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Penale.it - Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, Sentenza 27 settembre 2005 (dep. 15 novembre 2005), n. 41263 (n.17/2005)

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Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, Sentenza 27 settembre 2005 (dep. 15 novembre 2005), n. 41263 (n.17/2005)
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In materia di ricusazione, costituisce indebita manifestazione del proprio convincimento da parte del giudice, prevista come causa di ricusazione dall’art. 37, comma 1, lett. b) c.p.p., l’anticipazione di valutazioni sul merito della "res iudicanda", ovvero sulla colpevolezza od innocenza dell’imputato in ordine ai fatti oggetto del processo, compiuta sia all’interno del medesimo procedimento che in un procedimento diverso senza che tali valutazioni siano imposte o giustificate dalle sequenze procedimentali previste dalla legge od allorchè esse invadano senza necessità e senza nesso funzionale con l’atto da compiere l’ambito della decisione finale di merito, anticipandone in tutto od in parte gli esiti

  REPUBBLICA ITALIANA
  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
  LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
  SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FATTORI Paolo - Presidente
Dott. LATTANZI Giorgio - Consigliere
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere
Dott. DE ROBERTO Giovanni - Consigliere
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere
Dott. AGRO' Antonio Stefano - Consigliere
Dott. CARMENINI Secondo Libero - Consigliere
Dott. GIRONI Emilio - Consigliere rel.
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
  SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) F.W.S, nato a ... il ...;
2) F.F., nato a ... il ...;
avverso l'ordinanza emessa in data 28 gennaio 2004 dalla Corte di Appello di Palermo;
visti gli atti, l'ordinanza denunziata ed il ricorso;
sentita la relazione fatta dal consigliere Dott. Emilio GIRONI;
lette  le conclusioni del P.G. con le quali chiede l'inammissibilita' del ricorso.
 
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
 1. Con ordinanza in data 28.1.2004 la Corte di appello di Palermo ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione del giudice monocratico del Tribunale di Termini Imerese dott.ssa S. effettuata da F.W.S., F.G. e F.F. nel procedimento pendente a loro carico per il reato di lesioni colpose, sul rilievo che le valutazioni espresse dal giudicante nel rigettare, per ritenuta superfluità delle prove, un’istanza volta all’ammissione di un teste ed all’espletamento di una perizia, rientravano "nei compiti propri del giudice del dibattimento" e non potevano, pertanto, essere interpretate "come una “indebita” manifestazione di giudizio prima della decisione sui fatti del processo".
 
 2. Avverso la predetta ordinanza hanno proposto ricorso il F.W.S. ed il F.F. per asserita carenza e, comunque, per illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, sull’assunto che il giudice ricusato "non ha per niente esplicato le ragioni per le quali il tecnico verificatore della gru della ASL 6 di Palermo non dovesse essere escusso ex art. 507 c.p.p., pur avendo la difesa degli imputati rilevato che si trattasse dell’unico soggetto esistente che potesse sapere in quale stato si trovava il dispositivo di sicurezza della gru, elemento sul quale poggia l’intero esito del processo in parola".
 
 I ricorrenti assumono, altresì, che la corte territoriale avrebbe deciso senza disporre dei necessari elementi di valutazione, non essendo ancora stata effettuata la trascrizione della registrazione relativa all’udienza del 15.1.2004 e, segnatamente, della deposizione testimoniale su cui, in una con il contenuto dell’ordinanza emessa sull’istanza istruttoria proposta ex art. 507 c.p.p., la dichiarazione di ricusazione era stata fondata.
 
 3. La quarta sezione penale, investita della decisione del ricorso, ha rimesso lo stesso a queste sezioni unite, rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla possibile rilevanza quale causa di ricusazione, fatta salva la sua valutazione nel merito, dell’anticipata manifestazione di convincimenti sulla res iudicanda compiuta dal giudice all’interno del medesimo processo, non senza, peraltro, lasciare trasparire la propria opzione per una soluzione affermativa della questione.
 
