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Penale.it - Mariacarmela Lospinuso, I risvolti giuridici del complesso di Elettra. Nota a sentenza della Corte di Cassazione, sezione IV penale, 9 febbraio 2012 (dep. 9 marzo 2012), n. 9349

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Mariacarmela Lospinuso, I risvolti giuridici del complesso di Elettra. Nota a sentenza della Corte di Cassazione, sezione IV penale, 9 febbraio 2012 (dep. 9 marzo 2012), n. 9349
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Sommario: 1. Dalla mitologia greca al caso concreto: analisi della decisione della Corte di Cassazione – 2. La irrilevanza del consenso della persona offesa nel reato di violenza sessuale con minorenne – 3. La circostanza attenuante ex art. 609 quater 4° comma c.p. e i criteri di valutazione del danno morale – 4. La testimonianza del minore tra attendibilità e “manipolazione” delle dichiarazioni

 

Sommario: 1. Dalla mitologia greca al caso concreto: analisi della decisione della Corte di Cassazione – 2. La irrilevanza del consenso della persona offesa nel reato di violenza sessuale con minorenne – 3. La circostanza attenuante ex art. 609 quater 4° comma c.p. e i criteri di valutazione del danno morale – 4. La testimonianza del minore tra attendibilità e “manipolazione” delle dichiarazioni

(la sentenza commentata è disponbile QUI)
 
1. Dalla mitologia greca al caso concreto: analisi della decisione della Corte di Cassazione
Studiata in psicoanalisi e definita da Carl Gustav Jung “complesso di Elettra”, dal nome del personaggio mitologico, tale patologia ha taluni risvolti anche in campo giuridico. Nella sentenza citata, infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha esaminato il delitto di violenza sessuale a danno di minori, ex art. 609-quater c.p., con particolare riguardo al caso, del tutto peculiare, nel quale è la minore il soggetto propositivo degli atti sessuali e l’imputato (rectius il padre della minore) manifesta un comportamento passivo di fronte alle sue iniziative affettive, secondo quanto emerge dalle deposizioni della figlia.
Il caso sottoposto alla nostra attenzione conduce ad alcune riflessioni sulla possibilità di considerare antigiuridico il comportamento del padre che, pur non sottraendosi alle attenzioni della figlia, non manifesta un atteggiamento attivo nei confronti della stessa. Al centro della motivazione della Corte di Appello di Milano, che ha condannato l’imputato, il 19 marzo 2011, alla pena di anni quattro di reclusione, ritenendolo responsabile dei reati di cui agli artt. 81 cpv. 609 quater c.p., vi è la deposizione della bambina, la quale ha più volte ribadito il comportamento omissivo del padre di fronte alle sue iniziative affettive. Ulteriore conferma deriva dal fatto che la minore attualmente non nutre sentimenti negativi verso il genitore, ma ha conservato nei suoi confronti delle propulsioni affettive, come si evince anche dalle dichiarazioni dell’incidente probatorio.
Per analizzare la decisione della Corte di Cassazione, che ha annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano limitatamente alla applicabilità della attenuante del fatto di minore gravità, bisogna preliminarmente partire dall’analisi dell’ art. 609 quater c.p., introdotto dall'art. 5 della legge 15 febbraio 1996, n. 66, che prevede la stessa pena stabilita dall’articolo 609 bis c.p. per chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con una persona che, al momento del fatto non ha compiuto gli anni quattordici o non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di con-vivenza.
Il legislatore ha inserito un’apposita fattispecie che incrimina il compimento di atti sessuali con minore, nonostante la previsione di un’aggravante del delitto di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p. inserita nell’art. 609 ter, 1° comma, n. 1 c.p., in quanto, “tale fattispecie, tutela il corretto sviluppo della personalità sessuale del minore stabilendo la sua assoluta intangibilità sessuale (per il minore di anni quattordici) e quella relativa
( in particolari situazioni, per il minore di anni sedici nei confronti del soggetto attivo in relazione di parentela, cura o vigilanza del minore stesso), configurabile in assenza di ogni pressione coercitiva e si connota come reato a forma libera, comprensivo di tutte le possibili forme di aggressione del minore, con esclusione dei fatti tipici di costrizione indicati dall’art. 609 bis c.p., i quali avendo come destinatario il minore, realizzano piuttosto la fattispecie di violenza sessuale aggravata ex art. 609 ter, 1° comma, n. 1 c.p”1.
È questa la differenza sulla quale verte la motivazione della Corte di Appello di Milano, che ha incentrato la condanna del padre sul presupposto, nei reati di violenza sessuale con minorenne, della irrilevanza del consenso del minore al compimento di atti sessuali e del ruolo attivo o passivo assunto dall’imputato nel contesto della relazione con la vittima2.

