Tribunale di Genova, Sezione per il Riesame, Ordinanza 29 gennaio 2001
IL
TRIBUNALE DI GENOVA
SEZIONE CORTE D'ASSISE E RIESAME
COLLEGIO PER IL RIESAME
riunito in Camera di Consiglio nelle persone di
dott. Nicoletta
CARDINO - Presidente rel.
dott. Massimo CUSATTI - Giudice
dott. Cristina DAGNINO - Giudice
visto l'appello proposto dal P.M. presso il Tribunale di Genova, in data 20
maggio 2000, avverso il decreto del G.I.P. presso il Tribunale di Genova, in
data 13 maggio 2000, che ha negato la convalida del decreto di sequestro preventivo
del P.M., in data 8 maggio 2000, di alcuni siti Internet, dei contratti in base
ai quali il provider diffonde tali siti e di ogni altro materiale documentale,
informatico e telematico connesso ai predetti siti, e ha respinto la richiesta
di sequestro preventivo del predetto compendio;
udite le conclusioni
del P.M.;
a scioglimento della riserva di cui al verbale di udienza 29 gennaio 2001;
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
premesso:
- che con decreto
8 maggio 2000 il P.M. presso il Tribunale di Genova ha disposto il sequestro
preventivo di alcuni siti Internet, dei contratti in base ai quali il provider
diffonde tali siti e di ogni altro materiale documentale, informatico e telematico
connesso ai predetti siti, nell'ambito di procedimento contro ignoti per i reati
di cui agli artt. 35 l. 675/96 e 595 c.p.;
- che con decreto 13 maggio 2000 il G.I.P. ha negato la convalida del predetto
provvedimento e la richiesta di emissione di decreto di sequestro preventivo
dei siti e di quant'altro in epigrafe;
- che con ordinanza n. 78 S/00 R.R. il Tribunale della Libertà ha respinto
l'appello del P.M. avverso tale decreto, accogliendo nel merito le deduzioni
della parte pubblica, ma ritenendo il difetto di giurisdizione del giudice italiano;
- che contro tale ordinanza il P.M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo
al riguardo l'erronea applicazione della legge penale riguardo al luogo di consumazione
del reato di diffamazione;
- che con sentenza 17 novembre 2000 la Corte di Cassazione
ha accolto il ricorso e annullato l'impugnata ordinanza, ritenuta la giurisdizione
del giudice italiano in relazione al luogo del commesso reato, e rinviando al
Tribunale della Libertà per nuova deliberazione
OSSERVA
Il procedimento trae origine dalla querela presentata il 1° marzo 2000 da M. D., il quale ha esposto la vicenda relativa all'affidamento delle sue due figlie, nate dal matrimonio celebrato in Israele dal querelante e da T. P., poi trasferitisi in Italia.
In sintesi,
nel 1992 il Tribunale rabbinico di Milano ha pronunciato la separazione tra
i coniugi; le minori sono state affidate ad entrambi; in seguito la sig.ra P.
ha aderito ad una versione particolarmente rigorosa della religione ebraica,
e, arbitrariamente, ha condotto con sé le figlie, prima in varie città
italiane, poi in Israele (dove la predetta ha contratto nuove nozze con un rabbino
di una setta ultraortodossa).
Del contenzioso nel frattempo sorto tra gli ex - coniugi circa la custodia delle
minori si sono quindi occupati a più riprese la magistratura italiana
e anche quella israeliana; la polizia di quel Paese ha rintracciato le giovani
D., riconsegnate al padre, che ne ha ottenuto l'affidamento e le ha riportate
in Italia, dove vive stabilmente.
Da allora, su diversi siti Internet sono apparsi scritti e immagini - verosimilmente,
atteso il contenuto, provenienti dagli aderenti alla stessa setta cui ha aderito
la sig.ra P., e comunque da comunità ebraiche ultraortodosse - dedicati
alla vicenda (pubblicazione di fotografie delle minori, divulgazione dei vari
provvedimenti giudiziari, delle consulenze svolte), il tutto accompagnato da
commenti e affermazioni, attinenti la personalità e la condotta del querelante,
dalla connotazione pesantemente negativa e dal contenuto diffamatorio, e da
appelli rivolti ai correligionari per ottenere che le minori siano sottratte
al padre e restituite alla madre.
