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Penale.it - Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 14 dicembre 2011 (dep. 17 gennaio 2012), n. 1399

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Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 14 dicembre 2011 (dep. 17 gennaio 2012), n. 1399
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Investigazioni difensive: la richiesta di audizione volta all'audizione in incidente probatorio del testimone o della persona che abbia esercitato la facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione non comporta l'automatico accoglimento da parte del GIP che deve comunque valutare la rilevanza ai fini investigativi delle circostanze in relazione alle quali si vuole che la persona sia sentita.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d' Appello di Bologna, con sentenza del 13 ottobre 2009 riformava parzialmente la decisione del Tribunale di Forlì emessa a seguito di giudizio abbreviato il 7 marzo 2005, assolvendo xxx dai reati ascrittigli commessi in danno di xxx e xxx per insussistenza del fatto, confermando nel resto, previa rideterminazione della pena, la impugnata decisione.
Il xxx, docente universitario, era stato chiamato a rispondere dei reati di concussione, consumata e tentata, violenza sessuale, consumata e tentata in danno di studenti universitari, nonché di atti osceni, concretatesi nell'uso di minacce dirette ed indirette di ritardare il percorso universitario (mediante posticipazione della presentazione della tesi, mancata siglatura di documenti universitari, non ammissione a borse di studio, penalizzazione negli esami) al fine di ottenere prestazioni sessuali dai suddetti studenti.
Avverso tale pronuncia il predetto proponeva ricorso per cassazione deducendo:
==1  Violazione degli articoli 391 bis e 392 C.P.P., avendo la Corte d'Appello confermato la reiezione dell'eccezione di nullità dell'udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio da parte del Tribunale a seguito del rigetto, da parte del G.I.P., di richiesta di incidente probatorio formulata ai sensi della richiamata disposizione processuale. Rilevava, a tale proposito, che l'ammissione del richiesto incidente probatorio, nell'ipotesi di cui al menzionato articolo 39l bis C.P.P., è atto dovuto, mentre erroneamente i giudici del gravame avevano ritenuto tale richiesta non sottratta al sindacato del G.I.P.
Lamentando quindi la preclusione allo svolgimento di un'attività genericamente difensiva consentita, deduceva la nullità assoluta ai sensi degli articoli 178 e 179 C.P.P. ed, in subordine, la illegittimità costituzionale del combinato disposto delle richiamate disposizioni processuali con riferimento agli articoli 3, 24 e 111 Cost. per l'evidente irragionevolezza del sistema normativo il quale non prevede di rimediare ad eventuali errori del G.I.P. che privano l'imputato della possibilità di difendersi e non impongono al giudice una valutazione vincolata sulla richiesta di incidente probatorio ai sensi dell'articolo 391 bis C.P.P.
==2 Violazione degli articoli 76, 78, 538 e 539 C.P.P. in relazione alla costituzione di parte civile dell'Università di Bologna tramite l'Avvocatura dello Stato e della parte offesa xxx poiché, nel primo caso, l'azione civile sarebbe stata esercitata senza che la volontà dell'ente rappresentato fosse manifestata e mediante la mera indicazione dell'ente medesimo e, nel secondo, la costituzione di parte civile non era stata esercitata personalmente dall'interessato né lo stesso avrebbe rilasciato al difensore una procura speciale ai fini della costituzione
==3 Violazione degli articoli 521 e 522 C.P.P. e vizio di motivazione in ordine al negato riconoscimento, da parte della Corte territoriale, della nullità conseguente alla mancata indicazione, nel capo ae) della rubrica, della condotta concussoria posta in essere nei confronti di xxx per essere l'imputazione connotata dal solo richiamo alla fattispecie normativa senza alcuna indicazione del comportamento concretamente posto in essere per costringere lo studente a porre in essere o subire atti sessuali in cambio di favori.
==4 Violazione dell'articolo 317 C.P. e vizio di motivazione in relazione alla riconduzione della condotta contestata nell'ambito della fattispecie
contemplata dall'articolo 317 C.P.P. Osservava, a tale proposito, che il riferimento della menzionata disposizione codicistica ad “altra utilità'”, in ragione della impostazione sintattica dei termini, andava considerata come riferita ad utilità economicamente valutabili, tra le quali non potevano ricondursi le prestazioni sessuali.
