Tribunale di Torre Annunziata, Sezione Distaccata di Gragnano, in composizione monocratica, Sentenza 18 dicembre 2002

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto notificato in data 9/10/2001 (mancando l'indicazione della data di emissione), il Pubblico Ministero citava a giudizio S. M. M. e N. V. in ordine ai reati in epigrafe indicati.
Nella fase degli atti preliminari, dopo la verifica della regolare costituzione delle parti, veniva dichiarata la contumacia degli imputati.
All'odierna udienza, il Difensore munito di procura speciale chiedeva definirsi il procedimento nelle forme del rito abbreviato, condizionato all'acquisizione della sentenza n°993 dell'8/11/2001 emessa - per fatti connessi oggettivamente e soggettivamente - da questa sezione distaccata di Tribunale e divenuta irrevocabile da ultimo in data 21/1/2002 ed all'esame del tecnico comunale, La Mura Michele, che aveva eseguito i rilievi tecnici sul manufatto.
Ritenuta ammissibile la richiesta come formulata, veniva disposta la conversione del rito ed acquisito il fascicolo del Pubblico Ministero.
Si procedeva, dunque, all'esame del teste richiesto dalla Difesa.
Dichiarata la chiusura della fase d'integrazione probatoria, veniva data la parola alle parti per la discussione, nel corso della quale venivano rese le conclusioni riportate a verbale (cui si fa rinvio). Nel corso della arringa finale la Difesa produceva copia di un articolo relativo ad un precedente giurisprudenziale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Dall'esame degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero emerge chiara la responsabilità di entrambi gli imputati per i reati a loro ascritti, eccezion fatta per la fattispecie di cui al capo E) della rubrica.
Invero, come dichiarato dal geom. La Mura (della cui attendibilità non v'è motivo di dubitare, attesa la logicità del ricordo e la qualità del riferente), in occasione del sopralluogo effettuato nei pressi di via Cappella Bisi il 21/6/99 su un immobile già sottoposto a sequestro si aveva modo di constatare l'intervenuta prosecuzione dei lavori consistiti nella realizzazione di un secondo piano, insistente su quello preesistente (che era stato portato a completamento) e di un vano interrato realizzato all'interno del fabbricato. Inoltre, le aperture dell'ingresso e delle finestre erano state chiuse con infissi.
Per queste opere, eseguite in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo, era stato disposto il sequestro (cfr. verbale in atti) ed erano stati nominati custodi S. M. M. e N. V..
In data 3/7/99 veniva effettuato un nuovo accertamento sullo stesso sito e, anche in tale occasione, veniva riscontrata la violazione dei sigilli. Infatti il secondo piano risultava interamente tompagnato e rifinito internamente ed esternamente (cfr. verbale di sequestro in atti). Anche in tale occasione si riapponevano i sigilli al manufatto con affidamento della custodia agli imputati.
Il teste La Mura ha, poi, riferito in ordine all'ultimo accertamento, recante la data del 23/5/2000.
In questa circostanza veniva accertato che l'immobile era stato completato e risultava tenuto in uso dagli imputati. La prosecuzione delle opere, secondo il suo ricordo, si era limitata in tal caso all'intonacatura esterna ed alla realizzazione di un parapetto in muratura ad un terrazzo.
Tuttavia quanto riferito dal teste, risulta in questa parte contraddetto dalle risultanze documentali del tempo, dalle quali emerge (cfr. comunicazione di notizia di reato) che la prosecuzione delle opere era consistita nel completamento del secondo piano e nella realizzazione di un muro perimetrale in cemento armato con sovrastante ringhiera in ferro posto al lato est del fabbricato ed avente una lunghezza di metri 24 circa ed un'altezza di cm. 60 circa.

SULLA PERMANENTE PUNIBILITÀ DELLE CONDOTTE
Così riassunte le risultanze documentali, va, però, preliminarmente affrontata e risolta la questione proposta dalla Difesa che ha invocato - limitatamente alle condotte sub A) della rubrica - una pronuncia di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
L'assunto su cui è stata fondata la richiesta è esplicato in una pronuncia di merito prodotta per estratto dalla Difesa mercé il commento contenuto su una rivista giuridica.
