Tribunale di Napoli, Terza Sezione Penale, in composizione monocratica,
Sentenza 6 - 17 febbraio 2003, n. 1103

TRIBUNALE DI NAPOLI
SEZIONE TERZA PENALE


SENTENZA
(artt. 544 e ss.. c.p.p.)

Rrepubblica Italiana
in nome del popolo italiano
Il GIUDICE MONOCRATICO
dott. VINCENZO PEZZELLA

alla pubblica udienza del 6 febbraio 2003 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

nei confronti di : T. P. nato a Napoli il XXXXX
libero contumace

IMPUTATO
Del reato p. e p. dall'art. 385 c.p. per essersi allontanato arbitrariamente dall'abitazione sita in Napoli alla A. C. De Meis n. 120 ove era ristretto agli arresti domiciliari in virtù del provvedimento n. 2532/2001 R.I.M.C. emesso dalla Sezione Riesame del Tribunale di Napoli.
Acc.to in Napoli il 28.12.2001

con l'intervento del PM dott. V. D. M. (VPO)
e del difensore: avv. A. D. nominata ex art. 97 IV co. c.p.p. ai sensi della l. 60/2001 in sostituzione del difensore di fiducia Avv. G. M. R., assente.

CONCLUSIONI
Per il PM: assoluzione ex art. 530 co. II
Per la difesa: in via principale: assoluzione perché il fatto non sussiste; in via subordinata assoluzione ai sensi dell'art. 530 co. II c.p.p.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto di citazione diretta dell'imputato a giudizio ex art. 552 c.p.p. emesso il 3.6.2002 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli T. P. veniva tratto a giudizio per rispondere del­l'im­putazione trascritta in epigrafe.
La prima udienza del 10.10.2002, nella dichiarata contumacia dell'imputato, e quella successiva del 2.1.2003, venivano rinviate in via preliminare per l'assenza dei testi.
All'odierna udienza, dichiarato aperto il dibattimento, dopo l'esposi­zione introdut­tiva del PM e le richieste difensive, venivano am­messe le prove richie­ste.
Veniva quindi escusso il Maresciallo F. D. N., in servizio all'epoca dei fatti presso la Stazione CC di Napoli Ponticelli, unico teste di lista del PM.
Si dava quindi lettura degli atti consentiti e utilizzabili, il PM e la di­fesa concludevano come da verbale e questo G.M., dopo avere deliberato in camera di consiglio, pronun­ciava il dispositivo mediante lettura in pubblica udienza riservandosi il deposito dei motivi nei termini di legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene questo Giudice che la penale responsabilità dell’imputato T. P. in or­dine al reato di evasione contestatogli non risulti sufficientemente provata in base agli elementi di fatto emersi nel corso della compiuta i­struttoria dibattimentale e che pertanto lo stesso vada mandato assolto, ai sensi dell'articolo 530 co. 2 c.p.p., perché il fatto non sussiste.
Ed invero, è rimasto pro­vato che in data 28.12.2001 i CC della Stazione di Napoli Ponticelli furono allertanti nella notte, intorno alle cinque, dal Comando Provinciale di Napoli dell'Arma in quanto il dispositivo di controllo elettronico (il cosiddetto "braccialetto") del detenuto agli arresti domiciliari T. P. aveva dato per qualche minuto la segnalazione d'allarme.
Il Maresciallo De Nicola -escusso come teste- ha ricordato di essersi portato personalmente, la mattina successiva, intorno alle nove, presso l'abitazione dell'odierno imputato e di avere constatato che lo stesso era in casa.
Il medesimo teste ha riferito che il proprio ufficio richiese all'Enel di sapere se per caso quella notte nella zona dove abita il T. vi fosse stata interruzione della normale erogazione di corrente elettrica, ricevendone risposta negativa.
Il De Nicola, a domanda sul punto, ha riferito che non furono fatti accertamenti particolari in ordine al funzionamento dell'utenza elettrica dell'odierno imputato né fu fatto un accertamento tecnico per verificare se vi fossero state anomalie di funzionamento nel "braccialetto" elettronico.
Fin qui i fatti come provati.
La circostanza che l'odierno imputato si trovasse all'atto del controllo in stato di custodia cautelare, in regime di arresti domiciliari presso la propria abitazione e sottoposto a controllo elettronico, oltre che nelle parole del teste escusso, trova conferma documentale nell'estratto di ordinanza del Tribunale di Napoli - VIII Sezione Riesame- del 14.5.2001 n. 2532/2001 RIMC con cui veniva riformato l'originario provvedimento impositivo della custodia carceraria emesso dal G.M. dalla I Sezione Penale l'11.4.2001 e nel verbale di sottoposizione agli obblighi redatto dai CC di Napoli Ponticelli il 18.5.2001 e sottoscritto dal T. (cfr. entrambi i documenti in atti).
