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(*) Questo articolo costituisce una rielaborazione di alcuni contributi espressi nella tesi di laurea magistrale dal titolo “Il peer to peer nella circolazione online delle opere dell'ingegno”, Luiss Guido Carli, Roma, 2013.
Premessa
La rivoluzione digitale e la convergenza tecnologica hanno imposto ai policy makers una serie di sfide a cui è tuttora necessario dare una risposta adeguata; tra queste, merita approfondimento la necessità di riconfigurare il tradizionale concetto di sovranità statale, il cui significato e la cui estensione non possono più ritenersi pacifici [1
Il termine “sovranità”, inteso come qualità giuridica del potere statale, originario e indipendente da ogni altro potere, è una conquista della modernità. Esso rappresenta il punto di arrivo di un percorso iniziato nel Medioevo, nel momento in cui, tra il XII e il XIII secolo cominciavano ad affermarsi i concetti di “Stato nazionale” e “impero universale”; in quel frangente l'idea di sovranità si mostrò alle coscienze con la celebre formula “rex in regno suo est imperator”, che legava lo Stato al concetto di potere universale in un'unica espressione.
L'accezione più importante del termine è quella collegata al territorio; la sovranità territoriale è d'altronde il criterio adottato dal diritto internazionale per indicare l'ambito entro cui lo Stato esercita il suo imperium, ad esclusione di altri Stati. L'esercizio effettivo ed indisturbato della sovranità nell'ambito e nei limiti di un territorio è proprio il presupposto cui l'ordinamento internazionale ricollega il diritto dello Stato sovrano di pretendere che altri non penetrino nel suo dominio.
Tuttavia, in primo luogo, la sovranità moderna non è mai, in linea di principio, assoluta: l'appartenenza di uno Stato ad ordinamenti giuridici più vasti (in primo luogo quello internazionale) comporta l'eventualità concreta di dover consentire limitazioni alla propria sovranità anche considerevoli. In genere tale consenso viene accordato per fini sovranazionali di importanza capitale (e.g. tutela dei diritti umani), come conseguenza dell’adesione a trattati che istituiscono vincoli erga omnes [2]; tale ipotesi è espressamente contemplata nell’art. 11 Cost., dove si fa riferimento alla necessità di partecipare ad un ordinamento che assicuri la pace e la sicurezza delle Nazioni.
In secondo luogo, e conseguentemente, il dominio che ciascuno Stato civile intende tenere al riparo da ingerenze altrui non coincide con un territorio fisico, ma piuttosto con uno spazio normativo esclusivo, che permetta allo Stato di applicare le proprie leggi ai propri sudditi. La sovranità, e quindi la giurisdizione, di un qualche Stato dovrebbe così essere limitata ai confini geografici e normativi che ad esso competono. Trovandoci oggi in un nuovo paradigma tecnologico (o, secondo alcuni Autori, nell’estensione dell’ultimo paradigma noto [3]), tali confini non collimano, e viene perciò da chiedersi piuttosto se siano i limiti normativi ad essersi estesi ben oltre i confini geografici di ciascuno Stato.
La rilevanza dei limiti territoriali nella tutela del diritto d'autore online
“All law is prima facie territorial”; tale è l’assunto ricavato da una celebre massima della Corte Suprema Statunitense [4] in cui venne affermato per la prima volta il principio di territorialità quale criterio per l’applicazione della legge nello spazio. La rilevanza dei limiti territoriali ed il suo intreccio con la problematica dei limiti della giurisdizione online non è del tutto nuova, anzi si pose fin dagli albori della comunicazione telematica; alcune acute osservazioni in merito provengono da un risalente (e quasi profetico) studio ad opera di due giuristi statunitensi [5].
Secondo gli Autori, il territorio è innanzitutto legato ad una forma di controllo sulle persone e sulle cose che insistono su tale spazio fisico: il processo di produzione normativa di ogni Stato necessita di un sistema di applicazione delle legge (il c.d. enforcement) che dipende in larga misura dalla capacità di esercitare sia un controllo fisico che di imporre sanzioni sui trasgressori.
In secondo luogo, la sovranità territoriale implica, in ogni Stato civile, una forma imprescindibile di consenso del soggetto ad essere governato, rinunciando così ad una parte della propria originaria sovranità delegando a un organo statale la cura degli interessi giuridici, economici e sociali che gli competono, ottenendo il cambio il diritto – di rango costituzionale – di partecipare alla formazione delle leggi di cui è destinatario; è agevole quindi concludere che i medesimi soggetti che acconsentono a partecipare della sovranità devono essere prima di tutto coloro che fanno parte di un certo territorio. Da queste implicazioni nasce l’esigenza, per un ordinamento decentrato, di una prossimità fisica tra le istituzioni e i soggetti direttamente interessati dalla legge, esigenza che nel nostro ordinamento è consacrata nel principio di sussidiarietà (orizzontale e verticale) disciplinato dall’art. 118 Cost.
Da queste premesse discende che i confini territoriali costituiscono limiti appropriati per la demarcazione di un law space [6]nel mondo non-virtuale poiché essi danno avviso del fatto che le regole cambiano quando tali confini sono superati; si pensi ad un individuo che attraversa i confini di un qualsiasi Stato: egli viene messo al corrente, tramite opportuna segnaletica, del suo assoggettamento alle leggi del territorio in cui è in procinto di entrare. Si noti che il consenso a tale assoggettamento viene così presunto, e si perfeziona con il passaggio del confine: da quel momento in poi l'individuo è posto sotto il controllo – rectius: sovranità – dello Stato confinante.
L’assoggettamento a diversi e specifici ordinamenti si verifica invero in molte altre occasioni della vita sociale, in ragione dell'accesso a luoghi particolari (e.g. aule di tribunale, uffici, chiese, ecc.), o in virtù del ruolo ricoperto dalle parti interessate (si pensi agli organismi di autodisciplina). Da queste premesse emerge l’urgenza di definire lo spazio d’azione della giurisdizione ogniqualvolta la violazione del copyright si verifichi online.
Il principio di territorialità nei vari ordinamenti
Secondo autorevole dottrina [7], quattro sono i principi prospettabili per la determinazione dei limiti spaziali della legge penale:
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principio di territorialità: si applica la legge nazionale per i reati commessi da chiunque (cittadino, straniero o apolide) nel territorio dello Stato;
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principio di difesa o tutela: si applica la legge dello Stato a cui appartengono i beni offesi o il soggetto passivo del reato;
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principio di universalità: la legge nazionale di uno Stato si applica a tutti i delitti dovunque e da chiunque (cittadino, straniero o apolide) commessi;
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principio di personalità: si applica la legge dello Stato di appartenenza del reo.
Nel nostro ordinamento sembra che nessuno dei criteri appena elencati sia preferito rispetto ad altri, ma si sia operata piuttosto una commistione, resa necessaria dall'esigenza di temperare il rigore di ciascun principio. Vi è tuttavia disaccordo circa l'esatta combinazione voluta dal legislatore: la dottrina tuttora maggioritaria [8] ritiene che il criterio cui in ultima analisi s'ispira la legislazione vigente nel suo complesso sia costituito dal c.d. principio di “territorialità temperata”, altri [9] sostengono invece che il legislatore si sia orientato in tempi più recenti ad accogliere anche il principio di universalità (seppur con i dovuti temperamenti), allo scopo di colpire condotte poste in essere all'estero che integrino gli estremi di un reato di portata transnazionale.
