Tribunale di Rieti, in composizione monocratica,
Sentenza 29 novembre - 10 dicembre 2002
MOTIVI DELLA DECISIONE
M.G.L. e N.A.
...imputati del reato p. e p. dagli artt. 110, 624, 625 n. 2, c.p., per essersi impossessati, in concorso tra loro, di due bottiglie di champagne e di cinque bottiglie di whisky, sottraendole dagli scaffali del supermercato gestito dalla Centro Italia s.c.r.l., al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, corrispondente al valore della merce sottratta, pari a circa lire 200.000. Con l’aggravante di essersi avvalsi di mezzo fraudolento, consistente nell’occultare le due bottiglie di champagne sotto il maglione del N. e quelle di whisky nella borsa della M., al fine di trarre in inganno il personale addetto al controllo del pagamento della merce. In Rieti, il 9.3.99.
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Con decreto di citazione ritualmente notificato, M. G. L. e N. A. sono stati tratti a giudizio innanzi a questo Giudice per rispondere del reato di cui in rubrica.
Nel corso del dibattimento sono state acquisite, ai sensi dell’art. 555, comma 4, c.p.p., le trascrizioni relative all’escussione dei testi della pubblica accusa avvenuta all’udienza del 13.2.2002, celebratasi, nell’ambito del medesimo procedimento penale, dinanzi al dott. Venturini.
Dalle risultanze istruttorie è emersa la seguente ricostruzione dei fatti: in data 9.3.99, in Rieti, N. F., addetto alla vigilanza del supermercato sito all’interno del centro commerciale «Futura» e gestito dalla cooperativa «Centro Italia», notava un uomo che prelevava dagli scaffali due bottiglie di liquore occultandole all’interno del proprio maglione ed una donna che dopo aver sistemato cinque bottiglie di liquore nel carrello, le riponeva nella propria borsa; dopodiché, i due oltrepassavano la barriera delle casse senza pagare la merce.
Ciò premesso, ritiene questo Giudice che debba emettersi sentenza di non doversi procedere nei confronti degli imputati, previa esclusione della contestata aggravante di cui all’art. 625 n. 2 c.p., per mancanza della condizione di procedibilità del reato.
Si afferma, invero, in dottrina che affinché ricorra la circostanza aggravante dell’uso del mezzo fraudolento, è necessaria una condotta volta ad aggirare la volontà del soggetto passivo, mentre ricorre il diverso reato di truffa quando la condotta dell’agente agisce sulla volontà stessa viziandone la motivazione. Fra le ipotesi esemplificative di applicazione dell’aggravante in parola, si fa riferimento alla condotta di chi si impossessa della cosa dopo essersela fatta consegnare in visione dal proprietario del negozio ingannandolo sulla serietà delle proprie intenzioni di acquistare, o alla condotta dei taccheggiatori che, con il pretesto di fare acquisti, distraggono il titolare dell’esercizio commerciale al fine di consentire ad uno di loro di sottrarre indisturbato le merci; ancora, si fa l’esempio di colui che, dopo aver concordato con il negoziante l’acquisto di un gioiello, lo sostituisce con altro di maggior valore ivi esposto, facendosi consegnare la scatola contenente quest’ultimo.
Ebbene, se è vero che ai fini della configurabilità di detta aggravante occorre – come in tutti gli esempi citati – un’influenza del comportamento dell’agente sulla psiche del soggetto passivo, non sembra che essa ricorra nell’ipotesi di semplice occultamento della merce prelevata dai banchi di esposizione di un supermercato: tale occultamento, invero, rappresenta ed esaurisce la condotta stessa di sottrazione, la quale non potrebbe essere efficacemente posta in essere se non nascondendo la cosa sulla propria persona o in apposito contenitore.
Né varrebbe obiettare che l’ipotesi del furto semplice ricorrerebbe nel diverso caso in cui l’agente tenti di superare la barriera delle casse tenendo in mano, senza occultarla, la merce che intende sottrarre: le norme, invero, si scrivono – ed i processi si celebrano – sui fatti della vita reale e non sui casi di scuola.