Il problema che si pone per la prima volta oggi a questo G.M. è quello del valore probatorio, in relazione al contestato reato di evasione, da attribuire alla circostanza - provata in quanto riferita in aula dal teste nel corso di una deposizione coerente, logica, univoca e non smentita da alcun elemento che ne incrinasse l'attendibilità - che per alcuni minuti il dispositivo elettronico installato per il controllo dell'odierno imputato ha inviato alla centrale operativa un segnale di allarme.
Ci si domanda, in altri termini, se può il segnale d'allarme del "braccialetto elettronico" costituire da solo la prova dell'avvenuta evasione ovvero se lo stesso costituisca un mero indizio della commissione di tale reato e rappresenti in concreto soltanto un presupposto per far scattare un immediato controllo del detenuto agli arresti domiciliari, potendo comunque solo la constatazione diretta da parte delle forze dell'ordine dell'assenza da casa del detenuto costituire piena prova dell'avvenuta evasione.
Per dare una risposta a tale quesito occorre in primo luogo precisare cosa sia e come funzioni l'innovativo sistema di controllo di cui l'odierno imputato è stato uno dei primi sperimentatori.
Di "braccialetto elettronico" si era già cominciato a parlare nel 1996 in relazione ad un possibile ampliamento delle pene alternative al carcere per i tossicodipendenti.
Nell'estate del 1999, sull'onda emotiva delle sanguinose rapine compiute da detenuti agli arresti domiciliari, si pensò di usarlo per questi ultimi e, nel settembre, se ne annunciò una prima sperimentazione entro la fine dell'anno.
Nel febbraio 2000 il progetto fu rilanciato, ma il Garante della Privacy richiese che l'uso di tale strumentazione elettronica fosse disciplinato per legge.
La norma fu così introdotta nel D.L. 24.11.2000, n. 341 conv. con modif. nella l. 19.1.2001 n. 4 (passato alla storia, per la definizione che ne diedero i mass media, come "decreto anti-scarcerazioni") e il "braccialetto elettronico" entrò in funzione in via sperimentale dal febbraio 2001 in cinque città, tra cui Napoli.
L'articolo 275bis del codice di procedura penale, inserito nel codice di rito dall' articolo 16, comma secondo, del D.L. 34/2000 cit., prevede al primo comma che: "Nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, il giudice, se lo ritiene necessario in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria: Con lo stesso provvedimento il giudice prevede l'applicazione della misura della custodia in carcere qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e strumenti anzidetti".
Il secondo comma della medesima norma recita poi testualmente: "L'imputato accetta i mezzi e gli strumenti di controllo di cui al comma 1 ovvero nega il consenso all'applicazione di essi, con dichiarazione espressa resa all'ufficiale o all'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la misura. La dichiarazione è trasmessa al giudice che ha emesso l'ordinanza ed al pubblico ministero, insieme con il verbale previsto dall'articolo 293, comma 1".
"L'imputato che ha accettato l'applicazione dei mezzi e strumenti di cui al comma 1 -conclude il terzo comma dell'art. 275bis c.p.p.- é tenuto ad agevolare le procedure di installazione e ad osservare le altre prescrizioni impostegli"
Analoga possibilità è stata prevista per i condannati che scontano la pena agli arresti domiciliari dall'introdotto nuovo comma 4bis dell' art. 47ter, della legge 26 luglio 1975,n. 354.
Va rilevato che, dopo un iniziale entusiasmo, come per tutte le novità, oggi si fa un uso limitato del controllo dei detenuti agli arresti domiciliari attraverso il "braccialetto elettronico", soprattutto in ragione dei costi delle apparecchiature e della scarsa disponibilità delle stesse da parte degli organi di polizia.
Ma non si tratta solo di un problema economico. Se è vero, infatti, che si risparmia lavoro agli agenti operanti sul territorio, che possono evitare, nel caso di detenuti con il "braccialetto" i continui controlli, soprattutto notturni, di cui sono destinatari i "normali" detenuti agli arresti domiciliari, è anche vero che occorre un impegno di personale presso le centrali operative allestite. E, per i motivi che si andranno ad evidenziare, in caso di allarme non si può prescindere dall'immediato invio presso l'abitazione del detenuto di agenti per il controllo.
