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Sommario: 1. La confisca e le principali questioni interpretative in tema di profitto e prezzo – 2. La confisca per equivalente – 2.1. La confisca di valore: concorso di persone nel reato e responsabilità degli enti collettivi.
Sommario: 1. La confisca e le principali questioni interpretative in tema di profitto e prezzo – 2. La confisca per equivalente – 2.1. La confisca di valore: concorso di persone nel reato e responsabilità degli enti collettivi.
La confisca trova la propria collocazione normativa nell’art. 240 c.p., fra le misure di sicurezza patrimoniali. Essa si sostanzia nell’espropriazione ad opera dello Stato delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato ovvero ne rappresentano il prodotto, il profitto o il prezzo. La sua effettiva natura di misura di sicurezza è tuttavia contestata poiché essa non si fonda sulla pericolosità del soggetto, ma su quella della cosa. Parte della dottrina è così giunta a qualificarla come sanzione sui generis, talaltra invece come pena accessoria. L’opinione tradizionalmente prevalente sottolinea tuttavia l’identità della funzione svolta dalla confisca rispetto a quella delle altre misure di sicurezza e ricostruisce un concetto relazionale di pericolosità della cosa da non intendersi come attitudine della stessa a recar danno, ma come possibilità che essa, qualora lasciata nella disponibilità del reo, venga a costituire per lui un incentivo a commettere ulteriori illeciti, una volta che egli sia certo che il prodotto del reato non gli verrà confiscato.
Il carattere peculiare della confisca ne determina un differente regime rispetto alle altre misure personali e patrimoniali. Ad essa non sono infatti applicabili le disposizioni di cui all’art. 207 c.p. in tema di revoca della misura di sicurezza, né quelle di cui all’art. 210 c.p., richiamato dall’art. 236 c.p..
Per principio generale la confisca è facoltativa. Ai sensi dell’art. 240/1 c.p. il Giudice può decidere discrezionalmente, con provvedimento motivato, se ordinare la confisca delle cose che servirono alla commissione del reato o, in caso di delitto tentato, furono destinate alla stessa, ovvero, delle cose che ne costituiscono il prodotto o il profitto. Presupposti della scelta giudiziale sono: l’esistenza di una sentenza di condanna e la non appartenenza della res a persona estranea al reato.
Per consolidata giurisprudenza, ilprofitto è qualificato come il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato. Esso presuppone l’accertamento della sua diretta derivazione causale dalla condotta dell’agente. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il parametro della pertinenzialità al reato del profitto rappresenta l’effettivo criterio selettivo di ciò che può essere confiscato a tale titolo. Occorre cioè una correlazione diretta del profitto col reato e una stretta affinità coll’oggetto di questo, escludendosi qualsiasi estensione indiscriminata o dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale che possa comunque scaturire pur in difetto di un nesso diretto di causalità dall’illecito (Cass., SU, n. 26654/08, Fisia Italimpianti). A tale criterio di selezione s’ispira anche un’altra pronuncia a Sezioni Unite del 2007 che, con riferimento alla confisca del profitto del reato di concussione, pur privilegiando una nozione estensiva dello stesso, tanto da ricomprendervi anche il bene acquistato col denaro illecitamente conseguito attraverso il reato, ha sottolineato come tale reimpiego sia comunque causalmente ricollegabile al reato e al profitto immediato dello stesso. Le Sezioni Unite ribadiscono la necessità di un rapporto diretto fra profitto e reato, negando all’autore del reato la possibilità di sottrarre il profitto alla misura ablativa attraverso l’escamotage di trasformare l’identità storica di quest’ultimo che rimane comunque individuabile nel frutto del reimpiego causalmente ricollegabile in modo univoco all’attività criminosa posta in essere dall’agente (Cass., SU, n. 10280/07, Miragliotta).
