Penale.it

Google  

Penale.it - Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 6 dicembre 2011 (dep. 30 dicembre 2011), n. 48744

 La newsletter
   gratis via e-mail

 Annunci Legali




Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 6 dicembre 2011 (dep. 30 dicembre 2011), n. 48744
Condividi su Facebook

Versione per la stampa

Si configura il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione anche nei confronti di un bambino di cinque mesi, mentre il delitto previsto dall’art. 574 c.p. risulta introdotto dal’ordinamento al solo fine di tutelare la potestà genitoriale, come è dimostrato dalla sua collocazione normativa.

 RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

N. S. G. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 14 ottobre 2009 della Corte di appello di Genova (che ha confermato la sentenza 31 gennaio 2006 del G.U.P. del Tribunale di Genova, di condanna per il reato di sequestro aggravato di persona - nella specie un minore dell'età di 5 mesi - alla pena di anni 16 e mesi 8 di reclusione), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.
I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.
Con un primo motivo di impugnazione viene dedotto vizio di motivazione in punto di affermazione di responsabilità, sostenendosi la non sufficienza in proposito della presenza di alcune telefonate, intercorse tra l'autrice materiale del sequestro dell'infante ed il ricorrente, sia in data antecedente la perpetrazione del delitto, sia la sera stessa del sequestro, né potendosi attribuire valore decisivo alla testimonianza della madre del minore (ed alla perizia fonica) che ha riconosciuto la voce dell'imputato quale autore della richiesta di riscatto.
Il motivo non ha fondamento e va rigettato.
Contrariamente all'assunto della difesa ricorrente, che ignora la analitica e precisa motivazione della corte distrettuale, la responsabilità del N. è stata desunta dalle dichiarazioni accusatorie della coimputata P. J. M. E., puntualmente riscontrate, nonché dagli esiti della perizia fonica dalla quale è emerso che il N. (intercettato durante un colloquio con la madre) era la stessa persona, che aveva formulato la richiesta di riscatto e ciò con un margine di errore pari ad 1:2.000, espressione di un giudizio prossimo alla certezza.
L'insieme di tali elementi, la chiamata in correità ed i precisi riscontri, la perizia fonica e le altre risultanze processuali hanno consentito alla Corte di appello di ribadire il giudizio di colpevolezza del ricorrente nella vicenda ed il suo ruolo fondamentale di ideatore, organizzatore ed esecutore del sequestro di persona, e la previsione di una sua impunità, trovandosi egli all'estero, mentre la coimputata ne è stata la mera esecutrice materiale in Italia.
Le doglianze sono quindi infondate.
Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge in ordine alla decisione di inammissibilità dei "motivi nuovi" depositati ex art. 585 comma 4 cod. proc. pen. e ricollegabili al secondo dei formulati motivi di appello, che impugnava i capi ed i punti della sentenza di I grado relativi alla quantificazione della pena, con richiesta di determinazione della pena nei limiti minimi edittali.
Il motivo non è fondato.
La corte distrettuale ha sì ritenuto fondata l'eccezione del Procuratore Generale di inammissibilità dei motivi aggiunti, ma, come si rileva agevolmente dalla gravata sentenza, risulta che i giudici di merito hanno finito coll'esaminare, "funditus", il contenuto dei motivi che erano stati dichiarati formalmente inammissibili.
La gravata sentenza ha affermato in proposito:
a)       che la richiesta di riduzione della pena, motivata con le condizioni personali dell'imputato, non è idonea a supportare anche la richiesta di una diversa qualificazione giuridica del reato, come sostenuto dalla difesa nei motivi aggiunti, basandosi sull'assunto che, se venisse accolta detta tesi difensiva, si dovrebbe ridurre la pena;
b)      che la questione concernente la qualificazione del reato era già stata affrontata nella sentenza impugnata, pertanto era onere dell'imputato censurare tempestivamente anche detto aspetto;