Il dispositivo di controllo è complesso e prevede innanzi tutto un collegamento radio tra il braccialetto apposto alla caviglia del detenuto ed un apparecchio ricevitore, che viene tarato in base al perimetro del luogo di detenzione domiciliare, in modo tale che l'allarme suoni se il sorvegliato ne fuoriesca. Il ricevitore trasmette il segnale, o l'allarme per l'eventuale interruzione di esso, attraverso la linea telefonica, ad un sistema computerizzato posto nella centrale operativa dell'organo di P:G. deputato al controllo. In quest'ultima fase la trasmissione, sfruttando tuttavia canali e linee dedicate, è analoga, per grandi linee, a quella via modem che ciascuno di noi utilizza, ad esempio, per collegarsi ad Internet.
I dettagli tecnici sono stati specificati nell'allegato 1 al Decreto del Ministro dell'Interno del 2 febbraio 2001 recante appunto "Modalità di installazione ed uso e descrizione dei tipi e delle caratteristiche dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici destinati al controllo delle persone sottoposte alla misura cautelare degli arresti domiciliari nei casi previsti dall'art. 275bis del codice di procedura penale e dei condannati nel caso previsto dall'art. 47ter, comma 4bis, della legge 26 luglio 1975,n. 354".
Per realizzare un sistema di controllo a distanza sono necessarie tre componenti: a) il dispositivo di controllo vero e proprio; b) una linea telefonica; c) un sistema informatico centrale.
Per dispositivo di controllo - si legge nel D.M. sopra cit.- si intende l'insieme dei due apparati che consentono il costante controllo del soggetto: un braccialetto-trasmettitore e un ricevitore.
Il trasmettitore, o "braccialetto elettronico", è la componente mobile del dispositivo di controllo: viena applicato alla caviglia della persona e, tranne per la normale manutenzione, non può essere tolto durante l'intero periodo di durata della misura cautelare degli arresti domiciliari o della detenzione domiciliare.
Per garantire l'integrità del braccialetto -che deve essere a tenuta stagna, di materiale ipoallergico e di dimensioni e peso contenuti- e favorirne l'installazione, il trasmettitore deve essere corredato di uno speciale cinturino che, una volta applicato, evidenzi qualunque tentativo di manomissione, generando specifici ed identificabili allarmi.
Il ricevitore è l'unità che riceve gli impulsi radio dal trasmettitore e li invia, a sua volta, per mezzo di una linea telefonica, al sistema informatico centrale installato presso la sala operativa. Deve mantenere un costante controllo del trasmettitore per rilevarne il corretto funzionamento o le eventuali anomalie che dovessero verificarsi.
Il colloquio tra i due apparati deve avvenire tramite una banda di frequenza compresa tra i 433.05 ed i 434.79 Mhz, come indicato nella direttiva dell'European Radiocommunication Committe -Report 25, in modalità protetta. Ciò vuol dire che nel raggio d'azione di circa cento metri, le trasmissioni non devono essere disturbabili da altri traasmettitori e le informazioni non debbono essere intercettate.
Eventuali disturbi che causassero interruzioni nelle comunicazioni -si legge ancora nel D.M. sopra cit. - devono essere gestiti localmente, tramite opportuni accorgimenti tecnici contro falsi allarmi che limitino la trasmissione al sistema centrale dei soli allarmi reali.
Il ricevitore, che non può colloquiare con più di un trasmettitore contemporaneamente, deve essere alimentato tramite la normale rete elettrica presente nell'abitazione dell'imputato, ma deve integrare una batteria-tampone che ne consenta il funzionamento anche in caso di assenza di energia elettrica.
Come il trasmettitore, anche il ricevitore deve essere in grado di effettuare autodiagnosi, che evidenzino eventuali guasti o tentativi di manomissione fisica, riferiti anche agli aspetti di comunicazione, e deve avere una specifica memoria, in modalità sicura, ove venga registrato ogni evento.
Il ricevitore viene collegato alla linea telefonica, che preferibilmente deve essere di tipo digitale (ISDN), ma eccezionalmente -qualora impedimenti tecnici non consentano di installare una linea digitale- può essere anche analogica (TELCO).
Attraverso il collegamento telefonico la gestione remota dei dispositivi di controllo è affidata a sistemi infomatici posti presso le centrali operative.
Nel caso all'odierno esame all'imputato veniva applicato un braccialetto (il n. 143751) e un ricevitore HMRU (il n. 81175).
Al T., oltre alla prescrizione, canonica per i detenuti agli arresti domiciliari, di non allontanarsi dalla propria abitazione senza il preventivo consenso dell'Autorità giudiziaria competente, veniva intimato di non alterare, in qualsiasi modo, al fine di sottrarsi ai controlli prescritti, il funzionamento dei mezzi elettronici o degli altri strumenti tecnici adottati nei suoi confronti.
In particolare (cfr. verbale di sottoposizione agli obblighi in atti) gli veniva prescritto:

