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Penale.it - Lorenzo Nicolò Meazza, Assetto di rischi e delle cautele (ex d.lgs. 231/2001) di una micro impresa senza dipendenti

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Lorenzo Nicolò Meazza, Assetto di rischi e delle cautele (ex d.lgs. 231/2001) di una micro impresa senza dipendenti
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 1. Riconducibilità nell’alveo del d.lgs. 231/2001

 
Ai fini di trattare l’assetto dei rischi e delle cautele ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2011, n. 231[i] di una micro impresa, senza dipendenti è, innanzitutto, necessario verificare che la stessa possa essere ricompresa nell’ambito di applicazione del sopra menzionato testo normativo. Dei soggetti cui si riferisce il d.lgs. 231/2001 se ne occupa lo stesso art. 1 del decreto[ii], che ricomprende nella sua sfera di operatività gli enti dotati di personalità giuridica, le società e le associazioni, seppur sfornite di personalità giuridica, purché non si tratti di enti dotati di rilievo pubblicistico meglio specificati nel comma 3 del medesimo articolo.
Il primo quesito che emerge è la possibilità di applicare tali disposizioni anche alle imprese individuali. Sul punto bisogna registrare un contrasto giurisprudenziale: vi è un primo indirizzo, più rispondente ai principi di tassatività e di divieto di analogia, che porta a escludere, sul dato meramente letterale dell’art. 1 del d.lgs. 231/2001, la sua applicazione anche alle imprese individuali, delle quali non viene fatta alcuna menzione nella citata normativa e, in particolare, nel summenzionato articolo dedicato ai soggetti[iii]; vi è però una diversa pronuncia della Corte di Cassazione che si è attestata nel riconoscere, invece, tale possibilità sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie, tale da far rientrare le imprese individuali nel novero degli enti cui si riferisce la normativa in oggetto[iv]: una mancata estensione della normativa sulla responsabilità degli enti anche alle imprese individuali costituirebbe, infatti, a detta della citata sentenza, una diseguaglianza che non troverebbe fondamento nel principio di ragionevolezza. Autorevole dottrina sul punto opera un distinguo tra il caso in cui il reato presupposto venga compiuto direttamente dall’imprenditore - in questo caso la responsabilità anche a carico della sua impresa comporterebbe una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale -, dal caso nel quale la fattispecie criminosa sia stata compiuta da un suo sottoposto; in tale seconda ipotesi rimane comunque il dubbio relativo alla possibilità o meno di ascrivere all’impresa individuale una responsabilità ex d.lgs. 231/2001, che poggia sulla circostanza che, in sede di commissione ministeriale presieduta da Giorgio Lattanzi deputata all’elaborazione del succitato testo normativo, era stato considerata l’ipotesi di escludere espressamente la responsabilità dell’ente di piccole dimensioni, in quanto la pena nei confronti dell’autore del reato potesse già di per sé soddisfare le esigenze punitive e preventive. Tale strada non fu, però, percorsa per la vaghezza dei presupposti applicativi e per la mancanza di una precisa indicazione nella legge delega[v].
Vi è, invece, univocità di vedute in ordine alla riconduzione sotto la sfera di responsabilità ex d.lgs. 231/2001 delle società a responsabilità limitata unipersonali[vi].
 
2. Analisi del rischio
 
     Una volta appurata la riconducibilità dell’ente in oggetto alla disciplina di cui al d.lgs. 231/2001, occorre procedere all’analisi del rischio, ossia a quel processo finalizzato alla identificazione delle fonti di pericolo insite nell’attività d’impresa, per poter evitare del tutto o quantomeno ridurre la commissione reati[vii]. Bisogna, in primo luogo, verificare se i reati presupposto, che vengono indicati in maniera tassativa dal decreto, siano astrattamente realizzabili nella fattispecie concreta della micro impresa senza dipendenti. Nel caso, infatti, in cui le ipotesi di reato che possono essere commesse nell’interesse e a vantaggio dell’ente non rientrassero nelle fattispecie specificatamente indicate, nessuna responsabilità potrebbe essere ascritta all’ente, ma esclusivamente alla persona fisica autrice dell’azione criminosa. La Sezione III del Capo I del d.lgs. 231/2001 enuclea tutti i reati base che possono comportare la responsabilità dell’ente. Al fine di individuare quali possano essere nel caso concreto le condotte di reato commissibili nell’esercizio d’impresa, andrebbe fatta un’analisi specifica di tale attività. In via del tutto ipotetica e supponendo che una micro impresa senza dipendenti difficilmente potrà essere in grado di commettere delle rilevanti ipotesi delittuose, possono ritenersi astrattamente configurabili i reati di cui all’art. 25bis.1[viii], dell’art. 25octies[ix] del d.lgs. 231/2001 e magari anche alcuni dei reati ambientali ricompresi nell’art. 25undecies[x].
