Tribunale ordinario di Roma, Sesta Sezione Penale, in composizione monocratica,
Ordinanza 19 luglio 2002

Il Giudice dott. Giovanni Ariolli,

sull’istanza di liquidazione del compenso spettante al difensore di ufficio, avanzata dall’avv. V. B., ai sensi degli artt. 17 commi 1 e 2 legge n. 60/2001 e 32 disp. att. c.p.p., avendo inutilmente svolto le procedure per il recupero del credito professionale e stante l’impossibilità ulteriore di recupero del diritto vantato nei confronti dell’imputato (proc. pen. 19201/01 R.G. Tribunale);

OSSERVA

La richiesta di liquidazione degli onorari avanzata dal legale investe la corretta applicazione degli artt. 17 commi 1 e 2 della legge 6 marzo 2001, n. 60 e dell’art. 32 disp. att. c.p.p., normativa recentemente abrogata e sostanzialmente recepita quanto ai contenuti e alla disciplina, nelle norme del T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, introdotto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in vigore dal primo luglio 2002.

Come noto, la legge 6 marzo 2001, n. 60, contenente disposizioni in materia di difesa d’ufficio, costituisce un passo ulteriore verso il completamento della riforma sul giusto processo, rendendo effettivo il diritto di difesa dell’imputato che è privo di un difensore di fiducia, in un'ottica di parificazione con il mandato fiduciario.

A conferma di ciò alcune novità della legge che riguardano la modifica dei criteri con cui l’ordine professionale deve predisporre ed aggiornare l’elenco degli iscritti negli albi dei disponibili ad assumere le difese di ufficio: l’iscrizione (e la permanenza nell’elenco) consegue ad un’attenta verifica dell’idoneità che incide sulla scelta dello stesso difensore allorché il procedimento penale riguardi materie che richiedano competenze specifiche. In tal modo si tende a valorizzare la professionalità degli iscritti e la loro particolare esperienza nel settore penale. L'istituzione di un apposito ufficio centralizzato volto a garantire una pronta reperibilità del difensore secondo criteri predeterminati, la possibilità della nomina di sostituti in caso di mancata comparizione del difensore originariamente nominato, l'espressa possibilità anche per il difensore di ufficio di nominare un sostituto processuale, la previsione di termini a difesa effettivi e congrui, costituiscono innovazioni che tendono a rendere ancor più concreto l'esercizio del mandato difensivo in tutte le fasi del procedimento.

Al fine di consentire all’indagato la possibilità di difendersi compiutamente sin dall’inizio delle indagini preliminari, l’articolo 19 della legge prevede che il pubblico ministero “al compimento del primo atto cui il difensore ha diritto di assistere e, comunque, prima dell’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio, notifichi alla persona sottoposta alle indagini la comunicazione della nomina del difensore di ufficio”. Il comma 2 della norma enuncia lo specifico contenuto della comunicazione prescrivendo che la difesa tecnica è obbligatoria nel procedimento penale, che l’indagato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia, con l’avvertimento che qualora non si avvalga di tale facoltà sarà assistito da un difensore di ufficio.

A fronte del riconoscimento di maggiori garanzie difensive e dell’effettività alla difesa apprestata, viene stabilito l’obbligo per l’imputato o l’indagato di retribuire il difensore di ufficio. Al fine di evitare fuorvianti equivoci che possano portare erroneamente a ritenere da parte dell’indagato/imputato che la difesa d’ufficio sia espressione di un munus publicum, si è stabilito che l’atto di comunicazione debba anche contenere, tra le altre, l’avvertenza dell’obbligo di retribuire il difensore di ufficio e le condizioni cui è subordinata l’ammissione al patrocinio dello Stato per i non abbienti. Si prevede, infine, che nel caso in cui non venga corrisposto il compenso dovuto – e non si abbia titolo per accedere al patrocinio a spese dello Stato – si procederà ad esecuzione forzata per il recupero del credito professionale (articolo 369 bis c.p.p. in relazione anche all’art. 8  legge 30 luglio 1990, n. 217 così come mod. dalla legge 29 marzo 2001, n. 134).

