Tribunale di Grosseto, in composizione monocratica, Sentenza 10 dicembre 2002, 794
MOTIVI DELLA DECISIONE
Fatto e diritto.
G. P. è stato tratto a giudizio con l'accusa di aver realizzato in zona protetta da vincolo ambientale opere non autorizzate né sotto il profilo urbanistico, né sotto quello paesistico, in violazione dell'art. 20 lett. c L.47/'85 e dell'art. 163 D.Lvo 490/99.
Con riferimento
al reato edilizio, si è posto il problema se la costruzione di un manufatto
che comporti trasformazione urbanistica del territorio sia sottoposta ancora
alla disciplina di cui alla legge 47/'85.
Nel caso contrario, infatti, ove si ritenga che a seguito della pur breve vigenza
del T.U DPR380/01, sia stata definitivamente abrogata la legge 47/'85, dovrebbe
essere invece pronunciata , ai sensi dell'art. 129 c.p.p., sentenza di assoluzione
perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
In proposito,
occorre esaminare la questione attinente alla successione di leggi in materia
edilizia, e quindi ai rapporti tra la legge n.47/'85 ( con riferimento specifico
all'articolo 20 lettera C) L.47/'85 contestato nell'imputazione per cui è
processo) e le disposizioni legislative in materia di edilizia introdotte dal
DPR n.380/2001, posto che - come è ormai assodato - queste ultime hanno
avuto un breve periodo di vigenza dall' 1 al 9 gennaio 2002 ( cfr., in tal senso,
Cass. n. 19377, 2002).
Sotto tale profilo (vigenza del testo unico nel periodo dall'1 al 9 gennaio)
va infatti ricordato che
- l'art. 138 del DPR 380/2001 prevedeva l'entrata in vigore del T.U. in materia
di edilizia dal 1 gennaio 2002;
- il D.L. 23 novembre 2001, nel prorogare e differire i termini di entrata in
vigore di alcune fonti, dimenticava di inserire tra le normative prorogate o
differite il suddetto testo unico;
- la legge di conversione n.463 del 31 dicembre 2001 (entrata in vigore - per
espressa disposizione - il giorno successivo alla sua pubblicazione avvenuta
sulla gazzetta ufficiale del 9/01/2002), apportando modifiche al decreto convertito,
ha prorogato al 30 giugno 2002 anche il termine di entrata in vigore del DPR
n. 380. Ovviamente, il differimento ha avuto efficacia soltanto dal 10 gennaio
2002, quando già il T.U. aveva avuto un periodo di vigenza, sia pure
per soli 9 giorni;
- infine, D.L. n. 122 del 20 giugno 2002, convertito dalla L.185/2002, ha ulteriormente
prorogato l'entrata in vigore del testo unico al 1 gennaio 2003.
La vigenza seppur breve del testo unico, come è stato autorevolmente ritenuto dalla Suprema Corte (sent. n. 19377, 2002) , è sicuramente rilevante ai fini dell'applicazione dell'articolo 2 del codice penale, quale disciplina della successione di leggi penali.
Sulla base di
tale indiscutibile principio, in una pronuncia di merito (Trib. Ivrea n. 447
del 3 luglio 2002) è stato tratto l'erroneo corollario della sostanziale
depenalizzazione di tutti i reati edilizi di cui all'art. 20 L.47/'85, posto
che l'art. 136 T.U. annovera tra leggi abrogate dalla data di entrata in vigore
del Testo unico anche la L.n.47/'85.
Pertanto, ad esempio, in tale prospettazione, dal 1 gennaio 2002 (data di entrata
in vigore del DPR 380) ed anche oltre il 9 gennaio 2002, la normativa di cui
alla legge 47/'85 che - per quello che qui interessa - all'art. 20 lett. C)
sanziona penalmente chi realizza interventi edilizi senza concessione in zona
sottoposta a vincolo paesistico, sarebbe stata definitivamente abrogata.
Infatti, ad essa - come è certo - è succeduta per soli 9 giorni
la disciplina del testo unico che ha continuato a sanzionare penalmente tale
condotta (articolo 44) ed avrebbe abrogato la norma di cui all'art. 20 L47/'85
(art.136).
Quindi - secondo l'interpretazione proposta - si sarebbe poi verificato un periodo
di vuoto normativo a livello sanzionatorio, posto che per effetto della citata
legge n. 463/2001 (che ha prorogato al 30 giugno 2002 l'entrata in vigore del
T.U.) l'entrata in vigore del testo unico sarebbe stata sospesa ( mentre la
legge 47/'85 sarebbe stata già definitivamente abrogata dal 1 gennaio
2002).