     Individuati nel concreto i reati che potrebbero essere commessi nello svolgimento dell’attività d’impresa, deve quindi seguire uno specifico accertamento della presenza degli innumerevoli pericoli connaturati nell'agire dell’ente, che possano portare alla commissione di tali fattispecie criminose e quindi predisporre degli idonei modelli di organizzazione e controllo per prevenirli[xi]. Bisogna premettere brevemente che, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 231/2001[xii], affinché l’ente possa essere considerato responsabile, il reato deve essere compiuto nel suo interesse o a suo vantaggio – espressione che secondo interpretazione dominante in dottrina[xiii] e giurisprudenza[xiv] non costituisce un’endiadi, ma si riferisce con il primo termine a un interesse a un indebito arricchimento futuro, anche magari non realizzato, con il secondo a un arricchimento concretamente realizzato - e solo da soggetti che rivestono posizioni apicali o di controllo, purché questi ultimi non agiscano esclusivamente per interesse proprio o di terzi[xv]. Ciononostante, ex art. 6 del citato decreto[xvi], l’ente potrà non rispondere del reato commesso da tali soggetti qualora dimostri di aver adottato un efficace modello di organizzazione e gestione prima della commissione del fatto e specificatamente previsto per prevenire quel tipo di reato concretamente commesso[xvii].
 
3. I modelli di organizzazione e gestione e gli organismi di vigilanza
 
     Individuati i rischi, passiamo agli strumenti di cautela. Al fine di tutelare al meglio un’impresa dalle responsabilità che possano derivarne ai sensi del d.lgs. 231/2001, questa dovrà dotarsi di un idoneo strumento denominato modello di organizzazione e gestione - i cui connotati sono stati delineati da alcune pronunce giurisprudenziali di legittimità e di merito[xviii], nonché da vari contributi dottrinali[xix] - e di un mezzo per vigilare sulla corretta realizzazione, esecuzione e aggiornamento di tali modelli, ossia un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo – oltre che dei requisiti di indipendenza, professionalità, continuità e imparzialità[xx] -, denominato organismo di vigilanza[xxi].
     In sostanza, il d.lgs. 231/2001 introduce una condizione esimente alla responsabilità penale della persona giuridica nel caso in cui questa predisponga opportuni meccanismi preventivi e un assetto di governance incisivo e funzionante, adeguato e adeguabile nel tempo[xxii].
     Non essendo questa la sede per ripercorrere nel dettaglio le caratteristiche generali individuate dalla dottrina o le linee guida adottate da alcune associazioni professionali di categoria[xxiii] per configurare un idoneo modello di organizzazione e gestione, pare più opportuno soffermarsi su come questi modelli possano essere efficacemente strutturati in enti di piccole dimensioni, come una micro impresa senza dipendenti. Nonostante il d.lgs. 231/2001 appaia basarsi su un modello di ente di una dimensione tale da comportare una separazione dei poteri tra la sfera decisionale e quella amministrativa, è necessario riuscire a definire come tali modelli possano organizzarsi anche in relazione a persone giuridiche di minori dimensioni[xxiv].
     L’approccio metodologico in tale prospettiva dovrebbe fondarsi in primo luogo su una diagnosi approfondita del contesto operativo in cui opera l’ente e del sistema delle deleghe e dei poteri di rappresentanza, in modo da rilevare le attività “a rischio” e valutare l’efficacia del sistema di controllo in essere a tutela delle minacce. In seconda battuta è necessario arrivare a comprendere i meccanismi di funzionamento del modello organizzativo e del sistema di controllo interno e identificare i soggetti a cui saranno demandati dei compiti e deleghe sulla base delle esigenze operative, curando in ultima analisi le dinamiche di sviluppo, l’effettivo funzionamento, l’aggiornamento e il suo controllo, demandato a un organismo di vigilanza idoneo ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 231/2001[xxv].
