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Sulla "ricettabilità" di supporti informatici contenenti dati: il sottile distinguo della Suprema Corte
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMMINO Matilde - Presidente -
Dott. RAGO Geppino - Consigliere -
Dott. VERGA Giovanna - Consigliere -
Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere -
Dott. BELTRANI Sergio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI MILANO;
C.C., nata il (OMISSIS);
nei confronti di:
T.P.M., nato il (OMISSIS);
nonchè da:
T.P.M., nato il (OMISSIS);
contro la sentenza n. 7591/2013 della CORTE APPELLO di MILANO emessa in data 11/06/2015;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nella PUBBLICA UDIENZA del 18/02/2016 la relazione fatta dal Consigliere dott. SERGIO BELTRANI;
uditi:
- il Procuratore Generale in persona del Dott. MARIO FRATICELLI che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, in accoglimento dei ricorsi del PG distrettuale e della parte civile di C.C., con rigetto del ricorso dell'imputato T. P.M.;
- l'avv. LUCIO LUCIA, per la parte civile C.C., che si è riportato alla memoria depositata ed alle conclusioni scritte (con nota spese e note di udienza), chiedendone l'accoglimento;
- l'avv. MARCO DE LUCA per l'imputato T.P.M..
che ha chiesto il rigetto dei ricorsi del PG e della parte civile, nonchè, in accoglimento del proprio ricorso, l'assoluzione del proprio assistito dal reato ascrittogli perchè il fatto non sussiste.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Milano in composizione monocratica, con sentenza emessa in data 17 luglio 2013, aveva dichiarato il dr. T. P.M., in atti generalizzato, colpevole del delitto previsto e punito dall'art. 648 c.p. (per avere, al fine di trarne profitto, consapevolmente ricevuto files e dati dapprima illegalmente intercettati, e poi sottratti dai sistemi informatici della società KROLL, della cui natura era stato specificamente messo a conoscenza da T.G., in atti generalizzato, all'epoca responsabile della Funzione Security del Gruppo TELECOM ITALIA, il quale, dopo averli memorizzati in un CD Rom, provvedeva, previo specifico accordo con il T.P., e dietro suo specifico consenso, avvenuti alla presenza degli avvocati CH.FR. e M.F., in atti generalizzati, a spedire detto CD Rom in forma anonima alla segreteria dello stesso T. P., che lo faceva poi pervenire alla Security di TELECOM, così legittimandone l'utilizzazione. In (OMISSIS), fatti commessi in data anteriore e prossima al (OMISSIS)) e, ritenute le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia, condizionalmente sospesa, oltre al risarcimento del danno cagionato alle pp.cc. costituite, con liquidazione dei danni in separata sede, ed accordando una provvisionale in favore delle sole TELECOM ITALIA s.p.a. e C. C., in atti generalizzata.
2. La Corte di appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma, ha assolto l'imputato dal reato ascrittogli perchè il fatto non costituisce reato.
3. Contro questa sentenza, hanno presentato distinti ricorsi l'imputato, il PG distrettuale e la parte civile C.C..
4. All'odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all'esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.
Motivi della decisione
I ricorsi del Procuratore Generale distrettuale e della parte civile C.C. sono fondati; il ricorso dell'imputato è infondato e va rigettato.
