Versione per la stampa
L’art. 512 c.p.p. già nella sua formulazione originaria, evidenziava un meccanismo di operatività estremamente delicato, perché la lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione, costituiva (e costituisce) una evenienza che rompe lo schema della normalità, essendo rappresentato dal verificarsi di “fatti o circostanze imprevedibili” che, arrestano la messa in opera della formazione orale della prova che viene proprio, perciò, surrogata dalla lettura. Una attenta giurisprudenza di merito aveva avvertito che il concetto di imprevedibilità ex art. 512 c.p.p. non deve costituire un mezzo attraverso il quale surrettiziamente si sostituisce l’esame con la lettura. Infatti, in caso contrario, poiché attraverso il meccanismo delle letture le dichiarazioni rese al pubblico ministero dai testi entrano tra le prove “legittimamente acquisite nel dibattimento”, prove che il giudice “può utilizzare ai fini della deliberazione” ex art. 526 c.p.p. ,verrebbe sovvertito il principio fondamentale del codice di procedura penale che prevede la formazione della prova in dibattimento[1].
Tale regola è stata, però in alcuni casi intaccata poiché l’elenco degli atti leggibili si è gradatamente allungato nel corso degli anni grazie anche ad interpretazioni giurisprudenziali che ne hanno stravolto l’effettiva portata: così ai soli atti del pubblico ministero sono andati ad aggiungersi, nel testo definitivo del codice, gli atti assunti dalla polizia giudiziaria, la cui lettura inizialmente non era consentita[2]
L’ampliamento è coerente con maggior peso che la nuova normativa ha voluto complessivamente attribuire all’attività di indagine della polizia giudiziaria. Tuttavia, quest’ultima previsione aveva suscitato forti dubbi, perché introdotta senza ripristinare il divieto inizialmente posto dal comma 4 dell’art. 195 c.p.p. e successivamente censurato dalla sentenza n.24 del 1992, con la conseguenza di rendere utilizzabile la testimonianza dell’ufficiale o agente di polizia anche se l’impossibilità di escutere il teste diretto fosse stata ex ante prevedibile[3].
A tutto ciò ha posto rimedio la legge 63/2001 che ha ripristinato il parte il divieto, operante, adesso, quante volte la deposizione sia stata formalmente raccolta. L’art. 512 c.p.p., come già detto in precedenza, ha subito interpretazioni tendenti dilatare oltremodo il raggio applicativo, fino a ricomprendervi tutti gli atti di polizia giudiziaria, pure la “Chiamata di correo… in considerazione della situazione di eccezionalità che si viene a creare” in vista “dell’accertamento della verità, ogni qualvolta si sia verificato un caso di subentrata non reiterabilità”. Secondo la Cassazione, non vi sarebbero “validi motivi per discriminare e ridurre la categoria degli atti utilizzabili in chiave probatoria, poiché… lo stesso legislatore non ha inteso specificare quali siano gli atti assunti dalla polizia giudiziaria suscettibili di essere acquisiti”[4].
Dal canto suo, la Corte Costituzionale seguendo un opinabile orientamento giurisprudenziale e dottrinale, non ha esitato a far rientrare fra gli atti “assunti” dalla polizia giudiziaria, e quindi leggibili ai sensi dell’art. 512 c.p.p., il verbale contenente la denuncia- querela in caso di decesso imprevedibile del querelante o di sua irreperibilità[5].
Può essere utile ricordare che la stessa Corte ha risolto in senso favorevole alla lettura ex art. 512 c.p.p. il caso delle dichiarazioni rese in precedenza alla polizia giudiziaria da un testimone, che poi non potè essere interrogato in dibattimento per una sopravvenuta amnesia[6]. Sulla scorta di tale indirizzo, si era venuto formando in dottrina un orientamento tendente ad ampliare il concetto di irripetibilità sopravvenuta fino ad estenderlo al caso del testimone che in dibattimento si fosse avvalso della facoltà di non rispondere o avesse eccepito di non ricordare[7].