Anche per quanto attiene a tali organismi di vigilanza è necessario operare una distinzione tra quanto viene richiesto a enti dotati di una dimensione considerevole, rispetto a enti di piccole dimensioni. I compiti di controllo sul funzionamento e sull’efficacia dei modelli, demandati a soggetti che debbano essere dotati di autonomi poteri di iniziativa e di vigilanza, mentre per i primi dovranno essere affidati a veri e propri organismi, in una micro impresa, ai sensi del quarto comma dell’art. 6 della normativa in esame, potranno essere svolti direttamente dall’organo dirigente e tale eccezionalità sembra trarre la sua ratio nell’obiettivo di non scoraggiare il ricorso ad adempimenti sproporzionati e costosi da parte di tali enti[xxvi].
     Ebbene, una volta compiuta una profonda analisi del rischio e adottati puntualmente tutti i sopracitati elementi costitutivi dell’esimente di cui all’art. 6 del d.lgs. 231/2001, l’ente potrà non rispondere del reato presupposto commesso a suo vantaggio o interesse da un soggetto in posizione apicale, qualora sia dimostrato che il fatto è stato commesso eludendo fraudolentemente un modello idoneo.
     In conclusione, l’adozione di tali modelli e di una efficace vigilanza demandata all’organo dirigente della micro impresa senza dipendenti possono considerarsi misure idonee a prevenire il gravoso sistema di sanzioni (in special modo pecuniarie e interdittive) che sono previste dalla Sezione II del Capo I del d.lgs. 231/2001[xxvii].
 
Lorenzo Nicolò Meazza, marzo 2014
(riproduzione riservata)


[i] Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità  giuridica, a norma dell'articolo 11 della l. 29 settembre 2000, n. 300, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 19 giugno 2001, n. 140.
[ii]Soggetti. 1. Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. 2. Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità  giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità  giuridica. 3. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”.
[iii]La normativa sulla responsabilità da reato degli enti prevista dal d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi”. Cass. Pen. Sez. VI, 16 maggio 2012, n. 30085; “L'ambito soggettivo di applicazione della normativa sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica non può essere esteso alle imprese individuali”. Cass. Pen. Sez. VI, 3 marzo 2004, n. 18941. Ipotesi sostenuta anche dalla dottrina: Lunghini, La responsabilità amministrativa degli enti nel processo penale: rassegna giurisprudenziale, in Corriere Giur., 2010, 11 - Allegato 2, 31.
[iv]La lettura costituzionalmente orientata della norma in esame deve indurre a conferire al disposto di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 231/2001, una portata più ampia, tanto più che, non cogliendosi nel testo alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione, ma, semmai ad una implicita inclusione dell'area dei destinatari della norma. Una esclusione (dell’applicazione del d.lgs. 231/2001 alle imprese individuali) potrebbe infatti porsi in conflitto con norme costituzionali - oltre che sotto il riferito aspetto della disparità di trattamento - anche in termini di irragionevolezza del sistema”. Cass. Pen. Sez. III, 15 dicembre 2010, n. 15657. “L’impresa individuale (sostanzialmente divergente, anche dal punto di vista semantico, dalla c.d. “ditta individuale”) ben può assimilarsi ad una persona giuridica nella quale viene a confondersi la persona dell’imprenditore quale soggetto fisico che esercita una determinata attività”. Corso, Codice della responsabilità “da reato” degli enti, Torino, 2012, p. 34.
[v] Di Giovine, Reati e responsabilità degli enti, a cura di Giorgio Lattanzi, Milano, 2005, pp. 34/35. Dello stesso avviso anche Pistorelli, Responsabilità “penale” delle persone giuridiche a cura di Giarda, Mancuso, Spangher, Varraso, 2007, p. 22.
[vi]È indubbio che la disciplina del D.Lgs. n. 231/2001 si applica alle s.r.l. c.d. unipersonali”. Cass. Pen. Sez. III, 15 dicembre 2010, n. 15657. “La società a responsabilità limitata a socio unico – consentendo una distinzione tra società e socio – può rispondere di responsabilità amministrativa da reato”. Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, 5 gennaio 2008, in Foro ambr., 2008, 219 con nota di Bellingardi. “La s.r.l. con unico socio presuppone a netta distinzione tra interessi e rapporti giuridici ad essa facenti capo, rispetto a quelli del suo socio, seppur unico ed è proprio per questi motivi che in questa ipotesi la disciplina del decreto legislativo appare in concreto applicabile”. Lunghini, La responsabilità amministrativa degli enti nel processo penale: rassegna giurisprudenziale, in Corriere Giur., 2010, 11 - Allegato 2, 31.