La conclusione cui perviene è che, non essendo attualmente in vigore
alcuna norma che sanziona penalmente chi realizza un intervento di trasformazione
urbanistica del territorio senza concessione edilizia, il fatto non sarebbe
più previsto dalla legge come reato, conseguendone necessariamente una
pronuncia assolutoria secondo la stessa formula.
La giurisprudenza
richiamata, peraltro minoritaria, non è assolutamente condivisibile per
i seguenti motivi.
L'assunto da cui trae le mosse tale orientamento - come si è detto -
si basa sul presupposto che l'art. 20 della legge 47/85 sarebbe stato oggetto
di abrogazione "in senso stretto" il primo giorno di entrata in vigore
del testo unico. Pertanto, poiché l'effetto abrogativo è indiscutibilmente
istantaneo, la norma abrogata non potrebbe più rivivere per il solo differimento
della legge abrogatrice, la quale ha comunque avuto un periodo di vigenza.
Sarebbe stata invece necessaria - anche per il rispetto del principio di legalità
-, l'adozione di un nuovo atto legislativo che assumesse espressamente a proprio
contenuto il precetto della legge abrogata (come dire: la legge 463/2001 avrebbe
dovuto espressamente richiamare il contenuto delle norme della L.47/'85 cui
si voleva ridare efficacia).
Appare necessaria una breve analisi sul concetto di abrogazione e sui suoi rapporti
con il tipo di normazione eminentemente compilativa dei testi unici.
Il termine abrogazione trae origine dal diritto romano ed in particolare dall'istituto
della lex rogata, risultante dalla proposta del magistrato (rogatio) e dal consenso
del populus adunato nei comitia. Il termine rogatio , oltre alla proposta, indicava
altresì la parte centrale della legge stessa (cioè il testo),
composta appunto da index et prescriptio legis, rogatio e sanctio.
Il termine abrogazione, pertanto, oltre ad indicare il procedimento contrario
a quello in base al quale si era formata la legge (nuova rogatio e contrarius
consensus da parte del populus), significava altresì il venir meno della
parte centrale della legge (ab - rogatio).
Per indicare invece la parziale eliminazione si usava il termine derogatio,
la parziale modifica obrogatio, l'aggiunta di una nuova disposizione subrogatio
.
Il riferimento
al diritto romano serve a evidenziare che in realtà la successione di
leggi può spiegare effetti differenti e che, in ogni caso, il concetto
di abrogazione in senso tecnico tende a significare una soluzione di continuità
riguardo alla sostanza della disciplina legislativa abrogata .
Il concetto moderno di abrogazione in senso tecnico è sinteticamente
connotato dai seguenti elementi : a) l'esistenza di un potere giuridico (potestà
legislativa) permanente e potenzialmente inesauribile; b) l'esercizio concreto
di tale potere, da cui deriva un determinato atto giuridico; c) il rinnovato
esercizio del medesimo potere da cui deriva un ulteriore atto idoneo a far cessare
l'efficacia giuridica del precedente. Dunque, abrogazione come eliminazione
dell'efficacia della legge precedente.
Il termine è tuttavia spesso utilizzato anche in senso atecnico per indicare
casi in cui la nuova normativa si limiti a compilare disposizioni preesistenti,
mutandone soltanto la collocazione ed il titolo (vedi i testi unici nelle parti
compilative).
A tal punto
si innesta la tematica dei rapporti tra la nozione di abrogazione e le forme
in cui può esplicarsi la potestà legislativa, con particolare
riferimento ai cosiddetti testi unici.
Va premesso che il cosiddetto "testo unico" viene normalmente adottato
attraverso lo strumento della delega al Governo.
In linea generale, la legge delegata (o decreto legislativo) è un atto
del potere esecutivo, il quale, in virtù della delega da parte del Parlamento,
esercita la funzione legislativa. Pertanto, qualora l'atto delegato, in conformità
della delega, toglie efficacia ad una precedente norma di legge si ha vera e
propria abrogazione.
Dottrina autorevole (in tal caso l'aggettivo non è formula di stile),
ha avuto modo di chiarire che non si può parlare di delega in senso tecnico
nel caso in cui il Parlamento conferisce al Governo l'incarico di procedere
alla sola compilazione di un testo unico di norme già esistenti. Infatti,
in tal caso il T.U. non produce modificazioni sostanziali nell'ordinamento legislativo
(anzi ogni modifica non autorizzata, sarebbe viziata da illegittimità
costituzionale). Non può quindi aver luogo nessun fenomeno abrogativo
proprio perché la norma abrogatrice sarebbe priva di forza di legge.