In contrario, ancora, non può sostenersi che il soggetto che oltrepassa la barriera delle casse, tacendo la circostanza di tenere occultata della merce sulla propria persona, trae in tal modo in inganno l’impiegato addetto alla riscossione del pagamento, inducendolo a ritenere – a torto – che il cliente non abbia nulla da pagare. In realtà, in siffatta ipotesi il soggetto non pone in essere una condotta psicologicamente rilevante nei confronti dell’addetto alle casse, limitandosi a nascondere alla sua vista la merce prelevata: anzi, il fatto di passare alle casse senza pagare nulla costituisce un comportamento inconsueto e, come tale, «sospetto», che può indurre il personale dell’esercizio commerciale ad effettuare dei controlli; ebbene, tale conseguenza si pone in contrasto con la ratio stessa dell’aggravante de qua, diretta a sanzionare la più grave condotta di colui che pone in essere accorgimenti idonei a superare gli ostacoli predisposti dalla vittima a difesa delle sue cose (e non, come nella fattispecie, suscettibili di ottenere l’effetto contrario).
Affinché possa dirsi integrata l’aggravante del mezzo fraudolento occorre, dunque, un quid pluris – anche in considerazione del rilevante aumento di pena previsto dall’art. 625 c.p. – rispetto al semplice occultamento della merce, come nel caso in cui l’agente, giunto alla barriera delle casse, paghi uno o più oggetti tenendo occultata sulla propria persona o in apposito contenitore altra merce (generalmente di valore superiore): in tale ipotesi, invero, l’impiegato addetto alle casse è in qualche modo «rassicurato» dal fatto che il cliente paga qualcosa e pertanto – spesso anche a causa della concitazione dovuta alla presenza di altre persone in attesa di pagare e dell’«automaticità» insita nelle mansioni da lui svolte – omette di prestare la dovuta attenzione in ordine al controllo sulle illecite sottrazioni di merce. Per le ragioni appena dette, è configurabile l’aggravante in questione anche nel comportamento di chi si impossessa di merce ponendola sul carrello ed esibendo al personale scontrino relativo ad acquisti effettuati in precedenza, trattandosi di condotta idonea a far venire meno la vigilanza del personale addetto al supermercato in ordine all’impossessamento in corso (Cass., sez. V, 5 febbraio 1998, Gullà).
In entrambe le ultime ipotesi citate si verifica una reale influenza della condotta dell’agente sulla psiche del soggetto passivo (o di un soggetto da lui delegato) volta ad aggirare la sua volontà, cosa che non appare sussistere nel caso di semplice occultamento della merce, trattandosi di comportamento rilevante non su un piano intellettivo – presupposto indefettibile affinché possa parlarsi di «frode» – ma meramente senso-percettivo, esaurientesi, come tale, nel profilo materiale della sottrazione.
Un ulteriore elemento in tal senso è rappresentato dal contenuto della Relazione ministeriale sul progetto del codice penale in merito alla norma in questione, in cui si afferma che «non si è fatta menzione nel nuovo testo della clandestinità, perché tale modalità può assurgere a ragione di aggravamento solo quando concreti un’ipotesi di frode, ed in tale caso rientra nella previsione dell’uso di mezzi fraudolenti». Da ciò può evincersi che, in materia di furto, un fatto posto in essere clandestinamente – quale quello oggetto del presente giudizio – non è idoneo di per sé (e cioè in mancanza di ulteriori accorgimenti) ad integrare una condotta fraudolenta ai sensi dell’art. 625 n. 2 c.p.
In conclusione, esclusa la contestata aggravante, poiché in virtù dell’art. 12, L. 205/99, il reato di furto – salvo che ricorrano le aggravanti di cui all’art. 625 c.p. ovvero quella di cui all’art. 61 n. 7 c.p. – è divenuto procedibile a querela di parte (che nella fattispecie non è stata presentata), dev’essere pronunciata sentenza di non doversi procedere nei confronti degli imputati per mancanza della condizione di procedibilità del reato.
P.Q.M.
Visto l’art. 529 c.p.p.,
dichiara non doversi procedere nei confronti di M. G. L. e N. A. in ordine al reato loro ascritto perché, esclusa la contestata aggravante, l’azione penale non doveva essere iniziata per difetto della condizione di procedibilità.