Tribunale di Torre Annunziata, Sezione Distaccata di Gragnano, in composizione monocratica, Sentenza 18 dicembre 2002
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto
notificato in data 9/10/2001 (mancando l'indicazione della data di emissione),
il Pubblico Ministero citava a giudizio S. M. M. e N. V.
in ordine ai reati in epigrafe indicati.
Nella fase degli atti preliminari, dopo la verifica della regolare costituzione
delle parti, veniva dichiarata la contumacia degli imputati.
All'odierna udienza, il Difensore munito di procura speciale chiedeva definirsi
il procedimento nelle forme del rito abbreviato, condizionato all'acquisizione
della sentenza n°993 dell'8/11/2001 emessa - per fatti connessi oggettivamente
e soggettivamente - da questa sezione distaccata di Tribunale e divenuta irrevocabile
da ultimo in data 21/1/2002 ed all'esame del tecnico comunale, La Mura Michele,
che aveva eseguito i rilievi tecnici sul manufatto.
Ritenuta ammissibile la richiesta come formulata, veniva disposta la conversione
del rito ed acquisito il fascicolo del Pubblico Ministero.
Si procedeva, dunque, all'esame del teste richiesto dalla Difesa.
Dichiarata la chiusura della fase d'integrazione probatoria, veniva data la
parola alle parti per la discussione, nel corso della quale venivano rese le
conclusioni riportate a verbale (cui si fa rinvio). Nel corso della arringa
finale la Difesa produceva copia di un articolo relativo ad un precedente giurisprudenziale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Dall'esame degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero emerge
chiara la responsabilità di entrambi gli imputati per i reati a loro
ascritti, eccezion fatta per la fattispecie di cui al capo E) della rubrica.
Invero, come dichiarato dal geom. La Mura (della cui attendibilità non
v'è motivo di dubitare, attesa la logicità del ricordo e la qualità
del riferente), in occasione del sopralluogo effettuato nei pressi di via Cappella
Bisi il 21/6/99 su un immobile già sottoposto a sequestro si aveva modo
di constatare l'intervenuta prosecuzione dei lavori consistiti nella realizzazione
di un secondo piano, insistente su quello preesistente (che era stato portato
a completamento) e di un vano interrato realizzato all'interno del fabbricato.
Inoltre, le aperture dell'ingresso e delle finestre erano state chiuse con infissi.
Per queste opere, eseguite in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo, era
stato disposto il sequestro (cfr. verbale in atti) ed erano stati nominati custodi
S. M. M. e N. V..
In data 3/7/99 veniva effettuato un nuovo accertamento sullo stesso sito e,
anche in tale occasione, veniva riscontrata la violazione dei sigilli. Infatti
il secondo piano risultava interamente tompagnato e rifinito internamente ed
esternamente (cfr. verbale di sequestro in atti). Anche in tale occasione si
riapponevano i sigilli al manufatto con affidamento della custodia agli imputati.
Il teste La Mura ha, poi, riferito in ordine all'ultimo accertamento, recante
la data del 23/5/2000.
In questa circostanza veniva accertato che l'immobile era stato completato e
risultava tenuto in uso dagli imputati. La prosecuzione delle opere, secondo
il suo ricordo, si era limitata in tal caso all'intonacatura esterna ed alla
realizzazione di un parapetto in muratura ad un terrazzo.
Tuttavia quanto riferito dal teste, risulta in questa parte contraddetto dalle
risultanze documentali del tempo, dalle quali emerge (cfr. comunicazione di
notizia di reato) che la prosecuzione delle opere era consistita nel completamento
del secondo piano e nella realizzazione di un muro perimetrale in cemento armato
con sovrastante ringhiera in ferro posto al lato est del fabbricato ed avente
una lunghezza di metri 24 circa ed un'altezza di cm. 60 circa.
SULLA PERMANENTE
PUNIBILITÀ DELLE CONDOTTE
Così riassunte le risultanze documentali, va, però, preliminarmente
affrontata e risolta la questione proposta dalla Difesa che ha invocato - limitatamente
alle condotte sub A) della rubrica - una pronuncia di assoluzione perché
il fatto non è previsto dalla legge come reato.
L'assunto su cui è stata fondata la richiesta è esplicato in una
pronuncia di merito prodotta per estratto dalla Difesa mercé il commento
contenuto su una rivista giuridica.
La sentenza, emessa dal Tribunale di Ivrea in composizione monocratica (R.G.