Orientamento reso del tutto privo di fondamento della già citata legge 63/2001 che in tema di “contestazioni dell’esame testimoniale” ha ripristinato la regola del metodo dialogico, con la nostalgia di quanti non si rassegnavano all’idea che le dichiarazioni rese nella fase delle indagini potessero essere del tutte escluse dal patrimonio valutativo del giudice in virtù di una pressoché libera scelta del dichiarante di rendere in dibattimento dichiarazioni anche soltanto “difformi” rispetto a quelle rese in precedenza. Finalmente, il difensore dell’indagato, con la legge 7 dicembre 2000, n.397 vede delineati e riconosciuti quei poteri investigativi solamente abbozzati nell’abrogato art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice: ed ecco così leggibili, ai sensi dell’art. 512 c.p.p., i risultati delle indagini difensive[8]( anche se ad oggi la legge in esame, non consente ad avviso di chi scrive, di rispondere allo scopo per la quale è stata promulgata cioè: parità tra accusa e difesa). Un riferimento particolare va fatto alla posizione dei prossimi congiunti che hanno diritto di astensione, perché è da segnalare un primo intervento della Consulta con cui si era stabilito che si poteva dare lettura delle dichiarazioni rese da persona che aveva diritto di astenersi e che, ritualmente avvertiva a pena di nullità di questa sua facoltà in sede predibattimentale (art. 199 comma 2 c.p.p.)[9], aveva deciso di deporre in quella sede[10]. Se la stessa persona in sede dibattimentale, nuovamente avvertita della facoltà di astensione, dichiarava di non voler rendere la deposizione con l’esercizio di tale suo diritto, si poneva il problema dell’eventuale utilizzabilità dei quelle sue dichiarazioni antecedenti. Ebbene, va detto che la Consulta, anche alla luce delle sentenze nn. 254 e 255 del 1992 e del principio di non dispersione dei messi di prova in essere affermato, aveva ritenuto che si poteva dare lettura di quelle dichiarazioni nell’ambito della regola posta nell’art. 512 c.p.p., affermandosi che quella ipotesi rientrava tra quelle ivi considerate, non essendo possibile in quel momento anteriore prevedere quale sia stato, poi, il comportamento del testimone. “L’acquisizione della prova testimoniale legittimamente assunta non può essere condizionata dall’eventualità di una successiva astensione: non esiste nell’ordinamento una disposizione che autorizzi una interpretazione del genere”. Così la Corte aveva motivato la propria decisione[11].
Non sarebbe stato, invece, possibile fare ricorso al sistema della c.d. lettura per le contestazioni (precedente art. 500 comma 2 bis c.p.p.) in quanto con la dichiarazione di astensione il prossimo congiunto non assumeva nemmeno la qualità di testimone[12]. La premessa della tesi era nella esatta individuazione delle regioni per le quali il legislatore ammette il diritto del prossimo congiunto all’astensione, nella considerazione, cioè, di quella che il Carnelutti sin dal 1960 ebbe per primo ad indicare come tutela “segreto familiare”[13].
L’art. 512 c.p.p. fu così ritenuto idoneo a comprendere tra i fatti (o le circostanze) imprevedibili che rendono impossibile la ripetizione dell’atto anche quelli che, pur se dipendenti dalla volontà del dichiarante (come nel caso disciplinato dall’art. 199 c.p.p.), di fatto determinano comunque l’impossibilità di procedere all’esame dibattimentale. Orbene, la Corte, discostandosi dal proprio precedente orientamento, ha ritenuto che, alla luce della nuova formulazione dell’art. 111 Cost., l’art. 512 c.p.p. deve essere interpretato nel senso che non è consentito dare lettura delle dichiarazioni in precedenza rese dai prossimi congiunti dell’imputato che in dibattimento si avvalgono della facoltà di astenersi dal deporre a norma dell’art. 199 c.p.p., in quanto tale situazione non rientra tra le cause di natura oggettiva di impossibilità di formazione della prova in contraddittorio[14]. E quanto precede perché, a parere della Consulta, i novellati commi 4 e 5 dell’art. 111 Cost., ammettono la deroga al principio generale esclusivamente qualora l’impossibilità di ripetizione dipenda da fatti indipendenti dalla volontà del dichiarante[15]. Circostanze oggettive, quindi[16].
