Giudice dell'Udienza Preliminare presso il Tribunale di Viterbo, Ordinanza 12 dicembre 2002
TRIBUNALE
DI VITERBO
IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE
In data 12.11.2002 nel presente procedimento ha emanato la seguente
Ordinanza
della quale
si è data lettura in udienza alla presenza di tutte le parti.
Nel corso del presente giudizio, gli odierni imputati, nei termini e nelle forme
di rito, avanzavano richiesta di definizione del processo nelle forme del giudizio
abbreviato.
Questo Giudice, ricorrendo le condizioni di legge, provvedeva ai sensi dell'art.
438 co. 4 CPP disponendo in conformità della richiesta.
La parte civile, già costituitasi ritualmente nel corso dell'udienza
preliminare, ai sensi dell'art. 441 co. 4 cpp dichiarava espressamente di non
accettare il rito; subito dopo il Giudice invitava le parti a rassegnare le
rispettive conclusioni.
A questo punto da parte dei difensori degli imputati venivano sollevate una
serie di rilievi e di eccezioni in relazione alla posizione della parte civile
che, come visto, non aveva accettato il rito del giudizio abbreviato. Secondo
i difensori, la parte civile, alla luce della operata dichiarazione di dissenso,
non aveva più diritto a rimanere nel presente processo, e, pertanto,
non poteva compire alcuna attività ricollegabile alla qualità
di parte del processo.
Questo Giudice in ordine alle eccezioni sollevate e riguardanti la posizione
della parte civile, dopo che quest'ultima aveva effettuato la dichiarazione
di non accettazione del rito abbreviato (art.441 co.4 cpp), ritiene di dover
valutare le indicate questioni sotto un duplice ordine di motivi: a) uno riguardante
le sorti della domanda principale di danno a seguito del manifestato dissenso
rispetto al rito; b) l'altro in relazione alle statuizioni sulle sole spese
di costituzione di parte civile con una valutazione sugli eventuali profili
di incostituzionalità delle norme di riferimento (diritto della parte
civile di poter richiedere la condanna per le spese relative all'azione civile
e relativo potere del giudice di provvedere su di esse artt. 441 co.1 e 4/ 442
co. 2 cpp)
A) Gli effetti
previsti dal codice di rito in relazione alla dichiarazione della parte civile
di non accettazione del rito sono indicati:
1) dall'art.441 co. IV° CPP in relazione all'art. 75 co. III° C.P.P.,
norma quest'ultima, che prevede la sospensione dell'eventuale processo civile
iniziato in pendenza del processo penale;
2) dagli artt. 651 co. 2 e 652 co. 2 cpp che escludono il valore e l'efficacia
di giudicato alla sentenza di condanna o di assoluzione emessa nel processo
penale definito in abbreviato in relazione al procedimento civile o amministrativo
di danno nel caso di dissenso della parte civile sul rito abbreviato.
3) dall'art. 576 CPP nella parte in cui non ammette la possibilità per
la parte civile di impugnare la sentenza pronunciata a norma dell'art. 442 CPP.
Ora, c'è da chiedersi, se oltre agli effetti indicati espressamente dalla
legge, la dichiarazione di non accettazione del rito comporti anche conseguenze
sulla domanda principale di risarcimento del danno o se invece, come sostenuto
dal difensore della parte civile, tale dichiarazione limiti la propria efficacia
ai soli effetti di legge di cui si è fatta menzione.
Una prima risposta in relazione al diritto della parte civile a partecipare
al giudizio abbreviato nonostante il suo dissenso la si potrebbe ricavare dalla
disciplina prevista dagli artt. 80, 81 e 82 C.P.P..
Ebbene, si ritiene che per nessuno dei casi indicati (esclusione della parte
civile per richiesta di parte o d'ufficio, revoca espressa o implicita della
costituzione della parte civile) sussistano analogie o relazioni giuridiche
che possano ammettere un tale riferimento.
In particolare con riguardo alla revoca della costituzione della parte civile
(art. 82 cpp), tale situazione non appare equiparabile alla non accettazione
del rito e ciò avendo riguardo sia alla natura delle dichiarazioni (quelle
della revoca è una manifestazione di volontà che esplica propri
effetti interviene direttamente sull'atto costitutivo, mentre con la dichiarazione
di non accettazione non si interviene su tale atto), sia, ancora, con riguardo
agli effetti (la sentenza emessa dopo la revoca della costituzione di parte
civile esplica i suoi effetti sul giudizio civile ed amministrativo, diversamente,
come visto, da quanto avviene per le dichiarazioni di non accettazione del rischio).