1. Ricorso imputato T.P..
Premessa ampia disamina in relazione al tema dell'interesse al ricorso, l'imputato ha dedotto:
1 - nullità della sentenza per contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione nella parte in cui non riconosce - sulla base delle stesse considerazioni in fatto ed in diritto svolte nel provvedimento impugnato - l'insussistenza oggettiva del fatto di reato contestato, per difetto dell'oggetto materiale e, conseguentemente, non assolve l'imputato con la formula "perchè il fatto non sussiste"; violazione dell'art. 648 c.p. Premessa la condivisione della conclusiva valutazione di non configurabilità del dolo di profitto, e ricostruita una serie di acquisizioni fattuali asseritamente incontrovertibili, il ricorrente lamenta la non configurabilità della materialità del fatto contestato, rappresentando:
- che nella riunione valorizzata per corroborare la configurabilità della fattispecie contestata (dalla partecipazione alla quale sarebbe stata desunta la prova del concorso del dr. T.P. al reato contestato), non si sarebbe parlato di files informatici e/o di supporti magnetici o cartacei, ma solo di informazioni;
- che vi sarebbe contrasto, in giurisprudenza, tra un orientamento a parere del quale non sarebbe configurabile il reato di ricettazione a carico di soggetto che si sia limitato a ricevere dati, informazioni e notizie tratti da materiale documentale che sia stato oggetto di furto, mancando, in siffatta ipotesi, l'esistenza di una res suscettibile di apprensione e possesso, (Sez. 2, n. 308 del 21/10/2004, dep. 2005, Buzzoni, rv. 230426; Sez. 2, n. 34717 del 23/04/2008, Matacena, rv. 240688, per la quale ultima, in particolare, non potrebbe assumere rilievo, in siffatta situazione, il supporto materiale - DVD, CD Rom, copia cartacea su cui circola l'informazione, essendo esso meramente strumentale alla rivelazione del segreto), ed altro orientamento la cui ratio decidendi lascerebbe intendere che sono suscettibili di mobilizzazione le informazioni "incorporate" in un documento, poichè, se i beni immateriali sono insuscettibili di detenzione fisica, l'entità materiale su cui tali dati sono trasfusi ed incorporati (anche attraverso la stampa del contenuto) acquisisce il valore di questi, assumendo la natura di documento originale e non di mera copia (Sez. 2, n. 33839 del 12/07/2011, Simone, rv. 251179; Sez. 5, n. 47105 del 30/09/2014, Capuzzimati, rv. 261917);
- al momento della riunione predetta, non esisteva alcun supporto fisico che avesse determinato la effettiva materializzazione dei dati informatici in ipotesi indebitamente carpiti;
- la partecipazione dell'imputato alla vicenda inizia e finisce con la partecipazione alla riunione stessa;
- non sarebbe configurabile, in considerazione dei rilievi che precedono, la materialità del delitto di ricettazione.
2. Ricorso P.G. distrettuale.
Il P.G. distrettuale ha dedotto:
1 - violazione dell'art. 648 c.p. (poichè anche il fine di autodifesa, accreditato dalla Corte di appello a giustificazione della ricezione dei beni indicati nella contestazione, integra il necessario profitto, non risultando configurabile in materia la causa di giustificazione dell'esercizio del diritto);
2 - violazione dell'art. 603 c.p.p. e art. 111 Cost. (poichè per enucleare il predetto fine di autodifesa, la Corte di appello ha, tra l'altro, valorizzato dichiarazioni rese ex art. 391-bis c.p.p. al difensore dell'imputato dai testimoni CH. (in data (OMISSIS)) e M. (in data (OMISSIS)), acquisite all'udienza 11 giugno 2015; dette dichiarazioni extradibattimentali si porrebbero, peraltro, in contrasto con quanto dai predetti soggetti dichiarato nel corso dei rispettivi esami dibattimentali; la Corte di appello avrebbe errato sia nell'acquisire i verbali de quibus in difetto dei presupposti di cui all'art. 603 c.p.p., non trattandosi di prove nuove, sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, sia nel non disporre, comunque, l'esame dibattimentale dei predetti soggetti, pur espressamente richiesto dal PG di udienza; le dichiarazioni del M. sarebbero state, infine, assunte in violazione dell'art. 391-bis cit.;
3 - difetto, illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto all'individuazione del necessario dolo specifico (poichè le dichiarazioni rese in primo grado dal CH. e dal M. indicavano concordemente la finalità dell'imputato di avvalersi di dati illecitamente acquisiti per trarre vantaggio nella disputa avente ad oggetto l'acquisizione di BRAZIL TELECOM, mentre la Corte di appello avrebbe - quanto al fine dichiarato dalla difesa dell'imputato - accreditato unicamente le dichiarazioni rese da T.G., senza valutarne la coerenza interna); la Corte di appello sarebbe, inoltre, incorsa in travisamento, nella parte della motivazione in cui ricostruisce le modalità di presentazione della denunzia in Brasile e poi in Italia, essendo quest'ultima, secondo quanto documentato ex actis, riconducibile non all'imputato, ma al vice-presidente del settore sicurezza di TELECOM ITALIA, J.; non corrisponderebbe al vero l'affermazione che la denunzia sarebbe stata presentata in Brasile soltanto per ragioni di competenza, considerato l'uso che KROLL stava facendo in Italia dei files riservati in oggetto, allo scopo di influenzare il mercato e condurre una campagna di stampa caratterizzata da attacchi personali contro il dr. T.P. e la sua famiglia, tenuto anche conto del fatto che quest'ultimo, a sua volta, mirava a conseguire il controllo di BRAZIL TELECOM a condizioni favorevoli; la Corte di appello non avrebbe verificato l'effettività della denunzia in Brasile: in realtà, non ci sarebbe stata nessuna denunzia, nè da parte dell'imputato personalmente, nè da parte di TELECOM ITALIA, ma la mera consegna da parte dello J. alla Polizia brasiliana di un CD Rom con implicito invito a prenderne cognizione, per finalità che eccedevano le esigenze puramente difensive, ma si concretizzavano nell'intento di attaccare a tutto campo la KROLL (desumibile anche dalle dichiarazioni del T.); risulterebbe illogico - in presenza di tutto quanto riepilogato - ritenere che la scalata di BRAZIL TELECOM costituisse mero ed ininfluente movente delle condotte accertate.