==5 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione della prova relativa alle ipotesi di concussione che vedeva coinvolti gli studenti xxx xxx xxx e xxx le cui dichiarazioni denotavano, se confrontate con altre emergenze probatorie, una palese inattendibilità della quale i giudici del gravame non avevano tenuto conto. Emergerebbero inoltre, dagli atti del processo, indizi gravi di condotte finalizzate ad arrecare pregiudizio al ricorrente.
==6 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di concussione.
Osservava, sul punto, che la condotta posta in essere certamente non poteva aver dato luogo ad una costrizione nei confronti degli studenti né, tanto meno, ad una induzione, posto che le eventuali agevolazioni nel percorso universitario e gli altri benefici oggetto di imputazione non erano direttamente dipendenti dai poteri e dalla funzione esercitata dal docente. Doveva, inoltre, tenersi conto dell'oggettivo interesse degli studenti all'abuso del docente che scemava grandemente la dipendenza della condotta posta in essere dalla persona offesa da quella dell'autore del reato, escludendo, così, la possibilità di una costrizione o induzione. La condotta posta in essere, inoltre, non comportava alcun abuso della funzione da parte del docente.
==7 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso formale tra i fatti di concussione e quelli di violenza sessuale contestati in ragione della diversità della configurazione e dell'oggetto giuridico, mentre la condotta imputata poteva, al più, configurare la sola concussione e ciò anche in considerazione del fatto che il delitto di violenza sessuale richiede una costrizione al compimento dell'atto che presuppone l'assenza di un valido consenso, mentre l'induzione all'atto sessuale, quando il legislatore l'ha ritenuta punibile, viene espressamente menzionata ed è riferita a situazioni particolari, come si desume dalla lettura del secondo comma dell'articolo 609 bis C.P.
==8 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di atti osceni, in considerazione del fatto che il luogo ove sarebbero stati compiuti gli atti sessuali e, segnatamente, lo studio assegnato al ricorrente all'interno dell'ateneo ove insegnava, non poteva ritenersi luogo pubblico o aperto al pubblico.
In via subordinata si rilevava la intervenuta prescrizione del reato.
==9 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche, non avendo i giudici motivato indicando tutte le ragioni del diniego anche in relazione ai criteri indicati dall'articolo 133 C.P. e dell'ipotesi di cui all'ultimo comma dell'articolo 609 bis C.P., erroneamente ritenuta dai giudici applicabile ai soli casi di delitto consumato e non anche in caso di tentativo.
==10 Si richiedeva la riqualificazione dei fatti contestati in tentato abuso d'ufficio ed atti contrari alla pubblica decenza, ovvero in tentata concussione, in essa comprendendo anche i fatti di violenza sessuale, con ogni ulteriore conseguenza di legge.
Insisteva, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che l'ammissione di incidente probatorio ai sensi dell'articolo 391 bis C.P.P. non sia un atto dovuto.
I giudici del gravarne osservano che, in base al disposto della richiamata disposizione, non essendo il Pubblico Ministero obbligato all'audizione della persona informata la quale, in sede di investigazioni difensive, si sia avvalsa della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione, tale obbligo non possa essere imposto neppure al G.I.P.
Invero la norma in questione stabilisce, al decimo comma, che quando la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, il Pubblico Ministero, su richiesta del difensore, ne dispone l'audizione che fissa entro sette giorni dalla richiesta medesima.
Il comma successivo consente al difensore, in alternativa, di chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza o all'esame della persona che abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 392, comma 1. La Corte territoriale evidenzia che la disposizione in esame richiede comunque che la persona da escutere sia in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa, osservando che tale specificazione non avrebbe senso se alla richiesta del difensore dovesse darsi automaticamente seguito e che tale affermazione vale, a maggior ragione, per il G.I.P., cui non può essere negata tale valutazione.
L'assunto appare certamente fondato ed in linea con i principi già affermati da questa Corte.
Si è infatti già avuto modo di osservare che l'utilità ai fini investigativi delle dichiarazioni costituisce il presupposto per la richiesta di audizione al Pubblico Ministero, tanto che detta richiesta deve necessariamente porre quest'ultimo in condizione di valutare la ricorrenza del richiesto requisito a pena di irricevibilità (Sez. II n. 40232, 6 dicembre 2006).
Le dichiarazioni così raccolte, inoltre, costituiscono, a tutti gli effetti, atti del pubblico ministero, con il conseguente inserimento nel fascicolo del P.M. e non anche in quello del difensore (Sez. 111 n. 21092, 29 maggio 2007).