[vii] Rossi, I piani per la prevenzione della corruzione in ambito pubblico ed i modelli 231 in ambito privato, in Dir. Pen. e Processo, 2013, 8 - Allegato 1, 44.
[viii]Delitti contro l'industria e il commercio 1. In relazione alla commissione dei delitti contro l'industria e il commercio previsti dal codice penale, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie: a) per i delitti di cui agli articoli 513, 515, 516, 517, 517-ter e 517-quater la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote; b) per i delitti di cui agli articoli 513-bis e 514 la sanzione pecuniaria fino a ottocento quote. 2. Nel caso di condanna per i delitti di cui alla lettera b) del comma 1 si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2”.
[ix]Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita 1. In relazione ai reati di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote. Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni si applica la sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote. 2. Nei casi di condanna per uno dei delitti di cui al comma 1 si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a due anni. 3. In relazione agli illeciti di cui ai commi 1 e 2, il Ministero della giustizia, sentito il parere dell'UIF, formula le osservazioni di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.
[x]Reati ambientali 1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal codice penale, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie: a) per la violazione dell'articolo 727-bis la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; b) per la violazione dell'articolo 733-bis la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.
2. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie: a) per i reati di cui all'articolo 137: 1) per la violazione dei commi 3, 5, primo periodo, e 13, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote; 2) per la violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote. b) per i reati di cui all'articolo 256: 1) per la violazione dei commi 1, lettera a), e 6, primo periodo, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; 2) per la violazione dei commi 1, lettera b), 3, primo periodo, e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote; 3) per la violazione del comma 3, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote; c) per i reati di cui all'articolo 257: 1) per la violazione del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; 2) per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote; d) per la violazione dell'articolo 258, comma 4, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote; e) per la violazione dell'articolo 259, comma 1, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote; f) per il delitto di cui all'articolo 260, la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, nel caso previsto dal comma 1 e da quattrocento a ottocento quote nel caso previsto dal comma 2; g) per la violazione dell'articolo 260-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote nel caso previsto dai commi 6, 7, secondo e terzo periodo, e 8, primo periodo, e la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote nel caso previsto dal comma 8, secondo periodo; h) per la violazione dell'articolo 279, comma 5, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote.
3. In relazione alla commissione dei reati previsti dalla legge 7 febbraio 1992, n. 150, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie: a) per la violazione degli articoli 1, comma 1, 2, commi 1 e 2, e 6, comma 4, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; b) per la violazione dell'articolo 1, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote; c) per i reati del codice penale richiamati dall'articolo 3-bis, comma 1, della medesima legge n. 150 del 1992, rispettivamente: 1) la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione; 2) la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione; 3) la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione; 4) la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione.
4. In relazione alla commissione dei reati previsti dall'articolo 3, comma 6, della legge 28 dicembre 1993, n. 549, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.
5. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
 a) per il reato di cui all'articolo 9, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; b) per i reati di cui agli articoli 8, comma 1, e 9, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote; c) per il reato di cui all'articolo 8, comma 2, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.
6. Le sanzioni previste dal comma 2, lettera b), sono ridotte della metà nel caso di commissione del reato previsto dall'articolo 256, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
7. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 2, lettere a), n. 2), b), n. 3), e f), e al comma 5, lettere b) e c), si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per una durata non superiore a sei mesi.
8. Se l'ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e all'articolo 8 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'art. 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231”.
[xi] Rossi, I piani per la prevenzione della corruzione in ambito pubblico ed i modelli 231 in ambito privato, in Dir. Pen. e Processo, 2013, 8 - Allegato 1, 44.
[xii]Responsabilità ente 1. L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). 2. L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi”.