3. Ricorso parte civile C.C..
La parte civile C.C. ha dedotto:
1 - erronea applicazione dell'art. 648 c.p..
1.1. quanto al ritenuto difetto del necessario dolo specifico (in realtà integrato anche da finalità di profitto non patrimoniale, in difetto della configurabilità di cause di giustificazione);
1.2. quanto all'oggetto della ricettazione, anche in riferimento al necessario dolo specifico (risultando chiare le dichiarazioni rese dal T. - verbale udienza 13 giugno 2013, f. 4 del ricorso - in merito a quanto discusso nel corso della già citata riunione, quanto alla già intervenuta illecita acquisizione dei documenti in questione, non alla mera possibilità di acquisirli, ed alla già avvenuta abusiva intrusione nel sistema informatico della KROLL, che aveva consentito di acquisire documenti, non mere informazioni;
risulterebbe, infine, travisante l'affermazione che, al momento dell'acquisizione, vi sarebbe stato un assenso inconsapevole, dell'imputato rispetto al "valore aggiunto nella prospettazione soggettiva dell'autore" - f. 29 del ricorso - poichè risulterebbe provato che il T. aveva spiegato all'imputato sia il contenuto che il valore dei documenti acquisiti, e che l'imputato aveva immediatamente prestato il suo consenso all'acquisizione di documenti dei quali conosceva l'illecita provenienza);
2 - vizio di motivazione per travisamento della prova ed illogicità in relazione alle dichiarazioni dei testi T., CH. e M. quanto all'intento manifestato dall'imputato, in realtà non meramente difensivo;
3 - violazione dell'art. 603 c.p.p. per illegittima rinnovazione dell'istruzione dibattimentale; violazione degli artt. 498 c.p.p. e ss. e art. 511 c.p.p., nonchè art. 111 Cost., comma 4, per illegittima acquisizione in appello dei verbali di indagini difensive contenenti le dichiarazioni dei testi CH. e M. - vizio di motivazione in riferimento all'indebita utilizzazione degli esiti delle predette prove illegittimamente acquisite;
4 - vizio di motivazione per travisamento della prova, per non essere stata mai proposta denunzia dall'imputato o dai suoi familiari, nè da TELECOM ITALIA o da PIRELLI conseguente illogicità della motivazione;
5 - ulteriore illogicità della motivazione quanto alla intervenuta valorizzazione del fatto che l'indicazione di presentare la denunzia in Brasile non sarebbe attribuibile all'imputato (nè conseguentemente valorizzabile al fine di accreditare l'invocato fine di autodifesa), bensì all'avv. M.; peraltro, nessuna denunzia risulterebbe presentata in Brasile.
In data 2 febbraio 2016 risulta depositato un motivo nuovo:
- violazione della legge processuale per illegittima acquisizione della sentenza della Corte di assise di Milano del 13 febbraio 2013, non passata in giudicato, impugnazione riguardante anche l'ordinanza con la quale in data 11 giugno 2015 la Corte di appello di Milano aveva disposto la predetta acquisizione.
Contestualmente, la parte civile ha articolato memoria a confutazione del ricorso dell'imputato.
4. La decisione.
Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità per tardività del motivo nuovo articolato dalla parte civile, non essendo stata l'ordinanza dibattimentale de qua impugnata con il ricorso originario: i motivi nuovi di impugnazione devono, infatti, essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall'impugnazione principale già presentata, e risultare in necessaria connessione funzionale con quelli originari (Sez. 6, sentenza n. 6075 del 13/1/2015, Comitini, rv. 262343; Sez. 1, n. 34461 del 10/03/2015, Pica, rv. 264493).
In applicazione del principio, ritiene il collegio che non risulti consentita, perchè tardiva, l'impugnazione con motivo nuovo ex art. 585 c.p.p., comma 4, per violazione di legge (nel caso di specie, processuale), dell'ordinanza dibattimentale non impugnata con il ricorso originario.