Precisato quindi che anche al difensore d’ufficio compete una retribuzione per l’attività svolta nell’interesse del cliente, quanto alle modalità di pagamento degli onorari, la materia è regolata dal combinato disposto degli artt. 74 - 114 (che hanno ridisegnato la disciplina in materia di patrocinio a spese dello Stato, abrogando la legge 30 luglio 1990, n. 217, come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 134),  115 e 116 (che hanno recepito il contenuto degli artt. 32 commi 1 e 2 e 32 bis disp. att. c.p.p., formalmente abrogati) del D.P.R. n. 115/2002 che delineano sostanzialmente due procedure, una ordinaria e altra facilitata. La prima consiste nel pagamento diretto del cliente al difensore e/o nel recupero coattivo del credito senza spese, imposte o bolli ovvero nel pagamento da parte dello Stato a seguito di dimostrata irrecuperabilità del credito. La seconda prevede l'ammissione al gratuito patrocinio per gli indagati, imputati e condannati che abbiano un reddito non superiore a euro 9.296,22, cui si aggiungono altri euro 1.032,91 per ciascun familiare convivente ovvero il pagamento da parte dello Stato per gli indagati o imputati dichiarati irreperibili, mediante la stessa procedura prevista per il gratuito patrocinio.

Venendo al recupero dei credito professionali, l’articolo 116 del D.P.R. 115/2002 stabilisce che il difensore d’ufficio dell’imputato non irreperibile (nel senso tecnico del termine di cui all’art. 159 c.p.p.) possa chiedere al giudice, di fronte all’inadempienza dell’assistito, la liquidazione degli onorari “nella misura e con le modalità previste dall’art. 82 (ossia quelle relative al patrocinio a spese dello Stato) quando dimostri di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali”, con surroga dello Stato nel credito verso il difeso e sempre che questi non versi nelle condizioni per essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Tale previsione opera un contemperamento di interessi costituzionalmente tutelati: incentivandosi l’effettivo e diligente esercizio della difesa d’ufficio, si prevede che lo Stato assuma il rischio dell’inadempimento nel pagamento degli onorari da parte dell’obbligato e con esso l’onere di ripeterli da questi dopo averli anticipati al difensore. Si tutela, al contempo, l’erario, con la previsione che tale assunzione di oneri da parte dello Stato avvenga solo dopo la dimostrazione del concreto tentativo da parte del difensore d’ufficio di recuperare il credito professionale dal soggetto obbligato: così si evita l’instaurarsi di prassi che determinino una palese violazione dei rigorosi criteri che debbono sovraintendere alla spesa pubblica.

La norma pone dunque una diretta correlazione tra la corresponsione del compenso da parte dello Stato ed il previo ed infruttuoso esperimento delle procedure per il recupero dei crediti professionali da parte del difensore di ufficio.

Il riferimento alle procedure per il recupero del credito significa ricorso agli strumenti per il recupero coattivo del credito: il difensore, pertanto, dovrà dimostrare, per poter attingere alle casse dello Stato, di aver proceduto a tentativi di pignoramento in tutte le forme previste dall’ordinamento (espropriazione mobiliare presso il debitore, espropriazione presso terzi, espropriazione immobiliare), a meno che non provi l’impossibilità di esperire alcuna di esse: debitore che non risulta – almeno nel luogo di residenza o di abituale attività o di dimora – proprietario di beni immobili; debitore che non ha una casa di abitazione; debitore che non risulta creditore di terzi, infruttuosità della vendita, insussistenza di attivo dichiarata dal curatore del fallimento dell’imputato imprenditore individuale, nel quale si sia insinuato il difensore ecc.

Il dato letterale dell’articolo 116 D.P.R. 115/2002 - laddove usa il termine di “procedure” al plurale e, il tenore del comma 1 dell’art. 32 disp. att. c.p.p., ove pone la regola dell’esenzione di tali “procedure” da “bolli, imposte e spese”, fa escludere che si sia voluto fare riferimento ad una mera intimazione o richiesta rimasta inevasa (ad es. lettera raccomandata o messa in mora). Anche sul piano sistematico non può che giungersi alla stessa conclusione, dal momento che “le procedure previste dalla legge per il recupero dei crediti professionali” non possono che essere, innanzitutto, procedure di accertamento del credito nella sua congrua entità in relazione all’attività professionale effettivamente svolta e procedure di accertamento dell’inadempienza dell’obbligato, presupposti perché si possa procedere alla liquidazione c.d. surrogatoria. In tal senso, del resto, lo stesso chiaro riferimento contenuto nell’articolo 369 bis c.p.p. in tema di informazione della persona sottoposta alle indagini sul diritto di difesa, laddove l’indicazione dell’obbligo di retribuire il difensore d’ufficio è legato all’avvertimento che, in caso di insolvenza, si procederà ad esecuzione forzata.