In relazione alle altre ipotesi (art. 80 e 81 cpp) non risulta alcun provvedimento
di esclusione adottato dal Giudice d'ufficio o su richiesta di parte.
In considerazione della "permanenza" dell'atto di costituzione di
parte civile non colpito, difatti, da alcun atto di revoca, di rinuncia o di
esclusione, potrebbe, a questo punto, sorgere legittimo un interrogativo: cioè
se, in considerazione del fatto che l'atto costitutivo di parte civile non risulta
essere stato in alcun modo intaccato da una volontà contraria o da un
provvedimento di esclusione del Giudice, la stessa parte civile possa continuare
a svolgere la propria attività nel processo, partecipando ad esso, svolgendo
all'interno di esso tutte le attività tipiche delle parti e, pertanto,
rassegnando le proprie conclusioni sia sulla domanda principale che sulle spese.
A questo punto appare opportuno valutare la dichiarazione di non accettazione
del rito, il suo contenuto intrinseco e domandarsi ulteriormente se possa ritenersi
legittima e compatibile stando ad una logica interpretazione dei fatti, la posizione
di una parte che, a fronte di una sua esplicita dichiarazione di non accettazione
alla partecipazione ad un processo, di cui è stata chiesta la definizione
secondo particolari regole e procedure, chieda poi di partecipare al processo
medesimo rispetto al quale ha chiaramente manifestato la sua volontà
contraria. In buona sostanza c'è da chiedersi come sia possibile ritenere
legittima la posizione di colui che pur non accettando in precedenza le regole
del gioco, chieda poi di partecipare allo stesso.
A parere di questo giudice si ritiene che la manifestazione di dissenso corrisponde,
secondo il sistema disegnato dal legislatore, ad una vera e propria scelta in
relazione alle modalità di esercizio dell'azione; ciò perché,
nel momento in cui non si accetta il rito abbreviato - evitando in tal modo
gli effetti di giudicato della sentenza penale sulle questioni civili (651,652
cpp) attivando un processo civile che non verrebbe sospeso (75 Cpp) - la parte
civile decide di affidare al Giudice civile completa autonomia di giudizio sull'esistenza
di taluni presupposti dell'azione di danno: esistenza del fatto, attribuzione
di esso ad determinato soggetto, illiceità della condotta. In tal modo
si opera una netta separazione tra le rispettive azioni, e, soprattutto si evitano
quelle tipiche influenze dell'una sull'altra.
Può, pertanto, dirsi che una volta effettuata tale scelta ad opera della
parte civile, pur non essendovi stato alcun atto modificativo del precedente
atto costitutivo, può ritenersi incompatibile la partecipazione di quest'ultima
parte a quel tipo di processo che non ha accettato, in ragione delle particolari
e diverse regole di definizione del medesimo.
A conforto dell'orientamento espresso da questo Giudice, in dottrina si legge
che "la parte civile partecipa al giudizio che si svolge con il rito speciale
se accetta l'abbreviato; addirittura basterebbero "assensi impliciti -
diagnosticabili, ad esempio dalla presenza attiva nel contraddittorio - per
ammettere l'accettazione del rito o (cpp rassegna di giurisprudenza e di dottrina,
Lattanti - Lupo, vol. VI, pag.67, Giuffrè) tanto da far temere una implicita
rinuncia alla dichiarazione di non accettazione.
Altro autore (Cordero, procedura pag. 901) ha aggiunto che "resta sottointeso
che il non aderente sia estromesso", dandosi ragione, a questo punto, proprio
con l'utilizzo del termine "sottointeso" del particolare sistema ideato
dal legislatore e delle implicite conseguenze che si determinano a seguito della
scelta operata dalla parte civile.
Nella giurisprudenza di legittimità non sono presenti precedenti specifici
sul punto, risultando soltanto alcune pronunce che riferiscono esclusivamente
della possibilità della parte civile "di non accettare il rito speciale,
evitando in tal modo gli effetti svantaggiosi della decisione di merito"
nè di opporsi e d'impugnare il provvedimento ammissivo del giudizio (Cass.
V, 19.6.91, Serafini).