c)       che, comunque, l'esatta qualificazione del reato addebitato al prevenuto, pur trattandosi di infante, corrispondeva al capo di imputazione ed al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, con necessaria implicita esclusione di ogni richiesta di contenimento della sanzione fondata su una diversa e non accettabile diversa qualificazione (574 cod. pen.) .
In buona sostanza ed in altre parole, la Corte di appello, pur esordendo in motivazione con la declaratoria di inammissibilità dei motivi nuovi, li ha di fatto compiutamente valutati, escludendo nella specie la diversa qualificazione della condotta, quale richiesta dal difensore in termini di "sottrazione di minore" al fine di ottenere la corrispondente riduzione della pena.
Il motivo va quindi respinto.
Con un terzo motivo si sostiene che, essendo la “libertà di movimento" il bene giuridico esclusivamente tutelato dalla previsione sanzionatoria dell'art. 630 cod. pen. e non "la libertà di vivere nell'habitat naturale", lo schema dogmatico in cui inquadrare la condotta di sottrazione, di un minore dell'età di cinque mesi, è quello dell'art. 574 cod. pen., nella vicenda da ritenersi in concorso con la violazione dell'art. 56/629 cod. pen..
Ritiene la Corte, aderendo ad una sia pur lontana, ma corretta lettura giurisprudenziale, che ricorra l'ipotesi criminosa dell'ad 630 cod. pen. qualora mediante una abductio o una ritenzione violenta o fraudolenta l'infans o I'amens siano sottratti alla custodia o vigilanza del legale rappresentante e sottoposti ad uno stato di cattività allo scopo di conseguire un ingiusto profitto come prezzo della liberazione (cass. pen. sez. 1, 2189/1978 Rv. 138098).
Peraltro il taglio e l'ampiezza dei motivi di ricorso impongono una breve digressione sul reato de quo, avuto specifico riferimento alla qualità del sequestrato, persona minore, dell'età di cinque mesi.
Invero, dalla giurisprudenza di legittimità, pur con qualche oscillazione, è possibile rinvenire alcuni necessari canoni di riferimento qui applicabili, tenuto conto:
a)        che il sequestro di persona a scopo di estorsione è tradizionalmente concepito quale reato complesso caratterizzato dal dolo specifico, apprezzato come una figura autonoma di reato, qualificabile, appunto, come reato complesso, per la confluenza in esso, quali elementi costitutivi, di fatti che costituirebbero per sè stessi reato (sequestro di persona ed estorsione), ai sensi dell'art. 84 c.p.;
b)        che va escluso che il reato previsto e punito dall'art. 630 cod. pen. possa considerarsi "ipotesi delittuosa aggravata del sequestro di persona, dal quale si differenzia per il dolo specifico, che si concretizza nello scopo perseguito, per sè o per gli altri, di un ingiusto profitto come prezzo della liberazione" ;
c)        che trattasi di reato connotato da natura plurioffensiva, poiché l'oggetto della tutela penale si identifica sia nella libertà personale, sia nell'inviolabilità nel patrimonio: il tratto che ha sempre costituito il suo elemento fondante è la "mercificazione della persona umana" che viene strumentalizzata in tutte le sue dimensioni, anche affettive e patrimoniali, rispetto al fine dell'agente; la persona diventa merce di scambio contro un prezzo, come risulta dalla stretta correlazione posta tra il fine del sequestro, che è il profitto ingiusto, e il suo titolo, cioè, appunto, il prezzo della liberazione (cfr. S.U. 962/2004 H., Cass. Sez. 3, 24 giugno 1997, n. 8048, ric. PM in proc. B. ed altri, RV 209224);
f) che nell'anzidetto tratto di plurioffensività, l'elemento obbiettivo del sequestro viene tipizzato dallo scopo di conseguire un profitto ingiusto dal prezzo della liberazione, con la conseguenza che, ove ricorrano i due elementi della privazione della libertà personale e della finalità di ottenere un profitto come prezzo della liberazione, il delitto è pienamente realizzato;
g)     che si tratta ancora di un reato a consumazione anticipata che si perfeziona nel momento in cui vengono attuati tutti i suoi elementi costitutivi, fino alla cessazione dello stato di soggezione della vittima non essendo quindi richiesto per la sua consumazione - come elemento necessario - il fatto che l'agente abbia effettivamente conseguito l'ingiusto profitto avuto di mira (S.U. 962/2004 H. cass. pen. sez. 2, 2611/1993 Rv. 193577);
