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Andrea Baiguera Altieri, Quale diritto penale per la Svizzera contemporanea?
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1.      Il Diritto Penale svizzero oggi: come, perché, quando?
 
            Nell' ottica introduttiva di San Tommaso d' Aquino, il Diritto Penale, in ogni sua espressione specifica, reca il compito di ripartire, con equità e senso della misura, ricchezze, denaro, servizi e vantaggi di una comunità. Tuttavia, a livello di tecnica giuridica, si deve distinguere tra giustizia distributiva e giustizia correttiva, ovverosia tra il Diritto Civile ed il Diritto Penale. Pertanto, ha senso parlare di << pericolo per la società >> soltanto all' interno della Giuspenalistica, la quale è nata appositamente per amministrare gli << atti di retribuzione >> (LALANDE 1972; BESSONE 2000) attenendosi all' altrettanto importante << principio di equivalenza >> (RAYNAUD & RYALS 1996), nel senso che ad ogni crimine o delitto deve corrispondere una punizione. Viceversa, la Giuscivilistica non è di tipo correttivo, bensì distributivo (THEVENOT 1986; KELLERHALS 1997). Più concretamente, il Magistrato civile risponde alla domanda sociale del come ripartire le risorse, mentre il Magistrato penale è preposto a decidere come e quando sanzionare un consociato che crea pericoli avverso alla pacifica convivenza collettiva.
            La Criminologia svizzera francofona, imbevuta della ormai solita dittatura del Relativismo, ha gettato fango sul carattere oggettivo ed universale della nozione di << individuo / atto socialmente pericoloso >>. HOMANS (1953 e 1974), ADAMS (1963 e 1965) nonché WALSTER (1978) affermano giustamente che esistono reati metatemporalmente, metageograficamente ed ontologicamente gravi e socialmente ripugnanti. In effetti, nemmeno il più laicista ed ateo dei criminologi può negare l’esistenza di alcune Norme universali ed assolute intimamente connesse alla natura umana. Soltanto Dottrinari intellettualoidi e deviati sostengono l’inesistenza di valori universalmente condivisi. Chi redige si rende conto dell’impopolarità, nel mondo Accademico, dei suesposti concetti, ma è pur vero che l’omicidio volontario, l’incesto, il matricidio, il parricidio, la violenza non proporzionata, il furto, la rapina, il sadismo e la pedofilia hanno turbato e turbano le coscienze di ogni uomo e donna, a prescindere dal contesto socio-culturale. In epoca odierna, si assiste ad una divinizzazione delle perversioni umane, nel nome del << vietato vietare >>. Anche la Pedagogia infantile relativizza i valori del bimbo, preparandolo ad un'oziosa antisocialità, pericolosa per l’intero tessuto civile. La laicità è esasperata sino alle estreme conseguenze e l’uomo e la donna sono relativizzati sino all' auto-distruzione.
            Anche Studi più recenti (ALVES & ROSSI 1978; SHEPELAK & ALWIN 1986) negano la sussistenza di valori non negoziabili e, senza alcuna remora, pretendono di instaurare il dominio dell’egualitarismo e della soddisfazione non auto-controllata dei bisogni individuali. Senza rendersene conto, GREENBERG (1982) e BERGER (1972) sono giunti a demolire ogni oggettività perenne delle Norme fondamentali perché << il livello di potere … fa variare il sentimento di giustizia >>.
            Molto lucidamente ed onestamente, DEUTSCH (1975 e 1985) asserisce che il Diritto Penale reca in sé almeno tre orientamenti. L' orientamento / L' interpretazione economista ha prodotto il concetto di proporzionalità, il che, entro certi limiti di Ragione, esprime un’esigenza innata, specialmente nell’ambito del Diritto Penitenziario. Esiste poi un orientamento / interpretazione comunitarista, retta dal Principio di eguaglianza. Anche in questo caso, siamo di fronte all' esempio fornito da quasi tutte le Carte Costituzionali successive alla II Guerra Mondiale. Tuttavia, nel Novecento, è stato giustificato anche un orientamento individualista, fondato sulla regola del bisogno, ossia << fa' ciò che vuoi >>, il che ha recato a condotte collettive animalesche, parafiliache ed ossessivamente pansessualiste.
            LERNER (1977) appare meno altranzista. A parere di tale Autore, ogni consociato stipula un << contratto personale >> con la collettività, ma l’identità personale e gli istinti sono limitati dall' unità del gruppo. A sua volta, nella vita privata, esistono spazi di auto-esclusione sociale. Dunque, ogni minoranza attiva non impone, ma senz' altro propone, entro i limiti della giustizia oggettiva.
           Non si tratta di posizioni bigotte o sorpassate. Piuttosto, l’Occidente sta rinunciando alla vera dignità umana, alla misura ed al quel minimo di oggettività metanormativa presente persino nella pagana Pòlis ellenica.
 