Nella prassi applicativa, ed in particolare nel reato di aggiotaggio, la giurisprudenza è giunta a considerare profitto del reato il complesso dei vantaggi economici tratti dall’illecito e a questo strettamente pertinenti, senza che ad esso possano essere sottratti i costi sostenuti per la commissione del reato. Si ritiene quindi legittimo il mancato scorporo dalle somme oggetto di sequestro preventivo per il reato di manipolazione di mercato, delle somme di denaro corrispondenti agli interessi versati dall’indagato nell’ambito dell’operazione bancaria necessaria all’acquisto di titoli azionari oggetto di aggiotaggio (Cass., V, 18.7.08, n. 44032). Ancora, in tema di corruzione in presenza di un contratto di appaltoottenuto con la corruzione di pubblici funzionari, secondo la Suprema Corte di Cassazione la nozione di profitto confiscabile al corruttore non va identificata con l'intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la P.A., dovendosi in proposito distinguere il profitto direttamente derivato dall'illecito penale dal corrispettivo conseguito per l'effettiva e corretta erogazione delle prestazioni svolte in favore della stessa amministrazione, le quali non possono considerarsi automaticamente illecite in ragione dell'illiceità della causa remota (Cass., VI, 26.3.09, n. 1789).Sempre con riferimento al reato di corruzione per la vendita di un bene di un ente pubblico, la Suprema Corte è giunta ad affermare che il profitto di tale reato non è costituito dall’intero corrispettivo, ossia dalla somma di denaro equivalente al controvalore del bene, ma dalla sola plusvalenza che il privato ha realizzato pattuendo illecitamente un corrispettivo maggiore rispetto al normale valore di mercato (Cass., VI, 13.11.08, n. 44995).
Al profitto del reato si contrappone il prodottodello stesso che la giurisprudenza individuanel risultato empirico dell’illecito, ossia nelle cose create, adulterate, trasformate o acquistate mediante il reato.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 240 c.p. la confisca può altresì essere obbligatoria. Oggetto di confisca obbligatoria sono: le cose che costituiscono il prezzo del reato, in presenza di una sentenza di condanna, se queste non appartengono a persona estranea al reato; ovvero le cose la cui fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione costituisce reato anche se non è stata pronunciata sentenza di condanna. Anche in quest’ultimo caso affinché venga disposta la confisca la cosa non deve appartenere a persona estranea al reato e, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione non devono essere consentiti da autorizzazione amministrativa.
Con il termine prezzo del reato la giurisprudenza intende il compenso dato o promesso ad una determinata persona come corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito. In tema di corruzione per esempio, la giurisprudenza ritiene confiscabile quale prezzo del reato l’utilità materialmente corrisposta al corrotto se alla promessa segue la dazione, o alternativamente l’utilità promessa, se la dazione non ha luogo (Cass., VI, 5.6.07, n. 31691).
Con riferimento alla confisca del prezzo, in giurisprudenza era sorto il contrasto interpretativo circa la possibilità di confiscare il predetto in presenza della dichiarazione di estinzione del reato. La Suprema Corte di Cassazione nel 2008 ha composto il contrasto giurisprudenziale ritenendo che “…la dichiarazione di estinzione del reato preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall’art. 240/2 n. 1 c.p….”. Affermano infatti le Sezioni Unite che l’avverbio sempre impiegato dall’art. 240/2 c.p. serve a rendere obbligatoria una confisca che altrimenti sarebbe stata facoltativa ma non sta a significare che la misura debba essere disposta anche nel caso di proscioglimento ed in particolare di estinzione del reato, posto che, solo l’ipotesi contemplata dall’art. 240/2 n. 2 c.p. prescinde dalla presenza della sentenza di condanna. Inoltre, sostengono le Sezioni Unite, disporre la confisca in caso di estinzione del reato significherebbe attribuire al Giudice accertamenti che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata a quel tipo di situazione processuale. Proprio sotto questo aspetto è infatti evidente la differenza fra i casi contemplati dall’art. 240/2 n. 2 c.p. e gli altri, posto che, solo l’art. 240/2 n. 2 c.p. è focalizzato sulle caratteristiche delle cose da confiscare, le quali, in genere, non richiedono accertamenti anomali rispetto all’obbligo dell’immediata declaratoria di estinzione del reato (Cass., SU, n. 38834/08, De Maio).
La confisca per equivalente o confisca di valore è stata introdotta nel nostro ordinamento nel solco di un orientamento già emerso in altri paesi, allo scopo di potenziare l’efficacia dello strumento in esame nel contrasto di alcune gravi forme di criminalità. Essa, nel caso in cui vi sia l’impossibilità di agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, consente l’espropriazione di utilità patrimoniali di valore corrispondente di cui il reo abbia la disponibilità. Tale tecnica ablativa, inserita per la prima volta nel nostro ordinamento in occasione della riforma del reato di usura (art. 644 c.p. ultimo comma) è stata successivamente estesa ai reati in materia di pubblica amministrazione e contro gli interessi della comunità europea per effetto dell’art. 322-ter c.p., introdotto dalla l. 300/00.