[xiii]L’interesse ha un’indole soggettiva, inequivocabilmente riferibile alla sfera volitiva del soggetto (persona fisica) che agisce: dunque (…) è suscettibile di valutazione ex ante. (…) Per contro, la caratterizzazione del vantaggio è tutta oggettiva ed opera ex post. Anche in assenza di un fine pro societate, la realizzazione di un vantaggio da parte dell’ente, come conseguenza della commissione del reato da parte di un soggetto che lo rappresenti, è in grado di incardinarne la responsabilità”. Di Giovine, Reati e responsabilità degli enti, a cura di Giorgio Lattanzi, Milano, 2005, pp. 62/63. Epidendio, Responsabilità “penale” delle persone giuridiche a cura di Giarda, Mancuso, Spangher, Varraso, 2007, pp. 42/43.
[xiv]Va distinto l’interesse (considerato dal punto di vista soggettivo), dal vantaggio (considerato dal punto di vista oggettivo)”. Cass. Pen. Sez. VI, 9 luglio 2009, n. 36083, in Cass. pen., 2010, p. 1938, con nota di Lei. “In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche e delle società, l'espressione normativa, con cui se ne individua il presupposto nella commissione dei reati "nel suo interesse o a suo vantaggio", non contiene un'endiadi, perché i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse "a monte" per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato "ex ante", sicché l'interesse ed il vantaggio sono in concorso reale”. Cass. Pen. Sez. II, 20 dicembre 2005, n. 3615. “I due termini non sono sinonimi e la congiunzione “o” deve essere intesa in modo disgiuntivo, nel senso che, purché il reato sia stato compiuto nell’interesse dell’ente, non occorre anche che da esso l’ente abbia tratto un vantaggio”. Trib. Milano, 14 dicembre 2004, n. 2333, in Foro.it, 2005, II, c. 527.
[xv]In tema di responsabilità da reato degli Enti, la persona giuridica (…) non risponde del reato presupposto commesso da un suo esponente in posizione apicale soltanto nell'ipotesi in cui lo stesso abbia agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi”. Cass. Pen. Sez. VI, 9 luglio 2009, n. 36038. “Nell’ipotesi contemplata dall’art. 5, comma 2 d.lgs. n. 231/2001, la responsabilità dell’ente è esclusa proprio perché viene meno la possibilità di una qualsiasi rimproverabilità al soggetto collettivo, dal momento che si considera venuto meno lo stesso schema d’immedesimazione organica”. Cass. Pen. Sez. VI, 23 giugno 2006, n. 32627, in Guida al dir., n. 42/2006, p. 61 con nota di Amato.
[xvi]Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell'ente 1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che: a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b). 2. In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. 3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati. 4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall'organo dirigente. 4-Bis. Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell'organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b). 5. È comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente”.
[xvii] “Il modello di organizzazione e gestione deve essere adottato dall’ente prima della commissione del reato presupposto, per esimere l’ente dalla responsabilità amministrativa”. Giudice dell’udienza preliminare, Tribunale Milano, 17 novembre 2009, in Le Società, 2010, p. 473, con note di Paliero e Salafia. “Per non rispondere di quanto ha commesso il suo rappresentante l’ente deve provare di avere adottato le misure necessarie ad impedire la commissione di reati del tipo di quello realizzato. La mancata adozione di tali modelli, in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi (reato commesso nell’interesse o a vantaggio della società e posizione apicale dell’autore del reato) è sufficiente a costituire la rimproverabilità”. Cass. Pen. Sez. VI, 9 luglio 2009, n. 36038, in Cass. pen., 2010, p. 1938, con nota di Lei. “La legge prevede espressamente modelli di organizzazione (con determinati contenuti determinati dal legislatore) solo in due casi: i modelli adottati ante factum che a determinate ulteriori condizioni costituiscono elementi impeditivi della responsabilità dell’ente per l’illecito amministrativo dipendente da reato; i modelli adottati post factum che, ai sensi dell’art. 12, lett. b), costituiscono un’attenuante della responsabilità, portando all’applicazione di sanzioni diminuite”. Trib. Milano, 14 dicembre 2004, n. 2333, in Foro.it, 2005, II, c. 527.