Questa seconda impostazione appare tuttavia preferibile in relazione alla particolarità dell'area giuridica del copyright, il quale viene protetto da un fascio di norme capillari di diversa fonte. Il principio di universalità sembra essere ormai entrato a pieno titolo nella prassi giurisdizionale italiana, in linea del resto con la tendenza internazionale ad avocare presso più Corti possibili una stessa controversia in virtù del suo carattere transnazionale, con evidente quanto tangibile rischio di vari bis in idem.
Tale prassi è agevolata in primo luogo dall'apertura della normativa sostanziale e processuale interna – sia civile che penale – all'avocazione, in secondo luogo dalle disposizioni contenute nelle varie convenzioni internazionali in materia (di cui è parte anche il nostro Paese), che instaurano una sorta di giurisdizione globale appannaggio di qualsiasi Stato Parte contraente; da tali aperture, e forse indipendentemente da queste, le consuetudini internazionali e la prassi della giurisprudenza si sono mosse per ampliare a dismisura la longa manus delle rispettive sovranità, al punto tale che ormai risultano sensibilmente ridotti i casi in cui una controversia avente ad oggetto una violazione di copyright rimanga sospesa in attesa che venga risolta la questione di giurisdizione [10].
Tra gli accordi internazionali basti citare la Convenzione di Berna: i vari criteri di collegamento sono enunciati nell'art. 3 ai paragrafi 1 e 2, ove viene stabilito il criterio della nazionalità dell'autore (che deve appartenere ad uno degli Stati Parti), il luogo di prima pubblicazione dell'opera (e ciò qualora l'autore non appartenga ad uno Stato Parte ma in esso è avvenuta la prima pubblicazione) e il luogo di residenza (che deve corrispondere alla residenza abituale nel territorio di uno Stato Parte).
La determinazione in oggetto viene complicata dagli ulteriori criteri assunti dalla Convenzione, e.g. quello relativo al luogo di origine dell'opera, all'interno del quale bisogna ulteriormente distinguere nel caso in cui l'opera sia stata pubblicata o meno.
Il regime della Convenzione di Berna verte poi sullo jus conventionis e sul principio del trattamento nazionale: il primo impone agli Stati Parti di garantire agli autori un nucleo minimo di diritti, a prescindere da quanto disposto ai sensi della normativa interna. Il secondo impone agli Stati Parti – se sussistono i criteri di collegamento summenzionati – di estendere la tutela nazionale anche agli altri autori unionisti, garantendo così una parità di trattamento all'interno del proprio territorio.
Per quanto riguarda il quadro europeo, si ritiene che esso accolga il principio secondo cui il diritto d'autore crei diritti territoriali limitati [11]. Tale assunto appare confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha avuto modo di affermare che «il principio di territorialità [dei diritti d’autore] [è] sancito dal diritto internazionale e riconosciuto anche dal Trattato CE. Tali diritti hanno dunque carattere territoriale, ed inoltre il diritto interno può [sanzionare] unicamente atti compiuti nel territorio nazionale [12]».
In realtà, parte della dottrina ha sottolineato che la territorialità del diritto d'autore nel sistema europeo si presta, come in altri, a “loopholes” che agevolano “extraterritorial spillovers”, e ciò in ragione delle norme adottate a livello di diritto internazionale privato [13].
È stato osservato infatti che le violazioni a carattere transnazionale possono essere avocate dal foro del Paese in cui tali violazioni vengono lamentate, in base al principio della lex loci protectionis; a quel punto i giudici di tale Paese stabiliscono se vi sia stata effettivamente una qualche violazione ai sensi del diritto nazionale, il quale ben potrebbe contenere previsioni che ritengano rilevanti non solo le condotte svoltesi a livello locale, ma anche attività realizzatesi in tutto o in parte altrove ovvero attività locali aventi effetti in Paesi esteri [14].
Ne risulta che l'extraterritorialità “is therefore made possible by open-ended conflicts rules. It is, however, ultimately a result of substantive IP law reaching beyond the border. In these cases, the basic assumption that IP systems are restricted by national borders proves to be wrong [15]”.
Del resto, conferme della tendenza del legislatore europeo all'adozione di un certo grado di universalità nella giurisdizione si rinvengono già nella Direttiva 29/2001, laddove al paragrafo 2 dell'art. 8 viene stabilito che «Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie a garantire che i titolari dei diritti i cui interessi siano stati danneggiati da una violazione effettuata sul suo territorio possano intentare un'azione per danni e/o chiedere un provvedimento inibitorio e, se del caso, il sequestro del materiale all'origine della violazione, nonché delle attrezzature, prodotti o componenti di cui all'articolo 6, paragrafo 2».
Anche in questo caso, non è agevole risolvere la questione di giurisdizione se la violazione si consuma sulla rete, in quanto non è possibile in tal caso rilevare con certezza il collegamento con il territorio; resta inoltre salva l'astratta possibilità – avendo riguardo al tenore letterale della norma – di un'azione cumulativa di più Stati, laddove ciascuno di essi si ritenga leso dalla condotta illecita. Ancora una volta sarà compito dell'interprete sciogliere questo nodo gordiano, con evidente imbarazzo del legislatore e del sistema delle fonti.
La questione della territorialità è stata rilevata anche in materia di cyber-sicurezza; già nella Decisione quadro del 2005 relativa agli attacchi contro i sistemi informatici, si riconosceva che «Il carattere transnazionale e senza frontiere dei moderni sistemi di informazione fa sì che gli attacchi contro tali sistemi siano spesso di natura transnazionale, e rende evidente la necessità di adottare urgentemente azioni ulteriori per il ravvicinamento delle legislazioni penali in questo settore [16]».
Tale esigenza è stata confermata e portata a compimento dal nuovo art. 83 TFUE, il quale prevede che «il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni».
In queste sfere di criminalità rientrano, per espressa previsione del legislatore, molte condotte riconducibili alla criminalità informatica, ma nessuna menzione viene fatta della violazione del diritto d'autore. Ciononostante, in virtù del terzo paragrafo dello stesso articolo, al Consiglio viene attribuita la facoltà di adottare una decisione al fine di individuare altre sfere di criminalità che rispondono ai criteri menzionati dalla norma, e nulla gli vieterebbe di includere tra queste la violazione del diritto d'autore per giustificare un “ravvicinamento delle legislazioni penali”, con la conseguenza di attribuire a tali violazioni la natura di veri e propri cyber-crimes al pari di condotte ben più gravi.
Per quanto riguarda il nostro ordinamento penale, l'art. 6 c.p. accoglie il principio di territorialità, stabilendo che «chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana».