5. Per esigenze di ordine logico, va preliminarmente esaminato il ricorso dell'imputato, riguardante la materialità del reato in contestazione.
5.1. Sussiste l'interesse al ricorso dell'imputato.
La giurisprudenza di legittimità ha già, in più occasioni, chiarito che sussiste l'interesse dell'imputato ad impugnare la sentenza di assoluzione "perchè il fatto non costituisce reato", al fine di ottenere l'assoluzione perchè il fatto non sussiste, avuto riguardo ai possibili effetti pregiudizievoli derivanti dalla formula censurata in sede di giudizio amministrativo, civile o disciplinare (Sez. 2, n. 33847 del 18/05/2010, De Filippis, rv. 248127; Sez. 6, n. 13621 del 06/02/2003, Valle, rv. 227194).
5.2. Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.
5.2.1. Deve premettersi che la giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, rv. 243636), con orientamento che il collegio condivide e ribadisce, ha già osservato che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di uguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado ("Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice").
Nel caso di specie si è in presenza di una c.d. "doppia conforme" quanto alla materialità del reato contestato, e la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gìà sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della materialità del reato contestato.
In particolare, la Corte di appello (f. 13) ha premesso che non risultava devoluta la questione riguardante la possibilità di qualificare la condotta tenuta dall'imputato ai sensi degli artt. 110 e 615-ter c.p. (come invero le difese svolte dall'imputato sembrerebbero avvalorare, nella parte in cui riferiscono che i dati dei quali si discute non sarebbero stati già acquisiti nel momento in cui ebbe luogo la riunione della quale si è in più parti dei ricorsi discusso, e che l'imputato si sarebbe in quella sede limitato ad assicurare il proprio assenso alla futura acquisizione degli stessi); doveva, pertanto, ritenersi non contestato che l'imputato fosse estraneo alle accertate illegittime intrusioni negli altrui sistemi informatici eseguite per procurarsi la disponibilità dei dati dei quali si discute, già in disponibilità - alla data della riunione - del c.d. TIGER TEAM (f. 13).
Ciò premesso, la Corte di appello (valorizzando le dichiarazioni di T.G., motivatamente ritenute attendibili, oltre che sorrette da utili elementi di riscontro, individuati nelle dichiarazioni di L.E., in atti generalizzata, segretaria del dr. T.P., oltre che, pur indirettamente, nelle dichiarazioni di G.F., in atti generalizzato, autore materiale delle indebite intrusioni che avevano procurato la disponibilità dei dati de quibus), ha incensurabilmente ritenuto accertata la condotta attribuita all'imputato dall'imputazione contestata, consistita nella "consapevole acquisizione dei files e dati sottratti dai sistemi informatici della società KROLL, memorizzati nel CD che T. faceva pervenire alla segretaria di T.P., all'esito della riunione tenuta nel suo ufficio, presenti anche gli avvocati CH. e M., in data anteriore e prossima al 27.9.2004"; in quella sede, l'imputato diede "espressa autorizzazione (..) all'utilizzo del materiale informativo", nella consapevolezza "della illecita provenienza dei dati ed informazioni così acquisiti" (f. 15 della sentenza impugnata, con riepilogo delle risultanze all'uopo valorizzate nelle pagine successive).
5.3. Il ricorrente si limita a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti decisivi delle prove valorizzate, ed essenzialmente lamentando, sia pur con ricchezza di argomentazioni:
- la non intervenuta acquisizione, all'atto della riunione, dei dati de quibus, al più illegittimamente visualizzati dagli autori materiali delle indebite intrusioni costituenti reato presupposto della condotta contestata, ma non ancora "materializzati";
- in diritto, la non configurabilità della contestata ricettazione per difetto di materialità delle res che, secondo la contestazione, ne avrebbero costituito oggetto, e comunque l'irrilevanza della eventualmente intervenuta o sopravvenuta "materializzazione" dei dati illecitamente carpiti da terzi;
- la partecipazione dell'imputato ad un solo segmento della complessa vicenda costituente oggetto di contestazione, ovvero alla sola riunione fin qui più volte menzionata.