Non vi è pertanto alcun automatismo nell'assunzione delle dichiarazioni a seguito della richiesta del difensore, ben potendosi pervenire ad un giudizio negativo circa la sussistenza del menzionato requisito.
A conclusioni non diverse deve giungersi anche con riferimento al caso in cui la richiesta venga formulata, in via alternativa, al G.I.P.
Non solo non vi è ragione, come osservato dalla Corte d'Appello nell'impugnata decisione, per non consentire al giudice una valutazione la cui effettuazione la legge permette all'organo della pubblica accusa, ma va anche rilevato che il disposto dell'undicesimo comma dell'articolo 391 bis C.P.P., come si è già osservato (Sez. III n.20130, 23 maggio 2002), ha introdotto una nuova ipotesi di incidente probatorio richiamando genericamente la disciplina di tale istituto (con la sola eccezione che lo stesso è attivabile anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 392, comma 1) senza ulteriori interventi modificativi, cosicché risulta applicabile, anche nella fattispecie, il disposto dell'articolo 398 C.P.P., il quale stabilisce che il giudice pronunci ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio non sottraendogli, pertanto, la possibilità di un apprezzamento che, se mancante, ne ridurrebbe le funzioni a quelle di un mero strumento nella esclusiva disponibilità di una delle parti processuali.
La richiamata pronuncia ricorda, peraltro, come l'ordinanza di rigetto del G.I.P. non sia suscettibile di gravame, in ragione del principio di tassatività delle impugnazioni di cui all'articolo 568, comma 1, C.P.P. e l'esigenza di speditezza della procedura (principio ripetutamente affermato: Sez. IV n. 42520, 5 novembre 2009; Sez. 111 n. 2926, 31 gennaio 2005; Sez. Il n. 47075, 9 dicembre 2003; Sez. IV n. 2678, 23 gennaio 2001).
L'applicabilità all'istituto in esame delle disposizioni generali in materia di incidente probatorio rende inoltre evidente la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, peraltro formulata in termine generici, stante l'assenza di qualsivoglia lesione dei diritti della difesa.
Può dunque, in definitiva, affermarsi che la richiesta, effettuata ai sensi dell'articolo 391bis, comma undicesimo, affinché il G.I.P. proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza o all'esame della persona che abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 392, comma primo non presuppone alcun automatismo, implicando una valutazione positiva del G.I.P. circa la rilevanza ai fini investigativi delle circostanze in relazione alle quali si vuole che la persona sia sentita.
Manifestamente infondato appare anche il secondo motivo di ricorso.
Con riferimento alla costituzione di parte civile dell'Università di Bologna, la Corte d'Appello ha correttamente richiamato i principi ripetutamente affermati da questa Corte in materia di costituzione di parte civile, per mezzo dell'Avvocatura dello Stato.
Si è infatti più volte specificato che tale costituzione non richiede alcun conferimento di procura da parte dell'Amministrazione rappresentata in giudizio e ciò in quanto l'Avvocatura dello Stato deriva lo "ius postulandi" direttamente dalla legge, con l'ulteriore conseguenza che non è neppure onerata della produzione della documentazione attestante la volontà della stessa amministrazione di procedere giudizialmente (Sez. VI n. 5447, 11 febbraio 2010; Sez. I n. 4060, 25 gennaio 2008; Sez. V n. 11441, 7 ottobre 1999).
Quanto alla costituzione di parte civile del xxx i giudici del gravame rilevano che la procura rilasciata è apposta in calce alla costituzione di parte civile e contiene il mandato a "richiedere l'integrale risarcimento dei danni così come quantificati in premessa", cosicché dalla lettura dell'atto e del mandato, da effettuarsi congiuntamente, emerge con chiarezza la sussistenza dei requisiti di ammissibilità richiesti dall'articolo 122 C. P. P.
Tale valutazione appare del tutto conforme a legge, poiché la procura speciale al difensore della parte civile può anche essere apposta, a norma dell'articolo 100, secondo comma C.P.P., in calce o a margine della dichiarazione di costituzione e deve evidenziare la volontà della parte di conferire al difensore la procura a compiere l'atto cosa che, come accertato in fatto dalla Corte territoriale, nella fattispecie è avvenuto.
Le questioni trattate nel terzo motivo di ricorso risultano già affrontate dal giudice dell'appello e vengono riproposte in questa sede senza alcuna specifica critica alle argomentazioni prospettate nella sentenza impugnata.
