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Limiti e condizioni del ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MARINI Lionello - Presidente Dott. AMATO Alfonso - Consigliere Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere Dott. FUMO Maurizio - Consigliere Dott. BRUNO Paolo Antonio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso straordinario proposto il 27.11.2004, ai sensi dell'art. 625 bis c.p.p., con mod. IP1 dal detenuto A.G., nato a ... il ... avverso la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale il 26 febbraio 2004, n. 25096/04; Letto il ricorso e la sentenza impugnata; Letta la memoria difensiva proposta dal ricorrente; Sentita la relazione del Consigliere Dr. Paolo Antonio BRUNO; Udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Sostituto Dr. Gianfranco VIGLIETTA, che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso; Sentito, altresi', l'Avv. S.B., che, nell'interesse del ricorrente, ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
OSSERVA
1. Con il ricorso indicato in epigrafe, A.G. deduceva l'errore di fatto nel quale sarebbe incorsa la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza pure in premessa indicata, con la quale aveva rigettato il ricorso proposto dallo stesso istante avverso la sentenza della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria del 5 marzo 2002. A dire di parte ricorrente, il detto errore era consistito nell'omesso esame di alcun motivi d'impugnazione. In particolare, deduceva che non erano stati considerati i motivi nuovi presentati personalmente il 17 e 23.12.2003, ne' la parte motiva autorizzava a ritenere che la Corte avesse implicitamente valutato le relative Non solo, ma vi era ragione di ritenere che gli stessi motivi fossero stati erroneamente attribuiti ad altro ricorrente, A.GI., nel cui fascicolo, dopo lo stralcio della relativa posizione processuale, erano forse materialmente finiti. La possibile confusione poteva dedursi anche dall'attribuzione allo stesso A. GI. di un motivo proposto, invece, da esso istante. Inoltre, nei motivi nuovi erano stati punto per punto contestati i caposaldi dell'affermazione di responsabilita' da parte della Corte distrettuale, dimostrandosi l'impossibilita' di un certo incontro in determinato luogo, stante l'assenza dalla Calabria del prevenuto, l'incongruenza o contraddittorieta' delle dichiarazioni accusatorie utilizzate, la mancata assunzione di prova decisiva nonche' l'omessa valutazione di prova documentale. Non era stata, inoltre, approfondita la tematica della mancanza del movente del delitto, pur essa dedotta nei motivi nuovi, ne' esaminato il motivo relativo all'inconsistenza degli elementi probatori a sostegno della ritenuta partecipazione a sodalizio mafioso. Non era, correttamente, valutata neppure l'eccezione relativa alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, con riferimento alla modifica del titolo di partecipazione all'omicidio A..., da concorso materiale a quello morale. Non era corretta, ancora, la decisione in ordine all'eccepita inutilizzabilita' delle dichiarazioni del collaboratore C., in quanto rese successivamente ai 180 giorni previsti dalla legge nonche' il mancato accoglimento dell'inutilizzabilita' di atti in quanto raccolti con il rito ordinario, posti a carico di chi era stato giudicato con le forme del rito abbreviato. Parte ricorrente eccepiva, infine, l'illegittimita' costituzionale dell'art.625 bis secondo l'interpretazione riduttiva data dalla giurisprudenza di legittimita', con esclusivo riferimento all'errore materiale, con esclusione dell'errore valutativo o di giudizio, in violazione dei principi del giusto processo.
