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Nel Consiglio dei Ministri n. 23, di lunedì 16 aprile, è stato approvato il disegno di legge sulla delega fiscale, con gli obbiettivi di dare maggiore certezza al sistema tributario, migliorare i rapporti con i contribuenti e proseguire nel contrasto all’evasione fiscale. Il disegno di legge delega fiscale vuole correggere alcuni aspetti critici del sistema fiscale italiano per renderlo più equo, trasparente ed orientato alla crescita economica.
Nel termine di nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega di approvazione parlamentare, il Governo sarà chiamato ad emanare uno è o più decreti legislativi, con i quali sarà realizzata una complessiva revisione del sistema fiscale. Il Governo è stato altresì delegato ad adottare ulteriori decreti legislativi finalizzati a garantire il coordinamento dei decreti delegati con le altre leggi statali. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti delegati stessi, il Governo viene, sin da subito, delegato ad introdurre disposizioni correttive ed integrative dei decreti delegati.
I tre pilastri della riforma fiscale.
Uno dei punti fondanti la delega fiscale è la riforma del catasto dei fabbricati. La riforma del catasto, che tende ad una maggiore equità rispetto all’attuale sistema, mira ad avvicinare le singole rendite catastali ai valori effettivi di mercato, tuttavia alla revisione delle rendite si dovrebbe accompagnare quella delle aliquote, in modo da mantenere invariato il carico fiscale complessivo sui fabbricati.
La legge delega interviene altresì sui rapporti tra fisco e contribuente, introducendo una definizione generale di abuso del diritto che, recependo la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione, sarà unificata con quella dell’elusione, rendendola applicabile a tutti i tributi.
Contestualmente sarà attuata anche una revisione del sistema sanzionatorio penale secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti. L’obbiettivo è quello di lasciare spazio al reato tributario per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa; mentre si prevede l’esclusione della rilevanza penale per i comportamenti ascrivibili all’abuso del diritto e all’elusione fiscale.
Sarà attuata anche una revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio, in modo da correlare le sanzioni stesse all’effettiva gravità dei comportamenti, introducendo la possibilità di ridurre le sanzioni in casi di minore gravità o di applicare sanzioni amministrative anziché penali. Sarà, infine, ulteriormente potenziata la tracciabilità dei pagamenti e l’utilizzo della fatturazione elettronica.
Il sistema complessivo di tassazione dovrebbe essere rimodulato in funzione della crescita, dell’internazionalizzazione delle imprese e anche della tutela ambientale. La tassazione dei redditi prodotti dalle imprese commerciali e dai lavoratori autonomi verrà assoggettata ad un’unica imposta. In proposito si stabilisce la deducibilità dalla base imponibile di questa imposta dalle somme prelevate dall’imprenditore, dal professionista o dai soci come remunerazione.
Tali somme concorreranno alla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF personale del singolo imprenditore. È prevista la possibilità di «introdurre il pagamento a forfait di un’unica imposta in sostituzione di quelle dovute», per i contribuenti di minori dimensioni.
La riforma del sistema penale tributario.
Particolare attenzione meritano sin da ora le prospettive di riforma del sistema penale tributario, ciò anche e soprattutto per gli effetti che le stesse potrebbero avere anche su fatti già commessi e dunque su procedimenti penali in corso.
Infatti ai sensi dell’art. 2, comma 2° c.p. «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali.». La conseguenza necessitata di tale norma è che, se il decreto legislativo che sarà emanato in base alle legge delega – il cui disegno di legge è stato appena approvato dal governo – comporterà della vere e proprie abolitiones criminis, anche i fatti commessi sotto la vigenza di una legge precedente (ad esempio dell’attuale D.lvo 74/2000) non saranno più sanzionabili penalmente e, anche laddove vi fosse stata una condanna penale definitiva, si potrebbe ottenere la declaratoria di estinzione della condanna perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
Importanti conseguenze vi sarebbero anche per il solo fatto che in luogo della sanzione detentiva la nuova legge prevedesse la mera pena pecuniaria, infatti in tale caso troverebbe automatica applicazione l’art. 2, comma 3° c.p. – come noto introdotto solo nel 2006 – secondo il quale «Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135.».