Per poter esperire le procedure di recupero, il difensore deve munirsi di titolo esecutivo. Questo sarà costituito dal provvedimento del giudice che liquida il compenso per l’attività svolta.

Con riferimento all’organo competente ad effettuare la liquidazione, l’articolo 116 del D.P.R. n. 115/2002 stabilisce che al difensore di ufficio è corrisposto il compenso nella misura e secondo le modalità previste dall’art. 82 stesso decreto, quando dimostri di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero.

Alcuni hanno ritenuto che il riferimento alla normativa sul gratuito patrocinio starebbe a significare che il legislatore ha inteso attribuire allo stesso giudice penale che sarebbe tenuto ad effettuare la liquidazione in via surrogatoria il potere-dovere di procedere preventivamente alla liquidazione del compenso al difensore di ufficio. Liquidato il compenso, il difensore esperirà le procedure di recupero del caso e poi – in caso di infruttosità – potrà accedere alle casse dell’Erario rivolgendosi direttamente a quello stesso giudice che gli ha fornito il titolo esecutivo.

L’alternativa sarebbe chiedere al difensore di farsi liquidare aliunde il credito professionale, mediante decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace o dal tribunale civile o mediante la procedura prevista dagli artt. 28 e 29 l. 13.6.1942 n. 794, con ricorso al dirigente dell’ufficio giudiziario adito per il processo ovvero mediante sentenza di condanna emessa a seguito di ordinario giudizio di cognizione; di tentare le procedure per il recupero e di farsi liquidare nuovamente in via surrogatoria il credito dal giudice penale. Ciò determinerebbe un inutile dispendio di attività giurisdizionale, si correrebbe il rischio di violare la norma che sembra attribuire in via esclusiva al giudice penale la competenza sulla liquidazione di un’attività svolta proprio nell’ambito del procedimento penale e, soprattutto, si avrebbero due titoli esecutivi per il medesimo fatto costitutivo del diritto di credito, di cui uno, quello ottenuto in via surrogatoria, vincolato a parametri massimi (non oltre i valori medi delle tariffe professionali) e l’altro senza vincoli, sicché essi potrebbero essere quantitativamente diversi.

Tale soluzione – che ha il pregio di evitare l’instaurarsi di molteplici procedure dinanzi all’autorità giudiziaria e di attribuire la liquidazione allo stesso giudice che ha seguito in tutto o in parte il procedimento o singole fasi di esso – non può, tuttavia, essere condivisa. Innanzitutto perché l’articolo 116 del D.P.R. in esame prevede espressamente che la corresponsione al difensore di ufficio del compenso stabilito secondo la misura e modalità previste dalla legge sul gratuito patrocinio possa avvenire solo allorquando costui dimostri “di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali”. Chiaro è dunque il riferimento temporale alla fase in cui potrà intervenire la liquidazione in via surrogatoria del giudice penale, essendo quindi preclusa qualsiasi forma di preventivo riconoscimento da parte di detto giudice rispetto ad un evento che è ancora incerto. Ciò del resto è conforme alla stessa ratio della norma: l’intervento surrogatorio dello Stato, che si realizza tramite la liquidazione del giudice penale, si giustifica solo in quanto il difensore di ufficio dia conto dell’insuccesso delle procedure volte al recupero del credito.

Un tale orientamento, inoltre, finirebbe per svilire lo stesso diritto del difensore ad esigere compiutamente il proprio credito professionale: anche ad ammettere una competenza esclusiva e preventiva del giudice penale a rilasciare il titolo esecutivo, la misura della liquidazione, dovendo essere stabilita “secondo le modalità previste dalle norme sul gratuito patrocinio” (in tal senso l’espresso richiamo che l’art. 116 del decreto fa alla misura e modalità di cui al precedente art. 82), sarebbe certamente inferiore a quella che il legale potrebbe ottenere in via monitoria o di cognizione. Il compenso dovrebbe essere, infatti, liquidato (previo parere del consiglio dell’ordine) senza superare i valori medi delle tariffe professionali (tenuto conto della natura dell’impegno professionale in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa) e con esclusione di alcune voci relative ad attività difensiva effettivamente spiegata (si pensi all’impugnazione coltivata dalla parte che venga dichiarata inammissibile, non liquidabile al difensore secondo le norme sul gratuito patrocinio ai sensi dell’art. 106 del D.P.R. n. 115/2002 e, al contrario, liquidabile secondo la tariffa professionale).