La sentenza, emessa dal Tribunale di Ivrea in composizione monocratica (R.G. Trib. n° 462/02 reperita nella sua motivazione completa) del 3/7/2002, ha statuito che a seguito dell'entrata in vigore - dal 1° gennaio 2002 al 9 gennaio 2002 - del D.P.R. 6/6/2001 n° 380 (cd. T.U. dell'edilizia) le norme indicate nell'elenco dell'art. 136 di questo provvedimento sono da considerarsi abrogate. La disposizione dell'art. 5bis, introdotto dalla legge di conversione n° 463 del 31/12/2001 del D.L. n° 411 del 23/11/2001, nello stabilire la "proroga" al 30 giugno 2002 del termine di entrata in vigore del D.P.R. n° 380/2001, nulla avrebbe previsto in proposito alla disciplina da applicare fino al raggiungimento della data "prorogata", né avrebbe in alcun modo ripristinato l'efficacia della normativa nel frattempo abrogata.
Ciò avrebbe determinato - secondo l'opinione di quel Giudicante - un vuoto legislativo dal punto di vista sanzionatorio che, tuttavia, imporrebbe l'applicazione del principio dell'abolitio criminis per tutte le fattispecie prima previste dall'art. 20 della L. n°47/85 (e non solo per quelle, bensì anche per quelle previste dalle norme di cui all'elenco dell'art. 136 T.U.).
Nella sentenza, peraltro, si richiama la massima della pronuncia della terza sezione della Corte di Cassazione n° 8556 del 4/3/2002 (Pres. Savignano, rel. Novarese) secondo cui l'effetto introdotto dall'art. 5bis prima citato non sarebbe quello di una proroga in senso tecnico, bensì di un differimento, non potendosi prorogare l'entrata in vigore di una norma gia vigente (quale sarebbe stato il T.U. dell'edilizia nell'interregno del 1° - 9 gennaio 2002). Nella stessa massima, peraltro, si evidenzia che la "proroga" in questione non può ritenersi retroattiva (e, dunque, non è idonea a caducare ex tunc gli effetti prodotti dalla breve vigenza del testo unico dell'edilizia).
Tuttavia, se si esamina con attenzione in fatto ed in diritto la pronuncia di legittimità ora sunteggiata ci si accorge che essa non giunge assolutamente al medesimo esito della sentenza di merito che alla stessa si richiama.
Invero i Giudici della Suprema Corte non affermano affatto che, per effetto della qualificazione attribuita alla proroga introdotta dall'art. 5bis della L. n°461/2001, si sia prodotta un'abolitio criminis della disciplina previgente al testo unico dell'edilizia. Anzi affermano il contrario - sia pur implicitamente in quella sede - come appare evidente dalla circostanza che giungono a confermare l'impugnata pronuncia di condanna emessa dalla corte di Appello per reati edilizi proprio in forza di quella disciplina sanzionatoria che il Tribunale di Ivrea sostiene essere stata abrogata.
La Corte di legittimità, infatti, nella sentenza de qua si limita ad affermare che, a seguito dell'entrata in vigore del T.U n° 380/2001, si pone un problema di valutazione delle singole fattispecie concrete alla luce dell'art. 2 c.p. (con i differenziati esiti a seconda che si verta in situazioni di "nuova incriminazione", di "abolitio criminis" o di "successione di norme penali nel tempo").
Il pensiero della Corte involge, peraltro, anche la L. n°443/2001 (cd. Legge obiettivo o Legge Lunardi), alcune delle cui disposizioni sono entrate in vigore nelle regioni a statuto ordinario a far tempo dall'11/4/2002.
Appare, infine, decisiva ad una corretta interpretazione della decisione di legittimità richiamata la considerazione che lo stesso Collegio della Cassazione (peraltro con lo stesso presidente e lo stesso relatore) sia, dopo poco tempo, intervenuto proprio sulla questione in discussione statuendo che "in materia edilizia ed urbanistica, anche dopo la temporanea entrata in vigore del D. P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) dal 1 al 9 gennaio 2002, le pregresse disposizioni si continuano ad applicare, con le modifiche introdotte a decorrere dal 10 aprile 2002 dalla legge n. 443 del 2001 (cd legge obiettivo), sino al 30 giugno 2002 (data di entrata in vigore del citato T.U.) poiché il legislatore ha previsto un effetto ripristinatorio della precedente normativa attraverso il fenomeno della reviviscenza, stante la "proroga" disposta dall'art. 5 bis del D.L. 23 novembre 2001 n. 411, introdotto in sede di conversione del citato decreto dalla legge 31 dicembre 2001 n. 463." (Cass. sez. III del 20/5/2002 n°19378). Di tale pronuncia, però, non risulta edita la motivazione.
