Tribunale di Grosseto, in composizione monocratica, Sentenza 10 dicembre 2002, 794

MOTIVI DELLA DECISIONE

Fatto e diritto.

G. P. è stato tratto a giudizio con l'accusa di aver realizzato in zona protetta da vincolo ambientale opere non autorizzate né sotto il profilo urbanistico, né sotto quello paesistico, in violazione dell'art. 20 lett. c L.47/'85 e dell'art. 163 D.Lvo 490/99.

Con riferimento al reato edilizio, si è posto il problema se la costruzione di un manufatto che comporti trasformazione urbanistica del territorio sia sottoposta ancora alla disciplina di cui alla legge 47/'85.
Nel caso contrario, infatti, ove si ritenga che a seguito della pur breve vigenza del T.U DPR380/01, sia stata definitivamente abrogata la legge 47/'85, dovrebbe essere invece pronunciata , ai sensi dell'art. 129 c.p.p., sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

In proposito, occorre esaminare la questione attinente alla successione di leggi in materia edilizia, e quindi ai rapporti tra la legge n.47/'85 ( con riferimento specifico all'articolo 20 lettera C) L.47/'85 contestato nell'imputazione per cui è processo) e le disposizioni legislative in materia di edilizia introdotte dal DPR n.380/2001, posto che - come è ormai assodato - queste ultime hanno avuto un breve periodo di vigenza dall' 1 al 9 gennaio 2002 ( cfr., in tal senso, Cass. n. 19377, 2002).
Sotto tale profilo (vigenza del testo unico nel periodo dall'1 al 9 gennaio) va infatti ricordato che
- l'art. 138 del DPR 380/2001 prevedeva l'entrata in vigore del T.U. in materia di edilizia dal 1 gennaio 2002;
- il D.L. 23 novembre 2001, nel prorogare e differire i termini di entrata in vigore di alcune fonti, dimenticava di inserire tra le normative prorogate o differite il suddetto testo unico;
- la legge di conversione n.463 del 31 dicembre 2001 (entrata in vigore - per espressa disposizione - il giorno successivo alla sua pubblicazione avvenuta sulla gazzetta ufficiale del 9/01/2002), apportando modifiche al decreto convertito, ha prorogato al 30 giugno 2002 anche il termine di entrata in vigore del DPR n. 380. Ovviamente, il differimento ha avuto efficacia soltanto dal 10 gennaio 2002, quando già il T.U. aveva avuto un periodo di vigenza, sia pure per soli 9 giorni;
- infine, D.L. n. 122 del 20 giugno 2002, convertito dalla L.185/2002, ha ulteriormente prorogato l'entrata in vigore del testo unico al 1 gennaio 2003.

La vigenza seppur breve del testo unico, come è stato autorevolmente ritenuto dalla Suprema Corte (sent. n. 19377, 2002) , è sicuramente rilevante ai fini dell'applicazione dell'articolo 2 del codice penale, quale disciplina della successione di leggi penali.

Sulla base di tale indiscutibile principio, in una pronuncia di merito (Trib. Ivrea n. 447 del 3 luglio 2002) è stato tratto l'erroneo corollario della sostanziale depenalizzazione di tutti i reati edilizi di cui all'art. 20 L.47/'85, posto che l'art. 136 T.U. annovera tra leggi abrogate dalla data di entrata in vigore del Testo unico anche la L.n.47/'85.
Pertanto, ad esempio, in tale prospettazione, dal 1 gennaio 2002 (data di entrata in vigore del DPR 380) ed anche oltre il 9 gennaio 2002, la normativa di cui alla legge 47/'85 che - per quello che qui interessa - all'art. 20 lett. C) sanziona penalmente chi realizza interventi edilizi senza concessione in zona sottoposta a vincolo paesistico, sarebbe stata definitivamente abrogata.
Infatti, ad essa - come è certo - è succeduta per soli 9 giorni la disciplina del testo unico che ha continuato a sanzionare penalmente tale condotta (articolo 44) ed avrebbe abrogato la norma di cui all'art. 20 L47/'85 (art.136).
Quindi - secondo l'interpretazione proposta - si sarebbe poi verificato un periodo di vuoto normativo a livello sanzionatorio, posto che per effetto della citata legge n. 463/2001 (che ha prorogato al 30 giugno 2002 l'entrata in vigore del T.U.) l'entrata in vigore del testo unico sarebbe stata sospesa ( mentre la legge 47/'85 sarebbe stata già definitivamente abrogata dal 1 gennaio 2002).
La conclusione cui perviene è che, non essendo attualmente in vigore alcuna norma che sanziona penalmente chi realizza un intervento di trasformazione urbanistica del territorio senza concessione edilizia, il fatto non sarebbe più previsto dalla legge come reato, conseguendone necessariamente una pronuncia assolutoria secondo la stessa formula.