Ciò determinerebbe un’ingiusta compressione della misura del diritto di credito che il difensore potrebbe legittimamente vantare nei confronti dell’assistito che, il più delle volte, sarà in grado di far fronte al debito professionale o avrà beni su cui soddisfarsi in via coattiva. Una liquidazione ancorata ai parametri medi in tanto si giustifica in quanto sia destinata a gravare in via surrogatoria sullo Stato e non sul soggetto privato, conformemente alla disciplina generale relativa alla riscossione dei crediti professionali.

Ciò precisato, resta aperto il problema della possibile concorrenza dei titoli, l’uno costituito dal decreto ingiuntivo o dalla liquidazione ex lege n. 794/42 destinati ad assumere carattere di definitività, l’altro dalla liquidazione surrogatoria del giudice penale. Trattandosi quest’ultima di una liquidazione a carattere surrogatorio, destinata a venire meno allorché l’imputato debitore ritorni in bonis o si scoprano beni al medesimo riferibili, va escluso che il giudice penale possa privare di efficacia il primo titolo non eseguito. Qualora, infatti, il debitore risulti capiente, il diritto alla ripetizione delle somme dello Stato (da attuarsi con le forme di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e succ. mod.) potrà concorrere con la pretesa del difensore al pagamento del residuo. Ciò in quanto la misura della liquidazione dei titoli, seppur avente ad oggetto un presupposto comune costituito dalla prestazione professionale, si fonda, come si è visto, su parametri e per certi versi anche su presupposti diversi.

Certo è che il difensore, una volta ottenuta la liquidazione dallo Stato, non potrà non solo esigere dal proprio assistito altre somme, vigendo il divieto di cui all’articolo 13 della legge sul gratuito patrocinio (che vieta al difensore “liquidato” di percepire dal proprio assistito compensi a qualunque titolo), ma non potrà precedere lo Stato sino a quando questi non avrà ripetuto le somme erogate in via surrogatoria.

Tale ricostruzione – dagli esiti con ogni probabilità insoddisfacenti nell’ottica di incentivare una effettiva e qualificata difesa d’ufficio, per la defatigante procedura di recupero che ne consegue (che si è voluto escludere per i soli irreperibili in senso tecnico anche se abbienti) e altrettanto insoddisfacente per l’erario, costretto ad anticipare al difensore, ad esito, anche le spese e gli onorari della procedura di recupero prescelta - deve ritenersi, nel sistema e data la lettera della norma, l’unica possibile, in presenza del principio generale per cui il difensore d’ufficio di colui che non versa nelle condizioni per essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato deve essere retribuito dall’assistito e non dal pubblico denaro. Tale principio impedisce anche ogni ricostruzione della formula del 1° comma dell’articolo 116 del D.P.R. n. 115/2002 che porti a ritenere sufficiente la mera costituzione in mora del debitore tramite l’invio della parcella anche giudicata “congrua” dal consiglio dell’ordine, dal momento che avrebbe l’effetto di rendere generalizzato il mancato pagamento degli onorari da parte del difeso d’ufficio ed altrettanto generalizzata la regola che ad anticipare le spese, anche in ipotesi per un milionario, debba essere sempre e comunque lo Stato.

Individuato dunque il giudice competente ad emettere il titolo esecutivo e precisati i limiti dell’intervento del giudice penale che ha affrontato il merito del processo, riguardo  al caso in esame, relativo ad imputato che aveva eletto domicilio ai soli fini del procedimento, poi risultando sempre “sconosciuto da tutti”, deve innanzitutto escludersi che possa farsi ricorso, per la liquidazione al difensore, alla previsione di cui all’art. 117 del D.P.R. n. 115/2002 che disciplina il recupero del credito professionale dall’imputato irreperibile. 