 Il contrasto, secondo quanto evidenziato nell’ordinanza di rimessione, si incentrerebbe sulla contrapposizione tra un filone giurisprudenziale risalente nel tempo, che escluderebbe ogni rilevanza a manifestazioni compiute all’interno dello stesso procedimento, ritenendo che le indebite espressioni di convincimenti previste come causa di ricusazione debbano estrinsecarsi al di fuori della sede processuale e dei compiti istituzionali propri dell’organo giudicante (si citano, in tal senso, Cass., sez. IV, 11 ottobre 1993, Rizzi, in Ced Cass., rv. 195.350; sez. V, 1 giugno 1995, Ferretti, id., rv. 202.213 e sez. VI, 22 gennaio 2002, Barsi, id., rv. 222032), ed altro più recente indirizzo, rappresentato dalla sentenza della sez. V, 26 gennaio 1999, Iacopini, id., rv. 213537, che, facendo leva sulla nuova formulazione dell’art. 111 Cost. in tema di “giusto processo” (imponente la netta distinzione fra il momento di acquisizione e quello di valutazione della prova) ed anticipando quanto espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza 14 luglio 2000, n. 283 (in Giur. It., 2000, 1890), assegnerebbe rilevanza anche alle manifestazioni di opinioni compiute nella medesima sede processuale, mediante anticipazione di convincimenti anteriormente al completamento dell’istruzione probatoria e prima della fase deliberativa della decisione.
 
 4. Il P.G. requirente presso questa corte ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, non ravvisando nella fattispecie alcuna concreta anticipazione di un giudizio di merito in ordine al fatto-reato contestato agli imputati ricusanti ed alla responsabilità o meno dei medesimi.
 
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 
 5. La questione sottoposta all’esame di queste sezioni unite, nei termini prospettati nell’ordinanza di rimessione, non consente, in realtà, di registrare un effettivo contrasto nella giurisprudenza di legittimità, non rinvenendosi affermazioni di principio volte ad escludere dall’ambito di applicabilità dell’art. 37 c.p.p., e, segnatamente, dalla previsione di cui alla lettera b) del primo comma, l’indebita anticipazione del proprio convincimento sulla res iudicanda compiuta dall’organo giudicante all’interno del medesimo procedimento.
 
 La sentenza della sez. IV, 11 ottobre 1993, Rizzi, citata come esempio dell’orientamento che circoscriverebbe la rilevanza dell’indebita anticipazione di convincimenti ai comportamenti tenuti al di fuori della sede processuale e dei compiti istituzionali del giudice, nell’esaminare una fattispecie di ricusazione di un g.i.p. da parte del p.m. in cui l’attività asseritamente pregiudicata consisteva nella decisione da assumere su di una richiesta di archiviazione e quella pregiudicante nella precedente declaratoria di inammissibilità di una richiesta di incidente probatorio per l’espletamento di una perizia medico-legale, ha, invero, incentrato la propria valutazione sulla possibilità di qualificare o meno come “indebita” la pronuncia sull’istanza di incidente probatorio e, pur assumendo che l’avverbio "indebitamente" significherebbe "fuori della sede processuale, fuori dai compiti e dai ruoli" del giudice, ha annullato senza rinvio l’ordinanza che aveva accolto la dichiarazione di ricusazione, rilevando che la precedente decisione del g.i.p. costituiva un intervento "inevitabile" e non connotabile come indebito in quanto previsto dalla legge.
 
 Al di là della locuzione sopra riportata, che presenta una valenza essenzialmente esemplificativa ma non esclusiva di altre possibili situazioni e la cui lettura non può prescindere dal contesto motivazionale nè dalla specificità del caso esaminato, la Corte di legittimità ha, dunque, negato rilevanza alla pretesa causa pregiudicante, essendo questa costituita da un atto necessariamente e doverosamente compiuto dal giudice secondo l’iter procedimentale disegnato dalla legge e, pertanto, in nessun modo definibile come indebita anticipazione di giudizio, pur concedendo che "il rifiuto di una prova richiesta dalle parti, per essere ritenuta ininfluente o superata da altre prove valutate come prevalenti od inoppugnabili, getti una luce sull’intimo convincimento del giudice".
 