La definizione di territorio dello Stato è fornita dall'art. 4 cpv. c.p., il quale precisa che esso consiste nel «territorio della Repubblica ed ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato», con ciò confermando l'assunto di partenza, e cioè che laddove v'è legge, ivi v'è territorio, e viceversa.
Il territorio dello Stato è pertanto, in primo luogo, una grandezza fisica misurabile, ma costituisce allo stesso tempo il risultato di un'attività normativa: convenzionalmente costituito dalla superficie terrestre entro i suoi confini politico-geografici (vale a dire i confini stabiliti dai trattati internazionali), dagli spazi marini (acque interne, mare territoriale, zona continua e zona archeologica, piattaforma continentale e zona economica esclusiva) e dallo spazio aereo.
L'ampiezza del concetto di sovranità territoriale è quindi tale da comprendere qualsiasi luogo in cui la legge penale ha forza di imporsi: “Il settore di spazio, su cui si esercita la sovranità dello Stato, si estende fino agli estremi limiti in cui esiste la possibilità di offesa e di difesa [17]”.
Tale impostazione sembra essere confermata dal secondo comma dell'art. 6 c.p., il quale amplia – e, potremmo dire, supera – la stretta territorialità introducendo il principio dell'ubiquità, secondo cui il reato si considera commesso nel territorio italiano quando ivi è stata posta in essere, in tutto o in parte, la condotta omissiva o commissiva che lo integra, ovvero quando ivi si è verificato l'evento che è conseguenza dell'azione od omissione.
Occorre soffermarsi sull'eventualità, espressamente prospettata dalla norma, che la condotta possa avvenire anche solo in parte nel territorio dello Stato: tralasciando il dibattito sulla necessità che tale parte di condotta debba integrare o meno gli estremi del tentativo punibile per assumere rilevanza penale [18], tale formula fornisce all'interprete l'apertura necessaria per procedere a una lettura estensiva e conoscere di un reato commesso solo in parte all'estero a titolo di partecipazione in concorso; invero, proprio tale principio è stato invocato da diverse Corti per colpire alcune violazioni del copyright aventi carattere transnazionale, al fine di incardinare di volta in volta la giurisdizione del giudice nazionale.
Il riferimento all'ubiquità è del resto confermato dalla normativa processuale, laddove vengono disposti i diversi criteri da adottare per determinare la competenza per territorio del giudice penale in caso di controversie extraterritorriali:
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per i reati commessi interamente all'estero, sarà competente il giudice del luogo in cui l'imputato ha la sua residenza, dimora o domicilio (art. 10, comma 1 c.p.p.) [19];
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per i reati commessi anche solo in parte all'estero, la competenza è determinata ai sensi degli artt. 8 e 9 c.p.p. (art. 10, comma 3 c.p.p.): l'interprete dovrà quindi rivolgersi innanzitutto alle regole generali, dovendo distinguere se si tratta di delitto consumato, permanente o tentato; se tramite la procedura prospettata non fosse possibile determinare la competenza, si dovranno utilizzare le regole suppletive di cui all'art. 9 c.p.p.
Invero, la punibilità del reo secondo la legge italiana potrebbe rientrare – per così dire – “dalla finestra”, dato che i criteri finora menzionati vanno coordinati con le norme generali di cui agli artt. 7 e ss. c.p.:
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Sono puniti secondo la legge italiana coloro – cittadini o stranieri – i quali commettono in territorio estero, inter alia, ogni reato per il quale l'applicabilità della legge italiana è stabilita da speciali disposizioni di legge o da convenzioni internazionali (art. 7, comma 5 c.p.).
È evidente la discrasia con l'articolo precedente, in cui si ammette espressamente che un reato possa essere commesso in tutto o in parte all'estero per considerarsi avvenuto in Italia: nel silenzio della legge, pertanto, la scelta è rimessa come di consueto all'interprete.
Per quanto riguarda i reati di cui agli artt. 171 comma 1 lett. a)-bis, 171-ter comma 1 lett. h) [rectius: g] e comma 2 lett. a)-bis della l. 633/1941 (postea: LDA), l'applicabilità della protezione accordata dalla legge italiana è prevista dall'art. 185 e ss. LDA per le opere degli autori italiani ovunque pubblicate e per le opere straniere, pubblicate per la prima volta in Italia o meno, se ciò è previsto da apposite convenzioni internazionali, in mancanza delle quali si applica la legge italiana a condizione di reciprocità di tutela dello Stato cui l'autore appartiene.
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Fuori del caso di cui all'art. 7 c.p., e salvo che non si tratti di un delitto politico, è punito secondo la legge italiana il cittadino che commette in territorio estero un reato per il quale la legge italiana preveda la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che egli si trovi nel territorio italiano (art. 9 comma 1 c.p.).
Tralasciando in questa sede il dibattito sulla configurabilità dei reati d'immissione in rete di opere protette da copyright e di elusione di DRM come delitti (percepiti come) politici, l'interprete dovrà accertare le due circostanze prescritte dalla norma, e pertanto la sua applicazione sarà esclusa avverso, e.g. i reati di cui agli artt. 171 comma 1 lett. a)-bis, 171-ter comma 1 lett. h) [rectius: g] e comma 2 lett. a)-bis LDA, in quanto la forbice sanzionatoria non corrisponde.
Invero, ai sensi del comma 2 della norma citata, la punibilità del reo secondo la legge italiana è prospettabile qualora ne avanzi richiesta il Ministro della Giustizia o la persona offesa tramite istanza o querela. Se i reati summenzionati sono commessi a danno di uno Stato estero o di uno straniero e l'estradizione del cittadino italiano non è stata concessa o accettata dallo Stato in cui ha commesso reato, egli può comunque essere punito secondo la legge italiana qualora, ancora una volta, il Ministro della Giustizia ne faccia richiesta.
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Fuori dei casi previsti dalle norme appena citate, è punito secondo la legge italiana anche lo straniero che commette in territorio estero un delitto per il quale la legge medesima stabilisca la pena della reclusione non inferiore nel minimo ad un anno, a condizione che egli si trovi nel territorio dello Stato e sussista la richiesta del Ministro della Giustizia ovvero l'istanza o la querela di parte (art. 10 comma 1 c.p.).
La norma richiamata si presta ad essere applicata solo nelle controversie aventi ad oggetto il reato di cui all'art. 171-ter, comma 2 lett. a)-bis LDA, in quanto è l'unica fattispecie – tra quelle che ineriscono alla nostra indagine – per la quale è prevista la pena della reclusione da uno a quattro anni; il giudice dovrà tuttavia accertare che (i) pervenga l'istanza o la querela della persona offesa, ovvero – più raramente – la richiesta avanzata dal Ministro della Giustizia e che (ii) il reo si trovi nel territorio italiano; tali circostanze sono state inquadrate dalla giurisprudenza maggioritaria nelle condizioni di procedibilità [20], con la conseguenza che in difetto di esse nulla osta alla riproposizione dell'azione penale per lo stesso fatto nei confronti della stessa persona, da cui il rischio del bis in idem nazionale.