La giurisprudenza richiamata, peraltro minoritaria, non è assolutamente condivisibile per i seguenti motivi.
L'assunto da cui trae le mosse tale orientamento - come si è detto - si basa sul presupposto che l'art. 20 della legge 47/85 sarebbe stato oggetto di abrogazione "in senso stretto" il primo giorno di entrata in vigore del testo unico. Pertanto, poiché l'effetto abrogativo è indiscutibilmente istantaneo, la norma abrogata non potrebbe più rivivere per il solo differimento della legge abrogatrice, la quale ha comunque avuto un periodo di vigenza.
Sarebbe stata invece necessaria - anche per il rispetto del principio di legalità -, l'adozione di un nuovo atto legislativo che assumesse espressamente a proprio contenuto il precetto della legge abrogata (come dire: la legge 463/2001 avrebbe dovuto espressamente richiamare il contenuto delle norme della L.47/'85 cui si voleva ridare efficacia).

Appare necessaria una breve analisi sul concetto di abrogazione e sui suoi rapporti con il tipo di normazione eminentemente compilativa dei testi unici.
Il termine abrogazione trae origine dal diritto romano ed in particolare dall'istituto della lex rogata, risultante dalla proposta del magistrato (rogatio) e dal consenso del populus adunato nei comitia. Il termine rogatio , oltre alla proposta, indicava altresì la parte centrale della legge stessa (cioè il testo), composta appunto da index et prescriptio legis, rogatio e sanctio.
Il termine abrogazione, pertanto, oltre ad indicare il procedimento contrario a quello in base al quale si era formata la legge (nuova rogatio e contrarius consensus da parte del populus), significava altresì il venir meno della parte centrale della legge (ab - rogatio).
Per indicare invece la parziale eliminazione si usava il termine derogatio, la parziale modifica obrogatio, l'aggiunta di una nuova disposizione subrogatio .

Il riferimento al diritto romano serve a evidenziare che in realtà la successione di leggi può spiegare effetti differenti e che, in ogni caso, il concetto di abrogazione in senso tecnico tende a significare una soluzione di continuità riguardo alla sostanza della disciplina legislativa abrogata .
Il concetto moderno di abrogazione in senso tecnico è sinteticamente connotato dai seguenti elementi : a) l'esistenza di un potere giuridico (potestà legislativa) permanente e potenzialmente inesauribile; b) l'esercizio concreto di tale potere, da cui deriva un determinato atto giuridico; c) il rinnovato esercizio del medesimo potere da cui deriva un ulteriore atto idoneo a far cessare l'efficacia giuridica del precedente. Dunque, abrogazione come eliminazione dell'efficacia della legge precedente.
Il termine è tuttavia spesso utilizzato anche in senso atecnico per indicare casi in cui la nuova normativa si limiti a compilare disposizioni preesistenti, mutandone soltanto la collocazione ed il titolo (vedi i testi unici nelle parti compilative).

A tal punto si innesta la tematica dei rapporti tra la nozione di abrogazione e le forme in cui può esplicarsi la potestà legislativa, con particolare riferimento ai cosiddetti testi unici.
Va premesso che il cosiddetto "testo unico" viene normalmente adottato attraverso lo strumento della delega al Governo.
In linea generale, la legge delegata (o decreto legislativo) è un atto del potere esecutivo, il quale, in virtù della delega da parte del Parlamento, esercita la funzione legislativa. Pertanto, qualora l'atto delegato, in conformità della delega, toglie efficacia ad una precedente norma di legge si ha vera e propria abrogazione.
Dottrina autorevole (in tal caso l'aggettivo non è formula di stile), ha avuto modo di chiarire che non si può parlare di delega in senso tecnico nel caso in cui il Parlamento conferisce al Governo l'incarico di procedere alla sola compilazione di un testo unico di norme già esistenti. Infatti, in tal caso il T.U. non produce modificazioni sostanziali nell'ordinamento legislativo (anzi ogni modifica non autorizzata, sarebbe viziata da illegittimità costituzionale). Non può quindi aver luogo nessun fenomeno abrogativo proprio perché la norma abrogatrice sarebbe priva di forza di legge.
"S'intende che, in occasione della compilazione del testo unico, si possono volere anche modifiche sostanziali del diritto vigente. Ma in questo caso si rende necessaria, in rapporto alle modifiche sostanziali programmate, una vera e specifica delega di potestà legislativa da parte del Parlamento: e quindi si rientra nell'ipotesi normale".