Il percorso giustificativo segnato dalla Corte territoriale appare, in ogni caso, del tutto corretto.
Il richiamo, operato dal ricorrente, agli articoli 521 e 522 C.P.P. che si assumono violati appare finalizzato a rilevare, nella ritenuta indeterminatezza del capo di imputazione rubricato come ae), la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e la conseguente lesione del diritto di difesa.
Come esattamente osservato in sentenza, tuttavia, la generica enunciazione del fatto del decreto che dispone il giudizio ne determina la nullità. Trattandosi, però, di nullità relativa, essa deve essere eccepita, pena altrimenti la sanatoria, entro il termine previsto dall'art. 491, comma primo, C.P.P., cosa che, nella fattispecie, non è avvenuta.
Quanto affermato dalla Corte territoriale sul punto appare del tutto conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. V n. 20739. 1 giugno 2010; Sez. V n. 712, 11 gennaio 2010; Sez. H n. 6817, 23 aprile 2008; Sez. VI n. 1175, 21 marzo 2000; Sez. I n. 342, 14 gennaio 1999).
Nessuna violazione di legge si rileva, inoltre, con riferimento al quarto  motivo di ricorso.
Contesta il ricorrente che la locuzione "altra utilità", contenuta nell'articolo 317 C.P., possa essere riferita anche alle prestazioni sessuali, essendo chiaro, a suo dire, il riferimento a vantaggi di natura esclusivamente economico-patrimoniale.
Tale lettura della richiamata disposizione risulta tuttavia smentita dalla giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide.
Occorre infatti ricordare come le Sezioni Unite penali abbiano da tempo chiarito, risolvendo un precedente contrasto, che il termine "utilità" sta ad indicare tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile, consistente tanto in un dare quanto in un “tacere" e ritenuto rilevante dalla consuetudine o dal convincimento comune, con la conseguenza che in tale categoria rientrano anche i favori sessuali, i quali rappresentano un vantaggio per il funzionario che ne ottenga la promessa o la effettiva prestazione (SS.UU. n. 7 23 giugno 1993).
Alla decisione del massimo organo normofilattico hanno fatto seguito altre pronunce del medesimo tenore che hanno riconosciuto la collocazione delle prestazioni sessuali nel novero delle "utilità" cui si riferisce l'articolo 317 C.P. (Sez. VI n. 4317, 9 aprile 1998; Sez. VI n. 9528, 3 marzo 2009), mentre altre decisioni hanno pacificamente ritenuto integrato il delitto di concussione dalla costrizione o induzione al compimento di atti sessuali da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio (Sez. VI n. 34106, 15 settembre 2011; Sez. VI n. 8994, 7 marzo 2011; Sez. VI n. 30764, 23 luglio 2009; Sez. VI n. 9528, 3 marzo 2009; Sez. III n. 1815, 14 gennaio 2008).
Quanto al Quinto motivo di ricorso, esso si risolve nella prospettazione di una lettura alternativa delle emergenze probatorie inammissibile in questa sede di legittimità, accompagnata da apodittiche affermazioni circa la inattendibilità delle persone offese ed una loro condotta chiaramente finalizzata a recare pregiudizio all'imputato.
La Corte territoriale ha compiutamente preso in considerazione l'insieme dei dati probatori già valutati dal primo giudice, dandone una lettura pienamente coerente e scevra da palesi contraddizioni che supera indenne il vaglio di legittimità.
Osservano, infatti, i giudici del gravame che quanto denunciato dalle persone offese trova riscontro nelle dichiarazioni di numerosi altri testimoni, nel contenuto delle comunicazioni di posta elettronica e nei risultati delle intercettazioni ambientali disposte nel corso delle indagini.
Da tale insieme di dati obiettivi perviene alla conclusione che la richiesta di prestazioni sessuali agli studenti da parte dell'imputato risulta ampiamente dimostrata e, previa analisi delle singole vicende oggetto di contestazione, che tale condotta era certamente collegabile, per alcune delle parti offese(xxx, xxx, xxx), a minacce di conseguenze negative nel rapporto insegnante studente in caso di mancata accettazione delle richieste, con evidente abuso da parte del docente della sua posizione.