La Corte Costituzionale è intervenuta sul punto statuendo in maniera
risolutiva ed inequivoca che "nel giudizio abbreviato il giudice può
pronunciare sulla domanda della parte civile solamente se questa abbia accettato
il rito speciale (Corte Cost. 443/90).
L'autorevolezza della fonte ed il carattere chiaro ed in equivoco della statuizione
esimerebbe questo Giudice da ogni ulteriore valutazione. Esistono però,
ulteriori argomenti da esporre e da esaminare.
Il riferimento da parte del difensore dell'imputato alla sentenza emessa dal
Tribunale di Milano del 5.12.89 (Foro Ital. 1991, II,423) non appare pertinente
apparendo necessaria un'attenta lettura della stessa per comprenderne la reale
portata. In tale sentenza si legge che "il dissenso espresso dalla parte
civile rispetto al giudizio abbreviato, richiesto dall'imputato ai sensi dell'art.
247 (norme transitorie cpp) in pubblica udienza prima dell'apertura del dibattimento,
non preclude alla stessa parte civile il diritto di proporre le proprie conclusioni
all'udienza in camera di consiglio".
Ebbene la questione sottoposta al Tribunale di Milano è certamente diversa
da quella oggi in esame.
Il procedimento che in quella sede veniva definito ex art. 247 disp. transitorie
cpp, riguardava un particolare tipo di giudizio abbreviato, che proprio in ragione
della particolarità del procedimento, presentava caratteri diversi da
quello previsto dagli artt. 438 e ssgg cpp.
Difatti, per tale giudizio abbreviato si legge (art. 247 ult. parte comma 2
norma citata) che la sentenza penale "ha autorità di cosa giudicata
nel giudizio civile se la parte civile ha presentato le sue conclusioni all'udienza".
Come si vede, nella norma in esame non viene menzionato in alcun modo la possibilità
prevista dall'art. 441 co. 4 cpp di non accettazione del rito in favore della
parte civile, né risulta alcun richiamo normativo in proposito, come,
invece il legislatore ha fatto per altri aspetti del processo (richiamo agli
artt. 438, 442, 443). Pertanto, può ritenersi che per tale caso di rito
abbreviato, non sia consentito alla parte civile esprimere un proprio dissenso
sul rito, mancando una previsione di legge in proposito; del pari può
dirsi che anche all'eventuale dissenso, comunque manifestato, non possa attribuirsi
alcuna efficacia.
Appare inoltre che il procedimento abbreviato previsto dalla disposizione transitoria
presenti caratteristiche di struttura diverse dal tipo di abbreviato previsto
dalle norme di rito; in particolare, in riferimento proprio agli aspetti oggi
in esame, appaiono evidenti le diversità rispetto agli effetti del giudicato.
Difatti nel procedimento descritto dall'art. 247 citato l'effetto di giudicato
deriva esclusivamente dal comportamento della parte civile che abbia presentato
o meno le proprie conclusioni; nel rito abbreviato previsto dagli artt. 438
e ssgg cpp, al contrario, l'effetto "giudicato" può sorgere
sia nel caso di presentazione delle conclusioni che nel caso di assenza di esse
(in questo caso da valere come revoca della costituzione di parte civile, art.
82 co. II cpp); infatti in tale rito abbreviato l'effetto di giudicato viene
escluso soltanto dalla dichiarazione di non accettazione del rito a cura della
parte civile, attività, questa, non prevista dall'art. 247 citato.
Alla luce di tanto il Tribunale di Milano non avrebbe di certo potuto impedire
alla parte civile di non presentare le proprie conclusioni, dal momento che
il dissenso espresso in precedenza, a differenza di quanto oggi avviene, non
poteva in alcun modo svolgere una propria efficacia.
Pertanto il richiamo alla sentenza del Tribunale di Milano indicata, a parere
di questo Giudice, non appare pertinente
Alla luce delle indicate argomentazioni, deve ritenersi legittima l'eccezione
sollevata da parte dei difensori degli imputati in relazione alla mancanza di
un diritto in capo alla parte civile che nel corso del processo abbreviato non
abbia accettato il rito di poter concludere sulla domanda principale di danno.
B) Passando
alla verifica del secondo aspetto della questione, c'è da chiedersi se,
in considerazione del dissenso manifestato dalla parte civile - che come si
è visto comporta il venir meno per il Giudice del dovere di statuire
in merito alla domanda civile - si determinano altresì effetti ostativi
con riguardo alla statuizione sulle spese relative all'azione civile.