 
2.      Il senso del giusto e dell’ingiusto presso l’opinione pubblica nella Svizzera francofona
 
            Da circa tre decenni, l’Università di Ginevra raccoglie dati statistici al fine di comprendere quale sia il senso del giusto e dell’ingiusto presso la popolazione elvetica dei Cantoni francofoni.
            Provvidenzialmente, per molti intervistati, l’equità e la giustizia hanno innanzitutto il compito di garantire i diritti ed i doveri di ciascuna famiglia (KELLERHALS & COHEN-HUTER & MODAK 1988). Si tratta di un dato discretamente positivo e confortante, in tanto in quanto dimostra il perdurare dei valori tradizionali familiari nel tessuto sociale svizzero. Dunque, la Confederazione, a livello di vita concreta, non segue le velleità omosessualistiche, che rimangono in netta minoranza di fronte ai problemi quotidiani della famiglia di tipo mediterraneo.
            Un secondo gruppo di residenti nella Svizzera francofona si spinge (anche) oltre i confini della propria dimora, asserendo che il binomio giusto / ingiusto è basilare per il corretto funzionamento dei costumi collettivi (KELLERHALS & MODAK &   PERRIN & SARDI  1993). Entro tale ottica, la società è percepita come un insieme di famiglie tra di loro solidali ed unite da valori etico-politici condivisi. Anche in tal caso, la popolazione elvetica si dimostra pragmatica e, pur tra miriadi di difficoltà, i vincoli di parentela sono posti al fondamento della società (rectius: della solidarietà sociale).
            Infine, una terza parte degli intervistati (KELLERHALS & LANGUIN & SARDI & LIEBERHERR & AESCHIMANN 1998) ipostatizza il profilo penale del binomio giustizia / ingiustizia. Questa parte dell’opinione pubblica lamenta l’esistenza di un’esecuzione penitenziaria da migliorare. Purtroppo, è pur vero che un’attenzione ipertrofica al solo Diritto Penitenziario reca alla querulomania ed al neo-retribuzionismo populistico di matrice statunitense.
            In ogni caso, i tre suesposti concetti di giusto / ingiusto, tutto sommato, vanno interpretati e valutati positivamente, poiché proteggono e coltivano un’equità anzitutto familiare, che diventa poi equità sociale e che, in ultima istanza, esige, a livello penalistico, una robusta general-preventività capace di creare deterrenza e rispetto reciproco.
            Per il vero, le dispercezioni, nei Cantoni francofoni, non mancano.
            Alcuni possiedono una mentalità contrattualistica, ovvero fondata sull' osservanza di ogni contratto esistenziale tra singolo e singolo, come se i rapporti interpersonali si riducessero a merce da commerciare senza alcuna ratio metanormativa. Esistono, inoltre, coloro che esaltano la tutela dei consumatori, identificando la vita con un continuo consumo di beni materiali e negando il ben più ampio concetto di negozio giuridico (anche) privo di componenti patrimoniali. Altri ancora affermano che è giusto quel che reca al benessere psico-fisico dei consociati. Si tratta di eccessi materialisti fondati sull' edonismo ateo e capitalista dei Paesi Nordici. Ridurre l’uomo e la donna ad un commerciante sempre gentile e sorridente ha provocato le catastrofi legislative dell’eutanasia e dell’interruzione volontaria di gravidanza. E' giusto / ingiusto quel che migliora / peggiora la qualità della vita. Pertanto, una vita umana può essere disprezzata e soppressa allorquando la qualità del benessere diminuisce e costringe all' impegno della solidarietà familiare e/o inter-familiare. L' Olanda contemporanea fornisce un inconfutabile esempio di quanto accaduto a livello valoriale.
            In Svizzera, la rappresentazione popolare di cosa sia la giustizia penale è assai confusa. Anche la percezione qualitativa e quantitativa del tasso reale di criminalità è distorto dalle televisioni, dalla carta stampata e dagli slogans di Partito. Senza dubbio, il cittadino svizzero contemporaneo concepisce il concetto del giusto e dell’ingiusto, in ambito penalistico, sulla base di una << vendetta aggressiva ed istintiva >> (VAUGHAN 2000). La confusione è aumentata dalla natura poli-semantica del lemma << punire >> nel vigente StGB. Alcuni pensano alla legge << occhio per occhio, dente per dente >>, altri sono decisamente neo-retribuzionistici, altri ancora credono che il reo vada sempre e comunque sottoposto a misure terapeutiche, come accade nel caso dei detenuti tossicodipendenti o nel caso della castrazione chimica del pedofilo. (FOUCAULT 1994).
            Non pochi, nella mentalità popolare elvetica, pongono al centro del Diritto Penitenziario il lavoro e la disciplina severa ed intransigente, soprattutto nei confronti delle devianze ad eziologia tossicomaniacale o parafiliaca. Ancora più numerosi sono coloro che si ispirano al neo-retribuzionismo statunitense, benché esso sia ampiamente fallito, in tanto in quanto le pene detentive di lunga durata, unitamente alla pena di morte, si sono paradossalmente rivelate criminogene, inutili e tutt' altro che deterrenti. Provvidenzialmente, lo StGB federale è rimasto di stampo decisamente rieducativo, poiché << l’esecuzione della pena deve promuovere il comportamento sociale del detenuto … [e] la sua capacità a vivere esente da pena >> (comma 1 Art. 75 StGB). Ciononostante, molti residenti, in tutti i Cantoni elvetici, rigettano apertamente qualsivoglia ratio rieducativa ed asseriscono la priorità di << neutralizzare >> il responsabile di un crimine attraverso pene detentive esemplari, severe e prive di benefici espiativi semi-murari per fini lavorativi esterni ai Penitenziari (VACHERET & DAZOIS & LEMIRE 1998). Tuttavia, la nuova tendenza, per la fortuna del Diritto Penale della Confederazione, consiste, a livello vittimologico, nel dover espiare riparando sia il danno alla vittima sia quello alla collettività. Il che avviene non soltanto a livello pecuniario, ma anche attraverso lo svolgimento di lavori socialmente utili. Quest' ultima tendenza è gradita presso l’opinione pubblica svizzera. Il risarcimento dei danni alla Parte Lesa, nonché verso la società, è molto gratificante sotto il profilo pedagogico.
 