Trib. n° 462/02 reperita nella sua motivazione completa) del 3/7/2002, ha
statuito che a seguito dell'entrata in vigore - dal 1° gennaio 2002 al 9
gennaio 2002 - del D.P.R. 6/6/2001 n° 380 (cd. T.U. dell'edilizia) le norme
indicate nell'elenco dell'art. 136 di questo provvedimento sono da considerarsi
abrogate. La disposizione dell'art. 5bis, introdotto dalla legge di conversione
n° 463 del 31/12/2001 del D.L. n° 411 del 23/11/2001, nello stabilire
la "proroga" al 30 giugno 2002 del termine di entrata in vigore del
D.P.R. n° 380/2001, nulla avrebbe previsto in proposito alla disciplina
da applicare fino al raggiungimento della data "prorogata", né
avrebbe in alcun modo ripristinato l'efficacia della normativa nel frattempo
abrogata.
Ciò avrebbe determinato - secondo l'opinione di quel Giudicante - un
vuoto legislativo dal punto di vista sanzionatorio che, tuttavia, imporrebbe
l'applicazione del principio dell'abolitio criminis per tutte le fattispecie
prima previste dall'art. 20 della L. n°47/85 (e non solo per quelle, bensì
anche per quelle previste dalle norme di cui all'elenco dell'art. 136 T.U.).
Nella sentenza, peraltro, si richiama la massima della pronuncia della terza
sezione della Corte di Cassazione n° 8556 del 4/3/2002 (Pres. Savignano,
rel. Novarese) secondo cui l'effetto introdotto dall'art. 5bis prima citato
non sarebbe quello di una proroga in senso tecnico, bensì di un differimento,
non potendosi prorogare l'entrata in vigore di una norma gia vigente (quale
sarebbe stato il T.U. dell'edilizia nell'interregno del 1° - 9 gennaio 2002).
Nella stessa massima, peraltro, si evidenzia che la "proroga" in questione
non può ritenersi retroattiva (e, dunque, non è idonea a caducare
ex tunc gli effetti prodotti dalla breve vigenza del testo unico dell'edilizia).
Tuttavia, se si esamina con attenzione in fatto ed in diritto la pronuncia di
legittimità ora sunteggiata ci si accorge che essa non giunge assolutamente
al medesimo esito della sentenza di merito che alla stessa si richiama.
Invero i Giudici della Suprema Corte non affermano affatto che, per effetto
della qualificazione attribuita alla proroga introdotta dall'art. 5bis della
L. n°461/2001, si sia prodotta un'abolitio criminis della disciplina previgente
al testo unico dell'edilizia. Anzi affermano il contrario - sia pur implicitamente
in quella sede - come appare evidente dalla circostanza che giungono a confermare
l'impugnata pronuncia di condanna emessa dalla corte di Appello per reati edilizi
proprio in forza di quella disciplina sanzionatoria che il Tribunale di Ivrea
sostiene essere stata abrogata.
La Corte di legittimità, infatti, nella sentenza de qua si limita ad
affermare che, a seguito dell'entrata in vigore del T.U n° 380/2001, si
pone un problema di valutazione delle singole fattispecie concrete alla luce
dell'art. 2 c.p. (con i differenziati esiti a seconda che si verta in situazioni
di "nuova incriminazione", di "abolitio criminis" o di "successione
di norme penali nel tempo").
Il pensiero della Corte involge, peraltro, anche la L. n°443/2001 (cd. Legge
obiettivo o Legge Lunardi), alcune delle cui disposizioni sono entrate in vigore
nelle regioni a statuto ordinario a far tempo dall'11/4/2002.
Appare, infine, decisiva ad una corretta interpretazione della decisione di
legittimità richiamata la considerazione che lo stesso Collegio della
Cassazione (peraltro con lo stesso presidente e lo stesso relatore) sia, dopo
poco tempo, intervenuto proprio sulla questione in discussione statuendo che
"in materia edilizia ed urbanistica, anche dopo la temporanea entrata in
vigore del D. P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia edilizia) dal 1 al 9 gennaio 2002, le pregresse disposizioni
si continuano ad applicare, con le modifiche introdotte a decorrere dal 10 aprile
2002 dalla legge n. 443 del 2001 (cd legge obiettivo), sino al 30 giugno 2002
(data di entrata in vigore del citato T.U.) poiché il legislatore ha
previsto un effetto ripristinatorio della precedente normativa attraverso il
fenomeno della reviviscenza, stante la "proroga" disposta dall'art.