La norma contenuta nella parte riguardante il rito abbreviato, l'art. 442 CPP,
richiama gli artt. 529 e ssgg. del cpp; tra questi,anche la disposizione contenuta
nell'art. 541 cpp, norma, questa, che regola appunto la statuizione del Giudice
in ordine alle spese della parte civile nel processo. Ebbene, dalla lettura
di tale norma si evince il carattere certamente unitario tra la pronuncia che
accoglie la domanda proposta con la costituzione di parte civile e la relativa
statuizione sulle spese nel caso di condanna dell'imputato. Da ciò può
dedursi che la domanda sulle spese presenti un carattere accessorio in relazione
alla domanda principale, potendosi statuire su di essa soltanto nel caso in
cui le valutazioni del Giudice investano la domanda principale di danno.
Pertanto, non può certamente attribuirsi un carattere autonomo alla statuizione
di cui all'art. 541 cpp, presentando tale norma un legame diretto con quella
relativa alla statuizione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno.
Inoltre, non può in alcun modo estendersi "la previsione dell'art.
541 co. 1 cpp al di là delle ipotesi ivi espressamente configurata in
relazione alla sentenza penale che accoglie la domanda di restituzione o di
risarcimento del danno" (Corte Cost. n. 443/90).
Alla luce di tanto sarebbe inibito alla parte civile che non abbia accettato
il rito abbreviato di poter richiedere la condanna dell'imputato al pagamento
delle spese relative all'azione civile ed al Giudice di provvedere su di esse
in caso di condanna dell'imputato; ciò perchè, non risulta presente
nel nostro codice di rito alcuna disposizione sul punto. Non si rinvengono,
difatti ,nel nostro codice norme che ammettano una scissione tra la pronuncia
sull'azione principale e quella relativa alle spese.
Unica eccezione è oggi prevista dall'art. 444 co. II cpp. Tale disposizione
prevede, difatti, nel caso di patteggiamento la possibilità per la parte
civile costituita di ottenere il pagamento delle sole spese sostenute per la
sua costituzione, non riconoscendosi al Giudice di decidere sulla principale
domanda di danno o di restituzioni.
Come visto un'analoga possibilità non viene prevista per i casi di definizione
del processo con le forme del rito abbreviato. C'è da chiedersi allora
se la mancanza di una tale previsione per questo rito speciale possa astrattamente
configurare un'ipotesi di incostituzionalità di quelle disposizioni che
non prevedono in capo all'indicata parte civile costituita il diritto di poter
richiedere la condanna dell'imputato al pagamento delle spese di costituzione
(art. 441 co. 4 cpp, norma questa che limita gli effetti della non accettazione
del rito a quelli indicati dall'art. 75 cpp) ed il potere del giudice di provvedere
in merito in caso di condanna dell'imputato (art. 442 co. 1 cpp, che contiene
un'implicita esclusione per tali ipotesi). Tanto in relazione agli art. 3 e
24 co. 1 della Costituzione, in considerazione della posizione assunta dalla
parte civile in virtù di una scelta operata dall'imputato in merito alla
quale non v'è stata alcuna sua partecipazione o possibilità di
interloquire.
Su tale aspetto la Corte Costituzionale, seppur in maniera indiretta, aveva
già affrontato tale tema, argomentando sulla questione relativa alla
valutazione dell'eccezione di incostituzionalità dell'allora art. 444
co. 2 cpp nella parte in cui non prevedeva la possibilità per il Giudice
di provvedere in merito alle spese sostenute dalla parte civile, dichiarando,
come è noto, la incostituzionalità di tale norma (poi modificata
dalla legge 479/99) proprio in relazione a tale aspetto (Corte Costituzionale
sentenza n. 443/1990).
In quella occasione la Corte, proprio in relazione al rito abbreviato, seppur
in maniera indiretta, aveva giustificato per tale rito speciale una sorta di
pregiudizio per la parte civile "dissenziente" ricollegando tale situazione
all'esistenza di una "determinazione dell'interessato" derivante appunto
dalla sua dichiarazione di non accettazione del rito ex art. 441 co. 4 cpp.