La sempre maggiore estensione dei casi di confisca per equivalente, ha originato un’ampia casistica giurisprudenziale in ordine a rilevanti questioni di diritto penale sostanziale.
Innanzitutto, con rifermento alla natura giuridica dell’istituto de quo ne è stata ribadita l’essenza sanzionatoria.
La Corte Costituzionale con ordinanza n. 97/09 nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto gli artt. 200, 322-ter c.p. e 1/143 l. 244/07 sollevata per violazione degli artt. 7 CEDU e 117 Cost., ha ritenuto erronea l’interpretazione fornita dal giudice a quo poichè l'art. 1/143 l. 244/07 (con il quale la disciplina della confisca per equivalente ex art. 322-ter c.p. è stata estesa ai reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter e 11 del d.lgs 74/00) non opera retroattivamente. Infatti come affermato anche in numerose pronunce della Corte di Cassazione, la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all'assenza di un rapporto di pertinenzialità (inteso come nesso diretto, attuale e strumentale) tra il reato e detti beni, conferiscono all'indicata confisca una connotazione prevalentemente afflittiva, attribuendole cosí una natura eminentemente sanzionatoria che impedisce l'applicabilità a tale misura patrimoniale del principio generale dell'art. 200 c.p., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione e possono essere, quindi, retroattive (ex multis: Cass., n. 39173/08, n. 13098/09).
Il Giudice delle leggi inoltre, giunge alla predetta conclusione in base alla duplice considerazione che il II comma dell'art. 25 Cost. vieta l'applicazione retroattiva di una sanzione penale, come deve qualificarsi la confisca per equivalente, e che anche la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto con i principi sanciti dall'art. 7 della CEDU l'applicazione retroattiva di una confisca di beni riconducibile proprio ad un'ipotesi di confisca per equivalente (Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza n. 307A/1995, Welch v. Regno Unito).
Anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2005 (Cass., SU, n. 41396/2005, Muci) hanno affermato che pur a fronte di un’evoluzione normativa dell’istituto, il quale ha assunto una fisionomia ibrida e polivalente, la confisca aderisce ad una logica sanzionatoria, in chiave di prevenzione e di strumento strategico di politica criminale, volto a contrastare fenomeni sistemici di criminalità economica e di criminalità organizzata. Nel “fissarne” l’essenza, le Sezioni Unite hanno poi aggiunto che “costituendo una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti, la confisca per equivalente assume preminente carattere sanzionatorio”.
Alla luce di tale impostazione, la prevalente giurisprudenza tende a ritenere che oggetto della confisca per equivalente possa essere il solo profitto del reato e non anche gli interessi, poiché ciò attribuirebbe alla confisca un carattere risarcitorio incompatibile col dettato normativo. Una diversa impostazione si porrebbe in contraddizione col principio di legalità penale, destinato a valere – sia pure in forme diverse da quelle proprie delle misure incidenti sul fondamentale diritto costituzionale della libertà personale – anche in ordine alle misure incidenti sul diritto di proprietà (Cass., n. 30543/07).
In ordine all’istituto in esame, merita di essere segnalato come la misura cautelare reale del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente prevista dalla l. 16 marzo 2006, n. 146 (reato transnazionale), sia ritenuta dalla giurisprudenza di legittimità applicabile alle res costituenti il prodotto, il profitto o il prezzo di uno dei reati contemplati dall’art. 3 della l. citata in base al combinato disposto degli artt. 321 c.p.p. e 11 l. 146/06 posto che la norma processuale si riferisce a tutte le ipotesi di confisca, ivi comprese quelle previste dalle leggi speciali (Cass., III, n. 6342/08).
Infine, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca de qua è da ritenersi legittimo anche quando vi sia impossibilità transitoria di reperimento del profitto illecito purchè si tratti d’una situazione reversibile, sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura (Cass., II, n. 2823/09).
2.1 Una delle principali questioni che si sono poste con riferimento all’istituto de quo ha riguardato l’applicabilità della confisca e del provvedimento cautelare di sequestro preventivo nel caso di concorso di persone nel reato e in generale nei casi in cui ricorre la responsabilità di più soggetti, comprese le persone giuridiche.
