Tribunale di Rieti, in composizione monocratica,
Sentenza 25 - 29 ottobre 2002

MOTIVI DELLA DECISIONE

La vicenda trae origine dall’arresto dell’imputato effettuato dai Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile di Rieti in data 26.9.2002. All’udienza del 27.9.2002 l’arresto veniva convalidato e si procedeva a giudizio direttissimo, nel corso del quale la difesa chiedeva procedersi con il rito abbreviato: il Giudice disponeva in conformità, ordinando l’acquisizione del fascicolo del P.M; ai sensi dell’art. 441, comma 5, c.p.p., veniva disposta la citazione dell’operante che aveva provveduto a notificare al M. l’ordine emesso dal Questore ai sensi dell’art. 14, comma 5 bis, d.lgs. 286/98.

Dalle risultanze istruttorie è emerso che il prevenuto è stato colpito da decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Rieti in data 31.7.2002; peraltro, poiché a causa della carenza di un mezzo di trasporto idoneo non è stato possibile eseguire l’accompagnamento coattivo alla frontiera né, per via della mancanza di posti disponibili, accompagnare il prevenuto presso uno dei centri di permanenza temporanea, il Questore di Rieti, in data 20.9.2002, ordinava allo straniero – ai sensi del comma 5 bis dell’art. 14, d.lgs. 286/98, introdotto dalla L. 30 luglio 2002 n. 189 – di lasciare il territorio nazionale attraverso la frontiera di Fiumicino entro le ore 24.00 del 25.9.2002 seguendo l’itinerario Rieti-Fiumicino.

Alle ore 10.00 del 26.9.2002 i Carabinieri del N.O.R.M. di Rieti constatavano che il M. non aveva ottemperato al predetto ordine, in quanto si trovava in via P. Togliatti in corrispondenza dell’incrocio con via Terminellese.

Quest’ultimo ha dichiarato, in sede di udienza di convalida, di non aver compreso il significato del provvedimento che gli era stato notificato, non conoscendo la lingua italiana (alla predetta udienza, così come in quella odierna, è stato nominato, ai sensi dell’art. 143 c.p.p., un interprete di lingua rumena).

Ritiene questo Giudice che l’imputato debba essere assolto dal reato ascrittogli, non essendo stata raggiunta la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo.

Invero, l’Isp. D’Angeli Stefano, che ha materialmente provveduto a notificare al prevenuto l’ordine del Questore, ha dichiarato di aver tentato – poiché quest’ultimo effettivamente non capiva l’italiano – di spiegargli a gesti il contenuto dell’atto: in particolare, l’operante ha affermato di aver mostrato al M. – il quale annuiva con il capo – le dita della mano (per indicare il termine di 5 giorni), di avergli fatto segno di andare via (sempre con la mano) ed infine di avergli fatto il gesto dei polsi ammanettati (alludendo alle conseguenze del suo mancato allontanamento dal territorio nazionale).

Ebbene, tenuto conto che il predetto ordine non è stato tradotto in una lingua comprensibile all’imputato, che non è accettabile una spiegazione a gesti del contenuto di un atto e che nessuna garanzia di certezza in tal senso può essere fornita dal solo fatto che il M. annuisse con il capo, non può assolutamente ritenersi provato che egli avesse capito quale fosse il contenuto del provvedimento notificatogli. Nel caso di specie, tra l’altro, la predetta «spiegazione manuale» conservava diversi profili di ambiguità, come quello del termine, potendo il numero «5» segnalato con la mano riferirsi a qualunque unità di tempo (mesi, settimane, ecc.).

Diverso potrebbe essere il caso in cui il ricorso alla gestualità da parte degli operanti sia finalizzato a richiedere allo straniero un comportamento materiale, quale quello di esibire i documenti d’identità (ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 6, comma 3, d.lgs. 286/98), mostrandogli, ad es., i propri documenti e chiedendogli di fare altrettanto: nel caso di specie, la spiegazione a gesti riguardava non un comportamento materiale, ma il contenuto di un atto amministrativo dotato di una complessità tecnico-giuridica incompatibile con un apprendimento di carattere intuitivo.

Né può ritenersi operante, nella fattispecie, il principio dell’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale (art. 5 c.p.), dal momento che l’ignoranza da parte dell’imputato verteva su un presupposto di fatto della norma incriminatrice – costituito dal contenuto del provvedimento di cui all’art. 14, comma 5 bis, d.lgs. 286/98 – e non sulle conseguenze penali del suo mancato rispetto (il che di per sé sarebbe stato irrilevante).

Conseguentemente, non potendo ritenersi provato che il M. sapesse di aver violato il provvedimento de quo, lo stesso deve essere mandato assolto dal reato ascrittogli, ai sensi del 2° comma dell’art. 530 c.p.p., perché il fatto non costituisce reato.

Peraltro, poiché l’imputato – in sede di interrogatorio reso all’udienza di convalida – ha indicato, quale data di nascita, quella del 22.2.67, mentre da tutti gli atti di indagine risulta che lo stesso ha dichiarato agli operanti di essere nato il 22.11.67, deve disporsi la trasmissione degli atti al P.M. affinché valuti l’opportunità di procedere nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 495 c.p.

P.Q.M.

Visti gli artt. 438 ss., 530, 2° comma, c.p.p.,

assolve M. D. dal reato ascrittogli perché il fatto non costituisce reato.

Dispone la trasmissione degli atti al P.M. per le determinazioni di sua competenza.

Rieti, 25.10.2002

Il Giudice
(dott. Andrea Fanelli)

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