Conseguenze assai importanti sotto il profilo pratico, sempre anche per fatti commessi prima della entrata in vigore dell’emanando decreto legislativo, si avrebbero anche se la nuova legge si limitasse a modificare la portata delle attualmente vigenti norme incriminatrici. Infatti in tale caso troverebbe applicazione l’art. 2, comma 4° c.p. per cui «Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile». L’interpretazione di tale norma è assolutamente pacifica: le modifiche favorevoli, non costituenti abolitio crimins, trovano applicazione anche a tutti i fatti commessi sotto la vigenza della legge precedente, a condizione, però che per tali fatti non sia già intervenuta condanna definitiva. In tale ultimo caso infatti la necessità di preservare la intangibilità del giudicato penale prevale sulla mera modifica, che preveda un trattamento più favorevole. Intangibilità del giudicato, che, invece, abbiamo visto, cede il passo di fronte alla abolitio criminis.
Al fine di fornire una concreta disamina delle possibili conseguenze sul piano pratico della approvanda riforma vediamone i tratti salienti sotto il profilo penal-tributario.
L’art. 9 del disegno di legga delega in effetti prevede espressamente, come recita la rubrica della stessa norma, la revisione del sistema sanzionatorio ed in dettaglio anche di quello penale.
Stante la sua natura di legge delega la normativa in esame si limita ad enunciare i principi cui il legislatore delegato sarà poi chiamato ad uniformarsi nella revisione del vigente sistema sanzionatorio. La riforma dovrà, innanzitutto, essere improntata a «criteri di predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, dando rilievo alla configurazione del reato tributario per comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa.».
Allo stato attuale è prematuro ipotizzare con precisione quali modifiche saranno apportate alle fattispecie criminose previste nel vigente D.lvo 74/2000. Se tuttavia si dovranno adottare criteri di predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità della infrazione, non è certo azzardato pensare ad un incisivo intervento di riforma sulle fattispecie criminose di cui agli artt. 2, 3 (le norme che prevedono il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti nonché di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) nonché sugli artt. 4 e 8 (dichiarazione infedele e emissione di fatture o documenti per operazioni inesistenti).
Come noto, tutte tali norme dopo l’ultimo intervento legislativo (D.L. 138/2011) non prevedono più ipotesi attenuate (prima previste invece per le fattispecie degli artt. 2 e 8) e, laddove presenti, le soglie di rilevanza penale delle condotte (artt. 3,4) sono state notevolmente abbassate.
Le riforme introdotte con il D.L. 138/2011 non avevano mancato di suscitare perplessità proprio sotto il profilo della mancanza di proporzionalità della sanzione irrogata, rispetto alla gravità del fatto: basti pensare che l’art. 2 e l’art. 8, che non hanno una soglia di punibilità, dopo l’abrogazione della fattispecie attenuata, contenuta in origine nell’ultimo capoverso di tali norme, sono, ora, puniti con la reclusione da un minimo di un anno e sei mesi ad un massimo di sei anni, ciò a prescindere dal valore della violazione e quindi anche se, ad esempio, la falsa fattura ha un ammontare di pochissimi euro. Assai facile, dunque, pensare ad una reintroduzione di una ipotesi attenuata in tali fattispecie.
Non altrettanto certo, ma se proporzionalità deve essere … non è inverosimile pensare anche ad una introduzione di circostanze attenuanti o (perché no?) aggravanti per le fattispecie di cui agli articoli 3, 4, 5 D.lvo 74/2000, oggi ancorate ad una soglia di penale rilevanza tutto sommato modesta dopo le modifiche del 2011.
Ma potrebbe accadere di più … e la revisione dell’attuale sistema sanzionatorio penale per la dichiarazione infedele pare scelta necessitata, in quanto l’art. 9 comma 1 del disegno di legge delega prevede altresì «la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni alla effettiva gravità dei comportamenti; possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi, o di applicare sanzioni amministrative anziché penali.».
Non solo, dunque, ampio spazio alla introduzione di circostanze aggravanti ed attenuanti, ma anche un vigoroso impulso alla depenalizzazione, privilegiando le più rapide ed efficaci sanzioni amministrative rispetto alle lentezza inesorabile della giustizia penale.