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La possibilità di rinnovare in Italia il giudizio già svoltosi all'estero è poi espressamente contemplata dal legislatore nella norma successiva: nel caso indicato nell'art. 6 c.p., il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato anche se sia stato giudicato all'estero (art. 11, comma 1 c.p.). Nei casi indicati negli articoli 7, 8, 9 e 10, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all'estero, è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta. (art. 11, comma 2 c.p.)
Da quanto appena esposto, appare evidente che il legislatore italiano ha operato delle scelte che tutelano fortemente la sovranità della giurisdizione nazionale estendendola oltre i suoi naturali confini [21]: viene ammessa la competenza del foro straniero solo nel caso estremo in cui il reato sia stato commesso del tutto all'estero, bastando un solo atto posto in essere nel territorio italiano per incardinarne la relativa giurisdizione; resta pertanto da stabilire in via interpretativa se il fatto tipico prescritto dalla norma incriminatrice possa considerarsi compiuto in Italia anche se realizzatosi online.
Il Cyberspace come luogo nuovo?
Da quanto appena esposto appare evidente l'urgenza per il legislatore di raccogliere la sfida tecnologica ed infine stabilire se un determinato evento nel Cyberspace sia presidiato dalla disciplina del Paese ove il server è collocato, dalle leggi del Paese ove l'Internet Service Provider (postea: ISP) è collocato, dalle leggi del Paese ove l'utente risiede, ovvero da tutte queste – ed altre – leggi [22].
Nonostante un'armonizzazione sostanziale e completa in materia di diritto d'autore sia ad oggi impossibile, negli ultimi dieci anni la dottrina internazionale si è dedicata ad elaborare soluzioni appropriate al mutamento tecnologico, “facendosi carico del difficile e lodevole compito che spetterebbe al legislatore [23]”.
Le varie risposte offerte da questo dibattito convengono sia sull'inadeguatezza delle norme di conflitto esistenti, sia sull'urgenza di riportare un certo ordine giuridico nel sistema delle reti di comunicazione elettronica, ma partono da diverse premesse e spesso giungono a risultati discordanti.
Vi è in effetti una prima conclusione che vale a distanziare molte delle posizioni dottrinali in materia: da un lato si sostiene che la dematerializzazione delle tecnologie non impedisca il ricorso a criteri di collegamento territoriali; tale dottrina riesce a fondare tale assunto appoggiandosi a giustificazioni particolarmente audaci, secondo cui le medesime tecnologie usate per immettere sulla rete un'opera protetta sono in grado di consentirne la localizzazione fisica (e.g. gli indirizzi IP); più in generale si è giunto a considerare l'upload come un atto di per se' equivalente a una riproduzione dell'opera, “suscettibile di localizzazione allo stesso modo di una qualunque riproduzione del corpus mechanicum [24]”.
Per quanto pacifica sia l'equivalenza tra l'upload e la riproduzione digitale di un'opera [25], sulla quale ci permettiamo di nutrire qualche riserva [26], sembrerebbe cedevole il terreno su cui si fonda il riferimento al corpus mechanicum in quanto legato ad una tutela autoriale anacronistica, eretta su caratteristiche di fisicità proprie del supporto ove l'opera veniva incorporata, che non solo non possono più ritenersi applicabili, ma risultano addirittura controproducenti alla risoluzione del conflitto de quo.
Proprio dal punto di vista tecnico tali equivalenze ricevono evidenti smentite, laddove si consideri che (i) un indirizzo IP (così come l'indirizzo MAC) può essere “mascherato” da apposite tecnologie, può non essere indicativo dell'effettivo luogo di residenza del soggetto che effettua l'upload, e in generale può non essere efficace nell'identificare univocamente il soggetto stesso [27]; (ii) se l'opera viene condivisa tramite reti peer to peer, il server della piattaforma non ospita fisicamente il file che la incorpora: essa rimane nell'hard disk del soggetto che effettua l'upload; (iii) qualora l'opera venga effettivamente caricata su un server, la collocazione geografica di quest'ultima potrebbe (come spesso accade) non coincidere con il luogo di residenza del soggetto che effettua l'upload; (iv) infine è impossibile accedere a una qualsiasi informazione in un ambiente computer-mediated senza effettuare una copia di tale informazione [28].
Questi rilievi di ordine tecnico sono stati solo in parte recepiti dalla giurisprudenza [29], la quale per lo più ha fatto ricorso alle predette equivalenze senza troppe cerimonie. Il dibattito dottrinale tra coloro i quali sostengono la necessità di una localizzazione territoriale della violazione si è invece sostanzialmente focalizzato sulla ricerca del criterio di collegamento più opportuno tra quelli disponibili.
In proposito, è stato proposto il criterio della lex originis, invocato da una parte della dottrina e della giurisprudenza anche quale principio cardine per determinare l'esistenza e la titolarità stessa del diritto d'autore [30], respinto da altra dottrina per l'impossibilità – ai sensi della Convenzione di Berna – di qualificare l'upload come una pubblicazione dell'opera o comunque di poterlo collegare con certezza a un determinato territorio [31].
Altri hanno fatto leva sul criterio della lex loci protectionis, peraltro già contemplato dalla Convenzione di Berna; l'inconveniente legato a un tale criterio è quello di moltiplicare e non già di risolvere il problema della plurilocalizzazione dell'evento dannoso.
Senza soffermarsi sugli ulteriori criteri invocati dalla dottrina de qua, ciò che più si presta a censura è certamente la premessa del dibattito: “i problemi derivanti dalla localizzazione della violazione in rete di un diritto di privativa non derivano affatto dall'impossibilità di un collegamento territoriale, quanto dalla difficoltà di scegliere tra più criteri di collegamento [32]”. Tale dottrina parrebbe così negare il problema alla radice, relegando la rete ad un mero strumento di trasmissione di informazioni da un luogo all'altro del globo, ognuno del quale possiede una propria sovranità a cui non è disposto – a ragione – a rinunciare [33].
Per preservare la territorialità della questione di riparto, talora è stato proposto di deferire ad altri soggetti diversi dal legislatore la scelta del foro – e quindi della legge applicabile – ove conoscere della violazione. Tale proposta si ispira alla soluzione accolta nel 1995 dalla Corte di Giustizia in un caso di diffamazione, ove venne attribuita alla vittima la scelta se adire il giudice del luogo dell'evento o quello del luogo dell'azione [34].
L'idea di una “localizzazione giurisdizionale [35]” era sostenuta anche dal Consiglio di Stato francese, il quale in un Rapporto del 1998 suggeriva di attribuire al titolare dei diritti la facoltà di scegliere un tribunale diverso da quello del luogo d'origine dell'opera, che presentasse il collegamento più stretto con il territorio ove si è realizzata l'offesa, potendosi presumere tale il foro del luogo ove il titolare avesse la residenza abituale, e ciò tramite una presunzione semplice che avrebbe potuto essere superata dalla determinazione del giudice o dalla scelta stessa delle parti.