- quanto al ricevitore: 1) di non disconnettere la presa di alimentazione elettrica; 2) di non disconnettere la presa telefonica dal ricevitore; 3) di non sollevare o inclinare il ricevitore; 4) di non tentarne l'apertura o lo scasso; 5) di non porre nelle immediate vicinanze apparecchi funzionanti a radiofrequenza (radio, cellulari, scanner, forni a microonde); 6) di non collegare dispositivi telefonici in cascata con il ricevitore (fax, segreterie telefoniche, modem); 7) di non tentare di bagnarlo o immergerlo in liquidi.

- quanto al braccialetto: 1) di non sfilarlo; 2) di non rompere il sigillo di chiusura; 3) di non tagliare il cinturino; 4) di evitare urti violenti; 5) di non porre nelle vicinanze apparecchi funzionanti a radiofrequenza.

Orbene, il complesso di tali prescrizioni fa comprendere quanto delicato e fallibile sia il meccanismo di trasmissione del segnale radio dal braccialetto al ricevitore e da questo, via cavo, alla centrale operativa. E come, evidentemente, non si abbia molta fiducia da parte degli stessi installatori che, come previsto dal citato D.M. 2.2.2001, nel raggio di azione di circa cento metri (ben più ampio di quello di un normale appartamento) le trasmissioni non siano disturbabili da altri apparecchi funzionanti a radiofrequenza.
A meno, infatti, di non voler credere che le prescrizioni imposte lo siano state a scopo inutilmente vessatorio e senza una precisa giustificazione di tipo tecnico, deve concludersi, ragionando a contrario, che basta un violento urto del braccialetto ovvero l'utilizzo nei suoi pressi (o nei pressi del ricevitore) di un telefono cellulare o di una radiosveglia per mettere in crisi, almeno temporaneamente, il funzionamento dell'intero sistema di controllo.
Del resto, appartiene all'esperienza quotidiana di ciascuno di noi la raggiunta consapevolezza della non infallibilità dei mezzi elettronici che diffondono le comunicazioni attraverso l'etere. Basti pensare al caso non rarissimo in cui i telefoni cellulari, per motivazioni apparentemente inspiegabili e pur segnalando sul display il contrario, rimangono privi di campo.
O, per venire ai mezzi di controllo di cose e persone, ai motivi imperscrutabili e tecnicamente incomprensibili che spingono impianti d'allarme a cominciare a suonare da soli.
E le stesse linee telefoniche fisse, ad andare con la mente ai non infrequenti casi di interferenza, non offrono certo sicurezza di essere al riparo da errori di trasmissione.
Va poi fatta un'altra considerazione.
Si ponga il caso in cui sia stato l'imputato a tentare di manomettere il braccialetto o il dispositivo di trasmissione, violando le prescrizioni impostegli ai sensi dell'art. 275bis, comma terzo, c.p.p. ed elencate nel già citato verbale di sottoposizione agli obblighi.