5.3.1. Deve, in senso contrario, ritenersi incensurabilmente accertato che nel corso della "famosa" riunione - che ebbe luogo in epoca anteriore e prossima al 27 settembre 2004 - si sia discusso di dati non meramente visualizzati, ma già estratti (di "materiale già acquisito" ha parlato in dibattimento il T., a conferma di quanto già inizialmente dichiarato nel 2010: f. 18 della sentenza impugnata) e "materializzati", in quanto inizialmente riversati in 5 DVD compressi, per un volume di 50 megabyte (cfr. dichiarazioni del G., riportate a f. 18 ss. della sentenza di primo grado, ed esiti della CT espletata dal PM): la Corte di appello ha, sul punto, concluso (f. 26 s. della sentenza impugnata) che "sulla base della ricostruzione accolta, è provato - attraverso la consulenza espletata dal P.M. e rimasta non smentita in atti - che il CD Rom fu masterizzato il 10.7.2004; risulta, poi, che fu consegnato da I.A. all'AG brasiliana il 10.8.2004. Al momento della riunione, quindi, l'autorizzazione fu espressa dall'imputato sulle informazioni che T. presentava come pregiudizievoli per la TELECOM, le quali venivano successivamente trasfuse nel CD Rom pervenuto, su disposizione espressa di T.P., alla segretaria L.".
5.3.2. E' infondata la doglianza riguardante la presunta non configurabilità, per difetto di materialità, della contestata ricettazione.
Come già chiarito dalla dottrina tradizionale, in senso giuridico, "cosa" è "tutto ciò che può formare oggetto di diritti patrimoniali. Più precisamente, per il diritto sono "cose" tutti gli oggetti corporali e quelle altre entità naturali che hanno un valore economico e sono suscettibili di appropriazione. Sostanzialmente la nozione giuridica di cosa corrisponde a quella economica di "bene"".
Secondo altra, più recente, dottrina, non rientrano tra le "cose" "beni immateriali (come la proprietà intellettuale), i diritti, le pretese, le aspettative, a meno che non siano incorporati in supporti materiali che li rappresentano o li documentano (ad es. assegni, libretti a risparmio ecc.): così, ad es., può integrare il reato di furto la sottrazione di un floppy-disk contenente una creazione letteraria o una ricerca scientifica", e non vi rientrano neanche i dati informatici (considerati autonomamente, ovvero scissi dal supporto materiale che li incorpora), come ad es. il software, che il legislatore tutela autonomamente, assimilandolo alle opere dell'ingegno (L. n. 633 del 1941, art. 171-bis, come mod. con L. n. 248 del 2000).
Inoltre, tra le "cose mobili", che l'art. 812 c.c., comma 3, definisce in via residuale, rientra, secondo il tradizionale, ma sempre valido insegnamento della giurisprudenza (Sez. 2, n. 481 del 19/02/1971, Baldo, rv. 119221), "qualsiasi oggetto corporeo, qualsiasi entità materiale, suscettibile di detenzione, sottrazione ed impossessamento, facente parte del patrimonio, inteso in senso ampio e non soltanto sotto il profilo strettamente economico, che rivesta un apprezzabile interesse e la cui appropriazione determini un detrimento patrimoniale (in senso ampio) per il soggetto passivo ed arrechi una qualsiasi utilità o vantaggio (economicamente valutabile o meno) per l'agente".
"Cosa mobile" è, pertanto, l'entità materiale su cui beni immateriali vengono trasfusi, "anche se è il valore del bene trasfuso che conferisce alla fisicità della cosa la funzione strumentale che ne caratterizza la rilevanza penale. Incorporando il bene immateriale, tali entità materiali acquisiscono il valore di questo, diventando cose idonee a soddisfare quei particolari bisogni umani cui il bene è strumentale" (Sez. 5, n. 47105 del 30/09/2014, Capuzzimati, rv. 261917).
Non può dunque dubitarsi che il supporto informatico, sul quale furono trasferiti i dati indebitamente carpiti attraverso le illegittime intrusioni in altrui sistema informatico costituenti reati presupposto della contestata ricettazione, costituisca "cosa", ed in particolare, "cosa mobile", proveniente dal delitto di cui all'art. 615-ter c.p., ai sensi ed ai fini dell'art. 648 c.p..
5.3.3. Nè può dirsi che una tal valutazione giuridica, e la conseguente decisione, fosse non prevedibile nel momento in cui fu posta in essere la condotta, risalente al 2004.
Deve, in proposito, premettersi che il collegio condivide e ribadisce l'orientamento per il quale l'art. 7 della Convenzione EDU - così come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU - non consente l'applicazione retroattiva dell'interpretazione giurisprudenziale sfavorevole di una norma penale nel caso in cui il risultato interpretativo non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa (Sez. fer., n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, rv. 256584: fattispecie nella quale è stata, tuttavia, esclusa la ravvisabilità della necessaria imprevedibilità interpretativa della contestata soluzione, perchè già accolta da un precedente orientamento giurisprudenziale; in argomento, cfr. anche Sez. 4, sentenza n. 46764 del 19/11/2013, Nourdin, rv. 258564).