Di fronte a tali proposte, appare corretto domandarsi se e in che misura sia lecito attribuire a soggetti diversi dal legislatore la scelta della legge applicabile ad una certa violazione [36]. Se infatti tale deferimento può astrattamente ammettersi nell'ambito di rapporti di natura contrattuale (e.g. attraverso la predisposizione di clausole compromissorie all'interno di contratti di licenza), lo stesso non può dirsi relativamente alle controversie extra-contrattuali, ove è dubbio ab origine il grado di disponibilità dei diritti di cui si invoca la tutela.
In ambito europeo tale disponibilità appare invero esclusa nello specifico ambito del diritto d'autore, laddove la Convenzione “Roma II” stabilisce il criterio della lex loci protectionis per le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale e al contempo vieta alle parti di determinare autonomamente la legge applicabile alle violazioni stesse – facoltà che è invece accordata per le altre obbligazioni extra-contrattuali ai sensi dell'art. 14 [37].
Dall'altro lato vi è una corposa parte della dottrina che dal mutamento tecnologico fa discendere l'obsolescenza di qualunque collegamento territoriale, fondando proprio su questo rilievo l'urgenza di una riforma dei criteri di riparto della giurisdizione e finanche della stessa tutela di diritto d'autore [38].
Tale è in parte anche il punto di partenza di numerosi trattati internazionali [39] e di interventi in ambito UE [40] stipulati al fine di raggiungere un maggior grado di armonizzazione in materia. È stato infatti sostenuto che “problemi di portata globale non possono che essere risolti sulla base di regole sovranazionali [41]”, e c'è da chiedersi se tali tentativi di armonizzazione non costituiscano già un “supranational code” dotato di obbligatorietà internazionale [42].
A favore di un “universal copyright regime” si collocano i contributi di Dreyfuss & Ginsburg [43] da un lato, e Dinwoodie [44] dall'altro. Tali contributi abitano una zona grigia del dibattito dottrinale, in quanto adottano delle soluzioni miste: il primo approccio propone la stipulazione di una convenzione internazionale attraverso cui individuare “a set of fora with adjudicatory authority over the parties [45]”. Il secondo, invece, sostiene la necessità che il diritto internazionale pubblico venga integrato da una legislazione di diritto internazionale privato, e ciò attraverso il ricorso congiunto a “cybercontractual agreements” dotati di clausole di arbitrato e ad una “new choice of law methodology” nelle mani delle corti [46].
Del tutto radicale è invece la soluzione offerta da Johnson & Post, i quali alla domanda di Ginsburg: “Without physical territoriality, can legal territoriality persist? [47]”, rispondono negativamente, sostenendo la necessità di concepire il Cyberspace come un luogo a se' stante ove le leggi del mondo “reale” non hanno, letteralmente, spazio [48].
Gli Autori sostengono innanzitutto di ripensare i confini del “law space of the Net” identificandoli con gli schermi e le password che separano il mondo reale dal mondo virtuale [49], e ciò perché “Having a noticeable border may be a prerequisite to the establishment of any legal regime that can claim to be separate from pre-existing regimes. If someone acting in any given space has no warning that the rules have changed, the legitimacy of any attempt to enforce a distinctive system of law is fatally weakened. No geographically-based sovereign could plausibly claim to have jurisdiction over a territory with secret boundaries [50]”.
L'idea di Johnson & Post è quella di sviluppare un meccanismo di auto-regolamentazione che possa sostituire l'intervento dei governi nel mondo virtuale; per quanto una tale pretesa possa sembrare anarchica, gli Autori specificano che tale non è: le micro-comunità in cui i netizen si aggregano sono dotati di regole precise – i famosi “Terms of Use” et similia – e di organismi incaricati del loro enforcement – i “system operators” ma anche gli utenti stessi – che formano un sistema quasi-giuridico simile alla lex mercatoria medievale [51].
Considerare il Cyberspace come un luogo nuovo e distinto rispetto al territorio reale, permetterebbe – secondo gli Autori – di regolare diverse questioni legate al copyright, tra cui quello di considerare l'uploading come una violazione del copyright e al contempo aiutare gli operatori del commercio elettronico a sviluppare “incentive-producing rules to encourage authorized transfers into Cyberspace of works not available now [52]”. Niente di nuovo, se non l'utile suggerimento di aiutare tali operatori ad aumentare l'offerta legale anche tramite la messa in circolazione di opere non reperibili sul mercato tradizionale.
Quest'ultima proposta reca in se', infatti, un vantaggio eccezionale: lo sviluppo di nuove forme di licenza implicita e fair use relative ad opere create per la prima volta su Internet (e non anche nel mondo fisico), che permetterebbero – rectius: legittimerebbero – la trasmissione e la copia necessarie per facilitarne l'uso nell'ambiente telematico [53].
Un'osservazione di rilievo viene poi dedicata al problema dei conflitti di giurisdizione, nella parte in cui gli Autori richiamano due importanti principi guida.
Il primo consiste nella c.d. doctrine of comity elaborata dalla Corte Suprema statunitense, attraverso la quale una nazione accoglie gli atti normativi, esecutivi e giurisdizionali di un'altra nazione avendo riguardo “both to international duty and convenience, and to the rights of its own citizens or of other persons who are under the protection of its law [54]”.
Tale dottrina è stata incorporata nel Restatement (Third) of Foreign Relations Law of the United States, il quale alla Sec. 403 stabilisce che “a state may not exercise jurisdiction to prescribe law with respect to a person or activity having connections with another state when the exercise of such jurisdiction is unreasonable [55]”. In caso di conflitto tra le leggi dei due Stati, esso va risolto nel senso che “each state has an obligation to evaluate its own as well as the other state's interest in exercising jurisdiction... [and] should defer to the other state if that state's interest is clearly greater [56]”.
In tal senso, la doctrine of comity risulta un valido strumento d'ausilio al legislatore, in quanto permetterebbe di attenuare un'applicazione troppo rigida del principio di territorialità nei casi in cui si debba conciliare “the principle of absolute territorial sovereignty [with] the fact that intercourse between nations often demand[s] the recognition of one sovereign's lawmaking acts in the forum of another [57]”.
A fronte di questi principi, gli Autori sostengono l'opportunità per i governi di delegare alcune funzioni del “rule-making power” a coloro che da una parte comprendono meglio la complessità di un determinato fenomeno, e dall'altra sono i diretti interessati dalle norme de quibus.
Pertanto, le eventuali obiezioni sul preteso carattere anarchico di queste affermazioni perdono senso, ed anzi tali proposte acquistano valore in una lettura costituzionalmente orientata, laddove si consideri che non si tratterebbe di una vera e propria delega, bensì di un “ritorno” – pur se parziale – della sovranità al suo originario titolare: il popolo.
Del resto, è stato osservato, un certo grado di consenso da parte del soggetto governato deve sussistere anche nel mondo virtuale, ove i concetti tradizionali della filosofia politica relativi al contratto sociale si trasformano: “State reliance on consent inferred from someone merely remaining in the state is particularly unrealistic [58]”.
In questo senso, allora, la soluzione non è più rilocalizzare la sovranità attraverso la scelta di uno o più criteri di collegamento territoriale, bensì, disperderla: l'alternativa alla sovranità statale diventa “a multiplicity of communities and political bodies – some more extensive than nations and some less – among which sovereignty is diffused [59]”.