La norma costituisce, nell’ambito del sistema sopra delineato, una disposizione a carattere eccezionale che deroga sia al principio generale secondo cui il difensore deve essere retribuito dal proprio assistito (sancito dall’articolo 31 disposizioni di attuazione c.p.p.) sia a quello secondo cui l’intervento surrogatorio dello Stato è condizionato al preventivo esperimento delle procedure volte al recupero del credito, per cui non ne appare consentita un’estensione analogica. Si tratta di una disposizione di favore che si giustifica con una presunzione di obiettiva impossibilità per il difensore di esigere il pagamento dei propri compensi da parte del cliente, presunzione necessariamente legata ad un provvedimento emesso da una pubblica autorità a seguito di una procedura legislativamente stabilita.

La natura eccezionale della disposizione, il chiaro riferimento alla dichiarata condizione di irreperibile e le conseguenze a carico dell’erario, suggeriscono di legarne l’applicazione ai soli casi in cui la richiesta retributiva riguardi prestazioni professionali rese nei confronti di indagato/imputato dichiarato formalmente irreperibile (ai sensi dell’art. 159 c.p.p.).

Tale conclusione esclude anche che possa estendersi la disciplina a colui che è stato dichiarato latitante, fondandosi detto status su presupposti completamente diversi (è latitante colui che si sottrae volontariamente all'esecuzione di un'ordinanza con cui si dispone una misura custodiale o di un ordine di carcerazione; è irreperibile colui che non si trova ai fini delle notifiche): non sempre poi la condizione di latitante preclude un contatto con il difensore che potrebbe già avere ottenuto una anticipazione o il pagamento degli onorari; non esclude poi che il legale possa esigere il proprio credito e soddisfarsi in via coattiva (si pensi al caso di colui che si rifugia all’estero in un Paese che non consente l’estradizione a fini penali ma che permette la notificazione di atti civili volti alla riscossione di crediti professionali). 

Esclusa quindi l’applicabilità dell’art. 117 del D.P.R. n. 115/2002, avendo l’imputato eletto ritualmente domicilio nel corso delle indagini preliminari, la questione investe quindi il recupero dei crediti professionali nei confronti di soggetti che non potendo essere considerati formalmente irreperibili (perché ad es. hanno eletto domicilio presso il difensore o presso terzi) e rispetto ai quali non è stato possibile un'ammissione preventiva al gratuito patrocinio, lo sono "di fatto", con conseguente impossibilità per il difensore di ufficio non solo di esperire nei loro confronti le procedure esecutive ma anche di avanzare la pretesa creditoria.

Escluso, per le ragioni in precedenza esposte, che il difensore, in detti casi, possa essere retribuito direttamente con il rito degli irreperibili e che il giudice sia tenuto ad emettere un decreto di irreperibilità svolgendo gli accertamenti di rito (si tratterebbe di un provvedimento abnorme in quanto emesso al di fuori della sede propria e per finalità differenti da quelle previste dal sistema processuale), il legale, per poter ottenere l’intervento surrogatorio dello Stato, dovrà necessariamente fornire al giudice una prova dell’obbiettiva impossibilità di esperire utilmente le procedure per il recupero del credito professionale.

Sarà necessariamente la giurisprudenza a tipizzare maggiormente le forme da cui desumersi l'irrecuperabilità del credito, dandosi rilievo a tutta quella documentazione - costituita anche da quanto accertato nel corso del procedimento penale - attestante l'obiettiva impossibilità (e non difficoltà) per il legale di ricorrere, anche preventivamente, alle procedure coattive per il recupero dei beni, il cui esito negativo è ragionevole presumersi. Del resto, ammettere alla liquidazione in via surrogatoria soltanto quei difensori di ufficio che, per la qualità dell'indagato/imputato debitore (ad es. cittadino italiano residente con domicilio certo), hanno la concreta possibilità di esperire le procedure, significherebbe creare una disparità di trattamento nei confronti di quelli che, pur avendo svolto la stessa attività professionale (e dunque vantando le stesse ragioni creditorie), non si trovano, a causa di condizioni particolari del proprio assistito (che gli hanno anche precluso di inoltrare domanda di ammissione al gratuito patrocinio), nella possibilità di iniziare una procedura esecutiva.