 
3.      Problemi de jure condendo
 
            Verso la fine del Novecento, nuovi problemi andavano affrontati ed il Diritto Penale svizzero ormai doveva essere quasi completamente revisionato. Le nuove devianze riguardavano ambiti sino ad allora nemmeno immaginabili, come lo stupro di gruppo, il traffico delle nuove droghe sintetiche, l’immigrazione clandestina, il crimine dei colletti bianchi, gli attentati al patrimonio ecologico collettivo.
            Hans Schultz, Docente di Diritto Penale all' Università di Berna, presentò, su richiesta del Consiglio Federale, un Avamprogetto di StGB iniziato nel 1983 e pubblicato nel 1985. Anche Martin Stettler, Docente di Diritto Civile all' Università di Ginevra, dal 1984 al 1986, venne incaricato di proporre un nuovo Diritto Penale Minorile (DPMin). Nel 1987, Frank Riklin fu incaricato di presiedere una Commissione di ben trenta Giuristi, i quali, nel 1992, esposero ufficialmente le loro indicazioni di Riforma. Nel 1998, i Cantoni, unitamente al Consiglio Federale, finalmente iniziarono un percorso di sistematico aggiornamento dello StGB, specialmente con attinenza all' utilità o meno delle pene detentive di breve durata, alle Motivazioni delle Sentenze, alle pene pecuniarie, al lavoro di pubblica utilità, alla nozione di deviante socialmente pericoloso ed ai crimini commessi dai minori di anni 18.
            Il dibattito de jure condendo sulle pene detentive di breve durata è perennemente aperto sin dai tempi di Cesare Beccaria. Di solito, nello StGB attuale, la detenzione breve è stata trasformata in una pena pecuniaria. A tal proposito, i Dottrinari svizzeri sono tra di loro assai divisi. Secondo taluni, le pene detentive brevi sono controproducenti, giacché a-socializzano il reo, deteriorano i legami familiari, provocano la perdita del posto di lavoro, non risocializzano e non diminuiscono il pericolo di recidiva. Al contrario, Martin Killias era ed è favorevole alla reclusione corta, in tanto in quanto la criminogenesi non è provata con certezza scientifica, l’effetto special-preventivo sarebbe discreto e comunque lo shock-sharp-system sarebbe altamente educativo. Senza dubbio, risulta iniquo un Diritto Penale ove il condannato povero è sottoposto al carcere, mentre gli infrattori benestanti sono sempre in grado di risarcire i danni personali e sociali pagando.
            L'Avamprogetto di Hans Schultz, nel 1985, ha tentato, con la collaborazione del Bundesgericht, di auto-controllare gli eccessi arbitrari dei Magistrati di merito. Ovverosia, il Giudice svizzero non è autorizzato ad infliggere pene esemplari conformi ai malumori pre-elettorali dell’opinione pubblica. Egli si deve attenere ad un’interpretazione giuridico-criminologica oggettivamente ed esclusivamente limitata
1.      all'atto illecito commesso
2.      all'osservazione personologica del soggetto agente
3.      agli eventuali precedenti del reo, qualora non incensurato
4.      allo studio della special-preventività nel caso giudicato
5.      al reinserimento sociale del condannato
6.      alla prevenzione della recidiva nella fattispecie in esame e considerati, come ovvio, i precedenti penali del condannato.