L'allarme scatterà, analogamente a quanto avviene nel caso egli esca dal raggio d'azione del ricevitore, e ci si troverà di fronte al delitto introdotto dall'articolo 18 del D.L. 341/2000 cit. (che sanziona con la reclusione da uno a tre anni "il condannato o la persona sottoposta a misura cautelare che, al fine di sottrarsi ai controlli prescritti, in qualsiasi modo altera il funzionamento dei mezzi elettronici o degli altri strumenti tecnici adottati nei suoi confronti, o comunque si sottrae fraudolentemente alla loro applicazione o al loro funzionamento").
Potrà ipotizzarsi, in caso di danneggiamento del congegno, il concorrente reato di cui all'articolo 635 del codice penale.
E si sarà altresì in presenza di un comportamento che il giudice che ha imposto la misura cautelare domiciliare potrà e dovrà valutare per trasformare quest'ultima in custodia carceraria.
Ma certamente, pur di fronte ad un allarme che è scattato, non ci si troverà di fronte ad un soggetto punibile per il reato di evasione dagli arresti domiciliari non essendosene realizzata la condotta tipica (l'allontanamento dall'abitazione) prevista dall'articolo 385, comma terzo, c.p.p.
E' stato verificato che ciò non sia accaduto nel caso all'odierno esame ? Sembrerebbe di no.
In conclusione, ritiene questo G.M. che la circostanza che sia scattato l'allarme del congegno di controllo con cui veniva effettuata la sorveglianza a distanza dell'odierno imputato non possa costituire che un indizio dell'avvenuto allontanamento dello stesso dalla propria abitazione, inidoneo in quanto tale, da solo (prescrivendo invece l'articolo 192, comma secondo c.p.p., che gli indizi debbano essere molteplici, oltre che gravi, precisi e concordanti), a provare il reato di evasione contestato.
Nel caso in cui scatti l'allarme, dunque, sarà compito delle forze dell'ordine nell'immediatezza (e non 4 ore dopo come accaduto nel caso del T.) provvedere al controllo presso l'abitazione del detenuto agli arresti domiciliari. E qualora quest'ultimo venga trovato in casa verificare l'esistenza di altri indizi da cui possa desumersi l'avvenuto allontanamento dall'abitazione. In assenza, pare davvero difficile che possa dirsi provata, soprattutto nei casi come quello all'odierno esame, in cui l'allarme "scatti" solo per pochi minuti, la penale responsabilità dell'imputato per evasione.
In ogni caso, per poter tener conto anche come semplice indizio dell'intervenuto allarme e al fine di verificare la possibile sussistenza del reato di cui all'art. 18 del D.L. 341/2000, non potrà prescindersi da un'indagine tecnica approfondita -che nel caso all'odierno esame non pare essere stata compiuta- in ordine al corretto funzionamento di braccialetto-trasmettitore e ricevitore, allo stato di carica delle batterie del braccialetto e delle batterie tampone di cui necessariamente deve essere dotato anche il ricevitore per il caso in cui manchi l'energia elettrica, all'assenza nella memoria dell'impianto di segnali di autodiagnosi di errore o che evidenzino tentativi di manomissione, e alla verifica che non vi siano stati problemi di linea telefonica.

P. Q. M.

Letto l'art. 530 co. 2 c.p.p. assolve T. P. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.

Napoli, 6/2/2003

IL GIUDICE MONOCRATICO
(dr. VINCENZO PEZZELLA)

[torna alla primapagina]