Orbene, ai fini di una compiuta risposta al quesito posto dalla Difesa appare comunque opportuno ripercorrere, in rapida sintesi, l'evoluzione della normativa di settore, cercando di dare ad essa un'opportuna sistemazione.
L'art. 20 della L. n°47/85 ha ricevuto indiscussa applicazione - quale disciplina sanzionatoria di settore - fino alla data del 31 dicembre del 2001.
Dal 1° gennaio del 2002 è entrato, infatti, in vigore il D.P.R. 6/6/2001 n° 380 il cui art. 138 indicava in questa data il dies a quo dell'efficacia del testo unico.
Precedentemente, e precisamente il 27 novembre del 2001, era entrato in vigore anche il D.L. n°411 del 23/11/2001 intitolato "proroga e differimenti di termini", che, tuttavia, nulla stabiliva con riferimento al testo unico dell'edilizia.
Su quest'ultimo provvedimento, infatti, è intervenuta soltanto la legge di conversione n° 463 del 31/12/2001 con l'inserimento del già citato art. 5bis.
L'entrata in vigore della legge di conversione, fissata dall'art 1 comma II al giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (avvenuta il 9/1/2002), è intervenuta il 10/1/2002.
A tal proposito, stante la previsione dell'art. 15 comma V della L 23/8/88 n° 400, le modifiche apportate in sede di conversione potevano avere efficacia solo dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione.
Dunque, nessun dubbio può nutrirsi in ordine all'efficacia della "proroga" introdotta dall'art. 5bis solo a far tempo dal 10 gennaio 2002.
Questo ritardato intervento della previsione dell'art. 5bis ha comportato, conseguentemente, che il testo unico dell'edilizia abbia avuto efficacia dal 1° gennaio 2002 al 9 gennaio 2002.
Occorre, a questo punto, chiedersi quali siano stati gli effetti determinati dalla proroga stabilita dall'art. 5bis a far tempo dal 10 gennaio 2002.
Se si condividesse la pronuncia di merito richiamata dalla Difesa, la risposta - come esposto - sarebbe nel senso di ritenere abrogata la disciplina sanzionatoria dei reati di edificazione abusiva in forza della necessaria applicazione dell'art. 2, comma II, c.p..
In realtà, seguendo questo indirizzo interpretativo si dovrebbe coerentemente ritenere eliminata dall'ordinamento giuridico quasi tutta la disciplina urbanistica, eccezion fatta per le disposizioni elencate nell'art. 137 del T.U. n°380/2001.
Infatti, l'effetto abrogativo prodotto dalla pur breve vigenza del testo unico avrebbe coinvolto non solo le disposizioni richiamate nel suo art. 136, ma anche tutte quelle che regolavano la materia disciplinata dal D.P.R. n° 380/2001 e che non fossero ricomprese tra quelle dichiarate di permanente vigenza.
Ciò è, infatti, quanto previsto in via generale nel comma III dell'art. 7 della L. 8/3/99 n° 50.
Quest'articolo indica anche i criteri di redazione dei testi unici alla cui stregua è stato formato anche il D.P.R. n° 380/2001.
Proprio questa norma suggerisce, per altro verso, la valenza da attribuire anche all'intervento legislativo realizzato con l'art. 5bis della L. n°463/2001.
Infatti, il comma VI stabilisce che "le disposizioni contenute in un testo unico non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate se non in modo esplicito, mediante l'indicazione precisa delle fonti da abrogare, derogare, sospendere o modificare".
Al riguardo va, innanzitutto, osservato che l'uso del termine proroga contenuto nell'art. 5bis non appare frutto di una svista terminologica, posto che il decreto legge su cui è intervenuta la L. n°463/2001 s'intitolava "proroga e differimenti di termini". Ciò induce a ritenere che il ricorso all'espressione "proroga" in luogo di "differimento" (pur utilizzata in altre disposizioni del decreto) sia frutto di una scelta volontaria del Legislatore.