            Dal punto di vista della de-muralizzazione del trattamento espiativo, è assai interessante la possibilità di condannare il reo ad un lavoro socialmente utile per le Istituzioni, per opere di pubblica fruizione o per persone in stato di bisogno. Tale entusiasmante Riforma è stata introdotta nello StGB soltanto nel 1990. Prima di questa novellazione, l’esecuzione penitenziaria, cantonale per Costituzione, prevedeva i lavori socialmente utili soltanto in 20 Cantoni su 26. La prestazione d' opera, se scaturita da un Procedimento Penale, ammonta ad un massimo di 720 ore non remunerate e scaglionate nell' ambito di non più di 2 anni di espiazione extra-muraria.
            In molti Ordinamenti europei, come in quello francese sin dal 1975, una seconda pena alternativa molto pedagogica consta nel ritiro della Patente di Guida. Purtroppo, nel Diritto Penitenziario elvetico, tale previsione normativa non è presente ed il divieto di guidare automobili rimane affidato al solo Diritto Amministrativo.
            Nella Common Law anglo-americana, un terzo tipo di pena alternativa è costituito dal net widening, ovvero dalla trasformazione della sospensione condizionale in un lavoro socialmente utile, oppure in una pena pecuniaria. In Svizzera, per il momento, il net widening non è applicato, giacché esso viene percepito alla stregua di un’aggressione anti-garantistica avverso al tradizionale Principio di certezza della sanzione penale.
            Il populismo e la propaganda politica sono riusciti ad introdurre l’Art. 123a della Costituzione Federale, ai sensi del quale << considerato il forte rischio di ricaduta, il criminale sessuomane o violento …  estremamente pericoloso e classificato come refrattario alla terapia deve essere internato a vita >>. L' Art. 123a della Costituzione Federale, introdotto nel 2004, è privo di logica giuridica e di senso della proporzionalità (si veda p.e. la precedente Pubblicazione di chi redige www.diritto.it/all.php?file=27755.pdf). Senz' altro, rimane radicalmente ripugnante il drammatico fenomeno della pedofilia. Il che, ciononostante, non autorizza ad escludere la speranza di un’autentica rieducazione, possibilmente unita ad un idoneo trattamento farmacologico. Il parafiliaco non è, in concreto, perennemente << refrattario alla terapia >> e la severità ipertrofica della citata Norma è servita soltanto a saziare loschi politicanti in cerca di consensi elettorali. Del resto, qualunque Operatore penitenziario, anche in Italia, sa di poter addivenire alla castrazione chimica senza necessariamente ricorrere all' internamento a vita.
            Infine, un ultimo spazio precettivo oscuro e difficile è senz' altro il Diritto Penale Minorile (DPMin). I Principi Generali ed i mezzi rieducativi sono assai simili a quelli vigenti negli altri Stati del Consiglio d' Europa ( si vedano p.e. le precedenti Pubblicazioni sul tema da parte di chi redige: www.diritto.it/docs/31109 ; www.diritto.it/docs/33758  ;  www.diritto.it/docs/33810  ;  www.diritto.it/docs/33850  ;  www.diritto.it/docs/34531  ;  www.diritto.it/docs/35771 ). Tuttavia, la Svizzera, nell' Art. 61 StGB impone l’attenuazione dei sistemi trattamentali anche a beneficio dei cc.dd. << giovani adulti >> minori degli anni 25 d' età. L' Art. 61 StGB manifesta, da parte del Legislatore federale svizzero, una salutare presa di coscienza della vera psicologia evolutiva adolescenziale e post-adolescenziale.
 