5 bis del D.L. 23 novembre 2001 n. 411, introdotto in sede di conversione del
citato decreto dalla legge 31 dicembre 2001 n. 463." (Cass. sez. III del
20/5/2002 n°19378). Di tale pronuncia, però, non risulta edita la motivazione.
Orbene, ai fini di una compiuta risposta al quesito posto dalla Difesa appare
comunque opportuno ripercorrere, in rapida sintesi, l'evoluzione della normativa
di settore, cercando di dare ad essa un'opportuna sistemazione.
L'art. 20 della L. n°47/85 ha ricevuto indiscussa applicazione - quale disciplina
sanzionatoria di settore - fino alla data del 31 dicembre del 2001.
Dal 1° gennaio del 2002 è entrato, infatti, in vigore il D.P.R. 6/6/2001
n° 380 il cui art. 138 indicava in questa data il dies a quo dell'efficacia
del testo unico.
Precedentemente, e precisamente il 27 novembre del 2001, era entrato in vigore
anche il D.L. n°411 del 23/11/2001 intitolato "proroga e differimenti
di termini", che, tuttavia, nulla stabiliva con riferimento al testo unico
dell'edilizia.
Su quest'ultimo provvedimento, infatti, è intervenuta soltanto la legge
di conversione n° 463 del 31/12/2001 con l'inserimento del già citato
art. 5bis.
L'entrata in vigore della legge di conversione, fissata dall'art 1 comma II
al giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale
(avvenuta il 9/1/2002), è intervenuta il 10/1/2002.
A tal proposito, stante la previsione dell'art. 15 comma V della L 23/8/88 n°
400, le modifiche apportate in sede di conversione potevano avere efficacia
solo dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione.
Dunque, nessun dubbio può nutrirsi in ordine all'efficacia della "proroga"
introdotta dall'art. 5bis solo a far tempo dal 10 gennaio 2002.
Questo ritardato intervento della previsione dell'art. 5bis ha comportato, conseguentemente,
che il testo unico dell'edilizia abbia avuto efficacia dal 1° gennaio 2002
al 9 gennaio 2002.
Occorre, a questo punto, chiedersi quali siano stati gli effetti determinati
dalla proroga stabilita dall'art. 5bis a far tempo dal 10 gennaio 2002.
Se si condividesse la pronuncia di merito richiamata dalla Difesa, la risposta
- come esposto - sarebbe nel senso di ritenere abrogata la disciplina sanzionatoria
dei reati di edificazione abusiva in forza della necessaria applicazione dell'art.
2, comma II, c.p..
In realtà, seguendo questo indirizzo interpretativo si dovrebbe coerentemente
ritenere eliminata dall'ordinamento giuridico quasi tutta la disciplina urbanistica,
eccezion fatta per le disposizioni elencate nell'art. 137 del T.U. n°380/2001.
Infatti, l'effetto abrogativo prodotto dalla pur breve vigenza del testo unico
avrebbe coinvolto non solo le disposizioni richiamate nel suo art. 136, ma anche
tutte quelle che regolavano la materia disciplinata dal D.P.R. n° 380/2001
e che non fossero ricomprese tra quelle dichiarate di permanente vigenza.
Ciò è, infatti, quanto previsto in via generale nel comma III
dell'art. 7 della L. 8/3/99 n° 50.
Quest'articolo indica anche i criteri di redazione dei testi unici alla cui
stregua è stato formato anche il D.P.R. n° 380/2001.
Proprio questa norma suggerisce, per altro verso, la valenza da attribuire anche
all'intervento legislativo realizzato con l'art. 5bis della L. n°463/2001.
Infatti, il comma VI stabilisce che "le disposizioni contenute in un testo
unico non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate se
non in modo esplicito, mediante l'indicazione precisa delle fonti da abrogare,
derogare, sospendere o modificare".
Al riguardo va, innanzitutto, osservato che l'uso del termine proroga contenuto
nell'art. 5bis non appare frutto di una svista terminologica, posto che il decreto
legge su cui è intervenuta la L. n°463/2001 s'intitolava "proroga
e differimenti di termini". Ciò induce a ritenere che il ricorso
all'espressione "proroga" in luogo di "differimento" (pur
utilizzata in altre disposizioni del decreto) sia frutto di una scelta volontaria
del Legislatore.