Dunque, in sintesi e con specifico riferimento al testo unico sull'edilizia, può ben dirsi che laddove lo stesso si è limitato a compilare, senza alcuna modifica sostanziale, norme preesistenti, non ha esercitato alcuna efficacia abrogativa. Nel caso differente in cui, esercitando effettivamente il potere legislativo delegato per innovare l'ordinamento e per togliere efficacia a norme preesistenti, è evidente che ha realizzato una vera e propria abrogazione.

Più in dettaglio, le disposizioni contenute nell'articolo 20 della legge 47/'85 non sono state modificate sostanzialmente, ma riprodotte nell'art. 44 del T.U. In tal caso, sì è avuta pertanto mera compilazione delle disposizioni preesistenti che non sono state (e non potevano essere) abrogate in senso stretto. L'abrogazione è perciò configurabile solo nei casi assolutamente diversi in cui, in esplicazione della delega, sono intervenute modifiche sostanziali rispetto alla disciplina previgente.
In conclusione, l'art. 20 L.47/'85 non può dirsi pertanto affatto abrogato dall'entrata in vigore del T.U. .
Per assurdo, la tesi dell'abrogazione porterebbe invece a sostenere - senza alcun riscontro normativo - che il T.U. ha apportato modifiche sostanziali alla disciplina dell'illecito consistito nella realizzazione ex novo senza concessione (o permesso di costruire) di un'opera comportante trasformazione urbanistica del territorio.
Ne deriva che, in costanza del differimento o proroga della entrata in vigore del T.U., continua ad applicarsi l'art. 20 della legge 47/'85 (perché non abrogato in senso tecnico, ma solo compilato nel nuovo T.U.).
La chiave interpretativa proposta, con cui viene altresì assicurata la legittimità costituzionale del T.U., permette di spiegare che l'abrogazione in senso stretto va riferita solo alle parti in cui il T.U. non sì è limitato a compilare le norme già in vigore ma ha introdotto , in esplicazione della delega, disposizioni che hanno segnato una soluzione di continuità rispetto all'efficacia delle precedenti.

Inoltre, anche a voler ragionare in termini di abrogazione ("sui generis"), la tesi della sostanziale depenalizzazione di tutti i reati edilizi, trascura il dettato dell'art.5 bis introdotto dalla legge n. 463/2001, laddove espressamente afferma " il termine di entrata in vigore del DPR 6 giugno 2001 n.380, recante testo unico delle disposizioni legislative delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, è prorogato al 30 giugno 2002 " (tale dizione è riprodotta nel D.L. n. 122 del 20 giugno 2002, convertito dalla L.185/2002, con cui è stato ulteriormente prorogata l'entrata in vigore del testo unico al 1 gennaio 2003).
In proposito, la Suprema Corte, con la decisione menzionata, ha chiarito che non può parlarsi di proroga in senso tecnico, bensì di differimento dell'entrata in vigore dell'intero testo unico.
In effetti, nonostante l'utilizzo di una formula non propriamente tecnica, è chiara la volontà del legislatore di riferire letteralmente il differimento a tutte le norme del testo unico, ivi comprese quelle latu sensu "abrogative" di precedenti disposizioni (art. 136), seppur con le necessarie precisazioni che seguono.
In particolare, sotto il profilo logico- sistematico - occorre ribadire che nella successione delle suddette leggi, v'è stata sicuramente "continuità di illecito", dal momento che la realizzazione ex novo in zona vincolata di interventi edilizi di trasformazione urbanistica del territorio senza concessione (o permesso di costruire) è prevista come reato sia nella L.47/'85 (art. 20 lett C) sia nel testo unico (art. 44 lett.C ), senza sostanziali modifiche nella disciplina sanzionatoria.
Dunque, il testo unico nel sanzionare penalmente tale condotta, si sostituisce alla precedente normativa, dettando una identica disciplina, e non la abolisce tout court, talchè lo stesso fatto continua ad essere sanzionato penalmente in ugual modo.
Pertanto, con l'integrale differimento di tutte le norme del testo unico (ivi compreso l'art. 136), non avrebbe alcun senso "sospendere" solo le norme che hanno continuato a sanzionare ugualmente il reato edilizio (per il breve periodo di vigenza) e non anche quelle mediante le quali il T.U. ha "abrogato" le precedenti norme solo per sostituirsi ad esse quale titolo della identica disciplina sanzionatoria.