Gli Autori concludono che gli utenti, spostandosi da una comunità virtuale all'altra per cercare ambienti con regole a loro più favorevoli, determinano perciò il livello di ottimo sociale di un particolare set di beni: le leggi [60]. Ad analoghe considerazioni si prestano del resto alcuni fenomeni del mondo reale, come l'arbitraggio normativo che deriva da un trasferimento dell'utente in altro Paese (come è accaduto nel celebre caso “Megaupload”), o al forum shopping in ambito internazionale.
La praticabilità di soluzioni à la Johnson & Post potrebbe, con i dovuti adattamenti, essere confermata dal dibattito attualmente sviluppatosi attorno al concetto di democrazia “liquida” o “partecipata [61]”, ed eventualmente recare giovamento anche alla questione della circolazione online delle opere dell'ingegno.
dott.ssa Giulia Gianni, giugno 2013
(riproduzione riservata)
[1] La questione è stata sollevata da autorevole dottrina: “in definitiva, le coordinate sovranità, territorio e giurisdizione, sulle quali la cultura politica e giuridica aveva costruito il principio della giurisdizione quale emanazione della sovranità, risultano oggi sconvolte e non sembrano più utilizzabili” (enfasi dell'autore), Picardi, Manuale del Processo Civile, Giuffrè, Milano, 2006, p. 26.
[2] La questione è stata sollevata da autorevole dottrina: “in definitiva, le coordinate sovranità, territorio e giurisdizione, sulle quali la cultura politica e giuridica aveva costruito il principio della giurisdizione quale emanazione della sovranità, risultano oggi sconvolte e non sembrano più utilizzabili” (enfasi dell'autore), Picardi, Manuale del Processo Civile, Giuffrè, Milano, 2006, p. 26.
[3] La corrente da cui partire è costituita dal pensiero di Schumpeter e dalla teoria dei cicli economici di Kondratieff, da cui la teoria dell'innovazione ha tratto conclusioni sulla relazione tra le innovazioni tecnologiche e le fasi economiche che per mezzo di esse vengono determinate (Cfr. Kondratieff, “The Long Waves in Economic Life”, in The Review of Economic Statistics, 17(6):105-115, 1935. Tra i primi contributi della letteratura economica a commento dell’autore, v. Garvy, “Kondratieff’s Theory of Long Cycles”, in The Review of Economic Statistics, 25(4):203-220, 1943). Tale corrente ha suddiviso la storia dell’uomo in cicli che occupano il tempo di una tecnologia a partire dalla rivoluzione industriale; questa teoria viene oggi completata con l’analisi dell'ultimo paradigma noto, cioè l'era dell’informazione e delle telecomunicazioni. A tali paradigmi tecnologici si sono affiancati i paradigmi culturali e le mediamorfosi, nonché le teorie sulle varie versioni del web. Riguardo ai primi, cfr., inter alia, Tschmuck, Creativity and Innovation in the Music Industry, Springer, Dordrecht, 2006, pp. 210 ss.: “In contrast to the current views of evolutionary theory […] paradigm changes should not be understood in exclusively technological terms. Instead […] as amounting to a comprehensive cultural change. In my opinion, each industry is determined by a specific cultural paradigm. By this I mean all values, norms, and action heuristics that form the basis for all agents' activities”. Per quanto riguarda le c.d. mediamorfosi, v. Fidler, Mediamorphosis: Understanding New Media, Pine Forge Press, Thousand Oaks, 1997. Il termine è stato coniato dall'Autore per spiegare che le forme tradizionali o consolidate di media cambiano in risposta all'emergere di nuovi media; tali cambiamenti intervengono a causa di nuove esigenze, pressioni politiche e concorrenziali, innovazioni sociali e tecnologiche; secondo l'Autore, la mediamorfosi a cui stiamo assistendo nel mondo moderno è il fenomeno della convergenza dei media. Riguardo alle varie versioni del Web, mi riferisco al Web 1.0 creato da Tim Berners-Lee (il web in “sola lettura”), al Web 2.0 di Dale Dougherty e Tim O’Reilly (il web “read-write” con le prime interazioni degli utenti, in particolare sui social network), ed infine al Web 3.0 o Web Semantico preconizzato da Tim Berners-Lee, consistente in un ambiente in cui i documenti vengono associati a metadati che ne specifichino il contesto semantico. Vi è anche chi pronostica l’avvento del Web 4.0 (v. Aghaei – Nematbakhsh – Farsani, “Evolution of the World Wide Web: From Web 1.0 to Web 4.0”, in International Journal of Web & Semantic Technology, 3(1):1-10, 2012). Per le altre versioni v. la dottrina richiamata da Berners-Lee – Hendler – Lassila, “The Semantic Web”, in Scientific American, 2001; O’Reilly, “What Is Web 2.0: Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software”, in Communications & Strategies, 65:17-37, 2007.
[4] V. American Banana Co. v. United Fruit Co., 213 US 347, 357 (1909).
[5] Johnson - Post, “Law and Borders – The Rise of Law in Cyberspace”, in Stan. L. R., 48:1367-1402, 1996, pp. 1367 ss.
[6] Ivi, pp. 1369-1370. Sarebbe preferibile mantenere tale formula in lingua originale, per via della sua (intenzionale) ambiguità semantica che la lingua italiana non potrebbe rendere. Può infatti essere letta sia nel senso di “spazio della legge” che nel senso di “legge dello spazio”; l’intenzione degli autori è quella di sottolineare l’importanza della corrispondenza tra confini normativi e confini geografici, nel senso della loro reciproca interdipendenza: la misura della sovranità è il risultato di un’operazione di (de)limitazione vicendevole del territorio e della legge. Tale assunto sembra confermato da autorevole dottrina: “Sovranità, territorio e giurisdizione […] si sono intersecate ed hanno interagito con la conseguente coincidenza fra ambito della sovranità e ambito della giurisdizione: la giurisdizione tanto si estende quanto la sovranità” (enfasi omessa), Picardi, op. cit., p. 23.
[7] Così Fiandaca - Musco, Diritto Penale, Parte Generale, Zanichelli, Bologna, 2007, pp. 126 ss. Nello stesso senso, pur con qualche differenza terminologica, v. anche Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte Generale, Giuffrè, Milano, 2003, p. 120.
[8] Così Antolisei, loc.cit., nel senso che il principio cardine dell'ordinamento italiano resta pur sempre quello della territorialità, definita come “temperata” per via del fatto che esso non è stato accolto in modo esclusivo, bensì concorre con gli altri criteri.
[9] Così Fiandaca-Musco, op. cit., p. 128.
[10] Ad esempio, nel noto caso The Pirate Bay, la controversia avente ad oggetto la violazione dei diritti d'autore era stata incardinata presso il giudice svedese, ma numerosi giudizi cautelari – consistenti nel blocco dell'accesso alla piattaforma – erano stati poi avviati in altri Paesi europei (compreso il nostro) al fine di impedire il protrarsi degli effetti lesivi del reato in altri territori.