 Non diversamente vanno interpretate le statuizioni di cui a Cass., sez. V, I giugno 1995, Ferretti, Ced Cass., rv. 202213, che ha tralaticiamente rcepito dalla precedente sentenza la formula secondo cui “indebita” sarebbe solo la manifestazione compiuta "fuori dalla sede processuale e fuori dei compiti e dai ruoli del giudice"”, ed a Cass., sez. VI, 22 gennaio 2002, Barsi, id., rv. 220032, che, nell’esaminare un caso di preteso pregiudizio per la decisione su di un’opposizione ex art. 263, comma 5, c.p.p. avverso provvedimento del p.m. in tema restituzione di cose sequestrate derivante dalla precedente adozione, nel medesimo procedimento, di misura cautelare personale, ha escluso ogni valenza pregiudicante della pregressa attività, rilevando che la nuova pronuncia riguardava una decisione non attinente al merito della causa nè in alcun modo coordinata alla sua decisione finale: ancora una volta, dunque, l’attenzione si è accentrata essenzialmente sul carattere doveroso od antidoveroso dell’attività compiuta in precedenza dal giudice, ovvero sulla natura “debita” od “indebita” dell’esternazione, piuttosto che sulla circostanza che essa sia avvenuta all’interno od all’esterno del procedimento dato.
 
 La locuzione "fuori dalla sede processuale e fuori dai compiti e dai ruoli del giudice" deve, dunque, interpretarsi come un’endiadi i cui termini concorrono ad individuare manifestazioni di opinioni non necessariamente e fisiologicamente connesse o non funzionali al corretto adempimento delle attribuzioni istituzionali dell’organo giudicante.
 
 6 La formulazione della lettera b), I comma, dell’art. 37 c.p.p. non fa, del resto, alcuna distinzione tra indebite anticipazioni di convincimento intervenute nell’ambito dello stesso procedimento od in un procedimento diverso, come esplicitamente riconosciuto da Cass., sez. VI, 19 maggio 2004, Giaccone, Ced Cass., rv. 230461, limitandosi a prevedere come cause di ricusazione quelle esternazioni che, pur compiute nell’esercizio delle funzioni, costituiscano indebita anticipazione di giudizio sui fatti oggetto dell’imputazione, con ciò non escludendo che tali evenienze possano darsi anche in sede endo-processuale, sempre che, tuttavia, esse possano considerarsi “indebite” nel senso anzidetto e riguardino, come ben chiarito dalla succitata sentenza Barsi, "valutazione di merito sullo stesso fatto e in ordine al medesimo soggetto, collegata alla decisione finale del processo".
 
 La disposizione in esame concerne dunque, all’evidenza, quelle situazioni di potenziale pregiudizio per la funzione giudicante non tipizzate (a differenza delle cause di incompatibilità – costituenti anche cause di astensione e di ricusazione - previste dall’art. 34 c.p.p., come integrato dagli innesti derivanti dalle numerose pronunce additive della corte costituzionale sin qui succedutesi) nè preventivamente tipizzabili e compendiate, pertanto, in una clausola generale di sintesi la cui applicabilità, come puntualizzato da Cass., sez. VI, 11 aprile 2002, Arnone, Giust. Pen., 2004, III, 366, va verificata in concreto dal prudente apprezzamento dell’interprete, con riguardo alle peculiarità di ogni singola fattispecie.
 