h)     che la qualità di incapace della vittima non può impedire la tutela apprestata dall'art. 630 cod. pen., diretta anzitutto a preservare il bene della libertà di ogni soggetto, e considerato che questa Corte ha ritenuto configurabile la violazione dell'art. 605, e non quella dell'art. 574 cod. pen. (sottrazione d'incapace), anche ai danni di un minore, quale che sia la sua età (cass. pen. sez. 1, 1841/1994 Rv. 196520 Massime precedenti Conformi: N. 2613 del 1966 Rv. 100080, N. 763 del 1991 Rv. 188092), atteso che soggetto passivo del delitto previsto dall'art. 605 cod. pen. può essere anche qualsiasi persona giuridicamente incapace di agire e di far valere i propri diritti (cass. pen. sez. 5, 6220/2011 Rv. 249291 Massime precedenti Conformi: N. 1841 del 1994 Rv. 196520 Massime precedenti Difformi: N. 9538 del 1992 Rv. 192259).
Tanto premesso, va ribadito, contrariamente alle diffuse argomentazioni del ricorrente, intese a "ricollocare" la condotta nell'ambito dell'art. 574 cod. pen., che nel sequestro di persona a scopo di estorsione la persona è strumentalizzata in tutte le sue dimensioni, anche affettive e patrimoniali, rispetto all'obbiettivo perseguito dall'agente, e la liberazione della vittima (adulta, infante, incapace od amente) potrà dirsi attuata quando essa sia fisicamente libera da interventi coattivi "sul corpo" che impediscano o limitino tutte quelle espressioni che costituiscono il contenuto della libertà personale.
Libertà personale, che non è soltanto quella, esaltata nel ricorso, della libertà di locomozione, ma comprende tutte le possibili estrinsecazioni della libertà personale stessa, quali, ad esempio, le relazioni interpersonali (cass. pen. sez. 3, 8048/1997 Rv. 209224 Massime precedenti Conformi: N. 827 del 1970 Rv. 114819, N. 274 del 1973 Rv. 124658).
E' infatti proprio il criterio del pregiudizio alle relazioni personali che assume assoluta dominanza ed immanenza, nel caso di un minore sequestrato dell'età di mesi cinque, e per il quale il criterio della “libertà di locomozione", naturalmente non percepibile nella sua compressione dall'infante, diventa parametro accessorio, rispetto appunto alle indicate "relazioni personali", queste sì dolorosamente percepibili dalla piccola vittima, privata degli usuali ed essenziali riferimenti affettivi ed ambientali.
In tale prospettiva quindi, la cesura, violenta e radicale delle relazioni della vittima, va apprezzata come dato oggettivo, prioritario e costitutivo della violata "libertà personale", tutelabile ex art. 630 cod. pen. ricorrendo come nella specie gli altri elementi costitutivi del detto delitto.
Per concludere: l'invocato art. 574 cod. pen. risulta voluto nel nostro sistema sanzionatorio a presidio prioritario della potestà genitoriale e del suo concreto esercizio, tant'è che trova collocazione (nel libro II al titolo XI, Del delitti contro la famiglia al capo IV) tra i delitti contro l'assistenza familiare.
La norma dell'art. 630 cod. pen. invece è inserita (nel libro II al titolo XIII, Dei delitti contro il patrimonio, al capo I) tra i delitti contro il patrimonio mediante la violenza alle cose o alle persone, con la conseguente duplice e convergente protezione, non solo dell'interesse pubblico, che attiene alla inviolabilità del patrimonio, ma anche quello della tutela della libertà personale, la cui inviolabilità è stabilita dall'art. 13 della Carta costituzionale e che, nel caso di persona sequestrata, minore di età od infante come nella specie, assume nella economia del crimine un disvalore dominante.
Non a caso, proprio al fine di assicurare in tutti i modi che la vittima "riacquisti la libertà", è stato approntato - soltanto per il sequestro di persona - un regime premiale, per colui che si dissocia, che consente di scendere al di sotto degli elevati minimi sanzionatori fissati dall'art.630 comma 6 cod. pen..
Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la corretta qualificazione giuridica del fatto, la tenuta logica e la coerenza strutturale della giustificazione che è stata diffusamente formulata nella gravata sentenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosi deciso in Roma iI giorno 6 dicembre 2011.
Depositato in cancelleria il 30 dicembre 2011.
 
© Copyright Penale.it - SLM 1999-2012. Tutti i diritti riservati salva diversa licenza. Note legali  Privacy policy