Tuttavia l'effetto che s'intendeva ricollegare all'uso del termine "proroga"
utilizzato per descriverlo non era quello che tecnicamente va ricollegato a
tale atto.
Ciò si evince dal raffronto tra le situazioni prese in considerazione
nelle altre disposizioni del D.L. n°411/2001 (convertito dalla L. n°461/2001)
e quella contemplata nell'art. 5bis.
Invero, con il termine proroga s'intende il provvedimento con il quale si estende
l'efficacia di un atto oltre la sua data di scadenza originaria. Ciò
normalmente presuppone che l'atto su cui la proroga interviene sia già
entrato in vigore e non si sia ancora verificata la cessazione della sua efficacia.
L'espressione "differimento", invece, vale ad indicare quelle situazioni
in cui l'inizio dell'efficacia di un atto viene procrastinato ad una data successiva.
In tal caso l'atto o il provvedimento considerato non deve essere ancora entrato
in vigore al momento in cui viene disposto il differimento.
Secondo tali accezioni vengono, infatti, utilizzate le due summenzionate espressioni
nelle disposizioni del decreto n°411/2001.
Peculiare è, invece, la situazione in cui interviene la "proroga"
stabilita dall'art. 5bis.
In tal caso, infatti, oggetto dell'intervento è il termine di entrata
in vigore di un provvedimento già vigente.
Dunque, escluso che si potesse utilizzare l'espressione "differimento"
(nel senso dianzi illustrato) per statuire lo spostamento in avanti nel tempo
dell'entrata in vigore del T.U. n°380/2001, l'unica alternativa che il Legislatore
ha considerato coerente ai suoi fini (anche in ragione dell'articolato in cui
si andava ad inserire l'art. 5bis) è stata quella di far ricorso al termine
"proroga", valorizzando il dato che detto provvedimento andava ad
agire su un atto già vigente.
Tuttavia questo stesso termine risulta inidoneo allo scopo (che di qui a breve
si illustrerà) che certamente non era quello di attribuire un surplus
di efficacia ad un atto ma semmai il suo opposto.
A ben vedere col termine "proroga" ivi utilizzato il Legislatore aveva
come scopo fondamentalmente quello di sospendere (come consentito dall'art.
7 comma VI della L. n°50/99) gli effetti determinati dall'entrata in vigore
del testo unico dell'edilizia e di rinviarne l'inizio di efficacia ad una data
successiva.
Dunque, non una proroga di un provvedimento, bensì un effetto misto di
sospensione e di differimento, in cui il secondo effetto non poteva logicamente
realizzarsi senza il presupposto del primo.
Da quest'osservazione discende, poi, come necessario corollario, l'ulteriore
conclusione che, con la sospensione dell'entrata in vigore del D.P.R. n°380/2001
sono stati anche paralizzati gli effetti abrogativi dell'art. 136 del T.U..
Di qui la reviviscenza della normativa previgente (ivi compreso l'art. 20 della
L. n°47/85). Detto effetto ripristinatorio, per realizzarsi, non aveva bisogno
di alcuna disposizione transitoria che lo consentisse esplicitamente, derivando
direttamente dalla sospensione dell'efficacia (rectius: di qualsiasi efficacia,
dato che si tratta d una sospensione ricollegata al termine di entrata in vigore)
della disciplina abrogatrice.
Conclusivamente, dal 10 gennaio 2002 è tornata ad applicarsi tutta la
preesistente disciplina legislativa di settore riguardante la materia regolamentata
dal T.U. dell'edilizia (la cui natura, va detto per incidens, è un misto
di fonte di produzione - per le parti innovate rispetto ai testi normativi precedenti
- e fonte di cognizione - per le pur notevoli riproposizioni di precedenti discipline)
Dall'11/4/2002 (e fino all'entrata in vigore del T.U. n° 380/2001, rinviata
da ultimo al 30/6/2003) trova applicazione anche la L. n°443/2001 che profondamente
ha innovato la disciplina della denuncia d'inizio attività, incidendo
sopratutto sul piano procedurale (ma anche allargando l'ambito applicativo della
d.i.a.). Delle modifiche apportate da tale legge dovrà, peraltro, tener
conto anche il T.U. n°380/2001 stante la disposizione dell'art. 1 comma
14 della L. n°443/2001.
Per quanto, poi, riguarda la Campania va ricordata anche la legge regionale
28/11/2001 n° 19 che pure prevede intereventi edilizi realizzabili con la
sola preventiva denuncia d'inizio attività.