Invero, onde fornire riscontro al proprio pensiero, la Corte riflette sul contenuto del comma 4 dell’art. 111 Cost., ove si stabilisce che “il processo penale è regolato dal principio contraddittorio” e che “la consapevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore”. Da tale precetto i giudici della Consulta fanno discendere che , il generico riferimento a “chi”, contenuto nella norma, debba essere inteso come “chiunque” si sia sottratto ecc., con ciò significandosi che la volontà del prossimo congiunto- dichiarante, a causa della particolarità della sua posizione processuale, integri, di conseguenza, il contenuto del disposto costituzionale[17].
Uno dei casi ricorrenti, invece, ha avuto una sua specifica disciplina, si tratta delle dichiarazioni rese da una cittadino straniero all’estero (si pensi all’esempio di un turista francese che ne corso delle sue vacanze in Italia rimane testimone di un omicidio). Ai fini dell’utilizzabilità probatoria di tali dichiarazioni, la creazione di una disposizione ad hoc si rendeva necessaria, per la inidoneità allo scopo dell’art. 512 c.p.p. Del tutto grossolana sarebbe stata l’interpretazione che avesse assunto la mancata presentazione del teste straniero nella categoria dell’irripetibilità sopravvenuta. Ed infatti, l’irripetibilità del cittadino straniero residente all’estero e privo di relazioni stabili con il territorio italiano sembrava porsi quale eventualità prevedibile sul piano anzitutto logico, dal che derivava l’implausibilità di una riconduzione dell’ipotesi all’interno dei requisiti di sopravvivenza ed imprevedibilità prescritti dall’art. 512 c.p.p. L’art. 512 bis c.p.p. introdotto dalle legge 7 agosto 1992 n.356[18], in stretta colleganza con l’art. 431 comma 1 lett. d) c.p.p. “al fine di evitare l’usura ingiustificata dei testimoni”[19], consentiva al giudice di disporre, a richiesta di parte, la lettura dei verbali di dichiarazioni rese dal cittadino straniero residente all’estero, non citato per il dibattimento o, se citato, non comparso. Tuttavia, l’inserimento di tale norma finiva con l’oltrepassare i limiti applicativi propri dell’art. 512 c.p.p. Soprattutto nel caso di mancata citazione, ed in modo invero eclatante, la disposizione si dispiegava in tutta la sua elasticità, consentendo la lettura dei verbali chiaramente al di fuori del consueto determinarsi di una circostanza imprevedibile di rendere impossibile la ripetizione dell’atto[20]
In altre parole, veniva ad introdursi una chiara presunzione di irripetibilità dell’atto[21], venendo concessa alla parte, e in particolare al magistrato del pubblico ministero, la possibilità di evitare deliberatamente la citazione del teste nella consapevolezza della leggibilità dell’atto[22].
Vero è che i criteri applicativi dell’art. 512 c.p.p. venivano parzialmente differenziati rispetto alle altre ipotesi di lettura, anzitutto in ordine di potere e non all’obbligo in capo al giudice di disporre la lettura dei verbali, da esercitare “tenuto conto degli altri elementi di prova acquisiti”. Una facoltà applicabile, dunque, dopo aver valutato la necessità di acquistare il dato testimoniale sulla scorta della valutazione del materiale già acquisito[23]. Ma è altrettanto vero che la formulazione dell’art. 512 bis c.p.p. rappresentava l’elemento forse più deteriore della complessa operazione restauratrice operata dal riformatore del 1992[24].