In altri termini, nel caso in esame, v'è stata indubbiamente riformulazione della norma senza "abolitio criminis" e senza modifiche sostanziali alla disciplina sanzionatoria, poichè il fatto-reato continua ad essere sanzionato allo stesso modo nel T.U. (l'art. 44 lett. C riproduce fedelmente il testo dell'art. 20 lett. C), salva la diversa dizione del permesso di costruire) che, pertanto, non rappresenta alcuna soluzione di continuità nella efficacia della disposizione che già sanzionava l'edificazione senza concessione in zona vincolata.
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Può pertanto affermarsi che nello schema complessivo del T.U., l'art. 20 della L.47/'85 è sostituito dall'art. 44 DPR 380, quale riformulazione della norma precedente ( il legislatore, evidentemente, rendendosi conto della perdurante necessità di sanzioni penali per alcune condotte, ha collegato l'"abrogazione" dell'art. 20 lett. C) alla sua sostituzione con l'art. 44 lett.C).
Pertanto, se viene meno - perché differita- l'applicazione della norma nella nuova formulazione, è logico ritenere che viene differita anche la sostituzione dell'art. 20 lett. C) L.47/'85 quale titolo della disciplina sanzionatoria.

Per tutti i motivi sopra esposti, non è affatto vero che, allo stato, non è rintracciabile alcuna norma che sanziona penalmente la condotta contestata; la disciplina sanzionatoria si rinviene ancora nell'art. 20 (lett C) L.47/'85.


Del resto, la conclusione è implicitamente desumibile dalla più volte richiamata decisione della Suprema Corte, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto, con condanna del ricorrente alle spese, ritenendo che la concessione in sanatoria non fosse conforme alla disciplina degli artt.13 e 22 della legge 47/'85 (ovviamente la Corte non sarebbe pervenuta a tale decisione, ove avesse ritenuto definitivamente abrogata la suddetta legge).
Nello stesso senso si è espressa esplicitamente Cass. n. 13978 del '8 maggio 2002.

Il problema può porsi soltanto nel caso - assolutamente diverso - in cui il Testo unico abbia depenalizzato condotte che invece erano sicuramente sanzionate penalmente nel vigore della L.47/'85 (ovvero modificato sostanzialmente la disciplina sanzionatoria), essendo in tal caso ravvisabile il profilo innovativo (e non quello esclusivamente compilativo).
Tali condotte, sia pur nel breve periodo di vigenza del T.U. hanno perso rilevanza penale ( si veda ad esempio, la ristrutturazione edilizia mediante demolizione e fedele ricostruzione).
Pertanto, laddove il testo unico - in tal caso con indiscutibile efficacia abrogativa in senso tecnico- abbia depenalizzato una condotta (e sicuramente non è il caso della realizzazione ex novo di un intervento edilizio che comporti trasformazione urbanistica del territorio, senza concessione), la disciplina della successione di leggi penali nel tempo può determinare una assoluzione, sia secondo i criteri di cui all'art. 2 c.p. ("nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato" … "se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata una sentenza irrevocabile" ), sia perché in tal caso l'effettiva abrogazione con abolitio criminis (o con modifica sostanziale della disciplina sanzionatoria) si è compiuta istantaneamente e incondizionatamente con la pur breve entrata in vigore del T.U..

Nel caso concreto, invece, sulla base delle considerazioni che precedono, si deve concludere che la condotta contestata di trasformazione urbanistica del territorio in zona sottoposta a vincolo paesistico senza concessione, continua ad integrare il reato di cui all'art. 20 lett. C) L.47/'85.