Deve, peraltro, rilevarsi che l'orientamento richiamato dal ricorrente (Sez. 2, n. 34717 del 23/04/2008, Matacena, rv. 240688, unica decisione segnalata con espresso riferimento all'irrilevanza della successiva "materializzazione") è senz'altro posteriore rispetto al momento in cui ebbe luogo la condotta contestata, è stato certamente non dominante - a fronte dell'insegnamento tradizionale innanzi ricordato - e, comunque, riguardava specificamente altra norma penale incriminatrice (l'art. 326 c.p.), posta a tutela di un diverso bene-interesse (non il patrimonio, ma la P.A.).
5.3.4. Nè può ritenersi, ai fini della compiuta valutazione dei fatti accertati, che il ruolo assunto dal dr. T.P. nell'ambito della vicenda in oggetto si sia limitato alla partecipazione alla predetta riunione: risulta, infatti, accertato - essenzialmente attraverso le dichiarazioni di L.E., segretaria dell'imputato, sul cui contenuto e sulla cui attendibilità la stessa difesa dell'imputato nulla ha obiettato - che, dopo aver concordato con i presenti, nel corso della riunione più volte ricordata, le modalità attraverso le quali avrebbe dovuto aver luogo l'acquisizione della disponibilità dei dati in oggetto, l'imputato avvertì la segretaria dell'imminente arrivo di un pacco anonimo proveniente dal Brasile, che non doveva essere cestinato, ma trasmesso con urgenza alla Divisione Security, in tal modo continuando a disporre di quanto era contenuto nel pacco anche dopo la riunione.
6. Possono essere esaminati congiuntamente, e sono fondati, il 2 motivo del ricorso del PG distrettuale ed il 3 motivo della parte civile, che alla contestata acquisizione si erano opposti, ed hanno espressamente impugnato, unitamente alla sentenza, anche quanto stabilito dall'ordinanza dibattimentale che la predetta acquisizione aveva disposto.
6.1. Deve premettersi che il divieto per le parti di assumere informazioni da persone già chiamate a testimoniare, secondo quanto previsto dall'art. 430-bis c.p.p., non è applicabile al giudizio d'appello nell'ipotesi di rinnovazione istruttoria per l'assunzione di nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado (Sez. 3, n. 36826 dell'08/07/2009, Khemissi Rafik, rv. 244932).
6.2. Ciò premesso, la giurisprudenza ha già ritenuto che il diritto del difensore di svolgere indagini difensive, pur esercitabile in ogni stato e grado del procedimento, deve tuttavia essere coordinato, affinchè i risultati di dette indagini possano trovare ingresso nel processo, con i criteri ed i limiti specificamente previsti dal codice per la formazione della prova (Sez. 3, 3, sentenza n. 35372 del 26/05/2010, G., rv. 248366: fattispecie di richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in grado d'appello, che si è ritenuto essere stata correttamente rigettata in quanto la documentazione acquisita per mezzo delle indagini difensive, e che si chiedeva fosse acquisita al giudizio, non costituiva una prova nuova sopravvenuta e il processo era definibile allo stato degli atti).
Il principio è stato ulteriormente ribadito da Sez. 6, sentenza n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, P.R., rv. 261798, pur in relazione a fattispecie in parte diversa (trattavasi di richiesta di rinnovazione dell'istruzione in giudizio abbreviato d'appello mediante acquisizione di verbali di dichiarazioni assunte in sede di indagini difensive, che la S.C. ha ritenuto inammissibile in quanto, nel giudizio abbreviato, le prove integrative di natura dichiarativa devono essere assunte dal giudice, ai sensi dell'art. 422 c.p.p.), osservando che il diritto del difensore di svolgere indagini difensive, pur esercitabile in ogni stato e grado del procedimento, deve tuttavia essere coordinato, affinchè i risultati di dette indagini possano trovare ingresso nel processo, con i criteri ed i limiti specificamente previsti dal codice per la formazione della prova.
6.2.1. A parere del collegio, deve convenirsi con il rilievo che "la previsione della spendibilità degli atti di indagine difensiva in ogni stato e grado del procedimento (art. 327-bis c.p.p., comma 2) debba essere coordinata con le regole fisiologiche di utilizzabilità degli atti di parte ed anche con le caratteristiche proprie della fase e del grado (Sez. 3, Sentenza n. 35372 del 26/05/2010, rv.