Nonostante ciò, la modifica della disposizione in esame ha derivato la propria origine dal dibattito intorno alle modifiche apportate al fascicolo dibattimentale in materia di rogatorie[25]. Non vi è stata, quindi, un’autonoma e ponderata analisi sulla necessità di modificare la norma in argomento, che necessitava di una uniformazione al nuovo art. 111 Cost. La nuova formulazione del precetto costituzionale, demandando alla legge ordinaria la previsione dei “Casi in cui la formulazione o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita”, pur volendo far salvare le ipotesi di lettura degli atti divenuti irripetibili per impossibilità sopravvenuta, purchè di natura oggettiva, avrebbe verosimilmente precluso la leggibilità delle dichiarazioni rese dal cittadino stranieri, almeno nell’ipotesi di omessa citazione[26].
La modifica costituzionale, cioè, non avrebbe lasciato spazio alcuno ad ipotesi presuntive di irripetibilità, mancanti di qualsiasi caratterizzazione oggettiva. Oggi, l’art. 512 bis c.p.p. (come modificato dalle legge n.479 del 1999) consente la lettura dei verbali di dichiarazioni rese da persona residente all’estero ( anche se rese a seguito di rogatoria internazionale), che sia stata citata e non sia comparsa, ma solo nel caso in cui l’esame dibattimentale sia assolutamente impossibile. L’ammissibilità della lettura continua ad essere subordinata alla valutazione “degli altri elementi di prova acquisiti”.
Le Sezioni Unite con una recente sentenza[27] in materia di condizioni e limiti all’utilizzo in giudizio di dichiarazioni rese nelle indagini da persone residenti all’estero, intervengono per “scolpire” i precetti costituzionali presenti nel comma 5 dell'art. 111 della Carta Costituzionale, ostentando una necessaria e, allo stesso tempo, indispensabile sensibilità al contesto giuridico di un processo penale che deve obbligatoriamente calarsi nel sistema delle garanzie costituzionali. La norma probatoria in esame,appare legittima solo se conforme alla regola del contraddittorio. Le letture dibattimentali in genere, costituiscono di per sé espressione di una deroga all’oralità , si collocano al confine dell’area consentita dalla Costituzione,devono trovare legittimazione in esigenze eccezionali, che il sistema processuale penale protegge a determinate condizioni. Come già rilevato,la prima, richiede che il testimone residente all’estero sia stato citato ma ciò nonostante non sia comparso. Tale indispensabile adempimento,impone al giudice attraverso i suoi ausiliari una seria ed efficace ricerca affinché possa dirsi che il teste citato non sia comparso per accertata impossibilità di natura oggettiva. In secondo luogo, continua la Corte,perché la lettura sia legittima e le deposizioni utilizzabili, occorre che sia assolutamente impossibile l’esame dibattimentale: il che significa che non sono sufficienti mere difficoltà logistiche per ritenere soddisfatta la condizione voluta dalla legge, ma occorre che l’impossibilità dell’esame sia accertata e sia di natura oggettiva, come richiesto dall’art. 111 comma 5 Cost. Altro punto discusso nella pronuncia è il problema della volontarietà della sottrazione al confronto, che si riflette sul momento di valutazione della prova, ex art. 526 comma 1-bis c.p.p., la regola, omologa al principio costituzionale, che sembra anche tradurre la lettura che la Corte di Strasburgo da tempo offre dell’art. 6 par. 3 lett. d) della Convenzione, secondo cui non è fair quel processo che permetta al giudice di condannare considerando determinante un elemento sul quale l’accusato non abbia avuto un’occasione sufficiente per confrontarsi con l’accusatore.[28]