 
2. La irrilevanza del consenso della persona offesa nel reato di violenza sessuale con minorenne

 
Al centro dell’annosa querelle giurisprudenziale e dottrinale c’è il consenso della persona offesa, punto di partenza per poter chiarire l’orientamento della Corte.
L’ art. 50 c.p. prevede, infatti, quale causa di esclusione dell’antigiuridicità del fatto, il consenso dell’avente diritto che, ispirato al tradizionale principio volenti et consentienti non fit iniura, stabilisce che “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne”, mettendo in evidenza un atteggiamento negativo dello Stato nell’apprestare la tutela penale a un interesse alla cui salvaguardia il titolare mostra di rinunciare consentendone, appunto, la lesione3. Lo stesso art. 50 c.p. circoscrive la sfera di operatività della scriminante in esame ai casi in cui il consenso abbia ad oggetto diritti disponibili e, seppur la libertà sessuale rientri tra quelli considerati disponibili dall’ordinamento, nel caso di un minorenne, non si è ancora nella c.d. età del consenso per i rapporti sessuali. Benché non sia stato estorto con violenza, errore o dolo, il consenso non può essere prestato da un soggetto minorenne che non ha sviluppato, per le esperienze di vita, una consapevolezza e maturità tale da poter validamente disporre del proprio corpo per finalità sessuali non essendo, inoltre, in grado di poter percepire il disvalore dell’altrui condotta.
È necessaria come premessa logica la valutazione del bene giuridico tutelato dall’art. 609 quater c.p. che non è la libertà di autodeterminazione del soggetto in materia sessuale - posto che il minore di quattordici anni non possa esprimere alcun consenso - ma, come è stato rilevato, è costituito dall’integrità fisio-psichica del minore con riferimento alla sfera sessuale nella prospettiva di un corretto sviluppo della propria sessualità (Cass. pen., sez. III, 27-05-2010, n. 24258). Sul punto, la giurisprudenza è unanime nel ritenere l’art. 609 quater c.p. un delitto a tutela della integrità psicofisica del minore per preservare il suo sviluppo sessuale che, nel corso della crescita, potrebbe subire delle distorsioni causate proprio dall’atteggiamento del genitore, quando quest’ultimo non ricopre più un ruolo di protezione e custodia del figlio, ma diventa la causa del suo turbamento e del suo disagio anche nel confronto con i coetanei che vivono esperienze di vita diverse, adeguate alla loro età e maturità sessuale. Pertanto, il consenso della vittima all’atto sessuale è pur sempre un consenso viziato dalla condizione di inferiorità e dalla strumentalizzazione di detta condizione al momento del fatto4.
L’analisi del bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame si pone in stretta correlazione con quanto espresso in una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha previsto che “il delitto di atti sessuali con minorenne si configura a prescindere o meno dal consenso della vittima, non soltanto perché la violenza è presunta dalla legge, ma anche perché la persona offesa è considerata immatura e incapace di disporre consapevolmente del proprio corpo a fini sessuali”5.
In dottrina si ritiene che è difficile conciliare il bene leso, la libertà delle scelte di carattere sessuale, con la constatazione che al minore di quattordici anni l’ordinamento non riconosce, in realtà, un diritto di autodeterminazione sessuale, precludendogli ogni volontà di addivenire a un comportamento sessuale, mettendo in evidenza soltanto la sua volontà negativa come aggravante dei fatti di violenza ex art. 609 bis c.p.6
L’indifferenza dell’ordinamento, quindi, verso il consenso della persona offesa porta un’autorevole dottrina7 a considerare il delitto, di cui all’art. 609 quater c.p., un reato a pericolo astratto, non richiedendo la verifica di alcun danno effettivo sull’equilibro psicologico del minore e rendendo ogni forma di accertamento dello stesso superflua dalla scelta legislativa di rendere comunque illecito, sotto una determinata soglia di età, il coinvolgimento di minori in attività sessuale.
 