"S'intende che, in occasione della compilazione del testo unico, si possono
volere anche modifiche sostanziali del diritto vigente. Ma in questo caso si
rende necessaria, in rapporto alle modifiche sostanziali programmate, una vera
e specifica delega di potestà legislativa da parte del Parlamento: e
quindi si rientra nell'ipotesi normale".
Dunque, in sintesi e con specifico riferimento al testo unico sull'edilizia, può ben dirsi che laddove lo stesso si è limitato a compilare, senza alcuna modifica sostanziale, norme preesistenti, non ha esercitato alcuna efficacia abrogativa. Nel caso differente in cui, esercitando effettivamente il potere legislativo delegato per innovare l'ordinamento e per togliere efficacia a norme preesistenti, è evidente che ha realizzato una vera e propria abrogazione.
Più in
dettaglio, le disposizioni contenute nell'articolo 20 della legge 47/'85 non
sono state modificate sostanzialmente, ma riprodotte nell'art. 44 del T.U. In
tal caso, sì è avuta pertanto mera compilazione delle disposizioni
preesistenti che non sono state (e non potevano essere) abrogate in senso stretto.
L'abrogazione è perciò configurabile solo nei casi assolutamente
diversi in cui, in esplicazione della delega, sono intervenute modifiche sostanziali
rispetto alla disciplina previgente.
In conclusione, l'art. 20 L.47/'85 non può dirsi pertanto affatto abrogato
dall'entrata in vigore del T.U. .
Per assurdo, la tesi dell'abrogazione porterebbe invece a sostenere - senza
alcun riscontro normativo - che il T.U. ha apportato modifiche sostanziali alla
disciplina dell'illecito consistito nella realizzazione ex novo senza concessione
(o permesso di costruire) di un'opera comportante trasformazione urbanistica
del territorio.
Ne deriva che, in costanza del differimento o proroga della entrata in vigore
del T.U., continua ad applicarsi l'art. 20 della legge 47/'85 (perché
non abrogato in senso tecnico, ma solo compilato nel nuovo T.U.).
La chiave interpretativa proposta, con cui viene altresì assicurata la
legittimità costituzionale del T.U., permette di spiegare che l'abrogazione
in senso stretto va riferita solo alle parti in cui il T.U. non sì è
limitato a compilare le norme già in vigore ma ha introdotto , in esplicazione
della delega, disposizioni che hanno segnato una soluzione di continuità
rispetto all'efficacia delle precedenti.
Inoltre, anche
a voler ragionare in termini di abrogazione ("sui generis"), la tesi
della sostanziale depenalizzazione di tutti i reati edilizi, trascura il dettato
dell'art.5 bis introdotto dalla legge n. 463/2001, laddove espressamente afferma
" il termine di entrata in vigore del DPR 6 giugno 2001 n.380, recante
testo unico delle disposizioni legislative delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia, è prorogato al 30 giugno 2002 "
(tale dizione è riprodotta nel D.L. n. 122 del 20 giugno 2002, convertito
dalla L.185/2002, con cui è stato ulteriormente prorogata l'entrata in
vigore del testo unico al 1 gennaio 2003).
In proposito, la Suprema Corte, con la decisione menzionata, ha chiarito che
non può parlarsi di proroga in senso tecnico, bensì di differimento
dell'entrata in vigore dell'intero testo unico.
In effetti, nonostante l'utilizzo di una formula non propriamente tecnica, è
chiara la volontà del legislatore di riferire letteralmente il differimento
a tutte le norme del testo unico, ivi comprese quelle latu sensu "abrogative"
di precedenti disposizioni (art. 136), seppur con le necessarie precisazioni
che seguono.
In particolare, sotto il profilo logico- sistematico - occorre ribadire che
nella successione delle suddette leggi, v'è stata sicuramente "continuità
di illecito", dal momento che la realizzazione ex novo in zona vincolata
di interventi edilizi di trasformazione urbanistica del territorio senza concessione
(o permesso di costruire) è prevista come reato sia nella L.47/'85 (art.
20 lett C) sia nel testo unico (art. 44 lett.C ), senza sostanziali modifiche
nella disciplina sanzionatoria.