248366), tanto che, per esempio, resta preclusa la produzione degli esiti di investigazione difensiva nell'ambito del giudizio di legittimità (Sez. 3, Sentenza n. 41127 del 23/05/2013, rv. 256852)".
In armonia con tale premessa, deve rilevarsi che l'art. 603 c.p.p. disciplina le modalità di ingresso nel giudizio di appello di elementi sopravvenuti rispetto al giudizio di primo grado ed in ipotesi assolutamente rilevanti ai fini della decisione; e, quanto si tratti di fonti dichiarative, esse devono essere assunte e condotte dal giudice, non potendo tale sub procedimento acquisitivo essere surrogato della produzione e dall'acquisizione di verbali formati unilateralmente dalle parti. In tal senso è inequivoca la lettera dell'art. 603 c.p.p., comma 1, che evoca espressamente la "rinnovazione dell'istruzione dibattimentale", all'evidenza richiamandone la disciplina (contenuta negli artt. 496 c.p.p. e ss., comunque applicabili in appello in forza del generale richiamo di cui all'art. 598 c.p.p.), e quindi prevedendo che l'acquisizione delle prove dichiarative in ipotesi sopravvenute avvenga nel contraddittorio dibattimentale.
6.2.2. Nè potrebbe ritenersi legittimamente intervenuta, nel caso di specie, una mera acquisizione dibattimentale, poichè costituiscono "documento" "solo i mezzi rappresentativi formati fuori dal processo, indipendentemente dalla loro destinazione ad un uso nell'ambito del giudizio, ed un verbale di prova testimoniale costituisce l'esatto opposto" (Sez. 6, n. 1400 del 2015 cit.).
6.3. Non può dubitarsi della decisività delle dichiarazioni de quibus ai fini della conclusiva statuizione impugnata dal PG distrettuale e dalla parte civile C.C., poichè la finalità auto difensiva, valorizzata dalla Corte di appello ai fini dell'assoluzione dell'imputato dal reato ascrittogli perchè il fatto non costituisce reato, è stata essenzialmente desunta dalla nuove dichiarazioni rese dopo la sentenza di primo grado dai dichiaranti innanzi indicati - già esaminati nel corso del dibattimento di primo grado - al difensore dell'imputato nell'espletamento di attività di indagine difensive.
D'altro canto, la stessa Corte di appello (f. 12 della sentenza impugnata) ha espressamente motivato la (pur illegittima) acquisizione dei verbali de quibus proprio valorizzandone non soltanto il carattere di novità (all'evidenza desunto non dalla provenienza, quanto dal contenuto degli elementi conoscitivi apportati), ma anche la necessità "per la compiuta ricostruzione dei fatti e della cronologia degli eventi" (f. 13 della sentenza impugnata).
7. Possono essere esaminati congiuntamente, e sono fondati, anche il I motivo del ricorso del PG distrettuale ed il 1 motivo della parte civile, riguardanti le connotazioni del fine di profitto che concorre ad integrare il dolo del delitto di ricettazione.
7.1. Il dolo del delitto di ricettazione, secondo la dottrina risalente, ma sempre valida, è misto, perchè generico quanto alla coscienza e volontà di ricevere cose provenienti da delitto, e specifico quanto appunto al fine di trarne profitto per sè o per terzi.
7.2. Quanto alla componente specifica del predetto dolo, deve premettersi che pacificamente il profitto, il cui conseguimento integra il dolo specifico del reato di ricettazione, può avere anche natura non patrimoniale (Sez. 2, sentenza n. 11083 del 12/10/2000, Di Re, rv. 217382, in fattispecie relativa all'acquisto di prodotti falsificati, usati per arredare le vetrine del negozio, con riguardo alla quale la S.C. ha ritenuto integrato l'elemento psicologico del delitto del vantaggio genericamente economico conseguito attraverso l'abbellimento della vetrina, benchè i beni falsificati ed usati per arredare la medesima - borse e ombrelli - fossero diversi dai beni - vini e liquori - commercializzati nel negozio; Sez. 2, n. 44378 del 25/11/2010, Schiavulli, rv. 248945, in fattispecie relativa alla detenzione di una camicia militare, recante scritte in caratteri ebraici, dell'esercito israeliano, considerata rappresentativa di Israele, e costituente provento di rapina perpetrata da giovani intenti a distribuire volantini di propaganda politica anti- israeliana).