 
 
 
4.      La morte del Diritto Penale ateo od indifferentista
 
            Senza 1700 anni di Cristianità occidentale, Cesare Beccaria non avrebbe potuto prevedere, più o meno consapevolmente, la supremazia del fine riconciliativo e la scarsa utilità del retribuzionismo.  La vendetta sociale, le pene detentive lunghe, la pena capitale e la tortura, anziché attenuare, accrescono il tasso di recidiva e, viceversa, diminuiscono la deterrenza sociale. Il Magistrato non deve assurgere al rango di paladino della giustizia, poiché tale ruolo meta-normativo non gli compete. Donde, anche a livello di opinione pubblica, l’insormontabile discrasia tra giustizia giuridica e Giustizia divina. Parimenti, la rieducazione, nel senso penalistico, non viene quasi mai interiorizzata, a differenza della rieducazione moralmente fondata ed assimilata.
            Purtroppo, il concetto ottocentesco di << eliminazione >> del delinquente (Lombroso, Ferri, Garofalo) non è stato radicalmente soppiantato, in Occidente, dal concetto cristiano di <>. Gli esiti catastrofici di siffatto giustizialismo hanno preso forma nel terrificante e disumano trattamento penitenziario statunitense. Ognuno ricorda con perplessità le spietate Teorie del neo-kantismo penale di John Rawis, negli Anni Settanta del Novecento.  Anche in Svizzera, i seguaci di Rawis affermano che il Diritto Penitenziario deve essere applicato come un Leviatano che soddisfa l’animalesca sete di giustizia sommaria del popolo, costi quel che costi, senza proporzionalità e senza garanzie per la dignità umana del condannato.
            La via irreversibile del neo-retribuzionismo nega la pena come mezzo moralizzante per cambiare la forma mentale del responsabile di un atto immorale. Ogni detenuto possiede qualità personali recondite ed egli deve essere accompagnato dagli educatori verso la retta moralità più che verso la stretta legalità. Purtroppo, a partire dalla Rivoluzione francese del 1789, si è scisso il reato dal peccato, e viceversa. Un tale Ordinamento penale superbamente a-morale non ha futuro né valide basi pedagogiche. A tal proposito, forse giova riscoprire l’etimologia fortemente religiosa di lemmi come << penitenziario >>, << pena >>, << espiazione >>, << emendazione >>, << cella >>.
            Grazie all' abolizionismo norvegese ed islandese del Novecento, si comincia a comprendere, nella Criminologia europea, l’inutilità di un carcere senza lavoro interno e destinato solo all' ozio ed alla rabbia repressa. Probabilmente, necessita un’auto-negazione del Diritto Penale nel senso tradizionale. La gioventù deviante, i tossicodipendenti e gli alcoolisti cronici abbisognano di comunità educative per il lavoro, per lo studio o per i tirocini professionali. In tal senso, l’edilizia penitenziaria elvetica ha raggiunto livelli di qualità invidiabili, come nei Paesi Nordici, in Inghilterra ed in Irlanda. I laboratori e le officine abbondano nelle carceri della Confederazione, al punto di creare financo una fastidiosa concorrenza con l’artigianato esterno.
            Alla Chiesa ed al Magistero spetta il compito di moralizzare la Giuspenalistica. Non esiste un autentico Diritto Penale laico, in tanto in quanto, da circa trecento anni, la laicità si è dimostrata sempre scarsamente pedagogica.
 
- Andrea Baiguera Altieri lic. jur. svizzero, aprile 2014
(riproduzione riservata)
 
 
 
 
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