Come sopra osservato, oltre al criterio della proporzionalità, il legislatore delegato sarà chiamato ad osservare il principio secondo cui si dovrà dare «rilievo alla configurazione del reato tributario per comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa.». Se così dovrà essere, viene seriamente da pensare se possa e debba essere mantenuta penale rilevanza alle condotte di cui agli artt. 10 bis e 10 ter del D.lvo 74/2000, introdotte, come noto, nel 2006 onde sanzionare l’omesso versamento di IVA o di ritenute certificate al di sopra della soglia di € 50.000,00 annui. Come noto, infatti, le condotte incriminate da tali norme sono ben lungi dall’essere decettive in danno dell’Amministrazione Finanziaria dello Stato, ed anzi si caratterizzano proprio per l’omesso versamento di somme di cui il contribuente stesso ha denunciato di essere debitore verso lo stato per debito d’imposta. Non essendo individuabile nelle condotte di cui agli artt. 10 bis e 10 ter D.lvo 74/2000 alcun comportamento fraudolento, simulatorio o finalizzato alla creazione e utilizzo di documentazione falsa non pare assurdo ipotizzare una depenalizzazione di tali condotte o quanto meno la previsione di una soglia di penale rilevanza più elevata. Ciò anche alla luce del rilievo, come poco sopra evidenziato, della esplicita apertura del legislatore delegato verso l’utilizzo di sanzioni amministrative in luogo di quelle penali.
Il disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei Ministri prevede altresì norme specifiche che riguardano la lotta all’evasione e all’elusione fiscale.
Nel dettaglio, gli artt. 6 e 9 del disegno di legge delega, in combinato disposto, prevedono la disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale. In forza della legge delega il Governo dovrà infatti procedere alla complessiva revisione delle attuali disposizioni antielusive (e quindi in primis dell’art. 37 bis D.P.R. 600/73) ed inoltre introdurre un principio generale di divieto dell’abuso del diritto.
Fondamentale è la chiara presa di posizione contenuta nell’art. 9 comma 1 dello schema di legge delega secondo cui si dovrà prevedere l’«esclusione della rilevanza penale per i comportamenti ascrivibili alla elusione». Ciò in evidente contrasto con la recente giurisprudenza della Cassazione Penale che, per contro, non aveva esitato ad affermare esplicitamente come fosse sussistente la fattispecie di cui all’art. 4 del D.lvo 74/2000 (dichiarazione infedele) allorchè il contribuente avesse posto in essere anche una mera condotta di elusione fiscale (Cass. Sez. III, sent. n° 26723, depositata il 07 luglio 2011 e da ultimo la nota Cass. Sez. II, n° 7739/12 depositata 28 febbraio 2012, relativa agli stilisti Dolce e Gabbana). Di rilievo poi il dettato dell’art. 6, secondo cui dovrà essere introdotta «una norma generale di definizione dell’abuso del diritto, unificandola con quella dell’elusione e rendendola applicabile a tutti i tributi» ed ancora «salvaguardia della legittimità della scelta tra regimi alternativi espressamente previsti dal sistema tributario, previsione di specifiche regole procedimentali che garantiscano in efficace contradditorio con l’amministrazione fiscale e salvaguardino il diritto di difesa del contribuente in ogni stato e grado del giudizio.».
Al proposito, con buona pace delle recenti pronunce della Cassazione, non si dimentichi come l’esclusione della rilevanza penale delle condotte elusive era già affermata nella relazione all’art. 16 dell’originaria versione del D.lvo 74/2000. Se dunque le modifiche apportate dal 2006 al 2011 al D.lvo 74/2000 avevano costituto, come direbbe G.B. Vico, «al cospetto di una umanità incapace di crescere e di rinnovarsi, una seconda barbarie», che aveva tradito la ratio ispiratrice e profondamente innovatrice del D.lvo 74/2000 rispetto al principio “manette agli evasori” della legge 516/82, i corsi e ricorsi storici auspichiamo ci portino, ora, a riscoprire i principi ispiratori del D.lvo 74/2000, con la limitazione del ricorso allo strumento penale quale “extrema ratio” in ossequio al principio di sussidiarietà, privilegiando le più efficaci e deterrenti sanzioni amministrative.
In conclusione, dunque, ci aspetta un intervento legislativo ad ampio spettro che verosimilmente inciderà in modo assai significativo sull’attuale sistema penale tributario – cresciuto in questi anni in modo estremamente muscolare e disordinato, contribuendo ad affollare di procedimenti penali le aule della giustizia ed ampliando il rischio prescrizione – rimodellandone e limitandone i confini
Nelle more non ci resta … che attendere, con un motivo in più per portare avanti e non concludere i procedimenti penali già pendenti per reati tributari, nell’auspicio di beneficiare in pieno non solo delle depenalizzazioni, ma anche delle modifiche migliorative, che verosimilmente la riforma apporterà.
avv. Enrico Fontana, Modena - maggio 2012
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