Questa situazione, a giudizio della Corte, appariva diversa da quanto avveniva
per il "patteggiamento" in cui alla stessa parte civile non poteva
essere addebitata alcuna determinazione, in quanto il procedimento ex art. 444
cpp si concludeva sulla base di sole scelte operate da altri soggetti (pm ed
imputato) senza che vi fosse stata alcuna partecipazione della parte civile
a tale accordo.
Orbene, a questo punto c'è da chiedersi se le modifiche introdotte dalla
legge 16.12.99 n. 479 sul rito abbreviato possano aver modificato in maniera
rilevante i termini della questione.
Esistono a parere di questo Giudice una serie di questioni che necessitano di
un'ulteriore valutazione su tale aspetto e che a seconda delle risposte fornite,
fanno propendere per l'esistenza di una questione di legittimità costituzionale
in relazione alle norme indicate.
Il nuovo rito abbreviato risulta oggi, attraverso gli interventi legislativi
indicati, strutturalmente modificato rispetto al passato: non è più
richiesto il consenso del Pm per l'ammissione del rito abbreviato, né
una valutazione da parte del giudice circa l'ammissibilità della richiesta
rapportata alla "definibilità" del processo allo stato degli
atti. In merito a tale ultima valutazione il Giudice di fronte ad una richiesta
dell'imputato è tenuto comunque ad ammettere il rito, salvo il potere
di assumere "anche d'ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione"
(art. 441 co.5 cpp). Sempre all'imputato,inoltre,è riconosciuto il diritto
di avanzare richiesta di giudizio abbreviato, subordinando la stessa ad "integrazioni
probatorie ritenute necessarie ai fini della decisione" (438 co.5 cpp).
In particolare su tale ultimo aspetto giova sottolineare come il codice di rito
mentre per il PM prevede il diritto alla prova contraria, nulla statuisce in
favore della parte civile. Identica situazione, a discapito della parte civile,
si verifica nel caso in cui viene riconosciuto il diritto all'imputato all'ammissione
di nuove prove a seguito della modifica dell'imputazione da parte del pm nel
giudizio abbreviato (art. 441 bis ult. comma cpp).
Alla luce di tanto la parte civile può certamente trovarsi, all'interno
del giudizio abbreviato, in una posizione di contraddittorio limitato in relazione
alla sua pretesa di carattere civile avanzata con la sua azione; tanto soprattutto
se posto in relazione a quanto diversamente avverrebbe in un giudizio ordinario.
C'è inoltre da considerare come, oggi, all'interno del rito abbreviato
possano trovare spazio ed utilizzazione non solo quegli atti istruttori acquisiti
con la richiesta "subordinata" dall'imputato, ma addirittura tutti
quelli acquisiti dallo stesso imputato attraverso le indagini difensive, atti
assunti senza alcun contraddittorio.
Ora appare abbastanza evidente come all'interno del giudizio abbreviato il sistema
di formazione/acquisizione della prova presenti minori garanzie per il contraddittorio
e per la libertà di acquisizione e formazione della prova proprio in
relazione alla parte civile costituita. Il tutto diversamente da quanto avviene
nel dibattimento in cui viene riconosciuto un ampio ed effettivo diritto alla
prova (art.190 cpp).
Nel rito abbreviato, l'imputato, alla pari di quanto avviene per il patteggiamento,
attraverso una sua libera ed interessata determinazione, interviene in maniera
radicale con una scelta che influisce direttamente sulle modalità di
definizione dell'azione intrapresa dalla parte civile, rendendo partecipe la
stessa di un tipo di procedimento che presenta notevoli limitazioni sul suo
diritto alla prova ed al contraddittorio.
Ora, il nostro codice di rito riconoscendo la possibilità alla parte
civile di non accettare il rito abbreviato, evitandole possibili effetti pregiudizievoli
derivanti dal giudicato (art. 651 e 652 cpp), nello stesso tempo addossa implicitamente
alla stessa parte tutte le spese dalla stessa sostenute nel relativo procedimento
per l'esercizio di una facoltà legittima riconosciuta dal codice attraverso
l'esercizio dell'azione civile nel processo penale; il tutto per una decisione
proveniente esclusivamente dall'imputato, il quale, rispetto alla parte civile
diventa quasi arbitro della modalità di definizione e di gestione del
processo. In buona sostanza a fronte di una scelta operata dall'imputato (scelta
che al medesimo può attribuire notevoli vantaggi in considerazione della
riduzione della pena in caso di condanna) viene a determinarsi una notevole
restrizione del diritto alla prova nei confronti della parte civile, la quale,
per tutelarsi degli effetti eventualmente pregiudizievoli della sentenza derivanti
dal giudicato penale, è tenuta ad operare una dichiarazione di non accettazione
del rito.
