Tribunale di Roma, Sezione VI Penale, in composizione monocratica,
Ordinanza 7 ottobre 2001

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
VI SEZIONE PENALE

Il giudice, dr.ssa Aurora Cantillo,

letti gli atti del proc. pen. n. 11450/00 R.G. Dib. e n. 54583/98 R.G. PM a carico di T.  J., imputato dei seguenti reati:

a)      artt. 110, 81, 648, 61 n. 7 c.p.;

b)      artt. 110, 81 c.p. 48, 68 e 59 l. n. 1089/39;

c)       artt. 81, 110, 483 c.p. 35, 36 e 66 l. n. 1089/39;

ritenuto che all’udienza del 15 ottobre 2001 il PM ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 12 e 13 legge 5 ottobre 2001, n. 367,per contrasto con gli artt. 3, 10, 24, 111 e 112 Cost., in quanto vietano l’acquisizione mediante rogatoria di documenti in copia con nota ufficiale di trasmissione da parte dello Stato richiesto, ma senza specifica attestazione di conformità apposta su ciascuno dei documenti trasmessi;

sentito il difensore dell’imputato, che, pur non contestando la non manifesta infondatezza della questione, ne ha sostenuto l’irrilevanza nell’ambito del presente procedimento;

ritenuto, quanto alla rilevanza, che l’ipotesi accusatoria si fonda, tra l’altro, su atti di perquisizione compiuti all’estero, con conseguente sequestro di reperti archeologici che si assumono oggetto di scavi clandestini eseguiti in Italia, nonché su documenti pervenuti in copia dalla Germania in esecuzione di rogatorie internazionali (vedi richiesta del PM, p. 214 fasc. dib., e risposta del Procuratore Capo di Colonia, p. 91), e che tali atti, non certificati autentici, sono stati già dichiarati utilizzabili all’udienza del 9 maggio 2000 ed inseriti nel fascicolo per il dibattimento;

ritenuto che la questione non è manifestamente infondata con riferimento alla violazione dell’art. 10, comma 1, e 111, comma 1, Cost., per le considerazioni che seguono;

osserva

1 - quanto al primo profilo, che l’art. 3, comma 3, della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale (Convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959) – secondo cui lo Stato destinatario della rogatoria è tenuto a trasmettere “semplici copie o fotocopie dei fascicoli o documenti richiesti munite di certificazioni di conformità” (e gli originali, se richiesto, solo se ciò sia possibile) – nel corso degli anni  è stato interpretato in modo difforme dall’enunciato testuale, giacché, sia per l’affermarsi  di nuovi mezzi di trasmissione sempre più affidabili e veloci e sia per la trasformazione della criminalità, che si è evoluta tecnologicamente e ramificata a livello internazionale, i Paesi aderenti alla Convenzione hanno dovuto aggiornare gli strumenti di cui disponevano all’epoca della stessa, adottandone altri che assicurano veloci e riservati scambi di informazioni (si pensi alle e-mail e ai fax); e sono stati indotti, quindi, a disattendere talune formalità previste dall’art. 3 cit., che ha pertanto subito, attraverso il costante comportamento consapevolmente osservato nell’esecuzione delle rogatorie, un’evoluzione interpretativa in tali sensi. In particolare, con specifico riferimento all’acquisizione e alla trasmissione di documenti, si è instaurata fra gli Stati firmatari una prassi in base alla quale l’obbligo di cooperazione sancito dalla disposizione, secondo un principio così generalmente ricevuto viene ormai ritenuto adempiuto mediante l’invio degli atti con una formale  nota di trasmissione da parte dell’Autorità giudiziaria remittente, la quale ha per consuetudine sostituito l’attestato di conformità dei singoli atti.

2  - Passando a considerare le disposizioni della legge n. 367/01, osserva che l’art. 9, modificando solo su questo punto l’originaria formulazione dell’art. 696, comma 1, c.p.p., enuncia esplicitamente la Convenzione di Strasburgo tra le fonti di diritto internazionale che disciplinano gli atti di cooperazione internazionale, tra i quali rientrano le rogatorie, ed impone, quindi, l’osservanza anche dell’art. 3, comma 3, in conformità al suo enunciato testuale; questo precetto è specificamente reiterato nel successivo art. 13 l. n. 367/01, che introduce, per qualsiasi “violazione delle norme di cui all’art. 696, comma 1, riguardanti  l’acquisizione o la trasmissione  di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria all’estero”, la grave sanzione dell’inutilizzabilità, la quale è assoluta, in quanto rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, e sanabile solo mediante rinnovazione  dell’atto, (laddove possibile), stabilendo la norma che non si può tener conto delle dichiarazioni, da chiunque rese, che riguardino il contenuto degli atti considerati inutilizzabili  (vedi art. 729, comma 1 ter c.p.p., così come modificato dall’art. 13 l. n. 367/01); infine, l’art. 18 estende la sanzione dell’inutilizzabilità anche ai procedimenti in corso, e non solo a quelli che si trovano nella fase delle indagini preliminari, bensì – se eccepita da una delle parti alla prima udienza successiva all’entrata in vigore della legge – anche alle ipotesi in cui gli atti inutilizzabili siano già stati legittimamente acquisiti al fascicolo per il dibattimento, e in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di Cassazione.