Nel merito, il processo è stato istruito con l'acquisizione del fascicolo fotografico, formato dal p.m., e di documentazione relativa allo stato dei luoghi, con la deposizione dell'ufficiale di p.g. Del Lungo Stefano autore degli accertamenti, nonché con l'esame del teste della difesa Sussarello Valerio.
In particolare il teste Del Lungo ha premesso che il G., aveva realizzato in passato, nello stesso sito, un manufatto in blocchi di cemento con copertura in paglia, senza alcun titolo autorizzatorio, subendo un processo penale. Per la medesima opera aveva quindi avanzato istanza di concessione in sanatoria ai sensi dell'art. 13 L.47/'85, rigettata dal Comune di Monte Argentario.
Nonostante il rigetto della istanza di concessione in sanatoria, l'odierno imputato, anziché elidere le conseguenze dell'abuso, ripristinando l'originario stato dei luoghi, per tutta risposta, ha dato mano ad ulteriore edificazione senza alcun titolo.
In particolare, nel corso del sopralluogo effettuato nel maggio del 2000, è stato riscontrato l'innalzamento dei muri perimetrali del manufatto in misura di circa 50 cm, la realizzazione ex novo di una copertura in cemento con quattro falde spioventi, non ancora ultimata e parzialmente ricoperta da tegole limitatamente ad una falda, ed inoltre la realizzazione di un locale nel sottotetto con luci, comunicante con il piano inferiore. .
Al momento del suddetto sopralluogo i lavori non erano ancora ultimati, poiché i muri erano a rustico; il tetto non era stato ancora coperto integralmente con tegole, poste soltanto su di una falda; ai lati era ancora installata una impalcatura a servizio dei lavori.
Le foto acquisite agli atti rappresentano il classico caso di scuola di opera non ancora ultimata, come dimostrato dallo stato a rustico, dalla copertura incompleta con posa in opera di tegole su di una sola delle quattro falde; dalla installazione delle impalcature e dalla presenza di materiali da cantiere.

Quanto ai vincoli, il teste Del Lungo, ispettore della Polizia Municipale di Monte Argentario, ha precisato che l'edificazione ricade in zona sottoposta a vincolo ambientale ex lege 490/'99. Ha inoltre aggiunto che l'imputato non è in possesso di alcuna concessione edilizia e autorizzazione paesistica.

L'intervento accertato dalla p.g. operante (sopraelevazione delle pareti, realizzazione di una copertura spiovente a falde, con sottotetto costituente nuovo volume) integra una significativa trasformazione urbanistica del territorio, incidente anche sull'aspetto paesaggistico.
In proposito l'art. 1 legge 10/77 stabilisce che sia soggetta a concessione "ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale", mentre l'art. 31 legge 17 agosto 1942 n. 1150, come modificato dalla predetta legge, specifica che "chiunque intenda nell'ambito del territorio comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti ovvero procedere all'esecuzione d'opere d'urbanizzazione del terreno deve chiedere apposita concessione al sindaco".
Di conseguenza, stante la struttura (forma, dimensioni e materiale costruttivo) e la funzione del manufatto, obiettivamente costituente modifica stabile dell'assetto del territorio in cui è stato inserito, occorreva, ai fini della sua realizzazione, il preventivo assenso comunale sotto forma di concessione edilizia, di cui, viceversa, l'imputato non si è munito, nonché, e conseguentemente, autorizzazione paesistica risultando il terreno vincolato in base alla legge 490/99.
Per tale ragione, rilevata l'incidenza della proprietà in zona di vincolo e l'assenza di qualsiasi titolo legittimante all'esecuzione dei lavori, è naturale conseguenza iscrivere la fattispecie concreta nelle previsioni degli art. 20 lett. C) legge 47/85 e 163 D.Lvo 490/99.