Nella confisca per equivalente non assume rilevanza il nesso di pertinenza tra il reato e la cosa da confiscare (e – prima – da sequestrare) e pertanto, dovendo reperirsi una qualunque somma di denaro nella disponibilità degli indagati, si deve stabilire se ed in che misura il provvedimento possa colpire indifferentemente uno o tutti gli indagati.
Una parte della giurisprudenza ritiene che il sequestro e la confisca possano colpire i beni di uno solo dei soggetti chiamati a rispondere del reato. A tal proposito in materia di truffa, la Corte di Cassazione ha stabilito che a ciascun imprenditore coinvolto in un comune affare illecito può essere sequestrato denaro pari al profitto dell’intera truffa, a prescindere sia da quanto lui, come singolo, abbia ricavato dall’operazione, sia dal fatto che il denaro sia stato materialmente appreso da terzi di buona fede (ex multis: Cass., II, n. 20512/09, Cass., SU, Muci, cit.). Ancora, la Corte di Cassazione ha affermato che ai sensi dell’art. 640-quater c.p. è ammessa la confisca per equivalente (e il previo sequestro preventivo) a carico del responsabile di uno dei reati richiamati (es. 640-ter c.p.: frode informatica), anche se tale profitto sia stato conseguito da un terzo estraneo al reato. Nella specie era stato disposto il sequestro preventivo per equivalente di beni appartenenti ad un commercialista che, in concorso con funzionari dell’Agenzia delle Entrate, aveva ottenuto, intervenendo abusivamente nel sistema informatico dell’anagrafe tributaria, uno sgravio fiscale in favore dei suoi clienti. La Suprema Corte ha ritenuto legittima la confisca di beni di cui ha disponibilità l’autore per i reati previsti dall’art. 640-quater c.p. sino alla concorrenza di un valore corrispondente al profitto conseguito da terzi estranei con tali condotte. Afferma infatti il Supremo Collegio come l’art. 640-ter c.p. preveda espressamente la condotta di chi “…procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno...”. Il profitto dell’altro è quindi elemento costitutivo del delitto de quo ed oggetto specifico della condotta che l’imputato pone in essere, a prescindere dall’eventuale coinvolgimento dell’altro nella condotta delittuosa, posto che è la struttura della fattispecie stessa a considerare il profitto conseguito dall’altro come elemento costitutivo, prescindendo completamente dalla posizione fattuale e psicologica di tale altro nella vicenda. In altri termini, secondo la Suprema Corte deve essere ritenuto profitto del reato anche quello conseguito dal terzo. Poiché l’art. 322-ter c.p., applicabile alla fattispecie in esame in ragione del richiamo espresso operato dall’art. 640-quater c.p., prevede la confisca dei beni che costituiscono il profitto del delitto, nel reato di cui all’art. 640-ter c.p. viene in immediata e diretta considerazione anche il profitto del terzo, che l’imputato abbia perseguito e conseguito.
L’art. 640-quater c.p. prevede il richiamo alle disposizioni dell’art. 322-ter “in quanto applicabili”. Ora, la nozione di prezzo del reato è richiamata nel I comma dell’art. 322-ter c.p. come eventuale limite alla confiscabilità di beni del reo, con specifico richiamo ai delitti previsti dagli artt. 314-320 c.p.. Tali reati si caratterizzano strutturalmente per la utilizzazione, ricezione o promessa di denaro, di cosa determinata o di altra utilità da parte di soggetto qualificato. Quel limite non opera invece quando sono considerate le possibili condotte del soggetto non qualificato, nel capoverso dell’art. 322-ter c.p., ove il parametro principale è solo quello del profitto. La struttura della fattispecie ex art. 640-ter c.p. è infatti del tutto diversa da quella dei reati considerati nell’art. 322-ter c.1 c.p., sì che, il richiamo che l’art. 640-quater opera all’art. 322-ter c.p., deve intendersi riferito all’ipotesi del capoverso ove l’autore del reato risponde comunque coi propri beni per un valore corrispondente a quello del profitto, prescindendo dall’estraneità dei terzi al reato. La Corte di Cassazione giunge dunque a ritenere legittima la confisca dei beni di cui ha disponibilità l’autore di condotte sussumibili nell’art. 640-ter c.p. fino a concorrenza di un valore corrispondente al profitto, proprio, di concorrenti o di terzi, conseguito mediante tali condotte (Cass., VI, n. 16669/09).
Anche con riferimento alla criminalità d’impresa, la giurisprudenza di legittimità ha espresso il medesimo principio.