Tale ultimo assunto è oggetto dei rilievi formulati nel sesto motivo di  ricorso, laddove la sussistenza della concussione viene posta in dubbio sul presupposto che eventuali agevolazioni del percorso di studi delle parti offese e le altre agevolazioni di cui trattano le imputazioni non dipendevano dai poteri e dalle funzioni esercitate dal docente, il quale, pertanto, non era incorso in alcun abuso e che ad eventuali irregolarità gli stessi studenti avevano interesse, cosicché andava esclusa la sussistenza di una effettiva costrizione o induzione degli stessi la compimento degli atti sessuali.
Va a tale proposito ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di concussione, deve intendersi, quale abuso dei "poteri", l'ipotesi in cui la condotta rientra nella competenza tipica dell'agente, quale manifestazione delle sue potestà funzionali per uno scopo diverso da quello per il quale sia stato investito delle medesime, mentre quella di abuso delle "qualità" presuppone una condotta che, indipendentemente dalle competenze proprie del soggetto attivo, si manifesti quale  strumentalizzazione della posizione di preminenza dallo stesso ricoperta nei confronti del privato (Sez. VI n. 45034, 22 dicembre 2010; Sez. VI n. 24272, 11 giugno 2009; Sez. VI n. 15742, 3 aprile 2003; Sez. VI n. 5454, 19 gennaio 1998), conseguentemente il delitto in esame risulta configurabile anche nel caso in cui il pubblico ufficiale si attribuisca poteri che esulano dalla sua competenza, essendo sufficiente che la sua qualifica soggettiva avvalori e renda credibile l'intimazione, a prescindere dalla circostanza che quanto minacciato si riveli "a posteriori" irrealizzabile (Sez. VI n. 10501, 23 ottobre 1995).
A fronte di un tale atteggiamento del pubblico ufficiale, ciò che rileva è, inoltre, l'oggettiva efficacia intimidatoria della condotta, mentre è indifferente il conseguimento del risultato concreto di porre la vittima in stato di soggezione, in quanto quest'ultima può determinarsi al comportamento richiesto per mero calcolo economico, attuale o futuro, o per altra valutazione di tipo utilitaristico (Sez. VI n. 14544, 12 aprile 2011; Sez. VI n. 30764, 23 luglio 2009; Sez. VI n. 33843, 25 agosto 2008; Sez. VI n. 12047, 23 novembre 2000; Sez. VI n. 3488, 17 marzo 2000).
Nella fattispecie, la Corte territoriale, nel riconoscere la sussistenza dei reati contestati, non è affatto incorsa, sul punto, nel denunciato vizio di motivazione e nella violazione di legge, poiché, con riferimento alla condotta posta in essere nei confronti di ciascuna parte offesa, ha evidenziato dati fattuali inequivocabilmente sintomatici di un abuso, da parte dell'imputato, della sua qualità di docente universitario, concretatosi in una sottile opera di convincimento degli studenti circa l'importanza di una amicizia "particolare" con una persona autorevole che avrebbe potuto facilitare il percorso universitario ed in difetto della quale il perseguimento di determinati risultati avrebbe potuto essere particolarmente arduo, accompagnata talvolta da repentini contatti sessuali ancorché non invasivi.
Eloquente, a tale proposito, è l'analisi puntuale delle singole vicende oggetto di contestazione e la specifica indicazione di quanto accaduto a ciascuna delle parti offese: il    xxx ebbe difficoltà a far visionare e
firmare la tesi e dovette poi presentarla con altro docente; al xxx il docente riferì che la firma della tesi sarebbe avvenuta solo "...quando avrai il coraggio di farti penetrare o, al limite, venire davanti a me, ma in tal caso il risultato sarà inferiore", ed egli riuscì poi a laurearsi solo successivamente, con molta fatica ed in ritardo; il    xxx venne costretto ad abbandonare gli studi, mentre al xxx l'appoggio per ottenere una borsa di studio venne condizionato ad un corrispettivo in denaro o "in natura".
Si tratta, dunque, di atteggiamenti del tutto idonei a configurare il delitto di concussione il quale, è il caso di ricordarlo, non richiede, per la condotta di induzione, particolari modalità di esecuzione, potendo anche concretarsi attraverso qualsiasi comportamento, anche implicito, idoneo a creare nel soggetto passivo quel timore in grado di indurlo all'atto di disposizione (Sez. VI n, 9528, 3 marzo 2009; Sez. VI n. 3022, 26 marzo 1996; Sez. VI n. 12729, 22 dicembre 1994; Sez. VI n. 2725, 4 marzo 1994).
