Tribunale della Spezia, in composizione monocratica,
Sentenza 23 settembre - 23 ottobre 2002
FATTO E DIRITTO
All'esito
della convalida dell'effettuato arresto in flagranza, rimesso in libertà
l'imputato, si procedeva a giudizio con il rito direttissimo nei confronti di
B. F. per il reato previsto dall'art. 13 comma 13 del D.lgs. 286 del 1998, come
modificato dalla L. 189 del 2002.
All'udienza dibattimentale veniva ascoltato il M.llo Zama della Stazione Carabinieri
di Deiva Marina, il quale riferiva che l'imputato era stato arrestato il 13.9
u.s. per furto. In sede di controllo delle generalità che aveva fornito,
risultava che in data 5.11.1999 gli era stato notificato un decreto di espulsione
del Questore di Genova, che veniva eseguito in data 1.2.2000 dal personale dell'Ufficio
stranieri della Questura di Imperia. Veniva quindi nuovamente tratto in arresto.
Tali elementi consentono di ritenere configurato il reato contestato che, per
vero, era già previsto dal testo dell'art. 13 comma 13 del D.lgs. 286
nella sua formulazione originaria, ma in virtù della sopravvenuta legge
c.d. Bossi-Fini, entrata in vigore il 10.9.2002, è da tale data punito
più severamente.
Nel caso, è verosimile che il B. sia rientrato nel territorio nazionale
prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina, come da lui peraltro sostenuto
(ha dichiarato di essere rientrato da 4 mesi), dal momento che l'irregolare
presenza in Italia successiva all'espulsione è stata accertata il 13
settembre.
Onde valutare quale sia la sanzione da applicarsi nel caso concreto, occorre
stabilire se il reato in questione abbia natura istantanea o permanente: nel
secondo caso infatti la condotta illecita del B. si sarebbe protratta anche
sotto il vigore della novella legislativa, di cui dovrebbe essere applicata
la disciplina sanzionatoria meno favorevole.
Come hanno osservato alcuni commentatori, se i reati di cui all'art. 13, commi
13 e 13 bis avessero natura istantanea, la permanenza in Italia dell'irregolare
già colpito da provvedimento di espulsione eseguito sarebbe penalmente
lecita, venendo sanzionato solo l'accesso nello Stato. Ne conseguirebbe quindi
tra l'altro la sostanziale impunità decorsi i tre anni della prescrizione
del reato.
La soluzione pare in contrasto con la finalità della disciplina in tema
di immigrazione, che si propone di regolamentare la presenza dei cittadini extracomunitari
nel territorio, ponendo allo scopo limiti e condizioni. Il problema non è
infatti quello di tutelare l'inviolabilità delle frontiere in sé
e per sé, ma quello semmai di potenziare i controlli, anche alle frontiere,
per limitare la presenza.
E tale conseguenza si porrebbe anche in illogico contrasto con il trattamento
previsto dall'art. 14, commi 5 ter e 5 quater, del novellato D.Lgs. 286/98 per
le violazioni dell'ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale nelle
ipotesi contemplate dal comma 5 bis (ovvero nei casi in cui non sia stato possibile
trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporaneo ovvero quando
siano trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l'espulsione o il
respingimento), nelle quali è sanzionata la permanenza in Italia, per
tutta la sua durata.
Non pare poi che la presenza sul territorio possa considerarsi un mero effetto
permanente di una condotta di rientro istantanea, dal momento che si tratta
di una situazione che si produce giorno per giorno non per automatismo, ma in
virtù di una reiterata volontà e coscienza in tal senso.
Coerente con tali premesse è la conseguenza della protrazione della condotta
illecita per tutta la durata della permanenza in Italia dopo l'espulsione, nel
corso della quale permane altresì la relativa volontà.
Diversamente opinando, la previsione introdotta dal comma 13 ter dell'art. 13
della novella in tema di arresto in flagranza avrebbe ben poca portata pratica,
dal momento che è ben difficile cogliere lo straniero nell' atto del
rientro e che tale momento è assai difficilmente accertabile. Nei due
precedenti giurisprudenziali noti sulla questione, che hanno adottato la tesi
della natura istantanea del reato (Tribunale di Pisa, ord. 3.10.2002; Trib.
Grosseto, ord. 18.9.2002) i giudicanti non hanno difatti convalidato gli arresti
degli stranieri colpiti da provvedimento di espulsione già eseguito trovati
sul territorio nazionale, sul presupposto del difetto del requisito della flagranza.
Per i motivi esposti, ritiene questo Giudice che il reato in questione abbia
natura permanente.
L' imputato deve essere quindi condannato per il reato a lui ascritto, con applicazione
delle sanzioni oggi vigenti.
Non paiono concedibili le attenuanti generiche, attesa l'intensità del
dolo dimostrato e l'esistenza dichiarata di un precedente penale riportato all'estero;
valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. pena adeguata al fatto,
considerata la durata dell'illecita permanenza, pare quella contenuta nel minimo
editale di MESI SEI di arresto.
Non può essere concessa la sospensione condizionale della pena, dal momento
che la condizione di clandestinità del prevenuto, nullafacente senza
fissa dimora in Italia, non consente di formulare una prognosi favorevole ai
sensi e per gli effetti di cui all'art. 164 I c. c.p.
Segue la condanna al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare.
Segue altresì la trasmissione degli atti alla Questura competente per
l'esecuzione dell'espulsione prevista dall'art. 13 comma 13 del D.lgs. 286,
come modif. dalla L. 189/2002.
P.Q.M.
Il Tribunale,
visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputato colpevole del reato a
lui ascritto e lo condanna alla pena di mesi sei di arresto, oltre al pagamento
delle spese processuali e di custodia cautelare.
Fissa il termine di 30 gg. per il deposito della sentenza.
Manda alla Questura competente per l'esecuzione dell'espulsione ex art. 13 comma 13 D.lgs. 286/1998 novellato.
Così deciso in La Spezia il 23.9.2002
Il Tribunale
(dott.ssa Paola Ghinoy)