Il P.M. ha avviato
indagini relative ai reati di cui agli artt. 35 l. 675/96 e 595 c.p. accertando
l'effettiva esistenza di alcuni siti Internet, dal contenuto corrispondente
a quanto rappresentato dal querelante, e, con riferimento al solo reato di diffamazione,
ha disposto il sequestro preventivo di quanto in premessa.
Il G.I.P. adito per la convalida e per l'emissione del decreto di cui all'art.
321 co. 3 bis c.p.p. ha negato sia l'uno che l'altro provvedimento, ritenuto:
- che nella fattispecie non è ravvisabile il reato di cui all'art. 35
l. 675/96, difettando il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice;
- che non sussiste il fumus del reato di diffamazione in danno del querelante,
perché le dichiarazioni contenute nei siti (che il D. si sarebbe
convertito al cattolicesimo, che non seguirebbe i principi della religione ebraica
in materia di alimentazione, che userebbe solo la lingua italiana, che imporrebbe
analoghe condotte alle figlie ecc.) non avrebbero carattere lesivo della reputazione
del D., se non adottando i canoni di valutazione propri del gruppo ultraortodosso
da cui provengono le predette comunicazioni;
- che la misura cautelare richiesta non sarebbe utilizzabile perché gli
scritti su Internet sono soggetti a continue variazioni; perché il sequestro
colpisce anche il provider (il fornitore dell'accesso a Internet), nei cui confronti
l'attuale ordinamento non configura alcuna responsabilità analoga a quella,
prevista dall'art. 57 c.p., a carico del direttore del periodico per le pubblicazioni
integranti reati commessi a mezzo stampa, né alcun obbligo di vigilanza,
fatte salve le ipotesi di concorso nel reato; perché la misura può
essere eseguita solo sequestrando il server, con ciò agendo anche nei
confronti del provider e degli altri utenti del medesimo server, tutti soggetti
estranei al reato.
Il P.M. ha proposto appello deducendo di aver disposto il sequestro di cui si
tratta solo in relazione alla fattispecie di cui all'art. 595 c.p.; che il contenuto
delle comunicazioni relative al caso D. ha un obiettivo carattere diffamatorio,
a prescindere dalla fede religiosa degli autori delle comunicazioni o dei destinatari;
che le questioni attinenti l'esecuzione del provvedimento, quali prospettate
dal G.I.P., non costituiscono oggetto di valutazione circa la legittimità
o meno della misura, essendo relative a una fase riservata al P.M.; che in ogni
caso il sequestro in oggetto sarebbe eseguito in via telematica, e non tramite
il sequestro del server, e che non attiene ai requisiti della convalida il fatto
che la misura attinga il provider, che non è titolare dei siti ma ne
cura solo la diffusione.
Come già ritenuto dal Tribunale della Libertà con l'ord. n. 78 S/00 R.R., vertendosi in materia di appello del P.M. contro un provvedimento del G.I.P. che ha negato la convalida e ha respinto la richiesta di sequestro preventivo, la cognizione rimessa al Collegio adito ex art. 322 bis c.p.p. si riferisce soltanto alla verifica della sussistenza del fumus del reato e del periculum in mora; alla stessa sono estranee le questioni concernenti l'esecuzione o l'eseguibilità della misura reale, riservate appunto al P.M., e irrilevanti nella presente sede.
In relazione
al contenuto dei messaggi diffusi tramite i siti Internet indicati dal P.M.,
sussiste il fumus del reato ex art. 595 c.p. (l'unico, è bene precisare,
posto a base della domanda cautelare).
Infatti vi compaiono (cfr. la citata ordinanza del Tribunale della Libertà,
pag. 2) "affermazioni relative al fatto che il padre tiene prigioniere
le figlie, le minaccia anche con punizioni fisiche, frasi del tipo "se
non cedono ai suoi voleri le farà rinchiudere, ha cercato di convincerle
che la madre ha detto che rinuncerà alla custodia per 10.000 $, causando
timore nella figlia più piccola che la madre l'abbia venduta per soldi",
le sgrida violentemente"; il querelante è accusato di aver rinnegato
la religione ebraica in favore del cattolicesimo, cui si sarebbe convertito,
giungendo ad impedire alle minori di praticare la loro fede, tentando di assimilarle
al diverso ambiente in cui le costringerebbe a vivere, tenendole né più
né meno sequestrate (in ciò agevolato, stando agli autori di vari
messaggi, dai tribunali italiani, sul conto dei quali non mancano giudizi fortemente
negativi, valga per tutti l'accusa di razzismo e di antisemitismo); non mancano
poi considerazioni deteriori circa la personalità del D., definito
"un narcisista immaturo pronto a scoppi di aggressività incontrollata".