3. La circostanza attenuante ex art. 609 quater 4° comma c.p. e i criteri di valutazione del danno morale
In dottrina si ritiene essere preclusa in radice ogni indagine diretta a stabilire se l’atto sessuale “prematuro” sia stato o meno tale, in concreto, anche solo da esporre a pericolo l’interesse tutelato, potendo, quindi, configurarsi il delitto ex art. 609 quater c.p. anche laddove il minore sia di età assai prossima al superamento del limite di intangibilità e, per esperienze di vita pregresse, risulti di maturità eccezionale in rapporto all’età8.
L’analisi del danno morale subito dalla persona offesa nel delitto di violenza sessuale su minore torna in auge nella valutazione dell’esistenza o meno della circostanza attenuante, di cui all’art. 609 quater 4° comma c.p., che prevede, nei casi di minore gravità, la riduzione della pena fino a due terzi. Il giudizio dovrà essere formulato dal giudice considerando quanto espresso in una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la quale prevede che per la “determinazione equitativa del danno morale cagionato dalla commissione di reati sessuali in danno di minori d’età si deve tener conto dell’intensità della violazione della libertà morale e fisica nella sfera sessuale del minore, del turbamento psichico cagionato e delle conseguenze sul piano psicologico individuale e dei rapporti intersoggettivi, degli effetti proiettati nel tempo nonché dell’incidenza del fatto criminoso sulla personalità della vittima”9. Risulta chiaro che per applicare tale attenuante non sia rilevante il consenso prestato dal minore che, non solo non scrimina il fatto posto in essere dall’agente, ma è del tutto irrilevante nel giudizio di applicazione della circostanza attenuante che fa riferimento soprattutto a quegli atti che non comportano una rilevante compromissione dell’integrità fisica e psichica della persona offesa, come ad esempio in caso di fuggevoli toccamenti lascivi. È necessario, innanzitutto, esaminare la nozione “atti sessuali”, alla luce dell’orientamento della Corte di Cassazione che li definisce come “quegli atti che esprimono l’impulso sessuale dell’agente e che comportano un’invasione della sfera sessuale del soggetto passivo, inclusi, pertanto, i toccamenti, i palpeggiamenti e gli sfregamenti sulle parti intime della vittima, tali da suscitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e per un tempo di breve durata”10. La nozione di atti sessuali attualmente contemplata dal codice penale comprende in sé entrambi i concetti di congiunzione carnale e atti di libidine, in precedenza considerati separatamente dal legislatore. Di conseguenza, devono ritenersi estranei a tale nozione tutti quei comportamenti che non si risolvono in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo o comunque non coinvolgono la corporeità sessuale di quest’ultimo.
Nella sentenza in esame è, inoltre, importante esaminare la rilevanza penale del bacio, per integrare il reato di cui art. 609 quater c.p. e per la previsione della circostanza attenuante prevista al 4° comma. Tali baci “erano accettati dall’imputato e coinvolgevano la corporeità dei due protagonisti nei confronti dei quali, nel contesto relazionale instaurato, diventava indifferente il relativo ruolo assunto; con questo contatto fisico l’uomo compiva sulla figlia atti che manifestavano un affetto non paterno, ma erotico che raggiungevano la soglia della rilevanza penale”. Sia in dottrina sia in giurisprudenza, è stata