La Suprema Corte, ha altresì osservato, che l’art. 526, comma 1-bis, cod. proc. pen. deve essere ritenuta norma di chiusura così da imporsi come regola di valutazione della prova “ sempre applicabile anche con riferimento a dichiarazioni che risultino legittimamente acquisite alla stregua della disciplina sulle letture dibattimentali, le quali, quindi, non potrebbero, di per sè sole, fondare la dichiarazione di colpevolezza dell'imputato». In sostanza in caso di dichiarazione predibattimentale legittimamente acquisita, deve poi comunque trovare applicazione il principio ricavabile dall’art. 6, commi 1 e 3, lett. d), della CEDU, - secondo cui «la dichiarazione accusatoria della persona offesa, acquisita fuori dalla fase processuale vera e propria ed in assenza della possibilità presente o futura di contestazione del mezzo stesso in contraddittorio con la difesa, per sostenere l'impianto accusatorio deve trovare conforto in ulteriori elementi che il giudice, con la doverosa disamina critica che gli è richiesta dalle norme di rito, individui nelle emergenze di causa».Ciò in linea con un’interpretazione dell’ art. 111 , comma quarto Cost. ( riprodotto dall’ art. 526 co. 1 bis c.p.p.).,idonea ad escludere ogni profilo di incompatibilità con quanto disposto dall’ art-. 6 CEDU- che pone regole di valutazione della prova dichiarativa legittimamente acquisita. Nella menzionata sentenza si legge , infatti , che “ l’art. 526, comma 1-bis, cod. proc. pen. (riproducendo l’art. 111, comma quarto, Cost.) pone un limite alla utilizzazione probatoria delle dichiarazioni non rese in contraddittorio valevole per alcune determinate ipotesi. La norma convenzionale pone una analoga regola di valutazione probatoria delle stesse dichiarazioni valevole anche per altre ipotesi. Ora, la norma nazionale dice solo che in quelle ipotesi si applica quella regola, ma non dice anche che in ipotesi diverse debba valere un opposto criterio, ossia non esclude che anche nelle altre ipotesi possa applicarsi un analogo criterio di valutazione probatoria, ricavato in via interpretativa dalle norme o dai principi in materia o anche posto da una diversa norma comunque operativa nell’ordinamento. La norma nazionale, in applicazione del principio generale del giusto processo, pone una determinata tutela per l’imputato, ma non esclude che una tutela più estesa possa essere posta o ricavata da norme diverse.”
Michele Di Iesu - Settembre 2012
(riproduzione riservata)
[1] Pret. Torino, ord. 29 gennaio 1991, in Dif. Pen., 1992, n. 34, p. 87, n. 250.
[2] Trib. Torino, ord. 14 maggio 1991, in Dif. Pen., 1992, n. 34, pp. 86-87, n. 249.
[3] Faceva notare P. Ferrua, Anamorfosi del processo accusatorio, in Id., Studi sul processo penale. II.
Anamorfosi del processo accusatorio, cit., p. 160, come la Corte, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 195 comma 4 c.p.p., fosse inconsapevole di “consentire la testimonianza indiretta non solo nei casi di irripetibilità della testimonianza diretta, ma anche in aggiunta a questa, anzi prima di questa”. In tal caso, all’esame del testimone diretto, accompagnato dall’eventuale contestazione delle precedenti dichiarazioni contenute nel verbale, poteva aggiungersi l’esame del verbalizzante, che era autorizzato a servirsi del medesimo documento in aiuto alla memoria: dando luogo, in sostanza, ad una lettura, destinata però ad avere lo stesso valore delle dichiarazioni orali del testimone. A suo parere, sarebbe stato “assai meno sconvolgente dichiarare l’illegittimità dell’art. 512 c.p.p.”, nella parte in cui non prevedeva la lettura degli atti di polizia giudiziaria “imprevedibilmente irripetibili”.
[4] S. Buzzelli, Le letture dibattimentali, cit., 99. 90-91.
[5] Corte Cost., ord. 12 aprile 1996 n.114, in Giur. Cost., 1996, p. 993. Per l’orientamento giurisprudenziale v., Cass., sez. II, 15 maggio 1996, Vassiliev, in Arch., n. proc. Pen. , 1997, 1997, p. 76, (“dopo la novella… del 1992… della querela- denuncia presentata alla polizia giudiziaria da persona poi resasi irreperibile, può essere data lettura da parte del giudice a norma dell’art. 512”) e, analogamente, Cass., sez. V, 18 maggio 1993, Vitalizi, in Arch., n.. proc. Pen., 1993, p. 780. Ove si evidenzia “che la norma in questione costituisce anche deroga al disposto” dell’art. 511 comma 4 c.p.p. Condivide queste decisioni anche G. Garuti, Utilizzabilità delle dichiarazioni orali di querela, in Riv. it , dir. Proc. Pen., 1996, p. 864, il quale afferma che gli artt. 511 comma 4 e 512 c.p.p. “anche se riferibili entrambi al regime delle letture, continuano ad avere ambiti di applicazione… distinti”.