Dunque, il testo unico nel sanzionare penalmente tale condotta, si sostituisce
alla precedente normativa, dettando una identica disciplina, e non la abolisce
tout court, talchè lo stesso fatto continua ad essere sanzionato penalmente
in ugual modo.
Pertanto, con l'integrale differimento di tutte le norme del testo unico (ivi
compreso l'art. 136), non avrebbe alcun senso "sospendere" solo le
norme che hanno continuato a sanzionare ugualmente il reato edilizio (per il
breve periodo di vigenza) e non anche quelle mediante le quali il T.U. ha "abrogato"
le precedenti norme solo per sostituirsi ad esse quale titolo della identica
disciplina sanzionatoria.
In altri termini,
nel caso in esame, v'è stata indubbiamente riformulazione della norma
senza "abolitio criminis" e senza modifiche sostanziali alla disciplina
sanzionatoria, poichè il fatto-reato continua ad essere sanzionato allo
stesso modo nel T.U. (l'art. 44 lett. C riproduce fedelmente il testo dell'art.
20 lett. C), salva la diversa dizione del permesso di costruire) che, pertanto,
non rappresenta alcuna soluzione di continuità nella efficacia della
disposizione che già sanzionava l'edificazione senza concessione in zona
vincolata.
.
Può pertanto affermarsi che nello schema complessivo del T.U., l'art.
20 della L.47/'85 è sostituito dall'art. 44 DPR 380, quale riformulazione
della norma precedente ( il legislatore, evidentemente, rendendosi conto della
perdurante necessità di sanzioni penali per alcune condotte, ha collegato
l'"abrogazione" dell'art. 20 lett. C) alla sua sostituzione con l'art.
44 lett.C).
Pertanto, se viene meno - perché differita- l'applicazione della norma
nella nuova formulazione, è logico ritenere che viene differita anche
la sostituzione dell'art. 20 lett. C) L.47/'85 quale titolo della disciplina
sanzionatoria.
Per tutti i motivi sopra esposti, non è affatto vero che, allo stato, non è rintracciabile alcuna norma che sanziona penalmente la condotta contestata; la disciplina sanzionatoria si rinviene ancora nell'art. 20 (lett C) L.47/'85.
Del resto, la conclusione è implicitamente desumibile dalla più
volte richiamata decisione della Suprema Corte, con la quale è stato
dichiarato inammissibile il ricorso proposto, con condanna del ricorrente alle
spese, ritenendo che la concessione in sanatoria non fosse conforme alla disciplina
degli artt.13 e 22 della legge 47/'85 (ovviamente la Corte non sarebbe pervenuta
a tale decisione, ove avesse ritenuto definitivamente abrogata la suddetta legge).
Nello stesso senso si è espressa esplicitamente Cass. n. 13978 del '8
maggio 2002.
Il problema
può porsi soltanto nel caso - assolutamente diverso - in cui il Testo
unico abbia depenalizzato condotte che invece erano sicuramente sanzionate penalmente
nel vigore della L.47/'85 (ovvero modificato sostanzialmente la disciplina sanzionatoria),
essendo in tal caso ravvisabile il profilo innovativo (e non quello esclusivamente
compilativo).
Tali condotte, sia pur nel breve periodo di vigenza del T.U. hanno perso rilevanza
penale ( si veda ad esempio, la ristrutturazione edilizia mediante demolizione
e fedele ricostruzione).
Pertanto, laddove il testo unico - in tal caso con indiscutibile efficacia abrogativa
in senso tecnico- abbia depenalizzato una condotta (e sicuramente non è
il caso della realizzazione ex novo di un intervento edilizio che comporti trasformazione
urbanistica del territorio, senza concessione), la disciplina della successione
di leggi penali nel tempo può determinare una assoluzione, sia secondo
i criteri di cui all'art. 2 c.p. ("nessuno può essere punito per
un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato" …
"se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono
diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al
reo, salvo che sia stata pronunciata una sentenza irrevocabile" ), sia
perché in tal caso l'effettiva abrogazione con abolitio criminis (o con
modifica sostanziale della disciplina sanzionatoria) si è compiuta istantaneamente
e incondizionatamente con la pur breve entrata in vigore del T.U..
Nel caso concreto, invece, sulla base delle considerazioni che precedono, si deve concludere che la condotta contestata di trasformazione urbanistica del territorio in zona sottoposta a vincolo paesistico senza concessione, continua ad integrare il reato di cui all'art. 20 lett. C) L.47/'85.