Competerà dunque in primis al difensore dimostrare al giudice, con adeguata documentazione integrativa a quella eventualmente già risultante agli atti del processo, che non sussistono le condizioni per farsi luogo al recupero del credito professionale mediante le procedure coattive di recupero previste dall’ordinamento. A tale riguardo, non potrà ritenersi sufficiente l’acclarata impossibilità di reperire al domicilio eletto o dichiarato l’imputato, dovendosi, invece, accertare se il soggetto è presente sul territorio nazionale (ad esempio mediante ricerche anagrafiche o al C.E.D. dell’amministrazione penitenziaria o tramite consolato) e se possieda o meno verosimilmente beni suscettibili di essere aggrediti con l’esecuzione forzata.

Ebbene, nel caso in esame, il difensore ha documentato, mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, di avere innanzitutto inoltrato senza esito, al domicilio eletto dall’imputato al momento della convalida dell’arresto, la richiesta di pagamento degli onorari; di avere richiesto ed ottenuto dal Giudice di Pace ingiunzione di pagamento nei confronti dell’imputato, poi notificata al domicilio dello Z. ove questi è risultato sconosciuto anche riguardo alla residenza e domicilio; di avere ottenuto certificato anagrafico rilasciato dal comune di Roma attestante l’assenza di residenza dell’imputato nella Capitale. A ciò deve aggiungersi che, al momento dell’arresto dell’imputato, questo risultava, sulla base degli atti di p.g., clandestino, senza fissa dimora e senza beni patrimoniali leciti. Con la conseguenza che ogni tentativo di rintracciare l’imputato e di riscuotere il credito sarebbe ragionevolmente infruttuoso e comporterebbe un ulteriore ingiustificato aggravio di spese per la procedura.

Quanto, infine, alla legittimazione del legale ad esigere il pagamento degli onorari, come si è osservato in precedenza, l’articolo 31 delle disposizioni di attuazione al codice di rito prevede che “l’attività del difensore di ufficio è in ogni caso retribuita”. Si pone il problema di stabilire se titolare del diritto ad esigere il credito professionale (con possibilità di richiedere la liquidazione surrogatoria qualora ricorrano i presupposti di legge) sia soltanto il difensore di ufficio originariamente nominato per il procedimento ai sensi dell’articolo 97 comma I° c.p.p. ovvero anche quello nominato come sostituto ai sensi dell’articolo 97 comma IV° c.p.p., in relazione all’attività concretamente svolta.

Alcuni, infatti, hanno sostenuto che il difensore nominato ex articolo 97 comma IV° non sarebbe un vero e proprio difensore di ufficio, ma soltanto un sostituto nominato in modo estemporaneo per il compimento di un singolo atto.

A conferma di ciò il fatto che l’incarico defensionale resta sempre affidato allo stesso soggetto anche se non sia stato reperito o non sia comparso: la difesa d’ufficio si caratterizza per l'immutabilità del difensore fino all'eventuale dispensa dell'incarico o all'avvenuta nomina fiduciaria. Tale requisito caratterizza esclusivamente il difensore nominato ai sensi dell’articolo 97 commi 1 e 2 c.p.p. Qualora occorra sostituire il difensore, sia esso di fiducia o di ufficio, in situazioni indicate nell'articolo 97 comma quarto cod. proc. pen. (che, di per se', non comportano la dispensa dell'uno o la revoca per l'altro), il titolare dell'ufficio di difesa rimane sempre l'originario difensore designato, il quale, cessata la situazione che alla sostituzione ha dato causa, può riprendere il suo ruolo (confermerebbero tale orientamento quelle pronunzie giurisprudenziali che non riconoscono al sostituto un autonomo potere di impugnazione e il diritto di vedersi concedere il termine a difesa: cfr. Sez. IV, 14.9.2000, n. 3983, P.M. in proc. Ben Ateur, in C.E.D. Cass., n. 217260; Sez. II, 12.5.1999, n. 6015, Lopez, in C.E.D. Cass., n. 213381).