[xviii]La valutazione di idoneità del modello di organizzazione societaria, adottato in applicazione degli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 231 del 2001, non deve e non può essere rapportata semplicemente al fatto che se esso fosse stato osservato, il reato non avrebbe trovato verificazione. Indubbiamente il fatto che venga commesso un reato rilevante nonostante la esistenza di una specifica misura di prevenzione, può avere un alto valore semantico rispetto alla efficacia del modello. Peraltro, il disposto di cui all'art. 6, lett. c), D.Lgs. n. 231 del 2001 prevede la violazione del modello organizzativo, ma dispone che, se l'elusione sia stata fraudolenta, la prevenzione del reato con esso attuata dovrà essere considerata efficace e la società non dovrà rispondere amministrativamente del reato. In presenza della commissione di un reato rilevante, pertanto, non può automaticamente essere giudicato inefficace il modello di organizzazione della società, dovendosi, al contrario, necessariamente verificare la causa dell'elusione che ha agevolato la consumazione dei reati”. Corte Appello Milano, Sez. II, 18 giugno 2012, in Fisco Online, 2012; “Deve considerarsi idoneo il modello organizzativo adottato subito dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 231/2001 elaborato secondo le linee guida di Confindustria, successivamente approvate dal Ministero della Giustizia”. Corte Appello Milano, Sez. II, 21 marzo 2012, Società, 2012, 10, 1108; “In tema di responsabilità da reato degli enti, la società deve essere dichiarata non punibile ex art. 6, D.Lgs. n. 231/2001,(…) qualora i comportamenti illeciti oggetto di imputazione non siano frutto di un errato modello organizzativo, ma siano da addebitare al comportamento dei vertici della società, in contrasto con le regole interne del modello organizzativo regolarmente adottato, modello che appare dunque eluso da detti vertici”. Uff. Indagini Preliminari Milano, 8 gennaio 2010, in Riv. Trim. Dir. Pen. Economia, 2010, 3, 607.
[xix] “In un quadro di progettazione del modello organizzativo, vanno considerati i seguenti principi, così individuabili: adeguatezza (…); predittività (…); efficacia (…); articolazione (…); rilevanza (…); responsabilizzazione formale (…); relatività (…); dinamicità (…)”. Rossi, La responsabilità degli enti da reato, otto anni dopo - Modelli di organizzazione, gestione e controllo: regole generali e individuazioni normative specifiche, in Giur. It., 2009, 7. “I modelli di organizzazione sono documenti contenenti “regole di condotta” con contenuti minimi prefissati dal legislatore, tali da costituire un modello comportamentale per chi agisce nell’ambito dell’ente orientato a impedire la commissione di determinati reati”. Epidendio, Responsabilità “penale” delle persone giuridiche a cura di Giarda, Mancuso, Spangher, Varraso, 2007, p. 62.
[xx] Di Giovine, Reati e responsabilità degli enti, a cura di Giorgio Lattanzi, Milano, 2005, p. 161.
[xxi]All’Organismo di Vigilanza dovranno essere attribuiti unicamente compiti di controllo, evitando l’attribuzione di incarichi operativi che, coinvolgendolo nelle scelte gestionali, potrebbero minarne l’indipendenza di giudizio e di azione”. Lancellotti G. - Lancellotti F., Il modello di organizzazione, gestione e controllo ex d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Uno scudo processuale per le società e gli enti, Torino, 2011, p. 21.
[xxii] Di Giovine, Reati e responsabilità degli enti, a cura di Giorgio Lattanzi, Milano, 2005, pp. 140/143.
[xxiii] Per esempio Confindustria.
[xxiv] Agnetti – Serafini, D.Lgs. n. 231/2001 - Modelli organizzativi e di gestione per gli enti di piccole dimensioni, in Fisco, 2009, 37, 6187. “Nell’impossibilità di predeterminare analiticamente il contenuto in condizione dell’eterogeneità degli enti destinatari (per natura giuridica, dimensioni e tipologia dell’attività svolta) si è scelto di individuare dei contenuti minimi imposti dall’art. 6”. Epidendio, Responsabilità “penale” delle persone giuridiche a cura di Giarda, Mancuso, Spangher, Varraso, 2007, p. 71.
[xxv] Agnetti – Serafini, D.Lgs. n. 231/2001 - Modelli organizzativi e di gestione per gli enti di piccole dimensioni, in Fisco, 2009, 37, 6187.
[xxvi] Ceccherini, L'organo di vigilanza e la piccola impresa nel d.lgs. n. 231/2001, in Società, 2010, 2, 137.
[xxvii] Art. 9: “Sanzioni amministrative 1. Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono: a) la sanzione pecuniaria; b) le sanzioni interdittive; c) la confisca; d) la pubblicazione della sentenza.
2. Le sanzioni interdittive sono: a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività; b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi”.
 
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