Tribunale di Grosseto, in composizione monocratica, Sentenza 25 marzo 2003

Motivazione

P. P. è imputata del reato di cui all'art.186 d.lvo 285/'92 perché, in data 21 febbraio 1999, sottoposta a controllo dalla polizia stradale di Grosseto mentre era alla guida di un autoveicolo, è stata trovata in stato di ebbrezza.
Al riguardo il teste Caselli Emanuele, ispettore di polizia che ha eseguito gli accertamenti, ha riferito che nel corso di un servizio di controllo della circolazione stradale espletato il 21 febbraio 1999, veniva fermata l'autovettura condotta dalla P. perché procedente in contromano sulla via Manetti nel centro di Grosseto; avvicinatosi alla conducente per la richiesta dei documenti, percepiva un forte odore di alcol e notava che la stessa, appena uscita dall'abitacolo, si muoveva barcollando.
In considerazione di tali circostanze, la P. era accompagnata in questura per essere sottoposta a test alcolemico ( non disponendo la pattuglia di un kit portatile funzionante), il cui espletamento, effettuato due volte, dava risultati rispettivamente pari a 2,14 g/l ed a 2,25 g/l, notevolmente superiori al tasso consentito (all'epoca 0,8 g/l e successivamente ulteriormente ridotto a 0,5).

Tali elementi comprovano, senza alcun dubbio, la colpevolezza dell'imputata in ordine alla contravvenzione ascrittale dato che, sia il comportamento della P. durante la guida (procedeva contromano) e al momento del controllo (emanava un forte odore di alcol e si muoveva barcollando), sia i risultati dei test alcolemici eseguiti dopo che la stessa imputata era stata fermata dalla polizia, sono indiscutibilmente ed univocamente significativi del fatto contestato, essendo perciò del tutto inutile e dilatorio l'ulteriore approfondimento istruttorio richiesto dalla difesa ai sensi dell'art. 507 c.p.p. (perizia sull'apparecchio) .

La difesa si è limitata ad eccepire la nullità della notifica ex art. 415 bis perché eseguita in località diversa dal domicilio dichiarato, posto che la stessa risulterebbe tentata in XXXXXX (località inesistente), anziché in YYYYYY (domicilio dichiarato e luogo della effettiva residenza).
In realtà, dalla relata di notifica si evince chiaramente che l'ufficiale giudiziario ha tentato la notifica nella località esattamente individuata e corrispondente al domicilio dichiarato (YYYYYY, ZZZZZZZ n. 35, QQ), e dopo aver accertato che la P. non era reperibile all'indirizzo, assumendo anche informazioni presso l'ufficio anagrafe del comune di YYYYYYYY, ha correttamente proceduto alla notifica ai sensi dell'art. 161 c.p.p..

Nel merito, la difesa ha eccepito la prescrizione per due ordini di motivi, sostenendo, in primo luogo, che l'atto interruttivo della prescrizione indicato dal p.m. (decreto penale emesso il 15/05/2000), non avrebbe spiegato tale effetto in quanto non notificato e perciò successivamente revocato dal gip che restituiva gli atti al p.m. (il quale, a sua volta, dopo aver notificato l'avviso ex art. 415 bis c.p.p., emanava il decreto di citazione a giudizio).

La tesi difensiva non merita accoglimento in quanto, per giurisprudenza costante, il decreto di condanna interrompe la prescrizione dalla data di emissione e non da quella di notificazione: Cass.1976, n.7832.
Allo stesso modo, le Sezioni Unite hanno chiarito che l'atto interruttivo, tassativamente indicato nell'art.160 c.p., interrompe la prescrizione dalla data della sua emissione e non già dalla data della sua notificazione (con riferimento all'emissione del decreto di citazione, Cass. Sez.Un. 1998, 13390 del 18/12/1998).

La ratio consiste nel fatto che l'efficacia interruttiva, ai fini della prescrizione, sia del decreto di citazione a giudizio - come di altro atto ugualmente efficace quale il decreto penale- deriva dalla stessa emissione, senza alcuna necessità di notificazione all'interessato, bastando la formazione dell'atto alla dimostrazione della persistente volontà del competente organo di perseguire il reato commesso : Cass. 1995, n. 11829.

Dunque il fatto che il decreto penale sia stato successivamente revocato perché non notificato, non esclude l'intervenuta interruzione della prescrizione posto che tale effetto è ricollegato al momento della emissione del decreto, con cui si è espressa la persistente volontà di perseguire il reato.

In secondo luogo, la difesa ha eccepito la prescrizione, essendo comunque decorso il termine massimo di prescrizione di cui all'art.157 n. 6 c.p., pari ad anni due, prorogabili non oltre la metà, ex art. 160 ultimo comma, fino a complessivi anni tre.
In particolare, sostiene che in seguito all'entrata in vigore del d.lvo 274/00, la contravvenzione contestata risulterebbe ormai sottoposta al suddetto termine di prescrizione posto che la modifica legislativa renderebbe sanzionabile il reato con la sola pena dell'ammenda e, comunque, non più con la pena dell'arresto, escludendosi perciò l'applicabilità del termine di prescrizione più lungo fissato dal n. 5 dell'art. 157 C.P. per le sole contravvenzioni per cui la legge stabilisce la pena dell'arresto.
In proposito, ha prodotto una decisione della Corte d'Appello di Genova (sentenza n. 298 del 29/01/2003), che - sia pure in un obiter dictum - ritiene applicabile alla contravvenzione di cui all'186.2 CdS il termine di prescrizione di "due anni + uno" .