A tal proposito vale soltanto la pena di ribadire che anche a seguito della
modifica dell'art. 117 Cost. da parte della L. cost. n° 3/2001, le regioni
a statuto ordinario conservano una potestà normativa concorrente con
quella statale nel settore dell'edilizia ed urbanistica, riconducibile nel genus
del "governo del territorio" menzionato dal III comma dell'art. 117
Cost..
SUSSISTENZA DEI REATI ASCRITTI
Orbene, così superata la prospettata questione, va rilevato che le opere
realizzate, come sopra accertate e descritte, certamente costituiscono trasformazione
urbanistica del territorio, - attesa la natura ed il carattere permanente delle
stesse -, e pertanto soggette a regime concessorio.
Parimenti sussistente va ritenuta la condotta ascritta al capo d) della rubrica.
Le opere, infatti, pur singolarmente considerate (per l'accertamento del 23/5/2000
la violazione è determinata dalla realizzazione del muro perimetrale)
non appaiono riconducibili ad alcuna delle tipologie eccettuate dall'art. 152
del D. Lgs. n°490/99 e, pertanto, la loro realizzazione richiedeva il preventivo
rilascio dell'autorizzazione prevista dall'art. 151 del decreto legislativo
ora citato, dal momento che il comune di S. Maria La Carità è
sottoposto al vincolo ambientale per tutta l'estensione del suo territorio.
Sussiste infine, unitamente all'elemento oggettivo delle surrichiamate contravvenzioni,
anche il richiesto elemento soggettivo da individuarsi, nella specie nel dolo
generico. La disponibilità dell'immobile cui accedono gli ampliamenti
realizzati (acclarata dal precedente giudicato) rende fin troppo evidente la
consapevolezza della condotta criminosa da parte degli imputati, in tal senso
testimoniata pure dalla successiva destinazione del manufatto ad abitazione
familiare.
Di contro, non può ritenersi ricorrente il reato di cui all'art. 734
c.p..
La natura del manufatto impedisce la possibilità di configurare il reato
in parola dal momento che non è sufficiente a tal fine né l'esecuzione
di un'opera né la l'eventuale alterazione delle cose sottoposte a vincolo,
ma occorre la prova che l'alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione
o il deturpamento delle bellezze naturali (cfr. Cass. S.U. 21/10/92).
Da tale imputazione, dunque, gli imputati vanno mandati assolti, ai sensi dell'art.
530 cpv. c.p.p., perché il fatto non sussiste.
Le risultanze documentali dei citati verbali di sequestro in atti rendono indubitabile
che sin dal primo sequestro del 27/1/98 gli imputati erano stati nominati quali
custodi giudiziari. Di tale ufficio la S. ed il N. erano stati legittimamente
resi edotti, la prima mediante la sottoscrizione del verbale, il secondo con
la notifica dell'ordinanza di convalida con allegato provvedimento di sequestro.
Il mutamento dello stato dei luoghi compiuto sul fondo di cui avevano la disponibilità
e l'entità delle opere edificate, insieme alle suesposte circostanze,
rendono più che provata, per entrambi gli imputati, la sussistenza degli
elementi costitutivi del reato di cui all'art. 349 cpv. c.p. sia sotto il profilo
materiale che sotto quello psicologico.
TRATTAMENTO
SANZIONATORIO
Passando ora al trattamento sanzionatorio nei loro confronti, appaiono concedibili
ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche per un necessario
adeguamento della pena ai fatti commessi non assicurabile nemmeno con il contenimento
della sanzione di cui all'art. 349 cpv. c.p. nel suo minimo edittale. Dette
circostanze vanno ritenute in entrambi i casi equivalenti alla circostanza aggravante
contestata per il delitto sub F/2) della rubrica.
Va, altresì, ritenuta la continuazione tra le condotte criminose, tutte
dolose, essendo evidente dalle modalità dell'agire criminoso il legame
logico-cronologico che le avvince.
Detto vincolo, per l'omogeneità dall'azione delittuosa e per la medesimezza
del suo oggetto, sussiste anche con quelle già giudicate con la sentenza
definitiva acquisita su richiesta della Difesa.
La condanna per i reati del presente procedimento vale, per effetto della riduzione
per la scelta del rito, quale aumento rispetto a quella già inflitta
con la sentenza irrevocabile. Pertanto si è tenuto conto di ciò
nella stessa operazione di dosimetria della pena.