Non può
dubitarsi dell'offensività insita in siffatte affermazioni.
Come ritiene correttamente il P.M., è erronea la conclusione cui perviene
al riguardo il G.I.P., sostenendo che tali espressioni non assumerebbero connotazione
diffamatoria se non adottando le prospettive proprie del gruppo ebraico fondamentalista
(che nella vicenda si pone come antagonista del D.).
In Italia invece - dove vive il querelante - le espressioni incriminate non
sarebbero percepite in termini di offensività neppure dalla comunità
ebraica (per tacere di chi appartiene ad altra fede).
In contrario il P.M. sottolinea il fatto che proprio il sito Internet degli
ebrei italiani (www. xxxx. xxx.) ha riferito della vicenda commentando il modo
distorto in cui essa è stata illustrata nei siti di cui si chiede il
sequestro, e il contenuto diffamatorio delle comunicazioni sopra riassunte;
ciò perché il concetto di "reputazione", quale oggetto
di tutela ex art. 595 c.p., ben può essere inteso in senso relativo e
non assoluto (e per chi professi la religione ebraica, essere descritto come
apostata o come persona che neghi ai figli la libertà religiosa assume
una connotazione negativa nell'ambito della comunità di appartenenza,
ortodossa e non).
Si tratta di conclusioni, ad avviso del Collegio pienamente condivisibili; è altrettanto vero quanto sostiene di seguito il P.M., e cioè che affermazioni come quelle comparse nei siti incriminati (relative al carattere e alla personalità del D., al fatto che egli tenga prigioniere le proprie figlie, che abbia abiurato la propria fede, che sia tanto intollerante in materia religiosa dall'opporsi con tanta pervicacia al credo professato dalle minori ecc.) da chiunque recepite (ebreo, cristiano, di altra fede, o libero pensatore e quant'altro), assumono senza possibilità di dubbio carattere di offensività dell'onore e del decoro dell'interessato in ogni comunità civile (soprattutto, come giustamente rileva il P.M., in un Paese come l'Italia, in cui la libertà di coscienza assurge a valore, anzi a diritto, costituzionalmente riconosciuto e garantito a chiunque).
Ciò posto,
e relativamente al problema della sussistenza o meno della giurisdizione italiana
in relazione ai fatti per cui si procede, valga quanto segue.
Ad avviso del P.M., il reato deve ritenersi commesso in Italia, dove è
possibile visualizzare e leggere il contenuto dei siti incriminati, vertendosi
pertanto nell'ipotesi contemplata dall'art. 6 co. 2 c.p.p.
In altri termini, si sostiene (in contrasto con quanto già ritenuto dal
Tribunale della Libertà nella citata ordinanza) il reato di diffamazione
non si consuma nel tempo e nel luogo in cui si verifica la diffusione della
manifestazione offensiva (diffusione che il Tribunale aveva identificato con
la pubblicazione delle espressioni offensive, e cioè dei siti, registrati
all'estero e diffusi quindi, inizialmente, all'estero; il reato pertanto, istantaneo
e di mera condotta, deve ritenersi nella sua interezza consumato all'estero,
mentre in Italia si è verificata solo una parte della diffusione o forse
solo la percezione dei messaggi offensivi, e quindi il danno; non può
quindi perseguirsi in Italia, non essendo applicabili gli artt. 7 e 10 c.p.
e mancando in materia una norma derogativa della competenza - quale quella per
i reati di diffamazione commessi tramite trasmissioni televisive o radiofoniche
- che attribuisce la cognizione del reato in questione del giudice del luogo
di residenza della persona offesa); viceversa, la condotta del reato di diffamazione,
stando al tenore letterale della norma incriminatrice, consiste nella comunicazione
con più persone, e quindi la sua consumazione avviene al momento della
percezione da parte dei destinatari delle espressioni offensive; la percezione
è pertanto elemento costitutivo del reato, di cui integra la condotta,
e non l'evento o il danno (questo potrà verificarsi quando l'interessato
senta lesa la propria reputazione a seguito della percezione da parte di terzi
del messaggio offensivo); poiché (gli atti di indagine consentono ogni
certezza al riguardo) la percezione è avvenuta - anche - in Italia (dove,
date le note potenzialità di Internet, non può ritenersi che la
comunicazione sia avvenuta successivamente a quella verificatasi in altri Paesi,
e quindi a reato già perfezionato altrove) trova applicazione il principio
di ubiquità sancito dall'art. 6 co. 2 c.p. in materia di competenza.