Nel merito,
il processo è stato istruito con l'acquisizione del fascicolo fotografico,
formato dal p.m., e di documentazione relativa allo stato dei luoghi, con la
deposizione dell'ufficiale di p.g. Del Lungo Stefano autore degli accertamenti,
nonché con l'esame del teste della difesa Sussarello Valerio.
In particolare il teste Del Lungo ha premesso che il G., aveva realizzato
in passato, nello stesso sito, un manufatto in blocchi di cemento con copertura
in paglia, senza alcun titolo autorizzatorio, subendo un processo penale. Per
la medesima opera aveva quindi avanzato istanza di concessione in sanatoria
ai sensi dell'art. 13 L.47/'85, rigettata dal Comune di Monte Argentario.
Nonostante il rigetto della istanza di concessione in sanatoria, l'odierno imputato,
anziché elidere le conseguenze dell'abuso, ripristinando l'originario
stato dei luoghi, per tutta risposta, ha dato mano ad ulteriore edificazione
senza alcun titolo.
In particolare, nel corso del sopralluogo effettuato nel maggio del 2000, è
stato riscontrato l'innalzamento dei muri perimetrali del manufatto in misura
di circa 50 cm, la realizzazione ex novo di una copertura in cemento con quattro
falde spioventi, non ancora ultimata e parzialmente ricoperta da tegole limitatamente
ad una falda, ed inoltre la realizzazione di un locale nel sottotetto con luci,
comunicante con il piano inferiore. .
Al momento del suddetto sopralluogo i lavori non erano ancora ultimati, poiché
i muri erano a rustico; il tetto non era stato ancora coperto integralmente
con tegole, poste soltanto su di una falda; ai lati era ancora installata una
impalcatura a servizio dei lavori.
Le foto acquisite agli atti rappresentano il classico caso di scuola di opera
non ancora ultimata, come dimostrato dallo stato a rustico, dalla copertura
incompleta con posa in opera di tegole su di una sola delle quattro falde; dalla
installazione delle impalcature e dalla presenza di materiali da cantiere.
Quanto ai vincoli, il teste Del Lungo, ispettore della Polizia Municipale di Monte Argentario, ha precisato che l'edificazione ricade in zona sottoposta a vincolo ambientale ex lege 490/'99. Ha inoltre aggiunto che l'imputato non è in possesso di alcuna concessione edilizia e autorizzazione paesistica.
L'intervento
accertato dalla p.g. operante (sopraelevazione delle pareti, realizzazione di
una copertura spiovente a falde, con sottotetto costituente nuovo volume) integra
una significativa trasformazione urbanistica del territorio, incidente anche
sull'aspetto paesaggistico.
In proposito l'art. 1 legge 10/77 stabilisce che sia soggetta a concessione
"ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio comunale", mentre l'art. 31 legge 17 agosto 1942 n. 1150,
come modificato dalla predetta legge, specifica che "chiunque intenda nell'ambito
del territorio comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire
quelle esistenti ovvero procedere all'esecuzione d'opere d'urbanizzazione del
terreno deve chiedere apposita concessione al sindaco".
Di conseguenza, stante la struttura (forma, dimensioni e materiale costruttivo)
e la funzione del manufatto, obiettivamente costituente modifica stabile dell'assetto
del territorio in cui è stato inserito, occorreva, ai fini della sua
realizzazione, il preventivo assenso comunale sotto forma di concessione edilizia,
di cui, viceversa, l'imputato non si è munito, nonché, e conseguentemente,
autorizzazione paesistica risultando il terreno vincolato in base alla legge
490/99.
Per tale ragione, rilevata l'incidenza della proprietà in zona di vincolo
e l'assenza di qualsiasi titolo legittimante all'esecuzione dei lavori, è
naturale conseguenza iscrivere la fattispecie concreta nelle previsioni degli
art. 20 lett. C) legge 47/85 e 163 D.Lvo 490/99.
La difesa ha
ecceipto l'estinzione dei reati per decorso del termine di prescrizione.
L'eccezione è infondata, in quanto - come è stato chiarito - al
momento del sopralluogo avvenuto nel mese di maggio 2000, le opere non erano
ancora ultimate.
E' utile ricordare in proposito che il reato di costruzione senza concessione
edilizia deve considerarsi permanente, poiche' la condotta dell'agente non si
esaurisce con l'inizio dei lavori, ma si protrae per tutta la durata di essi.