La tesi non è condivisibile perché, ad avviso di questo giudice, anche in seguito all'entrata in vigore del d.lvo 274/00, il termine di prescrizione applicabile alla contravvenzione di cui all'art. 186 cds, continua ad essere quello di cui al n.5 dell'art. 157 c.p., pari ad anni 3, prorogabili non oltre la metà (fino a 4 anni e mezzo) ai sensi dell'art. 160 c.p..

Invero, giova, innanzitutto, premettere che, com'è noto, il D.Lgs.vo 28 agosto 2000, n. 274, ha attribuito alla competenza per materia del giudice di pace i reati di cui all'art. 4 di tale testo normativo, tra i quali (2° c., lett. q) l'art. 186, c. 2, del D.Lgs.vo 30 aprile 1992, n. 285 (c.d. Codice della Strada), ferma restando la competenza del tribunale per i minorenni.

Ha, altresì, modificato, nell'art. 52, il regime sanzionatorio per tali reati, tra l'altro stabilendo, nel secondo comma, lett. c), per quanto nella specie interessa, che "quando il reato è punito con la pena della reclusione o dell'arresto congiunta con quella della multa o dell'ammenda, si applica la pena pecuniaria delle specie corrispondente da lire un milione e cinquecentomila (ora Euro 774,69) a cinque milioni (ora Euro 2.258,28) o la pena della permanenza domiciliare da venti giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da un mese a sei mesi".

Con l'art. 58, poi, sono stati indicati gli effetti delle sanzioni (nuove rispetto alla previsione di cui all'art. 17 c.p.) ed i criteri di ragguaglio, stabilendosi che "per ogni effetto giuridico la pena dell'obbligo di permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria".

Dunque, alla stregua di tale sopravvenuta disciplina normativa, il reato di cui all'art.186.2 C.d.S. (tranne l'ipotesi di recidiva reiterata infraquinquennale, di cui all'art. 52.3, che nella specie non è contestata nel capo di imputazione) deve ritenersi ora punito con pena alternativa.
In particolare, poiché l'obbligo di permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria, "ad ogni effetto di legge", il reato deve ritenersi punito con pena alternativa, pecuniaria o detentiva.

Tale parificazione, attesa la sua applicazione "ad ogni effetto di legge", che non lascia margini a distinzioni o diverso apprezzamento al riguardo, non può non rilevare anche in riferimento agli istituti contemplati nella legislazione generale, codicistica, esplicando effetti anche ai fini del computo del termine prescrizionale, ai sensi degli artt. 157 e 160 c.p..

La suddetta argomentazione è stata sostenuta anche dalla Suprema Corte, sia pure sotto il diverso profilo dell'applicabilità dell'istituto dell'oblazione ex art.162 bis c.p. (previsto per i reati puniti con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda) con riferimento alla contravvenzione di cui all'art. 186.2 CdS : Cassazione 30 ottobre 2002, sentenza n. 2183.

Tutto ciò premesso, posto che il reato di cui all'art. 186 CDS ha natura contravvenzionale e che perciò la pena detentiva della specie corrispondente - cui (giova ripetere) l'art. 58 D.Lvo 270/00 equipara la permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità "ad ogni effetto di legge" - è ovviamente quella dell'arresto, il termine di prescrizione continua ad essere fissato dal n. 5 dell'art. 157 c.p. in misura di anni tre, prorogabili fino ad un massimo di quattro anni e mezzo ai sensi dell'art.160 c.p. .

Con riferimento al caso di specie, il suddetto termine non è ancora decorso, posto che il reato è stato commesso il 21/02/99 e che, medio tempore, sono stati emanati due atti interruttivi della prescrizione, e specificamente il decreto penale del 15/05/2000 e il decreto di citazione del 16/10/2002.

Sotto il profilo sanzionatorio, possono concedersi all'imputata la circostanze attenuanti generiche in considerazione della sua incensuratezza.
Pertanto, tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 e seguenti c.p., pena equa appare quella di euro 800,00 di ammenda (p.b.= euro 1200,00; - 62 bis = euro 800,00); segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.
Ai sensi dell'art. 186 CdS, deve essere applicata la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per il periodo di giorni 15 (quindici).

P.Q.M.

Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.
Dichiara P. P. colpevole del reato a lei ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, la condanna alla pena di euro 800,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visto l'art.186 co.2 CdS
Applica alla P. la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per il periodo di giorni 15 (quindici).
Grosseto, 25/03/03

il Giudice
Dr. Francesco Luigi Branda

[torna alla primapagina]