reclusione da uno a quattro anni. Sempre con la reclusione da uno a quattro anni è poi sanzionato, dal secondo periodo del comma 13-bis, il reingresso nel territorio nazionale dello straniero «già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso». In quest’ultimo caso, ad avviso del remittente, viene considerato elemento costitutivo di un delitto il dato «che taluno abbia riportato una denuncia (proveniente da qualsiasi fonte) per un precedente presunto illecito penale, in relazione al quale non vi è stata ancora una pronuncia di condanna definitiva»; il che pare in evidente contrasto con l’art. 27, secondo comma, Cost., che prevede la cosiddetta “presunzione di non colpevolezza”. La disposizione censurata, invece, senza imporre alcuna forma di verifica sull’esito effettivo della denuncia, per di più per un reato contravvenzionale, ignora che alla medesima potrebbe fare seguito una decisione assolutoria.
Ad avviso del giudice a quo, inoltre, la norma impugnata è in contrasto anche con gli artt. 2 e 3 Cost., per due ordini di ragioni: 1) perché non pare giustificata l’equiparazione da essa operata tra la condotta di chi rientri illegalmente nel territorio dello Stato in violazione di un provvedimento di espulsione adottato dall’autorità giudiziaria e quella di colui che vi rientri essendo stato espulso dal prefetto, e ciò per il solo fatto di essere stato denunciato per un precedente reato contravvenzionale; 2) perché sembra irragionevole la previsione di un diverso trattamento operato nei confronti dei presunti autori della medesima condotta materiale e formale (rientro illegale nel territorio dello Stato in violazione di un provvedimento di espulsione adottato dal prefetto), a seconda del fatto che essi siano stati o meno denunciati in precedenza per l’illecito contravvenzionale citato, in quanto essi «incorrono» in un delitto nel primo caso ed in una mera contravvenzione nel secondo.
2.— E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.
Osserva l’Avvocatura che le fattispecie criminose di cui agli artt. 13 e 13-bis del d. lgs. n. 286 del 1998 non sono fra loro paragonabili, in quanto nell’un caso si è in presenza di rientro dopo la prima espulsione e nell’altro di rientro dopo la seconda espulsione. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 27 Cost., l’Avvocatura rileva che l’elemento della denuncia riveste un ruolo secondario nella configurazione dell’ipotesi di reato contestata dal remittente, perché ciò che assume peso decisivo è il fatto del reingresso dopo la seconda espulsione, rispetto al quale la denuncia è soltanto un «antecedente logico prima ancora che giuridico».
Considerato in diritto
1.— Il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica solleva, in riferimento agli artt. 2, 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo).
Nell’ordinanza di rimessione si premette che l’art. 13 del d.lgs n. 286 del 1998 prevede la pena dell’arresto e l’espulsione con accompagnamento alla frontiera per lo straniero che, essendo stato espulso dal territorio dello Stato, vi rientri senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno.
Ciò posto, il remittente sostiene che la norma censurata – la quale commina la reclusione da uno a quattro anni allo straniero che, essendo stato denunciato ed espulso per il reato di cui all’art. 13, comma 13, faccia reingresso nel territorio nazionale – violi i suindicati parametri costituzionali, in quanto irragionevolmente attribuisce alla mera circostanza dell’avvenuta denunzia per il reato di reingresso l’efficacia di trasformare in grave delitto un comportamento altrimenti costituente reato contravvenzionale.
2.— Occorre premettere che, successivamente all’ordinanza di rimessione, il quadro normativo è stato modificato dall’art. 1, comma 2-ter, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271. Per quanto specificamente interessa la questione in esame, la sanzione prevista per il reato oggetto del giudizio a quo è stata aggravata nel massimo (da quattro a cinque anni di reclusione) ed il reato previsto dall’art. 13, comma 13, anche in riferimento al quale il Tribunale di Gorizia ha motivato le sue censure, è stato trasformato da contravvenzione in delitto, con la previsione della pena della reclusione da uno a quattro anni. Tali modifiche, tuttavia, non impongono la restituzione degli atti al giudice remittente in quanto, comportando un aggravamento della posizione dell’imputato – in via immediata per effetto dell’aggravamento della pena ed in via mediata, ma pur sempre rilevante, in conseguenza delle modifiche del quadro normativo di riferimento – esse non sono applicabili al processo a quo, ai sensi dell’art. 2, terzo comma, del codice penale.
3.— La questione riguarda, pertanto, la disposizione nel testo vigente al momento della commissione del fatto contestato e quale viveva nel quadro normativo allora esistente; così individuata nel suo oggetto, essa è fondata con riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Questa Corte ha recentemente ribadito che la denuncia «è atto che nulla prova riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come autore degli atti che il denunciante riferisce» (v. sentenza n. 78 del 2005, ma cfr. anche la sentenza n. 173 del 1997). Di conseguenza, si è ritenuto che non sia possibile far derivare dalla sola denuncia conseguenze pregiudizievoli per il denunciato, in quanto essa comporta soltanto l’obbligo degli organi competenti «a verificare se e quali dei fatti esposti in denuncia corrispondano alla realtà e se essi rientrino in ipotesi penalmente sanzionate, ossia ad accertare se sussistano le condizioni per l’inizio di un procedimento penale».
Il legislatore del 2002 formulò la disposizione in scrutinio, con riguardo al sistema normativo all’epoca vigente, trasformando in delitto una fattispecie contravvenzionale per il solo fatto che lo straniero rientrato in Italia fosse stato denunciato per la contravvenzione di reingresso nel territorio nazionale senza autorizzazione ministeriale. Né alcun rilievo può avere la circostanza che alla denuncia era collegata anche l’espulsione perché, nel regime antecedente la sentenza di questa Corte n. 222 del 2004, l’espulsione con accompagnamento alla frontiera era eseguita anche prima dell’eventuale convalida, sicché neppure sotto tale profilo la denuncia era soggetta ad alcuna delibazione.
Deve essere quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata nel testo vigente prima delle modifiche introdotte con il d.l. n. 241 del 2004, convertito con modifiche nella legge n. 271 del 2004.
Restano assorbiti tutti gli altri profili di censura.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), risultante dalle modifiche introdotte nel testo dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2005.
 
Annibale MARINI, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
 
Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2005.
 
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