E' di tutta evidenza il pregiudizio che la parte civile può subire in
tutti i casi in cui, come quello in esame, la stessa ha operato in maniera costruttiva
ed attiva nel procedimento, impiegando mezzi ed affrontando notevoli spese e
contribuendo in alcuni casi (come quello in esame) in maniera quasi risolutiva
alle stesse determinazioni sull'azione penale attraverso il deposito di atti,
le opposizioni di cui all'art. 409 cpp. e la partecipazione alle udienze camerali.
Questo Giudice non riesce ad individuare valide e legittime giustificazioni
per non ammettere la possibilità per la parte civile di poter richiedere,
al termine del giudizio abbreviato, una statuizione da parte del giudice limitata
alle sole spese di costituzione di parte civile in caso di condanna dell'imputato
nel giudizio abbreviato. Difatti proprio il processo penale appare la sede più
naturale ed opportuna per definire tale questione.
Esistono, a parere di questo Giudice, numerosi elementi, come visto, che rendono
simile la posizione della parte civile che si costituisce in un giudizio che
viene poi definito con il rito abbreviato, con la parte civile che si costituisce
in un processo che viene definito con il l'applicazione della pena su richiesta.
Ad entrambe le parti civili vengono addossate una serie di conseguenze che non
derivano da alcuna loro determinazione, ma esclusivamente, nel rito abbreviato,
da una scelta operata dal solo imputato.
Tutto ciò rende possibile la presenza di profili di incostituzionalità
degli artt. 441 co.1 e 4 cpp - nella parte in cui limitando gli effetti della
non accettazione del rito alla sola ipotesi ex art. 75 cpp e non autorizzando
le conclusioni della parte civile, non prevede il diritto di quest'ultima a
richiedere la condanna dell'imputato al pagamento delle spese relative all'azione
civile - e dell'art. 442 co. 1 cpp nella parte in cui non prevede il potere
per il giudice, nel caso di condanna dell'imputato, di statuire sulle spese
medesime; ciò in riferimento agli artt. 3 e 24 co. 1 della Costituzione.
La violazione dell'art. 3 co. 1 della Costituzione potrebbe profilarsi in ragione
di una diversità di trattamento della parte civile per un'ipotesi sostanzialmente
analoga a quella della parte civile per i casi di definizione del processo con
il rito abbreviato e con il patteggiamento.
La violazione dell'art. 24 co. 1 Cost. parrebbe profilarsi nel momento in cui,
essendo preclusa al Giudice ogni decisione sulla domanda della parte civile
in caso di definizione del processo con il rito abbreviato, si determinerebbe
una ingiustificata limitazione del precetto costituzionale che assicura ad ogni
cittadino la tutela giudiziaria dei propri diritti, in quanto vanificherebbe
in relazione a determinati aspetti la tutela giudiziaria riconosciuta; il tutto
in ragione di una scelta operata da un soggetto-parte del processo civile inserito
nel procedimento penale, con ricaduta di effetti pregiudizievoli per l'altra
parte.
La questione, pertanto, apparendo fondata e rilevante in relazione al presente
procedimento, che si ritiene non possa essere definito indipendentemente dalla
risoluzione della questione, deve essere rimessa alla Corte Costituzionale per
le Sue valutazioni.
P Q M
1) Visti gli
arrt. 134 Cost. - 23 co. 2, 3 e 4 legge n. 87/1953 rimette gli atti alla Corte
Costituzionale per le Sue valutazioni in ordine alla questione di legittimità
costituzionale sollevata in riferimento agli art. 441 co.1 e 4 cpp e 442 co.
1 cpp nella parte in cui non prevedono, la prima, il diritto della parte civile
che non abbia accettato il rito abbreviato a richiedere la condanna dell'imputato
al pagamento delle spese relative all'azione civile, e la seconda il potere
del Giudice, in caso di condanna dell'imputato, a statuire in ordine alle stesse.
2) Sospende il presente processo;
3) Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza venga notificata
al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata al Presidente della Camera
ed al Presidente del Senato ed alle parti non presenti.
Viterbo, 12 novembre 2002
Il Giudice
dell'udienza preliminare
Dr. Eugenio Maria Turco