Avvalorerebbe altresì tale opinione anche il riferimento testuale contenuto nell’articolo 97 comma IV° c.p.p., che distingue tra difensore di fiducia, di ufficio e sostituto; inoltre, il fatto che sostituto potrebbe, in alcuni casi, anche essere nominato un difensore non iscritto all’elenco dei difensori di ufficio. Consentire a quest’ultimo di esigere i propri compensi in via surrogatoria (ad es. per avere difeso in un’udienza un imputato irreperibile) comporterebbe una violazione del principio di ragionevolezza, posto che costui sarebbe legittimato alla liquidazione soltanto nel caso in cui abbia sostituito un difensore di ufficio e non, invece, quello di fiducia, giacché il difensore che sia chiamato a sostituire ex articolo 97 comma IV° un difensore di fiducia non è suscettibile di retribuzione. Osterebbe, infine, anche l’espresso richiamo che l’articolo 32 delle disposizioni di attuazione al codice di rito opera, in tema di liquidazione surrogatoria, alle forme e modalità previste dalla legge sul gratuito patrocinio: l’articolo 8 indica quale titolare del diritto alla retribuzione il difensore d’ufficio nominato 97 comma 1 c.p.p. e l’articolo 9, nel precludere all’indagato/imputato la nomina di più difensori, esclude che possano essere liquidati, per l’attività svolta nel medesimo procedimento, più difensori (come avverrebbe nel caso di imputato irreperibile difeso per un’udienza dal difensore di ufficio originariamente nominato e per un’altra da quello reperito come sostituto ex articolo 97 comma IV° c.p.p.). Il sostituto dovrebbe quindi pretendere dal difensore d’ufficio il compenso per l’attività svolta; quest’ultimo poi dovrebbe esigerla, unitamente al proprio credito maturato, dall’assistito; alla liquidazione surrogatoria sarebbe ammesso soltanto il difensore di ufficio 97 comma 1 c.p.p., legittimato anche a pretendere i compensi corrisposti al sostituto (fornendo prova dell’avvenuto pagamento).

Al di là della complessità della procedura sopra delineata, molteplici sono le considerazioni che consentono, al contrario, di ritenere estensibile anche al difensore nominato ex art. 97 comma IV° c.p.p., la disciplina sul recupero dei compensi professionali.

Innanzitutto va osservato che titolare del diritto alla retribuzione per l’attività professionale svolta è, ai sensi dell’articolo 31 disposizioni di attuazione al codice di rito, il difensore di ufficio. Tale figura va individuata facendo riferimento all’articolo 97 del codice di procedura penale, la cui rubrica “difensore d’ufficio” comprende sia quello nominato per l’intero procedimento sia quello per un singolo atto. Entrambi poi sono formalmente officiati a seguito di un provvedimento del giudice o del pubblico ministero ed hanno l’obbligo di prestare il patrocinio; sono soggetti all’osservanza delle medesime regole deontologiche, subendo, in eguale misura, sanzioni disciplinari e, a volte, possono coincidere nella persona fisica.

Quanto poi alla distinzione che lo stesso IV° comma dell’articolo 97 c.p.p. opererebbe tra difensore di fiducia, di ufficio e sostituto (così avvalorando l’orientamento in precedenza segnalato), va osservato che la norma parla di “difensore di ufficio nominato ai sensi dei commi 2 e 3” (ossia per l’intero procedimento penale). Tale precisazione sta a significare che i difensori di ufficio comprendono tanto quelli officiati per l’intero procedimento quanto quelli per il singolo atto (“difensore di ufficio nominato a norma del comma 4), altrimenti inutile sarebbe stato il richiamo al difensore di ufficio nominato a norma dei commi 2 e 3 (sarebbe stato sufficiente riferirsi al solo “difensore di ufficio”).

Contrario ai principi di formazione del diritto di credito sarebbe poi riconoscerne la titolarità a chi non ha svolto la prestazione d’opera che ne costituisce il fatto costitutivo. Nel caso di sostituto di difensore d’ufficio difetta anche quel rapporto fiduciario con il titolare della difesa che è pieno invece nel caso di sostituto di legale di fiducia. Di tale obiezione si rendono conto i sostenitori dell’opinione contraria, precisando che il difensore d’ufficio 97 comma 1 c.p.p., allorché agisce in via surrogatoria o nei confronti del cliente esigendo il compenso per l’attività svolta dal sostituto, lo fa a seguito del pagamento della parcella a quest’ultimo. Tuttavia, se si conviene che anche il sostituto ex articolo 97 comma IV° è un difensore di ufficio (in tal senso anche la legge professionale e le deliberazioni organizzative e disciplinari della camera penale), diventa insuperabile il chiaro riferimento che l’articolo 31 delle disposizioni di attuazione fa a tale figura come titolare del diritto alla retribuzione. Ciò che consente di esigere il compenso professionale non è tanto l’avvenuta designazione ma l’attività svolta (non a caso l’articolo 31 lega il diritto alla retribuzione “all’attività”). E’ frequente, infatti, che il difensore d’ufficio originariamente nominato non abbia svolto alcuna attività nel corso delle indagini preliminari e non si presenti all’udienza, venendo sostituito da altro difensore nominato 97 comma IV° che partecipa alla definizione del processo. In tal caso, l’attività svolta che, ai sensi dell’articolo 31 da diritto alla retribuzione, è unicamente quella del sostituto, unico legittimato dunque ad esigere il compenso dall’assistito (beninteso, esclusivamente per l’attività professionale da costui effettivamente svolta).