Tenuto conto di tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. (ed in particolare
l'intensità del dolo e la gravità del danno arrecato alla comunità
locale dalla realizzazione di un manufatto in dispregio della disciplina del
territorio e dei valori ambientali), stimasi equo irrogare agli imputati per
i reati del presente procedimento (da computarsi quale aumento ai sensi dell'art.
81 cpv. c.p. sulla più grave condanna già irrevocabile) la pena
di mesi sei di reclusione ed euro 200 di multa. A detta determinazione si giunge
- all'esito del bilanciamento ex art. 69 c.p. nel senso suddescritto, partendo
da una pena base in relazione al delitto sub F/2) di mesi sei di reclusione
ed euro 200 di multa, aumentata per la continuazione con le altre condotte a
mesi nove di reclusione ed euro 300 di multa, ridotta per il rito a mesi sei
di reclusione ed euro 200 di multa.
Computando questa pena quale aumento sulla condanna inflitta con la sentenza
n°993 dell'8/11/2001 (mesi otto di reclusione e £. 800.000 di multa,
pari ad € 413) si perviene alla pena finale di un anno e due mesi di reclusione
ed euro 613 di multa per ciascun imputato.
Le spese processuali sono poste solidalmente a carico degli imputati.
Ai sensi dell'art. 31 c.p., si dichiara S. M. M. e N. V.
interdetti dai pubblici uffici per la durata della pena principale.
Può, infine, essere esteso alla pena complessiva di entrambi il beneficio
della sospensione condizionale della pena principale e di quella accessoria
non ostandovi ragioni di ordine oggettivo e soggettivo ed essendo presumibile
che gli imputati si asterranno in futuro dal commettere nuovi reati.
Non permanendo ragioni giustificative al mantenimento della misura cautelare
reale in atto si ordina il dissequestro dell'immobile e la sua restituzione
all'avente diritto.
Ai sensi dell'art. 7 della L. 47/85 si ordina la demolizione dell'opera abusiva
a spese degli imputati in solido ove già non effettuata dall'Autorità
Amministrativa.
Ai sensi dell'art. 163, comma 2, D.Lgs. 29/10/99, n. 490, si ordina infine la
rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese degli imputati in solido
e la trasmissione di copia della presente sentenza alla Regione Campania ed
al Comune di S. Maria La Carità.
La complessità delle questioni giuridiche trattate e la contemporanea
definizione di numerosi procedimenti collegiali e monocratici ha imposto di
fissare in 45 giorni il termine per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Letti gli artt.
442, 533, 535 C.p.p.,
dichiara S. M. M. e N. V. colpevoli dei reati a loro
ascritti ai capi A), D) ed F/2) e, con la concessione ad entrambi delle circostanze
attenuanti generiche equivalenti alla circostanza aggravante contestata per
il reato di cui alla lettera F/2), unificate le condotte ex art. 81 cpv. C.p.,
anche con riferimento a quelle oggetto della condanna inflitta dal tribunale
di Torre Annunziata - sez. dist. di Gragnano con la sentenza n° 993/2001
dell'8/11/2001 divenuta irrevocabile da ultimo il 21/1/2002, con la riduzione
per il rito, li condanna alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 200 di
multa quale aumento ex art. 81 cpv. c.p. sulla pena inflitta con la citata sentenza
e, quindi, alla complessiva pena di anni uno e mesi due di reclusione ed euro
613 di multa, oltre al pagamento in solido delle spese processuali.
Letto l'art. 31 C.p. dichiara i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici
per la durata della pena principale.
Pena principale ed accessoria sospese
Letto l'art. 7 della L. 47/85 ordina la demolizione dell'opera abusiva a spese
degli imputati in solido ove già non effettuata dall'Autorità
Amministrativa.
Letto l'art. 323 C.p.p. ordina il dissequestro dell'immobile e la sua restituzione
all'avente diritto.
Letto l'art. 163, comma 2, D.Lgs. 29/10/99, n. 490, ordina la rimessione in
pristino dello stato dei luoghi a spese degli imputati in solido e la trasmissione
di copia della presente sentenza alla Regione Campania ed al Comune di S. Maria
a Carità.
Letto l'art. 530, comma II, c.p.p. assolve S. M. M. e N.
V. dal reato a loro ascritto al capo E) della rubrica perché il
fatto non sussiste.
Letto l'art. 544, comma III, c.p.p. fissa in giorni 45 il termine per il deposito
della motivazione.
Gragnano, 18/12/2002
Il Giudice
Dott. Nicola Russo