Infatti, la permanenza cessa con l'ultimazione dei lavori, con la sentenza di
primo grado o con il provvedimento di sequestro, che sottrae all'imputato la
disponibilita' di fatto e di diritto dell'immobile. La detta ultimazione ha
luogo quando cessa l'attivita' illecita, cioe' quando vengono portati a termine
i lavori di rifinitura, compresi quelli esterni quali gli intonaci e gli infissi.
(Così, in caso esaminato dalla Suprema Corte, e stato ritenuto che, alla
data della sentenza di primo grado, non era ancora decorso il termine di prescrizione
dei reati contestati, poiche' dal verbale di sequestro risultava che l'opera
non era completa in quanto le facciate erano prive di intonaco liscio) : Cass.
1994, n. 5654.
Più di recente, La Suprema Corte, confermando che il reato di costruzione
abusiva ha natura permanente e che la permanenza cessa con la ultimazione dell'opera,
ivi comprese le rifiniture, ha distinto nettamente la diversa nozione di "ultimazione",
contenuta nell'art 31 della legge 28.2.1985 n. 47, funzionale ed applicabile
solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via generale
il momento consumativo del reato : Cass. 1999, n. 11808.
Nel caso di specie, oltre alla mancanza assoluta di rifiniture, si deve altresì
sottolineare che non risulta addirittura completata la copertura negli elementi
che garantiscono l'impermeabilizzazione, escludendosì in radice l'ultimazione
dell'opera alla data del sopralluogo (maggio 2000).
Dunque, almeno a far data dal sopralluogo, non risulta affatto trascorso il
termine di prescrizione previsto per le contravvenzioni contestate.
La difesa, in proposito ha citato un testimone per dimostrare che lo stato delle
opere rappresentato dalle foto risaliva quantomeno al capodanno del 1999.
Ciò non esclude comunque che le opere alla data del sopralluogo non fossero
ultimate, protraendosi in tal modo - come incontrovertibilmente ritenuto dalla
Suprema Corte - la permanenza del reato.
Per completezza va comunque precisato che il teste ha riferito i suoi ricordi
al capodanno di fine millennio (quindi al giorno successivo al 31/12/1999).
Sotto il profilo
sanzionatorio, i reati possono, comunque, essere ricondotti ad unità
per effetto del vincolo della continuazione, poichè la violazione delle
due previsioni incriminatrici è espressione di un medesimo disegno criminoso
(compatibile anche con l'unicità delle azioni : Cass. 1970, n.296).
Alla luce delle considerazioni che precedono, visti i criteri di cui all'art.
133 c.p., concesse le attenuanti generiche, per ragioni di adeguamento della
pena, è di giustizia la condanna a giorni 20 di arresto ed euro 14.000
di ammenda (p.b. art. 163 D.Lvo 490/99 = gg 27 . ed euro 18.000; - art. 62bis
c.p. = gg 18. ed euro 12.000 + art. 81 c.p. per l'art. 20 lett c = gg 20. ed
euro 14.000). Alla condanna consegue per legge l'obbligo di pagamento delle
spese processuali.
In ogni caso, in considerazione dell'unico precedente non ostativo (ancorchè
specifico ma risalente al 1991), può formularsi favorevole giudizio prognostico,
ex art. 164 c.p., e, quindi, concedere all'imputato il beneficio della sospensione
condizionale della pena, questa volta subordinata alla demolizione e rimessione
in pristino dello stato dei luoghi, oltre a quello della non menzione.
Ai sensi dell'art. 7 L.47/85 e 163 D.Lvo 490/'99, va ordinata la demolizione
del manufatto costruito abusivamente e la rimessione in pristino dello stato
dei luoghi a cura e spese del condannato, oltre alla trasmissione di copia della
sentenza al Comune ed alla Regione in cui è stata commessa la violazione.
P.Q.M.
Visti gli artt.
533 e 535 c.p.p.
Dichiara G. P. colpevole dei reati a lui ascritti, uniti per continuazione,
e concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di giorni
20 di arresto ed euro 14.000 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali.
Ordina la demolizione dl manufatto costruito abusivamente e la rimessione in
pristino dello stato dei luoghi a cura e spese del condannato; ordina la trasmissione
di copia della sentenza al Comune ed alla regione in cui è stata commessa
la violazione.
Pena sospesa subordinatamente alla intervenuta demolizione e rimessione in pristino.
Non menzione della condanna.
Grosseto, 10/12/2002
Il Giudice
f.to Francesco Luigi
Branda