analizzata l’importanza del bacio sulle labbra ed entrambe convergono nel prendere atto della natura polivalente dell’atto del baciare: non è una manifestazione necessariamente erotica, può diventare tale, usando le parole di autorevole dottrina, secondo l’impulso che lo ha determinato e il modo con cui è dato11. Risulta chiaro, pertanto, che l’analisi dovrà essere effettuata caso per caso senza poter operare un giudizio a priori, valutando anche il contesto di riferimento. Infatti, come sostenuto in giurisprudenza, “il bacio sulla bocca assume valenza sessuale e integra il reato di cui all’art. 609 bis c.p. se dato senza il consenso, o il reato di cui all’art. 609 quater c.p. se dato a soggetti infraquattordicenni, anche se limitato al semplice contatto sulle labbra in quanto attinge una zona generalmente erogena; perde il suo connotato sessuale solo se è dato in particolari contesti sociali o culturali, quali ad esempio nella tradizione russa, dove assume il connotato di saluto, o in certi contesti familiari dove è solo un segno di affetto12”.
Relativamente alla sentenza presa in esame, la Corte di Cassazione ha ritenuto la non invasività degli atti sessuali, in quanto trattasi di baci e carezze pur protratte nel tempo, e ha ritenuto insufficiente e non congruo l’apparato argomentativo della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano sulla non applicabilità della attenuante della minore gravità dei fatti, disponendo conseguentemente l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano affinché i nuovi giudici riconsiderino il tema della concedibilità della speciale attenuante.
Per poter applicare tale circostanza attenuate i giudici del rinvio dovranno effettuare una valutazione globale del fatto, non limitata alle sole componenti oggettive del reato, bensì estesa anche a quelle soggettive e a tutti gli elementi previsti dall’art. 133 c.p., analizzando soprattutto quanto siano state compromesse la libertà sessuale e lo sviluppo della vittima. Questo nuovo orientamento prende le distanze da quella parte di dottrina e giurisprudenza che, dopo la novella del 1996, aveva continuato a riprodurre la distinzione tra violenza carnale ed atti di libidine, nonostante la nuova locuzione “atti sessuali” attestasse una precisa volontà unificatrice del legislatore, avvalendosi della circostanza attenuante dei casi di minore gravità. Si affermava, infatti, che tale distinzione sarebbe rimasta il principale criterio di riferimento per l’applicazione della diminuente, visto che le fattispecie prima inquadrabili nel reato di atti di libidine sarebbero ora state qualificate come violenza sessuale attenuata, anche in relazione al reato di violenza sessuale con minorenne data la previsione del 4° comma dell’art. 609 quater c.p.13
In conclusione neanche il consenso può in nessun caso essere preso in considerazione ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante, in quanto non è prevista neanche nel caso di rapporti sessuali completi e reiterati con una minorenne infraquattordicenne, nonostante quest’ultima abbia non solo acconsentito, ma dimostrato particolare intraprendenza, individuando i luoghi più adatti per gli incontri amorosi e tenendo un comportamento alquanto disinibito e disinvolto, perché, come affermato prima, ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante, si deve tener conto dell’entità della compressione della libertà sessuale e del danno arrecato alla vittima in termini psichici14.