Tuttavia l'effetto che s'intendeva ricollegare all'uso del termine "proroga" utilizzato per descriverlo non era quello che tecnicamente va ricollegato a tale atto.
Ciò si evince dal raffronto tra le situazioni prese in considerazione nelle altre disposizioni del D.L. n°411/2001 (convertito dalla L. n°461/2001) e quella contemplata nell'art. 5bis.
Invero, con il termine proroga s'intende il provvedimento con il quale si estende l'efficacia di un atto oltre la sua data di scadenza originaria. Ciò normalmente presuppone che l'atto su cui la proroga interviene sia già entrato in vigore e non si sia ancora verificata la cessazione della sua efficacia.
L'espressione "differimento", invece, vale ad indicare quelle situazioni in cui l'inizio dell'efficacia di un atto viene procrastinato ad una data successiva.
In tal caso l'atto o il provvedimento considerato non deve essere ancora entrato in vigore al momento in cui viene disposto il differimento.
Secondo tali accezioni vengono, infatti, utilizzate le due summenzionate espressioni nelle disposizioni del decreto n°411/2001.
Peculiare è, invece, la situazione in cui interviene la "proroga" stabilita dall'art. 5bis.
In tal caso, infatti, oggetto dell'intervento è il termine di entrata in vigore di un provvedimento già vigente.
Dunque, escluso che si potesse utilizzare l'espressione "differimento" (nel senso dianzi illustrato) per statuire lo spostamento in avanti nel tempo dell'entrata in vigore del T.U. n°380/2001, l'unica alternativa che il Legislatore ha considerato coerente ai suoi fini (anche in ragione dell'articolato in cui si andava ad inserire l'art. 5bis) è stata quella di far ricorso al termine "proroga", valorizzando il dato che detto provvedimento andava ad agire su un atto già vigente.
Tuttavia questo stesso termine risulta inidoneo allo scopo (che di qui a breve si illustrerà) che certamente non era quello di attribuire un surplus di efficacia ad un atto ma semmai il suo opposto.
A ben vedere col termine "proroga" ivi utilizzato il Legislatore aveva come scopo fondamentalmente quello di sospendere (come consentito dall'art. 7 comma VI della L. n°50/99) gli effetti determinati dall'entrata in vigore del testo unico dell'edilizia e di rinviarne l'inizio di efficacia ad una data successiva.
Dunque, non una proroga di un provvedimento, bensì un effetto misto di sospensione e di differimento, in cui il secondo effetto non poteva logicamente realizzarsi senza il presupposto del primo.
Da quest'osservazione discende, poi, come necessario corollario, l'ulteriore conclusione che, con la sospensione dell'entrata in vigore del D.P.R. n°380/2001 sono stati anche paralizzati gli effetti abrogativi dell'art. 136 del T.U..
Di qui la reviviscenza della normativa previgente (ivi compreso l'art. 20 della L. n°47/85). Detto effetto ripristinatorio, per realizzarsi, non aveva bisogno di alcuna disposizione transitoria che lo consentisse esplicitamente, derivando direttamente dalla sospensione dell'efficacia (rectius: di qualsiasi efficacia, dato che si tratta d una sospensione ricollegata al termine di entrata in vigore) della disciplina abrogatrice.
Conclusivamente, dal 10 gennaio 2002 è tornata ad applicarsi tutta la preesistente disciplina legislativa di settore riguardante la materia regolamentata dal T.U. dell'edilizia (la cui natura, va detto per incidens, è un misto di fonte di produzione - per le parti innovate rispetto ai testi normativi precedenti - e fonte di cognizione - per le pur notevoli riproposizioni di precedenti discipline)
Dall'11/4/2002 (e fino all'entrata in vigore del T.U. n° 380/2001, rinviata da ultimo al 30/6/2003) trova applicazione anche la L. n°443/2001 che profondamente ha innovato la disciplina della denuncia d'inizio attività, incidendo sopratutto sul piano procedurale (ma anche allargando l'ambito applicativo della d.i.a.). Delle modifiche apportate da tale legge dovrà, peraltro, tener conto anche il T.U. n°380/2001 stante la disposizione dell'art. 1 comma 14 della L. n°443/2001.
Per quanto, poi, riguarda la Campania va ricordata anche la legge regionale 28/11/2001 n° 19 che pure prevede intereventi edilizi realizzabili con la sola preventiva denuncia d'inizio attività.