 Concetti analoghi si rinvengono nella sentenza n. 283 del 14.7.2000, Giur. It., 2000, 1890, con cui la Corte costituzionale, chiamata a scrutinare la legittimità dell’art. 37, comma 1, c.p.p. in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. "nella parte in cui la norma non prevede, tra le ipotesi di ricusazione, anche quella di situazioni pregiudicanti riferite a rapporti processuali che non investono lo stesso procedimento", ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, adottando anche in tal caso una pronuncia di natura additiva e ravvisando ragioni di incostituzionalità nella mancata previsione della ricusabilità del giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto (situazione già ritenuta dalla stessa Corte costituzionale riconducibile alla previsione dell’art. 36, lett. h), c.p.p. quale possibile causa di astensione con sentenza 20 aprile 2000, n. 113, in Foro it., 2000, I, 1743). Come, peraltro, emerge da un passaggio del paragrafo 3 della motivazione “in diritto”, ciò non significa che l’ambito della norma debba ritenersi circoscritto alle sole esternazioni compiute in un diverso procedimento; è stato, infatti, nello stesso contesto precisato che, attraverso gli istituti dell’incompatibilità, dell’astensione e della ricusazione, il legislatore ha inteso apprestare "la necessaria tutela del principio del giusto processo in tutti i casi in cui può risultare compromessa l’imparzialità del giudice: le ragioni del pregiudizio sono infatti oggettivamente identiche sia quando il giudice ha manifestato il proprio convincimento all’interno del medesimo procedimento mediante un atto o l’esercizio di una funzione a cui il legislatore attribuisce astrattamente e preventivamente effetti pregiudicanti, sia quando la valutazione di merito è stata espressa in un diverso procedimento (ovvero nel medesimo procedimento, ma mediante un atto che non presuppone una tale valutazione) e gli effetti pregiudicanti debbano quindi essere accertati in concreto, grazie agli istituti dell’astensione e della ricusazione”, dove la locuzione riportata in neretto sta chiaramente a significare che anche valutazioni di merito espresse all’interno del medesimo procedimento possono rilevare come cause di ricusazione, purchè indebite, ovvero tali da non “presupporre” (ossia tali da non implicare, non comportare, non richiedere, non rendere necessarie secondo la fisiologia dell’atto) valutazioni di siffatto genere.
 
 Mentre, infatti, come pure posto in rilievo dalla Consulta, le cause di incompatibilità di cui all’art. 34 si riferiscono tutte a situazioni verificatesi all’interno del medesimo procedimento, ivi compresa l’ipotesi presa in esame dalla sentenza n. 371/1996 (alla diversità formale del procedimento facendo riscontro la sostanziale unitarietà della vicenda processuale), l’art. 37, co. 1, lett. b) non opera alcuna distinzione in relazione alla sede in cui l’indebita anticipazione di giudizio si sia manifestata, limitandosi a prevedere che l’attività pregiudicante sia stata compiuta nell’esercizio delle funzioni e con anticipo rispetto alla pronuncia della sentenza. Nel caso esaminato dalla citata sentenza n. 283 del 2000 la necessità di ricorrere ad una sentenza additiva di declaratoria di illegittimità costituzionale anzichè ad una mera sentenza interpretativa di rigetto è derivata al giudice delle leggi dal fatto che l’attività stigmatizzata come pregiudicante consisteva in valutazioni di merito sulla res iudicanda legittimamente e doverosamente compiute in un diverso procedimento e, come tali, non rientranti nella previsione dell’art. 37, co. 1, lett. b) non già perchè espresse in sede extra-processuale ma perchè tutt’altro che indebite.
 
 7 La soluzione della questione, come individuata nei termini posti dalla sezione rimettente, non può, in conclusione, che essere decisamente affermativa, non potendosi dubitare che anche l’anticipata manifestazione di convincimenti sul merito della res iudicanda compiuta all’interno del medesimo processo possa dar luogo ad una causa di ricusazione del giudice.
 
 L’analisi deve, tuttavia, essere a questo punto estesa ai presupposti necessari perchè ciò possa, in concreto, verificarsi ed essere, pertanto, focalizzata sul carattere indebito o meno dell’anticipazione.
 
 Per quanto già sin qui rilevato in ordine agli orientamenti della giurisprudenza costituzionale e di quella di legittimità, tale connotato potrà ravvisarsi solo ove il giudice esprima valutazioni anticipate sui fatti oggetto dell’imputazione (ovvero sul thema decidendum, identificato dalla duplice identità sia dell’accusato che dell’accusa) in modo del tutto avulso dai propri compiti istituzionali ed al di fuori di ogni necessità funzionale o di collegamento con l’iter del procedimento prefigurato dalla legge.
 
 Restano, pertanto, fuori del raggio d’azione dell’art. 37, co. 1, lett. b) cit. le attività endo-processuali, non costituenti cause di incompatibilità ex art. 34 c.p.p., che il giudice compie secondo le scansioni o sequenze procedimentali normativamente previste e costituenti passaggi obbligati e necessari del percorso che il giudice deve seguire per pervenire alla decisione finale in quanto momenti prodromici e strumentali rispetto ad essa, sempre che le esternazioni si mantengano nei limiti funzionali allo scopo tipico dell’atto e non invadano senza necessità e senza giustificazione lo spazio riservato alla deliberazione conclusiva sul merito della res iudicanda, anticipandone arbitrariamente gli esiti.
 