[6] Corte Cost., ord. 19 gennaio n. 20, in Cass. Pen., 1995, p. 1145, m. 689: “la questione sollevata si fonda sull’assunto, propugnato dal giudice a quo, in base al quale l’art. 512 c.p.p. non comprenderebbe tra i fatti o circostanze prevedibili che comportano l’impossibilità di ripetizione dell’atto anche l’alterazione patologica determinante nel teste un’assoluta amnesia sui fatti del giudizio. Tale interpretazione non può assolutamente essere condivisa quanto da una piana lettura dell’art. 512 c.p.p. emerge che, ai fini della legittimità della lettura, la norma postula la sola condizione della impossibilità di ripetizione degli atti a motivo di fatti o circostanze imprevedibili, fra i quali nulla autorizza ad eludere una infermità del teste (da verificarsi sulla base di accertamenti che spetta al giudice del dibattimento valutare) determinante l’assoluta amnesia dei fatti di causa. Tale conclusione è ulteriormente suffragata dal coordinamento sistematico dlel’art. 512 c.p.p. con il comma terzo dell’art. 195 c.p.p., il quale espressamente prevede lo strumento della testimonianza indiretta in caso di infermità del teste diretto che ne renda impossibile l’esame”.
[7] G. Illuminati , La Giurisprudenza costituzionale in tema di oralità e contraddittorio, in I nuovi binari del processo penale tra giurisprudenza costituzionale e riforme, Milano, 1996, p. 74. Di diverso avviso C. Castellani, sub art. 462, in Commentario breve al codice di procedura penale, a cura di G. Conso -V. Grevi, Padova, 1987, p. 1226, il quale sosteneva che per potersi procedere all’acquisizione integrale delle pregresse dichiarazioni, ai sensi dell’art. 512 c.p.p., l’amnesia andava intesa come inabilità a deporre, ovvero come “situazione patologica irreversibile da dimostrare sulla base di certificati medici equipollenti”; e in giurisprudenza, Cass., sez. III, 2 febbraio 1995, De Tutti, in Cass. Pen. 1996, p. 2623, m. 1502, secondo la quale, nel caso in cui il teste avesse eccepito di non ricordare, continuava ad applicarsi l’art. 500 comma 2 bis c.p.p., poiché “si trattava sempre di una totale o parziale mancanza di risposta e di una divergenza rispetto alle risultanze delle indagini preliminari”. Mentre per S. Buzzelli, Le letture dibattimentali, cit.,p. 94, su tale delicato tema era raccomandabile un atteggiamento dettato da maggiore prudenza, onde evitare di ridurre il valore del disposto di cui al comma 2 bis dell’art. 500 c.p.p.
[8] Prima dell’entrata in vigore della legge 397/2000, la maggioranza della dottrina concordava sul fatto che l’art. 512 c.p.p. inibiva la lettura delle dichiarazioni assunta dal difensore ai sensi dell’art. 38 norme att. c.p.p.
[9] L’omesso avvertimento darebbe luogo “a nullità soltanto relativa, che come tale, non è rilevabile d’ufficio e può essere dedotta, a pena di decadenza, esclusivamente nei termini previsti dall’art. 181 c.p.p., risultando comunque sanata nel caso in cui l’imputato abbia accettato gli effetti della deposizione”( Cass., sez., V, 17 novembre 1998, Bonotti, in Gazz. Giur., 1999, n. 13, p. 29). Per quanto concerne le modalità ed il contenuto dell’avviso, si ritiene tuttora valido quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, pur non richiedendosi l’uso di espressioni sacramentali, esso deve essere rivolto all’interessato in forma esplicita ed univoca, in modo da focalizzare l’attenzione del teste sulla possibilità di avvalersi del diritto di astensione e di evitare l’alternativa tra il danneggiare un congiunto col riferire la verità o dire il falso richiamando l’incriminazione per falsa testimonianza, G. Ichino, La facoltà di astensione dei prossimi congiunti, in Cass. Pen., 1993, p. 1588, n. 950.