A tal proposito vale soltanto la pena di ribadire che anche a seguito della modifica dell'art. 117 Cost. da parte della L. cost. n° 3/2001, le regioni a statuto ordinario conservano una potestà normativa concorrente con quella statale nel settore dell'edilizia ed urbanistica, riconducibile nel genus del "governo del territorio" menzionato dal III comma dell'art. 117 Cost..
SUSSISTENZA DEI REATI ASCRITTI
Orbene, così superata la prospettata questione, va rilevato che le opere realizzate, come sopra accertate e descritte, certamente costituiscono trasformazione urbanistica del territorio, - attesa la natura ed il carattere permanente delle stesse -, e pertanto soggette a regime concessorio.
Parimenti sussistente va ritenuta la condotta ascritta al capo d) della rubrica. Le opere, infatti, pur singolarmente considerate (per l'accertamento del 23/5/2000 la violazione è determinata dalla realizzazione del muro perimetrale) non appaiono riconducibili ad alcuna delle tipologie eccettuate dall'art. 152 del D. Lgs. n°490/99 e, pertanto, la loro realizzazione richiedeva il preventivo rilascio dell'autorizzazione prevista dall'art. 151 del decreto legislativo ora citato, dal momento che il comune di S. Maria La Carità è sottoposto al vincolo ambientale per tutta l'estensione del suo territorio.
Sussiste infine, unitamente all'elemento oggettivo delle surrichiamate contravvenzioni, anche il richiesto elemento soggettivo da individuarsi, nella specie nel dolo generico. La disponibilità dell'immobile cui accedono gli ampliamenti realizzati (acclarata dal precedente giudicato) rende fin troppo evidente la consapevolezza della condotta criminosa da parte degli imputati, in tal senso testimoniata pure dalla successiva destinazione del manufatto ad abitazione familiare.
Di contro, non può ritenersi ricorrente il reato di cui all'art. 734 c.p..
La natura del manufatto impedisce la possibilità di configurare il reato in parola dal momento che non è sufficiente a tal fine né l'esecuzione di un'opera né la l'eventuale alterazione delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre la prova che l'alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione o il deturpamento delle bellezze naturali (cfr. Cass. S.U. 21/10/92).
Da tale imputazione, dunque, gli imputati vanno mandati assolti, ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., perché il fatto non sussiste.
Le risultanze documentali dei citati verbali di sequestro in atti rendono indubitabile che sin dal primo sequestro del 27/1/98 gli imputati erano stati nominati quali custodi giudiziari. Di tale ufficio la S. ed il N. erano stati legittimamente resi edotti, la prima mediante la sottoscrizione del verbale, il secondo con la notifica dell'ordinanza di convalida con allegato provvedimento di sequestro.
Il mutamento dello stato dei luoghi compiuto sul fondo di cui avevano la disponibilità e l'entità delle opere edificate, insieme alle suesposte circostanze, rendono più che provata, per entrambi gli imputati, la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 349 cpv. c.p. sia sotto il profilo materiale che sotto quello psicologico.

TRATTAMENTO SANZIONATORIO
Passando ora al trattamento sanzionatorio nei loro confronti, appaiono concedibili ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche per un necessario adeguamento della pena ai fatti commessi non assicurabile nemmeno con il contenimento della sanzione di cui all'art. 349 cpv. c.p. nel suo minimo edittale. Dette circostanze vanno ritenute in entrambi i casi equivalenti alla circostanza aggravante contestata per il delitto sub F/2) della rubrica.
Va, altresì, ritenuta la continuazione tra le condotte criminose, tutte dolose, essendo evidente dalle modalità dell'agire criminoso il legame logico-cronologico che le avvince.
Detto vincolo, per l'omogeneità dall'azione delittuosa e per la medesimezza del suo oggetto, sussiste anche con quelle già giudicate con la sentenza definitiva acquisita su richiesta della Difesa.
La condanna per i reati del presente procedimento vale, per effetto della riduzione per la scelta del rito, quale aumento rispetto a quella già inflitta con la sentenza irrevocabile. Pertanto si è tenuto conto di ciò nella stessa operazione di dosimetria della pena.