Da ciò deriva, conseguentemente, la infondatezza del dedotto motivo.
A conclusioni analoghe deve pervenirsi con riferimento al settimo motivo  di ricorso.
Invero, anche sulla possibilità di concorso tra il reato di concussione e quello di violenza sessuale la giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente pronunciata con argomentazioni che il Collegio ritiene pienamente convincenti.
Si è infatti osservato che trattasi di reati che tutelano beni giuridici diversi, posti a salvaguardia di distinti valori costituzionali, quali il buon andamento della pubblica amministrazione e la libertà di autodeterminazione della persona nella sfera sessuale (Sez. VI n. 8894, 7 marzo 2011; Sez. VT n. 9528, 3 marzo 2009; Sez. III n. 1815, 14 gennaio 2008).
Nella fattispecie, la mancanza di consenso all'atto sessuale o, comunque, la sussistenza di un consenso non liberamente espresso sono agevolmente rinvenibili nella descrizione delle condotte in contestazione puntualmente analizzate, come si è già detto, dai giudici del gravame.
Per quanto riguarda, inoltre, l'ottavo motivo di ricorso, va rilevato che la censura sollevata in via subordinata è fondata.
La Corte territoriale ha correttamente richiamato quanto evidenziato dal primo giudice, con accertamento in fatto, sulla natura di luogo aperto al pubblico degli uffici e dei locali dell'Università.
I reati concernenti la violazione dell'articolo 527 C.P. risultano, comunque prescritti dopo la sentenza d'appello (non constano, dagli atti nella disponibilità di questa Corte, sospensione del relativo termine) e tale circostanza impedisce comunque l'eventuale annullamento con rinvio per un diverso accertamento da parte del giudice del merito.
Ne consegue che, sul punto, la sentenza deve essere annullata senza rinvio eliminando la pena applicata (un mese di reclusione) dal giudice del gravame.
Con riferimento al nono motivo di ricorso deve rilevarsi, quanto alla negata concessione delle attenuanti generiche, che la loro concessione presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicché deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. I n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. VI n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. VI n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. I n. 4200, 7 maggio 1985).
Inoltre, riguardo all'onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. II n. 3609, 1 febbraio 2011; Sez. VI n. 34364, 23 settembre 2010) con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell'imputato (Sez. VI n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. VI n. 7707, 4 dicembre 2003).
Nella fattispecie, la Corte d'Appello ha evidenziato che la richiesta della difesa formulata nell'atto di appello non risultava assistita da specifici motivi e, ciò nonostante, ha comunque indicato l'assenza di positivi elementi di valutazione che potessero giustificare la concessione delle attenuanti e la evidente gravità dei fatti contestati.
Si tratta di argomentazioni del tutto corrette ed adeguate nelle quali, alla luce dei principi appena richiamati, non si ravvisano profili di illegittimità.
Quanto alle questioni riguardanti l'applicazione dell'ipotesi attenuata di cui all'articolo 609 bis, ultimo comma C.P., la giurisprudenza di questa Corte ha osservato che la stessa può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell'azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, l'entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico (Sez. III n. 40174, 6 dicembre 2006; n. 1057, 17 gennaio 2007; n. 45604, 6 dicembre 2007).
Sul punto, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la valutazione operata dai giudici del gravame appare corretta.
Nella sentenza impugnata viene chiaramente specificato che, riguardo alle ipotesi di tentativo contestate, le finalità perseguite dall'agente, ancorché non attuate, riguardavano gravi compressioni della libertà sessuale delle persone offese, in quanto concernenti rapporti sessuali completi anali ed orali, mentre, nelle ipotesi di reato consumato, la condotta del prevenuto era rimasta confinata entro azioni meno invasive, quali palpeggiamenti, ancorché prolungati.
Ed invero, si è già affermato che, anche nel delitto tentato, la maggiore o minore gravità del fatto va valutata in relazione al delitto consumato che l'agente mirava a realizzare (Sez. 111 n.34128, 12 ottobre 2006).
La correttezza delle argomentazioni poste a sostegno dell'impugnata decisione e, segnatamente, la corretta qualificazione giuridica dei fatti contestati, rende, infine, manifesta l'infondatezza del decimo motivo di  ricorso.


                                                                                                          P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di atti osceni perché estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena di un mese di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.


Così deciso in Roma il 14 dicembre 2011.
 

 

 
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