[10] La Corte Costituzionale con la sent. 16 maggio 1994 n. 179, in Giur. Cost., 1994, p. 1589 ss., ha dichiarato non fondata la questione di legittimità degli artt. 500 comma 2 bis e 512 c.p.p., nella parte in cui non consentono di contestare o di dare lettura delle dichiarazioni rese, nelle fasi antecedenti il dibattimento, da prossimi congiunti, citati come testi, che si siano avvalsi nel giudizio della facoltà di non rispondere. A proposito di tale sentenza, c. in dottrina Pitton, Segreto domestico, facoltà di astensione e utilizzazione dibattimentale, in Giur. Cost., 1994, p. 1595; Cenci, Contestazione dell’esame testimoniale e facoltà di attenzione dei prossimi congiunti, ivi, p. 1601; Giarda, Le leggi della fisica e quelle del processo, in Il corr. Giur., 1994, p. 963. In tema di facoltà di astenersi dal testimoniare dei prossimi congiunti, v. Di Martino, Prove testimoniale (II d.p.p.), in Enc. Giur. Treccani, 1991; Ichino, La facoltà di astensione dei prossimi congiunti, cit., p. 1587; Spangher, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da Chiavario, vol. II, Utet, 1990, p.455.
[11] Per S. Buzzelli, Le letture dibattimentali, cit., pp. 96-97, la Corte Cost., con questa decisione, oscurava “il canone della non rinviabilità al dibattimento fondante la richiesta di incidente probatorio e quello dell’art. 512 c.p.p. che permette di leggere quanto divenuto imprevedibilmente irripetibile: è sulla base di questi criteri che va acquisito il dictum del prossimo congiunto, dopo aver controllato che le dichiarazioni siano state assunte nelle sedi predibattimentali con il rispetto delle regole probatorie”.
[12] Così Cass., sez. I, 23 ottobre 1996, Mauro e altro, in Riv. Pen., 1997, p. 340
[13] F. Carnelutti, Principi del processo penale, Napoli, 1960, p. 198. Per la Corte Costituzionale “si tratta di ragioni consistenti nella tutela del sentimento familiare (latamente inteso), e nel riconoscimento del conflitto che può determinarsi, in colui che è chiamato a rendere testimonianza, tra il dovere di deporre e dire la verità e il desiderio o la volontà di non danneggiare il prossimo congiunto. Nondimeno, nel riconoscere prevalenti, e quindi nel tutelare tali motivi di ordine affettivo, il legislatore non ha stabilito un criterio assoluto- quale sarebbe stato, ad esempio, il divieto di testimoniare- ma ha accordato la facoltà di astenersi dal deporre solo se, e in quanto, l’interessato reputi di non dovere, o non potere, superare quel conflitto”(Corte Cost., sent. 16 maggio 1994 m. 179, in Cass. Pen., 1994, p. 2389, m. 1465).
[14] Corte Cost., sent. 12-25 ottobre 2000 n. 440, Mirabelli-Neppi Modona, in Cass. Pen., 2001, p. 35, m. 12.
[15] V. Bricchetti, Sull’attuazione del principio del contraddittorio la Corte Costituzionale lascia spazio al Parlamento, in Giuda dir., 2000, n. 41, p. 107. L’autore afferma che la Consulta abbia risolto la questione postale dalla corte di merito “evitando affermazioni che possano, in qualche modo, rendere ancora più difficoltoso il già travagliato iter parlamentare d’approvazione della legge d’attuazione” del c.d. Giusto processo. Cfr., anche, Marzaduri, sub art. 1 della legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in Leg. Pen., 2000, n.4, in merito ai pericoli a cui, a livello pratico, poteva esporre l’interpretazione della sentenza 179/94 della Corte Costituzionale nell’attuazione dei principi enunciati con la legge costituzionale 2/99.