Tenuto conto di tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. (ed in particolare l'intensità del dolo e la gravità del danno arrecato alla comunità locale dalla realizzazione di un manufatto in dispregio della disciplina del territorio e dei valori ambientali), stimasi equo irrogare agli imputati per i reati del presente procedimento (da computarsi quale aumento ai sensi dell'art. 81 cpv. c.p. sulla più grave condanna già irrevocabile) la pena di mesi sei di reclusione ed euro 200 di multa. A detta determinazione si giunge - all'esito del bilanciamento ex art. 69 c.p. nel senso suddescritto, partendo da una pena base in relazione al delitto sub F/2) di mesi sei di reclusione ed euro 200 di multa, aumentata per la continuazione con le altre condotte a mesi nove di reclusione ed euro 300 di multa, ridotta per il rito a mesi sei di reclusione ed euro 200 di multa.
Computando questa pena quale aumento sulla condanna inflitta con la sentenza n°993 dell'8/11/2001 (mesi otto di reclusione e £. 800.000 di multa, pari ad € 413) si perviene alla pena finale di un anno e due mesi di reclusione ed euro 613 di multa per ciascun imputato.
Le spese processuali sono poste solidalmente a carico degli imputati.
Ai sensi dell'art. 31 c.p., si dichiara S. M. M. e N. V. interdetti dai pubblici uffici per la durata della pena principale.
Può, infine, essere esteso alla pena complessiva di entrambi il beneficio della sospensione condizionale della pena principale e di quella accessoria non ostandovi ragioni di ordine oggettivo e soggettivo ed essendo presumibile che gli imputati si asterranno in futuro dal commettere nuovi reati.
Non permanendo ragioni giustificative al mantenimento della misura cautelare reale in atto si ordina il dissequestro dell'immobile e la sua restituzione all'avente diritto.
Ai sensi dell'art. 7 della L. 47/85 si ordina la demolizione dell'opera abusiva a spese degli imputati in solido ove già non effettuata dall'Autorità Amministrativa.
Ai sensi dell'art. 163, comma 2, D.Lgs. 29/10/99, n. 490, si ordina infine la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese degli imputati in solido e la trasmissione di copia della presente sentenza alla Regione Campania ed al Comune di S. Maria La Carità.
La complessità delle questioni giuridiche trattate e la contemporanea definizione di numerosi procedimenti collegiali e monocratici ha imposto di fissare in 45 giorni il termine per il deposito della motivazione.

P.Q.M.

Letti gli artt. 442, 533, 535 C.p.p.,
dichiara S. M. M. e N. V. colpevoli dei reati a loro ascritti ai capi A), D) ed F/2) e, con la concessione ad entrambi delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla circostanza aggravante contestata per il reato di cui alla lettera F/2), unificate le condotte ex art. 81 cpv. C.p., anche con riferimento a quelle oggetto della condanna inflitta dal tribunale di Torre Annunziata - sez. dist. di Gragnano con la sentenza n° 993/2001 dell'8/11/2001 divenuta irrevocabile da ultimo il 21/1/2002, con la riduzione per il rito, li condanna alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 200 di multa quale aumento ex art. 81 cpv. c.p. sulla pena inflitta con la citata sentenza e, quindi, alla complessiva pena di anni uno e mesi due di reclusione ed euro 613 di multa, oltre al pagamento in solido delle spese processuali.
Letto l'art. 31 C.p. dichiara i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata della pena principale.
Pena principale ed accessoria sospese
Letto l'art. 7 della L. 47/85 ordina la demolizione dell'opera abusiva a spese degli imputati in solido ove già non effettuata dall'Autorità Amministrativa.
Letto l'art. 323 C.p.p. ordina il dissequestro dell'immobile e la sua restituzione all'avente diritto.
Letto l'art. 163, comma 2, D.Lgs. 29/10/99, n. 490, ordina la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese degli imputati in solido e la trasmissione di copia della presente sentenza alla Regione Campania ed al Comune di S. Maria a Carità.
Letto l'art. 530, comma II, c.p.p. assolve S. M. M. e N. V. dal reato a loro ascritto al capo E) della rubrica perché il fatto non sussiste.
Letto l'art. 544, comma III, c.p.p. fissa in giorni 45 il termine per il deposito della motivazione.

Gragnano, 18/12/2002
Il Giudice
Dott. Nicola Russo

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