7.3. Ciò premesso, osserva il collegio che, ai fini della configurabilità del dolo specifico che connota il delitto di ricettazione, non è necessaria l'ingiustizia del profitto perseguito dall'agente (in tal senso, cfr. Sez. 1, n. 6695 del 07/03/1979, Ledita, rv. 142633, e Sez. 2, n. 17718 del 07/04/2011, Conte, rv.
250156; in senso contrario, argomenta da Sez. 2, sentenza n. 25828 del 2007).
Invero, l'ingiustizia del profitto perseguito non è richiesta, ai fini dell'integrazione del dolo specifico, dall'art. 648 c.p., ma soltanto dagli artt. 628, 630 e 646 c.p. (il necessario "profitto" è, inoltre, espressamente qualificato come "ingiusto" soltanto ai fini dell'integrazione della materialità dei reati di cui agli artt. 629 e 640 c.p.), mirando l'incriminazione dei fatti di ricettazione anche a vietare la circolazione delle cose provenienti da delitto ed a prevenire la commissione dei reati presupposto.
Risultano, pertanto, irrilevanti ai fini della configurabilità del reato di ricettazione le connotazioni del profitto perseguito dall'agente, che potranno rilevare ai soli fini della qualificazione del fatto ex art. 648 c.p., comma 2, nonchè della determinazione ex art. 133 c.p. del trattamento sanzionatorio.
8. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio, che andrà celebrato uniformandosi ai seguenti principi di diritto:
"Il diritto del difensore di svolgere indagini difensive, pur esercitabile in ogni stato e grado del procedimento, deve tuttavia essere coordinato, affinchè i risultati di dette indagini possano trovare ingresso nel processo, con i criteri ed i limiti specificamente previsti dal codice per la formazione della prova, nel caso di specie, con riferimento al giudizio d'appello";
"ai fini della configurabilità del dolo specifico di profitto che concorre a connotare il delitto di ricettazione, non è necessaria l'ingiustizia del profitto perseguito dall'agente".
9. Le predette statuizioni assorbono le ulteriori doglianze del PG distrettuale e dalla parte civile ricorrente riguardanti punti della decisione impugnata logicamente successivi, quanto:
- all'apparato motivazionale della sentenza impugnata in riferimento all'accreditato fine dell'imputato (secondo i ricorrenti, la Corte di appello non avrebbe, infatti, considerato - ad esclusione dell'accreditato fine difensivo dell'imputato - che i dati indebitamente carpiti, riversati su un CD Rom acquistato in Brasile e masterizzato utilizzando un software di lingua portoghese, per rafforzarne l'apparenza di provenienza dal Brasile, sarebbero stati materialmente trasmessi alla TELECOM ITALIA in pacco anonimo proveniente dal BRASILE e successivamente consegnati alle AA.GG. competenti come documenti asseritamente di provenienza anonima, del cui contenuto implicitamente si sollecitava la verifica, ma non a corredo di una formale denuncia, che avrebbe, al contrario, dovuto comportare - in quanto tale - una esposizione veridica e non, come nella specie, artatamente alterata, delle vicende accadute, nonchè l'assunzione di paternità delle vicende in ipotesi esposte e documentabili attraverso i dati contenuti nel CD Rom, che in realtà non risulterebbe formalizzata nè dall'imputato, nè da terzi nel suo interesse; il tutto con modalità asseritamente incompatibili con le dichiarate finalità auto difensive, ed anzi differendo - nella more della confezione del "pacco" destinato a provenire dal Brasile - il momento in cui rivolgersi alle AA.GG. competenti);
- alla censurata configurabilità della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., sub specie di esercizio del diritto).
10. Le statuizioni accessorie.
La statuizione sulle spese del procedimento è riservata al definitivo, come da dispositivo.
10.1. Appare, comunque, opportuno evidenziare sin da ora che non potrebbero mai essere liquidate ad alcuno dei difensori indennità di trasferta e rimborso spese, sul presupposto che essi svolgano la professione in modo prevalente non in Roma, in quanto l'esercizio della professione di avvocato innanzi la Corte Suprema di cassazione è consentito ai soli soggetti iscritti nell'albo speciale e può quindi svolgersi esclusivamente in Roma (Sez. 2, n. 34722 del 14/05/2014, Soleri, rv. 260030).
P.Q.M.
In accoglimento dei ricorsi del Procuratore Generale e della parte civile C.C., annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio.
Rigetta il ricorso dell'imputato. Spese al definitivo.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2016
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