Non decisiva, poi, appare l’obiezione legata al richiamo che l’articolo 32 delle disposizioni di attuazione fa, in tema di liquidazione surrogatoria, alla misura e alle modalità previste dalla legge sul gratuito patrocino, dovendosi intendere il riferimento effettuato ai criteri di liquidazione del compenso e alla necessità del preventivo parere del consiglio dell’ordine.

Un’interpretazione che limitasse la legittimazione al recupero dei crediti professionali al solo difensore di ufficio nominato ai sensi dell’articolo 97 commi 1 e 2 c.p.p., finirebbe per svolgere un effetto negativo sulla compiuta realizzazione della difesa di ufficio che la legge n. 60 del 2001 intendeva attuare, mortificando l’attività svolta da chi – finalmente sottoposto ad un minium di verifica della propria competenza professionale e deontologica – spesso finisce per costituire il vero strumento di difesa dell’indagato/imputato.

Avendo comunque avanzato, nel caso di specie, l’istanza di liquidazione il difensore nominato di turno iscritto all’elenco ex art. 97 comma 1 c.p.p., va riconosciuto il diritto applicandosi, quanto alla misura, i criteri di cui alla recente giurisprudenza della Suprema Corte (Sez. III, 29.11.2001 - 25.1.2002, n. 2949 Proc. Rep. Trib. Catania in proc. Barbagallo), secondo cui per la partecipazione del difensore a udienze camerali o dibattimentali di discussione devono liquidarsi i compensi previsti dal numero 5 della tabella allegata alla tariffa penale approvata con DM 5.10.1994, n. 585, con la precisazione che l’onorario va corrisposto per ogni udienza di discussione anche per quelle in cui la trattazione è svolta dal p.m. o da difensori diversi; per la partecipazione alle udienze ove venga svolta solo attività istruttoria devono liquidarsi i compensi di cui al precedente n. 4 della tabella che riguarda tutte le attività difensive che si svolgono nella fase pre-processuale nonché tutte le attività istruttorie che si svolgono nella fase propriamente processuale; per le udienze di mero rinvio, invece, l’attività defensionale va retribuita soltanto ai sensi del n. 2 della tabella che prevede i compensi per esame e studio prima della partecipazione a ogni udienza in camera di consiglio o dibattimentale.

Ciò precisato, quanto alle voci di liquidazione indicate va esclusa quella relativa all’esame e studio ordinanza di convalida di arresto poiché attività assorbita dalla partecipazione e discussione all’udienza camerale;  non può poi liquidarsi ai sensi del n. 6 del D.M. Giustizia n. 585/94 la richiesta per il rilascio di copia della sentenza, riferendosi il termine richiesta di cui al n. 6 a quelle inoltrate al P.M. o al Giudice e attinenti a questioni del procedimento o del processo; l’esame e studio in occasione della prima sessione comprende anche quello del P.M. trattandosi di convalida di arresto e la citazione per l’udienza di convalida.

[segue prospetto di liquidazione - omississ]

P.Q.M.

Visti gli artt. 116 e 82 D.P.R. 30.5.2002, n. 115

liquida all’avv. V. B. per diritti e onorari relativi all’attività professionale svolta nell’ambito del procedimento nei confronti di Z. E. M. complessive euro XXXXX oltre 10% rimborso forfettario, IVA e CAP di legge.

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni alle parti e al P.M.

Roma, lì 19 luglio 2002

Il Giudice

dott. Giovanni Ariolli

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