[11] Cfr. Conclusioni dell'Avvocato Generale Niilo Jääskinen del 29 Marzo 2012, causa C-5/11, punto 33.
[12] Cfr. CGUE, Lagardère Active Broadcast c. Société pour la perception de la rémunération équitable (SPRE) e Gesellschaft zur Verwertung von Leistungsschutzrechten mbH (GVL), proc. C-192/04, in Raccolta, p. I-7199, punto 46.
[13] Cfr. Peukert, “Territoriality and Extraterritoriality in Intellectual Property Law”, in Handl – Zekoll – Zumbansen (a cura di) “Beyond Territoriality: Transnational Legal Authority in an Age of Globalization”, Queen Mary Studies in International Law, Vol. 11, Brill Academic Publishing, Leida/Boston, 2011, pp. 13-14.
[14] Ibidem
[15] Ibidem
[16] Cfr. Decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio del 24 Febbraio 2005, in G.U. L 69/69 del 16 Marzo 2005.
[17] Così Antolisei, op. cit., p. 123.
[18] Sembra comunque preferibile la tesi negativa (v. per tutti Fiandaca-Musco, op. cit., p. 130) basata sul rilievo che l'art. 56 c.p. prescrive che l'azione non si compia o l'evento non si verifichi, mentre l'art. 6, comma 2 c.p. si riferisce a reati consumati. D'altronde la giurisprudenza è pacifica nel considerare come “parte” della condotta tutti i movimenti che, attuando una modificazione del mondo esterno, possono contribuire alla commissione del reato (cfr. Cass. 7 Aprile 1964, in Foro.it, 1965, II, 113). La questione non è tuttavia di scarsa rilevanza, in quanto la circostanza è assunta dall'art. 8, comma 4 c.p.p. quale criterio distintivo per fondare la competenza per territorio del giudice penale del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a commettere il delitto; tale norma si applica anche ai reati commessi in parte all'estero secondo il rinvio operato dall'art. 10, comma 3 c.p.p.
[19] Tale previsione appare coerente con le disposizioni di cui alla l. 218/1995 sul diritto internazionale privato; essa assume come criterio generale di collegamento il fatto oggettivo del domicilio e della residenza del convenuto nel territorio dello Stato, e non la sua cittadinanza; la ratio di questa disposizione comune alla giurisdizione civile e penale è stata individuata nella circostanza secondo cui è l'attore a turbare la quiete giuridica, perciò al convenuto deve essere assicurato il controvantaggio di subire meno spostamenti territoriali possibili (cfr. Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, vol. I, Giappichelli, Torino, 1993, p. 211).
[20] Cfr. Cass. Pen. 11 Luglio 2003, n. 41333 in DeJure.
[21] Cfr. Cass. Pen. 11 Luglio 2003, n. 41333 in DeJure.
[22] Cfr. Zeviar-Geese, “The State of the Law on Cyberjurisdiction and Cybercrime on the Internet”, in Gonzaga Journal of International Law, 1:119-146, 1998, p. 8.
[23] Cfr. Boschiero, “Il principio di territorialità in materia di proprietà intellettuale: conflitti di leggi e giurisdizione”, in AIDA, 16:34-104, 2007, p. 63.
[24] Ivi, p. 64 (corsivo aggiunto) a cui si rimanda anche per gli opportuni riferimenti bibliografici.
[25] Come è stato confermato dalla giurisprudenza più recente, da ultimo nel caso The Pirate Bay.
[26] Senza dilungarsi troppo in questa sede, basterà considerare che – ad avviso di chi scrive – la natura dell'attività consistente nell'upload varia a seconda dell'architettura presa in esame. Così, ad esempio, l'upload potrà costituire attività di riproduzione riservata ai sensi della LDA solo qualora ci si trovi in un contesto client – server e non anche quando si tratti di scambi di contenuti che avvengono su piattaforme che utilizzano protocolli peer to peer, ove le attività di download e upload sono tecnicamente – e giuridicamente – indistinguibili poiché simultanee.
[27] Cfr. Cristiano, “D.lgs. 70/2003: quale responsabilità per l’Internet Provider?”, in Teutas [online], 4 Marzo 2007: “In primo luogo, può verificarsi l'ipotesi in cui l'utente abbia reso false dichiarazioni al provider in merito alla propria identità. Né, poi, è improbabile il caso in cui l'autore dell'illecito abbia utilizzato fraudolentemente password d'accesso alla Rete di un altro utente, così come non è infrequente che un medesimo elaboratore collegato alla Rete venga utilizzato contemporaneamente da più soggetti”. V. anche AGCOM, Indagine conoscitiva, cit., p. 25.
[28] Cfr. Johnson – Post, op. cit., p. 1385. V. anche Post, “Leaping Before Looking: Proposals Would Make Unsettling Changes”, in Legal Times, 8 Aprile 1996: “the manner in which messages travel across the Internet to reach their independent recipient(s) [...] [involve] innumerable separate acts of [...] «reproduction»”.
[29] Cfr. Trib. Roma 15 Dicembre 2006, richiesta di archiviazione R.G. 62950/06: «gli utenti, […] utilizzando una crittografia di sicurezza […] rendono difficile la loro identificazione e pongono problemi non solo per gli esiti delle indagini, ma anche di giurisdizione perché lo scambio che rileva spesso avviene estero su estero»; Trib. Roma 11 Giugno 2009, richiesta di archiviazione: «la responsabilità […] si radicherebbe per il solo fatto di essere costei la proprietaria della linea telefonica a servizio del computer, mentre non vi è prova certa di chi ne abbia fatto uso, specie con le condotte di download che si vorrebbero criminalizzare; [...] onde non vi è prova certa che l'intestatario della linea telefonica abbinata al PC da cui è partito l'input sia di fatto colui che ha posto in essere la condotta». Contra v. Cass. Pen. 7 Marzo 2011, n. 8824. In ambito europeo v. CGUE, Bonnier Audio AB e Altri c. Perfect Communication Sweden AB, proc. C-461/10.
[30] Cfr., inter alia,Ginsburg, The Private International Law of Copyright in an Era of Technological Change, Collected Courses of the Hague Academy of International Law 273, 1998.
[31] Cfr. la dottrina richiamata da Boschiero, op. cit., p. 65.
[32] Così Boschiero, op. cit., p. 68.
[33] Ma contra v. Katsh, “Online Dispute Resolution: Some Implications for the Emergence of Law in Cyberspace”, in Lex Electronica, 10(3):1-12, 2006, p. 2: “During the period when scholars have been debating whether states will cede any of their sovereign authority to some kind of entity in cyberspace, states have, with relatively little notice, been more than willing to allow dispute resolution processes to migrate to cyberspace”.
[34] CGUE, Fiona Shevill c. Presse Alliance, 7 Marzo 1995, proc. C-68/93, in EurLex.
[35] Cfr. Boschiero, op. cit., p. 66.
[36] Le stesse considerazioni valgono, in una qualche misura, anche nel caso in cui tale scelta sia demandata all'interprete proprio in sede di regolamento di giurisdizione: ciò che verrebbe scalfito è un vulnus di principi irrinunciabili per l'ordinamento italiano, i.e. il divieto di essere distolti dal giudice naturale precostituito per legge di cui all'art. 25 Cost.
