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Commento a Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 24 maggio 2011 (dep. 15 giugno 2011), n. 24039
Come noto, il sistema accusatorio accolto dal codice di rito prevede che la prova sia formata in dibattimento, nel contraddittorio tra le parti, con alcune eccezioni stabilite tassativamente. A livello sovranazionale il principio trova pendant nell’art. 6 CEDU che esplicita il “diritto di esaminare o far esaminare i testimoni a carico”.
L’art. 111 Cost. al V comma – prevedendo una riserva di legge in materia – accenna specificamente a un criterio derogatorio al contraddittorio, cioè la “accertata impossibilità di natura oggettiva” di acquisire la prova in dibattimento (rectius: nel contraddittorio).
Tra le eccezioni disciplinate dalla legge processuale, vi è quella stabilita dall’art. 512 c.p.p. “Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione”. La norma consente al giudice, su richiesta di parte, di disporre la lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso dell’udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne sia divenuta impossibile la ripetizione. Si tratta di atti formati durante la fase delle indagini preliminari che non sarebbero conoscibili dal giudice del dibattimento, proprio in ossequio al principio della prova orale, immediata e formata nel contraddittorio e che il giudice non potrebbe utilizzare ai fini della decisione (art. 526 c.p.p.), se non ricorrendo le tassative ipotesi di lettura previste dal codice.
La pronuncia in commento muove da una censura per violazione di legge ex artt. 512, 526 c.p.p. e art. 111 Cost. della sentenza della Corte d’Appello di Milano che confermava la sentenza di condanna nei confronti di M.M. del Tribunale di Como. Nel giudizio di primo grado le dichiarazioni del teste P. erano state acquisite ai sensi dell’art. 512 c.p.p., ritenuto sussistente il requisito della “irreperibilità” dello stesso.
Ricorrendo in Cassazione, l’imputato sosteneva che l’irreperibilità del teste P. “non poteva essere definita oggettiva, involontaria, imprevedibile ed accertata con sicurezza” e che, pertanto, l’acquisizione in dibattimento degli atti assunti nella fase predibattimentale era da ritenersi illegittima.
La Suprema Corte riteneva fondata la censura.
Ponendo quale baricentro della propria motivazione i principi sanciti con la sentenza Poltronieri Cass. sez. II, n. 43331 del 18-10/22-11-2007 1, la Corte afferma che “ l’interpretazione costituzionalmente adeguatrice dell’art. 512 c.p.p. impone siano espletate tutte quelle rigorose ricerche che consentono, in relazione al singolo caso, di affermare con certezza l’irreperibilità del teste e, quindi, l’impossibilità del suo esame in contraddittorio”. Considerati i principi in gioco e la necessità che la deroga sia tassativa anche “sostanzialmente”, secondo la Corte “ le modalità di cui all’art. 159 c.p.p.” ( Notificazioni all’imputato in caso di irreperibilità) “ non sono che il parametro per individuare il ‘minimo’ che va fatto per cercare il teste, un minimo suscettibile di integrazione congrua” secondo le particolarità del caso concreto (tra cui la situazione personale risultante dagli atti, le deduzioni specifiche eventualmente svolte dalle parti).
Ai fini dell’applicabilità dell’art. 512 c.p.p., il giudice, precisa la Corte, nell’affermare la sopravvenuta irreperibilità del teste, deve dar conto con motivazione non apparente e manifestamente illogica o contraddittoria dell’apprezzamento compiuto sulla ragionevole impossibilità di svolgere ulteriori ed efficaci ricerche del medesimo e non limitarsi a prendere atto di un formale infruttuoso tentativo ex art. 159 c.p.p.
Annalisa Gasparre, dicembre 2011
(riproduzione riservata)
1 Il testo è comunque ricco di richiami giurisprudenziali conformi.
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