2. Il ricorso e' destituito di fondamento e non puo', pertanto, essere accolto. In primo luogo, e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma in questione, ove interpretata secondo la linea di lettura offerta da questa Corte di legittimita', essendo persino superfluo considerare che, in tema di art. 625 bis, la limitazione dell'ambito di cognizione all'errore materiale nasce dal testo della legge, anziche' dalla interpretazione giurisprudenziale, ed e' connotato immanente dello stesso rimedio straordinario introdotto dal legislatore al solo fine di porre riparo a mere sviste o ad errori di percezione nei quali sia incorso il giudice di legittimita' in tutti i casi in cui la sua decisione si fondi sulla supposizione di un fatto la cui verita' sia incontrovertibilmente esclusa oppure quando sia supposta l'inesistenza di un fatto la cui verita' sia positivamente stabilita. L'esclusione dell'errore valutativo o di giudizio e', naturalmente, compatibile con l'anzidetta fisionomia dell'istituto che, diversamente, finirebbe di essere strumento assolutamente eccezionale per porsi come ulteriore grado di giudizio del tutto anomalo rispetto all'ordinaria configurazione dei mezzi d'impugnazione del nostro ordinamento processuale, in clamoroso contrasto, del resto, con il principio della ragionevole durata dei processi, che e' valore irrinunciabile, sia in prospettiva comunitaria che di ordinamento interno, stante il rilievo costituzionale ad esso attribuito dall'art. 111, comma secondo, Cost.. E' ius receputum, poi, che l'omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non da luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell'art.625-bis c.p.p., ne' determina incompletezza della motivazione della sentenza, allorquando, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perche' incompatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonche' con le premesse iniziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima, ovvero quando l'omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall'esame di altro motivo preso in considerazione, giacche', in tal caso, esse sono state comunque valutate, pur essendosene ritenuta superflua la trattazione per effetto della disamina del motivo ritenuto assorbente. Viceversa, l'omesso esame e' riconducibile alla figura dell'errore di fatto quando sia dipeso da una vera e propria svista materiale, cioe' da una disattenzione di ordine meramente percettivo che abbia causato l'erronea supposizione dell'inesistenza della censura, la cui presenza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso (giurisprudenza assolutamente pacifica, sulla scia di Cass. Sez. Un. 27.3.2002, De Lorenzo). Tale consolidata affermazione va coordinata, secondo la lettura proposta in precedenti occasioni da questa Sezione, con la norma di cui all'art. 173, comma 1, delle disposizioni di attuazione del codice di rito, secondo cui nella sentenza della corte di cassazione i motivi del ricorso sono enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (cfr. Cass, sez. 5^, 10.12.2004, Buonanno, non massimata). Dal che discende il principio che la mancata riproduzione, in sede di motivazione della sentenza di legittimita', di uno dei motivi di ricorso, per effetto di mera omissione materiale dell'estensore, non autorizza, di per se', a ritenere che la doglianza, che ne sostanziava il contenuto, sia rimasta estranea all'ambito della cognizione e del consequenziale giudizio della Corte, tenuto peraltro conto della chiara disposizione del menzionato art. 173, comma 1, disp. att.. Ed in questa prospettiva si e' giustamente posto il PG d'udienza, con l'ineccepibile considerazione che il giudice di legittimita' ha l'obbligo di esaminare, in sentenza, i motivi del ricorso, ma non gia' tutte le argomentazioni che ne sostanziano il contenuto. Orbene, tenuto conto di tali consolidati principi, nessuna delle censure proposte dall'A. merita di essere considerata, posto che dall'impianto complessivo della sentenza in esame risulta chiaramente che la sua posizione e' stata analiticamente valutata, indipendentemente dal richiamo a tutti i motivi proposti, nessuno dei quali, peraltro, risultava in contrasto con la soluzione complessiva ed in grado di sovvertire il giudizio conclusivo di infondatezza del ricorso. All'enunciazione analitica dei motivi d'impugnazione, ha fatto seguito la globale enunciazione delle ragioni della ritenuta infondatezza, in termini assolutamente inequivoci ed individualizzanti (basti raffrontare, ad esempio, le argomentazioni di cui a pagg. 48 e 65). Vanno, infine, disattese le doglianze relative al diniego dell'eccepita inutilizzabilita' delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia ovvero al mancato accoglimento dell'eccezione di inutilizzabilita' di atti raccolti con le forme del rito ordinario, e riferiti a carico di chi era stato giudicato con le forme del rito abbreviato, trattandosi di censure relative al giudizio espresso da questa Corte di legittimita' che, per le ragioni gia' espresse in precedenza, esulano dall'ambito di cognizione consentito in questa sede, trattandosi di ipotetici errori non qualificabili come errore di fatto, ma astrattamente configurabili come errori valutativi e, quindi, di giudizio. Lo stesso deve dirsi con riferimento a profili di merito afferenti al giudizio di responsabilita', come la riferita impossibilita' di incontri, la denunciata incongruenza o contraddittorieta' di dichiarazioni accusatorie, la mancata assunzione di prove decisive o l'omessa valutazione di prove documentali o l'erronea valutazione di altre questioni processuali. Sono tutti profili insuscettibili di qualificazione in termini di errori di fatto.
3. Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosi' deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 aprile 2005. Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2005
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