[16] La Corte Costituzionale rifiuta la precedente-estensiva-interpretazione, che a ben vedere, non era comunque aderente ai principi generali stabiliti dal codice di rito, poiché il rifiuto di deporre è sempre dipeso dalla volontà del prossimo congiunto- testimone, cosicchè, a parere di L.G. Velani, Facoltà di astensione dei prossimi congiunti: il nuovo orientamento della Consulta limita la possibilità di ricorrere all’applicazione dell’art. 512 c.p.p., in Cass. Pen., 2001, p. 793, nota 28, alla medesima conclusione a cui sono giunti i giudici della Consulta con la sentenza in commento, si sarebbe potuti giungere ugualmente anche in precedenza.
[17] L.G. Velani, Facoltà di astensione dei prossimi congiunti: il nuovo orientamento della Consulta limita la possibilità di ricorrere all’applicazione dell’art. 512 c.p.p., cit., pp. 793-794.
[18] Con questa norma il legislatore ha quindi individuato una nuova categoria di atti irripetibili, di cui è consentita l’utilizzazione in dibattimento.
[19] Intervento sottosegr. De Cinque, in Atti Sen., XI leg., Boll. Giunte e Comm., sed. 21 luglio 1992, p.7.
[20] Così C. Taormina, Il processo di parti di fronte al nuovo regime delle contestazione e delle letture dibattimentali, in Giust. Pen., 1992, III, c. 459.
[21] In questo senso, A Nappi, Guida al nuovo codice di procedura penale, III ed., Milano, 1992, p. 78.
[22] Cfr. C. Taormina, Diritto processuale penale, vol. II, 1995 Torino, p. 665.
[23] Si veda Cass., 7 gennaio 1993, Commisso, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1994, p. 1563, con nota di M. Montagna, Dialettica dibattimentale, limitazioni all’oralità e processo giusto.
[24] Per le numerose critiche intorno a tale norma v., C. Cesari, L’irripetibilità sopravvenuta degli atti di indagine, cit., p. 509; E. Fassone, Le letture, cit., pp. 855-856; M. Caianello, Dubbi di costituzionalità sull’art. 412 bis c.p.p., in Gazz. Giur., 1998, n. 40, p. 9. Per F Cordero, Procedura penale, Milano, 1998, p. 674, la norma è indecorosa; la cattiva coscienza trapela dall’inciso(tenuto conto degli altri elementi di prova).
[25] Per R. Bricchetti, L’accusa perde l’esposizione introduttiva, in Giuda dir., 2000, n. 1, p. LXXI, la “rigorosità della norma è in linea con le modificazioni apportate” all’art. 431 c.p.p. “con specifico riguardo all’inclusione nel fascicolo del dibattimento dei verbali degli atti assunti all’estero a seguito di rogatoria internazionale”.
[26] In rapporto allo spazio che l’art. 111 comma 5 Cost. pare mettere a disposizione per le letture, V. Grevi, Dichiarazioni dell’imputato sul fatto altrui, diritto al silenzio e garanzia del contraddittorio (dagli insegnamenti della Corte Costituzionale al progettato nuovo modello di giusto processo”), cit., p. 846, sottolinea quanto sia delicato far rientrare in questa area costituzionale proprio l’eventualità di “omessa citazione… come peraltro è previsto, nei riguardi degli stranieri residenti all’estero, dall’odierno art. 512 bis. c.p.p.”.
[27]Sul punto Cass., Sez. un., 25.11.2010 (dep. 14.7.2011), n. 27918, Pres. Fazzioli, Rel. Franco, ric. De F.
[28] Sul punto cfr H. Belluta.,20 luglio 2011, “dibattimento e sentenza” in http:/ www. penalecontemporaneo.it
|