La difesa ha ecceipto l'estinzione dei reati per decorso del termine di prescrizione.
L'eccezione è infondata, in quanto - come è stato chiarito - al momento del sopralluogo avvenuto nel mese di maggio 2000, le opere non erano ancora ultimate.
E' utile ricordare in proposito che il reato di costruzione senza concessione edilizia deve considerarsi permanente, poiche' la condotta dell'agente non si esaurisce con l'inizio dei lavori, ma si protrae per tutta la durata di essi. Infatti, la permanenza cessa con l'ultimazione dei lavori, con la sentenza di primo grado o con il provvedimento di sequestro, che sottrae all'imputato la disponibilita' di fatto e di diritto dell'immobile. La detta ultimazione ha luogo quando cessa l'attivita' illecita, cioe' quando vengono portati a termine i lavori di rifinitura, compresi quelli esterni quali gli intonaci e gli infissi. (Così, in caso esaminato dalla Suprema Corte, e stato ritenuto che, alla data della sentenza di primo grado, non era ancora decorso il termine di prescrizione dei reati contestati, poiche' dal verbale di sequestro risultava che l'opera non era completa in quanto le facciate erano prive di intonaco liscio) : Cass. 1994, n. 5654.
Più di recente, La Suprema Corte, confermando che il reato di costruzione abusiva ha natura permanente e che la permanenza cessa con la ultimazione dell'opera, ivi comprese le rifiniture, ha distinto nettamente la diversa nozione di "ultimazione", contenuta nell'art 31 della legge 28.2.1985 n. 47, funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via generale il momento consumativo del reato : Cass. 1999, n. 11808.
Nel caso di specie, oltre alla mancanza assoluta di rifiniture, si deve altresì sottolineare che non risulta addirittura completata la copertura negli elementi che garantiscono l'impermeabilizzazione, escludendosì in radice l'ultimazione dell'opera alla data del sopralluogo (maggio 2000).
Dunque, almeno a far data dal sopralluogo, non risulta affatto trascorso il termine di prescrizione previsto per le contravvenzioni contestate.
La difesa, in proposito ha citato un testimone per dimostrare che lo stato delle opere rappresentato dalle foto risaliva quantomeno al capodanno del 1999.
Ciò non esclude comunque che le opere alla data del sopralluogo non fossero ultimate, protraendosi in tal modo - come incontrovertibilmente ritenuto dalla Suprema Corte - la permanenza del reato.
Per completezza va comunque precisato che il teste ha riferito i suoi ricordi al capodanno di fine millennio (quindi al giorno successivo al 31/12/1999).

Sotto il profilo sanzionatorio, i reati possono, comunque, essere ricondotti ad unità per effetto del vincolo della continuazione, poichè la violazione delle due previsioni incriminatrici è espressione di un medesimo disegno criminoso (compatibile anche con l'unicità delle azioni : Cass. 1970, n.296).
Alla luce delle considerazioni che precedono, visti i criteri di cui all'art. 133 c.p., concesse le attenuanti generiche, per ragioni di adeguamento della pena, è di giustizia la condanna a giorni 20 di arresto ed euro 14.000 di ammenda (p.b. art. 163 D.Lvo 490/99 = gg 27 . ed euro 18.000; - art. 62bis c.p. = gg 18. ed euro 12.000 + art. 81 c.p. per l'art. 20 lett c = gg 20. ed euro 14.000). Alla condanna consegue per legge l'obbligo di pagamento delle spese processuali.
In ogni caso, in considerazione dell'unico precedente non ostativo (ancorchè specifico ma risalente al 1991), può formularsi favorevole giudizio prognostico, ex art. 164 c.p., e, quindi, concedere all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, questa volta subordinata alla demolizione e rimessione in pristino dello stato dei luoghi, oltre a quello della non menzione.
Ai sensi dell'art. 7 L.47/85 e 163 D.Lvo 490/'99, va ordinata la demolizione del manufatto costruito abusivamente e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a cura e spese del condannato, oltre alla trasmissione di copia della sentenza al Comune ed alla Regione in cui è stata commessa la violazione.

P.Q.M.

Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.
Dichiara G. P. colpevole dei reati a lui ascritti, uniti per continuazione, e concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di giorni 20 di arresto ed euro 14.000 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali.
Ordina la demolizione dl manufatto costruito abusivamente e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a cura e spese del condannato; ordina la trasmissione di copia della sentenza al Comune ed alla regione in cui è stata commessa la violazione.
Pena sospesa subordinatamente alla intervenuta demolizione e rimessione in pristino.
Non menzione della condanna.

Grosseto, 10/12/2002

Il Giudice
f.to Francesco Luigi Branda

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