 8 La ricca casistica giurisprudenziale sin qui formatasi in materia costituisce valido ausilio per le soluzioni da dare ai casi concreti: Cass., 25 giugno 1996, Giocondo, Ced Cass., rv. 205.495, ha, ad esempio, stabilito che non può dar luogo a causa di ricusazione l’opinione espressa dal giudice quale autore di provvedimento cautelare di natura interinale previsto dalla legge e sottoposto a successiva convalida del giudice collegiale (nella specie sequestro provvisorio di beni in vista dell’applicazione di misura di prevenzione patrimoniale applicato dal presidente del collegio ex art. 2-bis, comma 4, l. n. 575/1965), trattandosi di attribuzione espressamente prevista dalla legge che impone, all’uopo, l’adozione di decreto motivato; Cass., sez. I, 6 ottobre 1993, Favia, id., rv. 196.216, ha escluso che possa ritenersi indebita manifestazione del proprio convincimento ai fini della ricusazione la delibazione incidentale e strumentale di una questione procedurale da parte dei componenti di un organo collegiale, non potendo l’imparzialità del giudice considerarsi pregiudicata da una qualsivoglia valutazione compiuta nello stesso procedimento, a meno di non negare in radice lo stesso concetto di “procedimento” come serie preordinata di atti; ed ancora Cass., sez. IV, 27 novembre 2002, Melandri, id., rv. 223.921, sia pure nella diversa ottica dell’art. 34 c.p.p., ha negato che la sancita incompatibilità tra le funzioni di g.i.p. e quelle di g.u.p. possa intendersi in modo rigido, ritenendo che, anche alla luce delle deroghe espresse introdotte mediante l’inserimento nel predetto articolo dei commi 2-ter e 2-quater, comprensive dell’assunzione di incidente probatorio, essa vada circoscritta alle ipotesi in cui lo stesso giudice-persona fisica abbia adottato un provvedimento implicante l’esame del merito dell’imputazione (fattispecie di rigetto, da parte del g.i.p., di istanza di acquisizione probatoria ai sensi dell’art. 368 c.p.p., ritenuta non pregiudicante delle successive funzioni di g.u.p. in quanto non implicante alcuna funzione decisoria di merito); Cass., sez. VI, 3 febbraio 1998, Menini, id., rv. 210825, sia pur esaminando il caso sotto il profilo della previsione di cui all’art. 36, comma 1, lett. c), c.p.p., ha escluso che possa costituire causa di astensione (e, quindi, di ricusazione ex art. 37, comma 1, lett.a) l’invito, rivolto dal presidente di un organo collegiale, nell’ambito di un giudizio direttissimo, ad una parte a precisare le circostanze su cui doveva vertere l’esame di un testimone, rientrando tale iniziativa nelle prerogative presidenziali di direzione del dibattimento ed accordandosi essa con il ruolo attivo assegnato al giudice dall’ordinamento, ed ha stabilito il principio che non ricorre causa di astensione o ricusazione ove la prospettazione offerta dal giudice si collochi nell’ambito delle sue funzioni e ne costituisca legittima espressione; nello stesso solco Cass., sez. I, 16 dicembre 1998, Albanese, id., rv. 212451, ha stabilito che l’adozione di provvedimenti sulla libertà personale di un imputato nei cui confronti è in corso il dibattimento non costituisce motivo di ricusazione dei giudici del collegio (fattispecie di ricusazione di presidente di corte d’assise che aveva partecipato, in sede dibattimentale, alla decisione relativa ad un’istanza di revoca di misura cautelare); analogamente Cass., sez. VI, 25 ottobre 2000, Beheluli, id., rv. 218.174, ha negato che costituisca indebita manifestazione del convincimento del giudice l’adozione di decreto motivato che decida in ordine alla richiesta di giudizio immediato formulata dal p.m., potendosi tale connotazione ritenere esistente solo in presenza di una evitabile (ovvero non necessaria) anticipazione di giudizio e non anche quando il giudice indichi doverosamente in motivazione le ragioni poste a base della decisione assunta.
 