 
4. La testimonianza del minore, tra attendibilità e “manipolazione” delle dichiarazioni

 
Ulteriore spunto di riflessione è rappresentato, nella decisione della Corte di Cassazione e ancor prima in quella della Corte di Appello, soprattutto dalla testimonianza della bambina vittima del reato che, secondo i giudici, “non aveva problemi o turbe psichiche che compromettessero la sua attitudine a testimoniare e aveva reso, anche in incidente probatorio, una narrazione costante e coerente dimostrando precisione nel rispondere e capacità di resistere a domande suggestive.
La Corte ha altresì reputato che la minore fosse attendibile e credibile e che le sue dichiarazioni non lasciassero margini ad equivoci per cui perdeva di consistenza la tesi difensiva secondo la quale i nonni materni avevano esercitato una pressione psicologica per far interpretare alla bambina come illecite le condotte paterne”.
Emerge un evidente contrasto con quanto la precedente giurisprudenza asseriva, ovvero che, nell’ambito di un processo penale per abuso sessuale su minorenne, specie se le dichiarazioni vengono rilasciate in un clima di acceso conflitto familiare e riguardano uno dei familiari, anche la costanza e la coerenza del narrato del minore, pur raccolto in incidente probatorio, non è indicativa della genuinità dello stesso, non potendo escludersi che tale coerenza sia una conferma del fatto che il minore ripeta un canovaccio da altri suggerito15.
In questo consiste la principale tesi della difesa dell’imputato, basata sulla convinzione che i nonni materni, per non perdere l’affidamento della bambina e la gestione del suo considerevole patrimonio, l’avrebbero “pilotata”, per usare le parole della Corte, nell’accusare il padre inducendola a valutare come comportamento illecito una manifestazione d’affetto tra padre e figlia.
In relazione a quanto sostenuto dalla difesa, risulta evidente che, specie in tema di reati a sfondo sessuale su minori, soprattutto quando non risulta possibile rinvenire tracce concrete del reato o quando sia trascorso diverso tempo tra i fatti e le rivelazioni da parte del minore, è indispensabile disporre una perizia psicologica per accertare se i racconti della persona offesa siano aderenti alla realtà e non siano stati influenzati da fantasie, suggestioni o influenze esterne.
Alla luce di quanto esposto, è possibile concludere che la minore, nonostante avesse piena consapevolezza della sua condotta nei confronti del padre, verso il quale nutre qualcosa in più di semplice affezione e stima, ha preso atto solo successivamente dell’anomalia del comportamento paterno e che questi ha accettato inerte l’atteggiamento “eccessivamente affettuoso” della figlia. Tali circostanze inducono la Corte di Cassazione ad avvalorare la decisione della Corte di Appello di Milano, rientrando la condotta nella fattispecie di cui all’art. 609 quater c.p., in quanto nel delitto di atti sessuali con minorenne sono da considerarsi vietati anche gli atti sessuali compiuti dal minore sulla persona dell’adulto autore del fatto e non rilevano il comportamento inerte o passivo del reo e la partecipazione attiva o l’iniziativa della vittima. Decisione condivisibile considerando che il semplice comportamento omissivo del padre non può essere considerato lecito in relazione al presupposto suindicato che il minore non ha una maturità sessuale e fa affidamento, durante la crescita, sui genitori che hanno il compito di educare il minore ad uno sviluppo anche sessuale e non può, al contrario, essere causa di un disturbo psicofisico della figlia. L’affetto tra padre e figlia non può spingersi fino ad un appagamento sessuale e non solo affettivo che provocherebbe nella stessa una distorsione della realtà e del ruolo che il padre deve assumere nella sua infanzia.
 
Mariacarmela Lospinuso - giugno 2012
(riproduzione riservata)

 
 
 
1 Cass. pen., sez. III, 25-02-2004, in Giust. pen., 2005, II, 204 , confermata da Cass. pen. sez. III, 21-06-2007, in Giur.. it., 2008, 181.
 
2 Cass. pen., sez. III, 21-06-2007, in Ced Cass., rv. 237558
 
3 fiandaca g. – musco e., Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, 2009, p. 258
 
4 Cass. pen., sez. III, 10-06-2009, n. 38918, in Famiglia e minori, 2010, fasc. 1, 40, n. amato
 
5 Cass. pen., sez. III, 15-06-2010, n. 27588, in CED Cass. pen. 2010, Cass. pen. 2011, 7-8, 2617
 
6 moccia S., Il sistema delle circostanze e le fattispecie qualificate nella riforma del diritto penale sessuale ( l. 15 febbraio 1996, n. 66): un esempio paradigmatico di sciatteria legislativa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1997, p. 398 e ss.
 
7 mantovani F., Diritto penale. Parte speciale, v. I, Delitti contro la persona, Cedam, 2005, p. 379
 
8 veneziani p., Commento all’art. 609 quater c.p., in Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, a cura di Cadoppi, 2006, Cedam, p. 613 e ss.
 
9 Cass. pen., sez. III, 09-03-2011, n. 13686, in Ced Cass., rv. 249929
 
10 Cass. pen., sez. IV, 03-10-2007, in Ced Cass., rv. 238739
 
11 manzini v., Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1984, V ed., p. 364
 
12 Cass. pen., sez. III, 13-02-2007, in Riv. pen., 2007, 989
 
13 ambrosini g., voce Violenza sessuale, in Dig. d. pen., vol. XV, Utet, 1999, p. 290; pisa p., Le nuove norme contro la violenza sessuale, in Dir. pen. proc., 1996, p. 284
 
14 Cass. pen., sez. III, 28-04-2006, n. 34120, in Dir. e giust., 2006, 40, 66
 
15 Cass. pen., sez. III, 17-01-2007, in Famiglia e minori, 2007, fasc. 5, 56, n. gullotta
 
 
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