Gli argomenti
della parte pubblica omettono però di considerare che l'elemento ora
indicato - la percezione da parte di terzi della comunicazione offensiva - non
costituisce, né può per sua natura costituire, elemento integratore
della condotta incriminata ex art. 595 c.p., per la ragione che la percezione
non è atto del soggetto attivo del reato, ma del destinatario dell'azione,
sia pure quale conseguenza di questa.
Orbene, la percezione, quale avvenimento esterno all'autore del reato, e causalmente
collegato al suo comportamento, integra appunto l'evento del reato de quo (che
non è di mera condotta, come ritenuto dal P.M., ma di evento), il quale
si consuma non al momento della diffusione o pubblicazione del messaggio offensivo,
ma a quello della sua percezione da parte di persone terze rispetto al soggetto
attivo e al soggetto passivo.
Poiché il reato, a norma dell'art. 6 co. 2 c.p.p., si considera commesso
nel territorio dello Stato quando ivi si sia verificata, anche in parte, la
condotta (attiva od omissiva che sia), ovvero, l'evento che ne è conseguenza;
e poiché l'evento di cui si tratta - la percezione dei messaggi sopra
descritti, diffusi dai siti incriminati - si è pacificamente, stando
agli atti, verificata anche in Italia, qui si radica la competenza territoriale
per il reato in esame.
Sussiste nella specie, oltre il fumus commissi delicti, anche il secondo presupposto legittimante il sequestro preventivo, ovvero il pericolo che dalla libera disponibilità dei siti derivi la protrazione della condotta incriminata e l'aggravamento delle sue conseguenze, atteso che gli stessi sono di immediata consultazione, con il rischio che la lesione della reputazione della p.o. si estenda con il decorso del tempo, data la risonanza assunta dalla vicenda.
In accoglimento della richiesta del P.M., si dispone pertanto il sequestro preventivo dei siti, dei contratti e del materiale indicato nel decreto di sequestro preventivo 8 maggio 2000, fatta eccezione per il sito www. xxxx. xxx.; al riguardo si osserva che lo stesso appellante riferisce come le notizie circa il caso D. ivi apparse siano tutt'altro che assimilabili a quelle degli altri siti, perché la vicenda vi è stata illustrata in termini obbiettivi e con toni di deplorazione delle iniziative dei correligionari - lo conferma la lettura degli atti concernenti il sito predetto -.
P.Q.M.
visto l'art.
322 bis c.p.p.
in accoglimento dell'appello del P.M. presso il Tribunale di Genova, in data
20 maggio 2000, avverso il decreto del G.I.P. presso il Tribunale di Genova,
in data 13 maggio 2000, di cui in premessa, e in riforma di detto provvedimento
DISPONE
il sequestro
preventivo
a) dei siti Internet
1 - www.xx.org., registrato a nome AAAA e connesso a Internet da Greensboro
(USA)
2 - www.xxxx.edu., registrato a nome BBBB e connesso da Arlington (USA)
3 - www.xxxxxxxxx.co.il., registrato a nome CCCC e connesso da Gerusalemme (Israele)
4 - www.xxxxx.org., registrato a nome DDDD e connesso da Baltimora (USA)
5 - www.xxxxxxxxxxxxxxxxx.com., registrato a nome EEEE e connesso da Baltimora
6 - www.xxx.org.il., registrato a nome FFFF e connesso da New York (USA)
7 - www. xxx.org. il., registrato a nome A. L. e connesso dall'Italia tramite
la rete Prometeus;
b) dei contratti in base ai quali il provider diffonde i siti predetti;
c) di ogni altro materiale documentale, informatico e telematico connesso ai
siti predetti;
MANDA
la Cancelleria per le prescritte comunicazioni;
visto l'art. 310 co. 3 c.p.p.
SOSPENDE
l'esecuzione della presente ordinanza fino alla data della sua irrevocabilità.
Genova, 29 gennaio 2001
Il Presidente
estensore
Nicoletta Cardino