 Per altro verso, ma in coerenza con le decisioni sin qui citate, Cass., sez. II, 2 dicembre 1993, Montagner, Ced Cass., rv. 195.184, ha escluso che il comportamento tenuto nel corso del dibattimento dal giudice, anche ove si adduca animosità nell’esercizio della funzione od i provvedimenti adottati integrino violazione di legge, valga a costituire causa di ricusazione, potendo ciò avvenire solo qualora il giudicante, anche nell’esercizio delle sue funzioni, manifesti indebitamente il proprio pensiero sui fatti oggetto del procedimento, ovvero esprima opinioni sulla colpevolezza od innocenza dell’imputato senza alcuna necessità e fuori di ogni collegamento o legame con l’attività giurisdizionale; da ultimo Cass., sez. I, 6 aprile 2005, Pagano, id., rv. 231566, richiamandosi alla statuizione della sentenza Montagner, ha ribadito che l’avverbio “indebitamente” di cui all’art. 37, co. 1, lett. b) va inteso nel senso che “la manifestazione del convincimento deve consistere nell’anticipazione dell’opinione sulla colpevolezza o sull’innocenza dell’imputato senza che ne esista necessità ai fini della decisione adottata e, in definitiva, fuori da ogni collegamento o legame con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali inerenti al fatto esaminato” (fattispecie in cui è stata negata valenza di causa di ricusazione alla valutazione istruttoria espressa dal tribunale nel rigettare istanza per l’espletamento di una perizia medico-legale).
 
 9 Al termine della disamina che precede può, conclusivamente, formularsi il seguente principio di diritto:
 
 “costituisce indebita manifestazione del proprio convincimento da parte del giudice, prevista come causa di ricusazione dall’art. 37, comma 1, lett. b) c.p.p., l’anticipazione di valutazioni sul merito della "res iudicanda", ovvero sulla colpevolezza od innocenza dell’imputato in ordine ai fatti oggetto del processo, compiuta sia all’interno del medesimo procedimento che in un procedimento diverso senza che tali valutazioni siano imposte o giustificate dalle sequenze procedimentali previste dalla legge od allorchè esse invadano senza necessità e senza nesso funzionale con l’atto da compiere l’ambito della decisione finale di merito, anticipandone in tutto od in parte gli esiti”.
 
 10 Alla stregua di quanto precede, evidente appare l’infondatezza del ricorso in esame, essendosi la corte territoriale attenuta ai criteri sostanzialmente univoci stabiliti, nonostante talune sfasature lessicali, dalla giurisprudenza di legittimità in materia ed avendo essa correttamente ritenuto che il giudice ricusato si era, nella specie, mantenuto nell’ambito delle proprie attribuzioni e dei limiti funzionali strettamente connessi alla decisione da assumere nel giudicare la richiesta di ammissione di nuove prove formulata dalla difesa ai sensi dell’art. 507 c.p.p., inevitabilmente implicante, ai fini dell’esercizio dei sollecitati poteri ufficiali, la valutazione in ordine alla“assoluta necessità” o meno delle prove stesse alla luce di quelle già acquisite.
 
 Del tutto irrilevante è, poi, che la corte di appello abbia deciso senza disporre della trascrizione della riproduzione fonografica dell’udienza, dovendosi l’esame della dichiarazione di ricusazione basare sul contenuto del provvedimento del giudice di cui si assumeva la valenza pregiudicante, nel quale unicamente sarebbero state espresse le valutazioni ritenute indebite, mentre il rimedio previsto dalla legge per denunciare pretese lacune motivazionali dell’ordinanza reiettiva della richiesta di supplemento istruttorio, all’evidenza non integranti alcuna anticipazione di giudizio, non può che consistere nell’impugnazione della stessa ordinanza dibattimentale ex art. 586 c.p.p.
 
 PER QUESTI MOTIVI
 
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento.
Cosi' deciso in Roma, il 27 settembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2005
 
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