Afferma infatti la Corte di Cassazione che nell’ambito della corporate criminality v’è responsabilità cumulativa dell’individuo e dell’ente collettivo sì che, il nesso tra le due responsabilità pur non identificandosi con la figura tecnica del concorso è ad essa equiparabile posto che, da un’unica azione criminosa scaturiscono una pluralità di responsabilità. In sostanza, l’appartenenza dell’autore individuale della condotta all’ente è imprescindibile punto di partenza della complessiva vicenda criminosa, nel senso che è proprio la condotta della persona fisica, posta in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente, a determinare l’estensione a questo della responsabilità per il reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio. Il sequestro preventivo funzionale alla confisca di valore, pertanto, ben può incidere contemporaneamente sia sulle persone fisiche indagate (nella specie, per il reato di corruzione) sia sull’ente societario che dal reato ha tratto profitto in base rispettivamente all’art. 321/2 c.p.p. e agli artt. 53, 19 d.lgs. 231/01. La confisca per equivalente, sostiene la Suprema Corte: “…può interessare indifferentemente ciascuno dei soggetti indagati anche per l’intera entità del profitto accertato, con il limite che il vincolo cautelare d’indisponibilità non deve essere esorbitante, ossia non deve eccedere, nel complesso, il valore di detto profitto né deve determinare ingiustificate duplicazioni, posto che dalla unicità del reato non può che derivare l’unicità del profitto…” (Cass., SU, Fisia Italimpianti, cit.).
Interessante l’analisi di un ulteriore orientamento giurisprudenziale sul punto, che, solo apparentemente, si pone in contrasto con l’impostazione maggioritaria.
Secondo alcune pronunce di legittimità, nel caso di una pluralità di indagati, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può eccedere per ciascuno dei concorrenti la misura della quota di profitto del reato a lui attribuibile, sempre che tale quota sia individuata o risulti chiaramente individuabile. E’ chiaro quindi che, ove la natura della fattispecie concreta e dei rapporti economici ad essa sottostanti non consenta di individuare, allo stato degli atti, la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascun concorrente o la sua esatta quantificazione, il sequestro preventivo deve essere disposto per l’intero importo del profitto nei confronti di ciascuno senza alcuna duplicazione e nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra i concorrenti (ex multis: Cass., VI, n. 25877/06, Cass., VI, n. 31690/07, Cass., VI, n. 10690/09).
Con riferimento alla responsabilità da reato degli enti collettivi, la giurisprudenza ritiene non operare le limitazioni di cui all’art. 322-ter c.p..
In una pronuncia del 2009, la Suprema Corte ha affermato che qualora l’illecito penale presupposto sia quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, è obbligatorio procedere alla confisca per equivalente del profitto del reato (ed è quindi legittimo il sequestro preventivo funzionale alla medesima), non trovando applicazione il disposto di cui al I comma dell’art. 322-ter c.p., per cui, in relazione ai delitti contro la p.a., può procedersi alla confisca di valore solo in riferimento al prezzo del reato.
Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ha disciplinato per la prima volta la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche prevedendo, tra l’altro, una responsabilità autonoma e non sussidiaria dell’ente rispetto a quella dell’autore del reato.
In particolare, l’art. 19 d.lgs. 231/01 al I comma prevede che “Nei confronti dell’ente è sempre disposta con la sentenza di condanna la confisca del prezzo o del profitto del reato…quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato…”. I reati di cui si parla sono quelli commessi nell’interesse dell’ente e tra essi rientrano sicuramente quelli di cui agli artt. 322-bis, 322-ter, 640-bis e 640-ter c.p., ai sensi dell’art. 24 d.lgs. 231/01. A sua volta, l’art. 53 d.lgs. cit. stabilisce che, in via cautelare “…il Giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell’art. 19…”.
L’analisi della normativa specifica fa emergere come l’impiego dell’avverbio sempre nell’art. 19 d.lgs. 231/01, evidenzi l’obbligatorietà della misura ablativa non solo in relazione al prezzo del reato ma anche riguardo al profitto per il quale, invece, secondo la disciplina generale dell’art. 240 c.p., la misura rimane facoltativa. Tale opzione ermeneutica trova conferma nell’espressa previsione secondo cui la confisca è estesa, in difformità della previsione di cui all’art. 322-ter c.1 c.p., anche al valore equivalente al profitto del reato (Cass., VI, n. 14973/09).
Avv. Valentina Zinzio, giugno 2012
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