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Lo scaricamento di ingenti quantitativi di materiale pedopornografico e l'uso di specifici programmi per il download non può essere posto alla base di una condanna per diffusione di detto materiale, specie sotto l'aspetto del dolo che, in tale modo, non può dirsi provato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. GENTILE Mario - Consigliere -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. SARNO Giulio - Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.M. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1402/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del 24/10/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/10/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Corvaglia.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza 24.10.2012 la Corte d'Appello di Lecce - per quanto ancora interessa - ha confermato la colpevolezza di C.M. in ordine al reato di divulgazione e diffusione continuata di materiale pedopornografico aggravato dall'ingente quantità (art. 81 c.p., e art. 600 ter c.p., commi 3 e 5), motivando in considerazione dell'ingente quantità di materiale (scaricato attraverso i programmi TotalCmd ed Emule); quanto alla ritenuta aggravante, la Corte di merito ha osservato che essa si riferiva alle condotte successive al (OMISSIS) (data di entrata in vigore della norma che l'ha introdotta).
2. Ricorre per cassazione il difensore dell'imputato denunziando tre motivi.
2.1. Col primo motivo, denunziando l'inosservanza dell'art. 600 ter c.p., comma 3, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), rimprovera alla Corte di merito di avere considerato solo il possesso del materiale e non anche la diffusione dello stesso: ad avviso del ricorrente, manca dunque completamente la motivazione sulla sussistenza del dolo del reato.
2.2. Con un secondo motivo si denunzia l'inosservanza dell'art. 600 ter c.p., comma 5, e il vizio di motivazione: la Corte d'Appello avrebbe ritenuto sussistente l'aggravante dell'ingente quantità limitandosi a rilevare che la normativa è entrata in vigore il 21.2.2006, sicchè essa doveva reputarsi sussistente quanto meno per le condotte dal (OMISSIS) al (OMISSIS). Un tale ragionamento - a dire del ricorrente - è errato perchè la Corte di merito avrebbe dovuto individuare le condotte poste in essere dopo l'entrata in vigore della norma, cioè a partire dal 21.2.2006 sino al 21.3.2006 e verificare se esse integrassero l'ipotesi dell'ingente quantità.
In ogni caso, detta aggravante non ricorre perchè la condotta accertata riguarda il dato quantitativo della detenzione e non la divulgazione del materiale.
2.3. L'ultima censura riguarda il trattamento sanzionatorio e precisamente l'omessa motivazione sull'aumento di pena disposto per la continuazione.
Motivi della decisione
Il primo motivo è fondato.
Il tema dell'elemento soggettivo del reato di divulgazione o diffusione di materiale pedopornografico non è nuovo.
Come già evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, affinchè sussista il dolo del reato di cui all'art. 600 ter c.p., comma 3, occorre provare che il soggetto abbia avuto, non solo la volontà di procurarsi materiale pedopornografico, ma anche la specifica volontà di distribuirlo, divulgarlo, diffonderlo o pubblicizzarlo, desumibile da elementi specifici e ulteriori rispetto al mero uso di un programma di file sharing (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 11082 del 12/01/2010 Ud. dep. 23/03/2010 Rv. 246596; Sez. 3, Sentenza n. 11082 del 12/01/2010 Ud. dep. 23/03/2010 Rv. 246596).
Infatti, l'art. 600 ter c.p., comma 3, punisce, tra l'altro, chiunque "con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza" il materiale pedopornografico. Si tratta, nei singoli casi concreti, di questione interpretativa abbastanza delicata, perchè il sistema dovrebbe essere razionalmente ricostruito giungendo a soluzioni che tengano conto delle effettive caratteristiche e delle concrete modalità di utilizzo di programmi del genere da parte della massa degli utenti e che, nello stesso tempo, soddisfino l'esigenza di contrastare efficacemente una assai grave e pericolosa attività illecita, quale la diffusione di materiale pornografico minorile, cercando però di evitare di coinvolgere soggetti che possono essere in piena buona fede o che comunque possono non avere avuto nessuna volontà o addirittura consapevolezza di diffondere materiale illecito, soltanto perchè stanno utilizzando questi (e non altri) programmi di condivisione, e cercando altresì di evitare che si determini di fatto la scomparsa di programmi del genere. Del resto, le due suddette esigenze ben possono essere entrambe soddisfatte perchè, con indagini adeguate, è possibile accertare chi stia davvero agendo col dolo di diffondere e non solo con quello di acquisire e con la consapevolezza del vero contenuto dei file detenuti.
Una diversa interpretazione, secondo cui la semplice volontà di procurarsi un file illecito utilizzando un programma tipo Emule o simili, implicherebbe, di per se stessa e senza altri elementi di riscontro, sempre e necessariamente anche la volontà di diffonderlo (solo in considerazione delle modalità di funzionamento del programma e del fatto che questo permette l'upload anche senza alcun intervento di un soggetto che concretamente metta il file in condivisione), porterebbe a configurare una sorta di presunzione iuris et de iure di volontà di diffusione o una sorta di responsabilità oggettiva, fondate esclusivamente sul fatto che, per procurarsi il file, il soggetto sta usando un determinato programma di condivisione e non un programma o un metodo diversi. (Sez. 3, 12 gennaio 2010, n. 11082; Sez. 3, 7 novembre 2008, n. 11169).
Nel caso di specie, la Corte leccese ha ritenuto provata la sussistenza del reato di divulgazione e diffusione solo in base al dato quantitativo dello scaricamento di numerosisimi files dalla rete attraverso i programmi TotalCmd ed Emule e il successivo trasferimento su disco da 80 GB nonchè su supporti ottici e al fatto che l'imputato manteneva il computer spesso acceso anche di notte sì da consentire una facile visione a chiunque. Ha ritenuto l'esistenza di una attività particolarmente sistematica e continuativa di illecito approvvigionamento di quei fotogrammi e filmati, con una massiccia immissione degli stessi nella rete attraverso quella acclarata condivisione di dati dal lui quotidianamente perpetrata.
Un tale percorso argomentativo, che appare fondato esclusivamente sul dato quantitativo e sull'utilizzo dei particolari programmi di file sharing, non appare corretto nè esauriente, perchè avrebbe dovuto essere completato dandosi conto dei necessari accertamenti tesi a verificare se la condotta e volontà dell'imputato fossero di semplice approvvigionamento o piuttosto quelle di diffondere o divulgare a terzi il materiale pedopornografico che in precedenza il soggetto, con autonomo comportamento, si era procurato o aveva creato.
La sentenza deve pertanto essere annullata per nuovo giudizio nel quale il giudice de rinvio, tenuto conto dei suddetti principi, completerà l'accertamento del fatto e procederà, se del caso, al corretto inquadramento nell'ipotesi di reato appropriata.
Le esposte considerazioni assorbono logicamente l'esame delle altre censure ed in particolare quella riguardante la ritenuta aggravante della ingente quantità, che il giudice di rinvio riesaminerà tenendo conto non solo del numero dei supporti detenuti, dato di per sè indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene, secondo l'insegnamento della Suprema Corte (cfr. al riguardo Sez. 3, Sentenza n. 17211 del 31/03/2011 Cc. dep. 03/05/2011 Rv. 250152) e sempre con specifico riferimento alle condotte poste in essere dopo l'entrata in vigore della legge n. 38/2006, cioè a partire dal 21.2.2006.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Lecce.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2013
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