[37] Cfr. Regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'11 luglio 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali («Roma II»), in GU L 199/40 del 31.07.2007.
[38] Cfr. la dottrina richiamata da Goldsmith, “Against Cyberanarchy”, in University of Chicago Law Review, 65:1199-1250, 1998.
[39] Ci si riferisce in particolare all'accordo TRIPS, ai due trattati WIPO ed ai numerosi accordi di libero scambio (FTAs).
[40] In particolare la Direttiva UE 48/2004 (c.d. “IPRED”).
[41] Cfr. Boschiero, op. cit., p. 60.
[42] In senso affermativo cfr. Ginsburg, “International Copyright: From a «Bundle» of national Copyright Laws to a Supranational Code?”, in Journal of Copyright Society of the USA, 47:265-289, 2000, passim. Contra v. Boschiero, op. cit., p. 61 (la quale sostiene l'incompletezza dell'armonizzazione sostanziale, ammettendo tuttavia che un certo livello di avanzamento in tal senso è stato raggiunto per il diritto d'autore e non anche per i diritti di proprietà industriale).
[43] Cfr. Dreyfuss – Ginsburg, “Draft Convention on Jurisdiction and Recognition of Judgements in Intellectual Property Matters”, in Chicago-Kent Law Review, 77(3):101-183, 2002.
[44] Cfr. Dinwoodie, “New Copyright Order: Why National Courts Should Create Global Norms”, in University of Pennsyslvania Law Review, 149:469-580, 2000.
[45] V. Dreyfuss – Ginsburg, op. cit., p. 105.
[46] V. Dinwoodie, op. cit.,pp. 475-476. Similarmente cfr. Goldsmith, “Against Cyberanarchy”, in University of Chicago Law Review, 65:1199-1250, 1998, p. 1247: “National arbitration laws could be modified to include dispute resolution in cyberspace”.
[47] V. Ginsburg, “Global Use/Territorial Rights: Private International Law Questions of the Global Information Infrastructure”, in Journal of Copyright Society of the USA, 42:318-338, p. 320.
[48] Cfr. diffusamente Johnson – Post, op. cit.
[49] Ivi, p. 1378.
[50] Ivi, p. 1379, nota 33.
[51] Cfr. Johnson – Post, op. cit., p. 1388. Per lo sviluppo di una lex informatica, cfr. Reidenberg, “Lex Informatica: The Formulation of Information Policy Rules through Technology”, in Texas Law Review, 76(3):553-593; v. anche i rilievi di Hardy, “The Proper Legal Regime for 'Cyberspace'”, in Pittsburgh Law Review, 55:993-1052, 1994, pp. 995: “Of course, a specific statutory response is only one of many legal reactions. Case-by-case adjudication and its common law build-up of precedents can also be applied to cyberspace legal issues as well; an international convention can enact uniform model laws; citizens can create their own customs; service providers can specify behavior in their "part" of cyberspace through contracts; a modest degree of anarchy may even be desirable”.
[52] Cfr. Johnson – Post, op. cit., p. 1386.
[53] Ibidem
[54] V. Hilton v. Guyot, 159 U.S. 113 (1985).
[55] Restatement (Third) of Foreign Relations Law of the United States § 403(1) (1987).
[56] Idem
[57] V. Maier H.G., Remarks for the Panel, International Comity and US Federal Common Law, in American Society of International Law Proceedings, 84 pp. 339 ss., 1990, p. 339. (citato anche da Johnson – Post, op. cit., p. 1392).
[58] V. Brilmayer, “Consent, Contract and Territory”, in Minnesota Law Review, 74:1-35, 1989, p. 5.
[59] V. Sandel, “America's Search for a New Public Philosophy”, in Atlantic Monthly, 277(3):57-74, 1997, pp. 73-74. (richiamato anche da Johnson – Post, op. cit., p. 1398).
[60] Johnson – Post, op. cit., p. 1399.
[61] Tale concetto, probabilmente ispirato all'idea di “modernità liquida” di Zygmunt Bauman, è stato sviluppato da Klaus Petrik come un sistema politico in cui cittadini e istituzioni collaborano, attraverso piattaforme telematiche, per raggiungere un grado elevato di consultazione pubblica sulle proposte di legge, che possono provenire anche dall'iniziativa stessa dei cittadini. Cfr. Bauman, Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge, 2000; Petrik, “Deliberation and Collaboration in the Policy Process: A Web 2.0 Approach”, in JeDEM, 2(1):18-27, 2010. Un primo passo verso l'applicazione concreta del concetto di democrazia liquida è stato compiuto attraverso la creazione della piattaforma “Liquid Feedback”, un software creato nel 2009 da Andreas Nitsche, Jan Behrens, Axel Kistner e Bjoern Swierczek su proposta del PiratenPartei tedesco, insoddisfatto dei tradizionali metodi di partecipazione alle scelte politiche nazionali. Tale software permette di integrare i diversi elementi della democrazia liquida, il più importante dei quali consiste nel c.d proxy voting, ossia il voto per delega. Poiché la democrazia diretta richiederebbe che ciascun cittadino esprima la sua opinione su ogni singola proposta di legge, è d'uso nei sistemi democratici moderni eleggere un delegato che possa rappresentarne gli interessi. È evidente che anche in questo caso si tratta di un rapporto agent – principal. La differenza tra la forma parlamentare e il proxy voting sta nel fatto che in questo secondo sistema il principal ha comunque l'ultima parola sulla preferenza, ed inoltre può ritirare la delega in qualsiasi momento. Il concetto di modernità liquida è ancora in fase embrionale per quanto riguarda la sua applicazione, essendo per lo più utilizzata da pochi partiti politici per comunicare e interagire con l'elettorato. Ad esempio, la piattaforma è oggi utilizzata dai Partiti Pirata dei vari Paesi (tra cui quello italiano) ed è stata recentemente adottata anche dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Tuttavia, una conferma della sua praticabilità deriverebbe dalla sua adozione da parte del governo islandese, il quale recentemente ha deciso di sottoporre a revisione la propria costituzione tramite un meccanismo di crowdsourcing, che coinvolge i cittadini nella stesura e nella votazione degli emendamenti. La nuova costituzione, che dovrebbe essere approvata nella primavera del 2013, era rimasta immutata dal 1944, e la sua revisione è stata tra le prime proposte per recuperare il duro colpo della crisi finanziaria sul sistema bancario islandese; prima che il testo entri in vigore, la bozza dovrà essere approvata dal Parlamento, poi ratificata da un referendum popolare e finalizzata dall'assemblea legislativa a seguito di un rinnovo delle Camere. Sulle vicende islandesi, i contributi dottrinari in materia sono ancora scarsi. Tuttavia si segnala il brillante saggio di Gylfason, “From Collapse to Constitution: The Case of Iceland”, CESifo Working Paper: Public Choice, No. 3770, 2012. URL: <http://hdl.handle.net/10419/57288>.
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