3 - Sembra evidente che questo sistema, ripristinando, per giunta retroattivamente, un’interpretazione restrittiva dell’art. 3 cit. superata da quella consuetudinaria, si ponga in contrasto con l’art. 10, comma 1, Cost., che sancisce il fondamentale principio secondo cui l’ordinamento giuridico italiano deve conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

Non è dubbio che tra queste ultime debbano comprendersi le consuetudini internazionali, che si formano in presenza di un comportamento costante ed uniforme tenuto dagli Stati, accompagnato dalla convinzione dell’obbligatorietà del comportamento stesso (diuturnitas e opinio iuris sive necessitatis) ed assurgono al rango di norme giuridiche sovraordinate, nella gerarchia delle fonti, alle disposizioni contenute in leggi ordinarie dei singoli Stati. Allorché il diritto non scritto - che può formarsi a modifica o abrogazione delle regole poste da un determinato trattato - si trasforma in consuetudine internazionale, perché quel comportamento, con le caratteristiche ora dette, si è diffuso tra gli Stati che aderiscono al Trattato, si dà vita ad una prassi modificatrice delle norme a suo tempo pattuite che si sostituisce ad esse, ancorché queste restino formalmente vigenti.

In relazione all’attuazione della norma contenuta nell’art. 3, comma 3, della Convenzione di Strasburgo si deve prendere atto – giova ribadirlo – che  nella prassi consolidata di tutti gli Stati che aderiscono alla convenzione, sovente le domande di rogatoria vengono inviate via fax; gli atti conseguenti all’esecuzione, quando non sono formati dall’Autorità che ha eseguito la rogatoria, vengono sempre restituiti in fotocopia senza autentificazione e con la sola attestazione da parte dell’Autorità richiesta, contenuta nella nota di accompagnamento, che la rogatoria viene restituita “evasa” (così garantendosi la corrispondenza del materiale trasmesso alla domanda rogatoriale); e che frequentemente copia degli atti viene  consegnata alle persone autorizzate ad assistere o partecipare alla rogatoria all’estero.

In definitiva, ormai gli Stati firmatari uniformante e costantemente ritengono sufficiente l’atto formale di trasmissione per conferire agli atti e documenti inviati il crisma dell’autenticità, e di conseguenza li hanno ritenuti pienamente utilizzabili anche se non muniti dei singoli attestati di conformità.

Questi principi consolidati sono stati altresì implicitamente recepiti da tutti i più recenti trattati internazionali, tra i quali la Convenzione sul riciclaggio del 1990 e la c.d. Joint Action del 29 giugno 1998, che non a caso,  sotto il profilo che qui si considera, omettono qualsiasi indicazione in ordine a specifiche modalità certificative, non precisando neppure se gli atti richiesti debbano essere restituiti in originale o in copia. E non va dimenticato che una delle funzioni che si riconoscono agli accordi internazionali è costituita dall’eliminazione della “legalizzazione di atti e documenti”, nel senso che gli Stati contraenti riconoscono reciprocamente la regolarità della provenienza di un atto o documento, senza pretendere “formalità di legalizzazione”.

In definitiva, qundi, l’art. 13 della legge in esame, sancendo l’inutilizzabilità assoluta degli atti acquisiti o trasmessi in violazione dell’art. 696, comma 1, c.p.p., si pone in netto contrasto con la anzidetta consuetudine internazionale invalsa nell’applicazione del citato art. 3 ed altresì  con le convenzioni internazionali successive alla Convenzione del 1959, sicché indirettamente viola l’art. 10 Cost.

4  - Quanto al secondo profilo di illegittimità, il contrasto con l’art. 111, comma 1, Cost. coinvolge gli artt. 12 e 13 della l. n. 367/01 e si configura con riferimento  sia al principio del contraddittorio in condizioni di parità tra le parti e sia a quello della ragionevole durata del processo.

Sotto il primo aspetto, appare evidente la disparità che si determina tra i poteri riconosciuti alla difesa, che può senza formalità introdurre in giudizio atti e documenti, ed i poteri del PM, che per acquisire prove e documenti formati all’estero deve necessariamente avvalersi degli strumenti previsti dalla legge per la collaborazione giudiziaria tra Stati.

L’art. 237 c.p.p. dispone che “è consentita l’acquisizione, anche di ufficio di qualsiasi documento proveniente dall’imputato, anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto”, ancorché privi di autentica o non certificati conformi; e ciò comporta che gli atti per i quali opera l’art. 13 cit., mentre sono pienamente utilizzabili se prodotti direttamente dall’imputato, non lo sono se acquisiti per rogatoria dal P.M. senza le certificazioni in questione. Il regime delle inutilizzabilità introdotto dalla nuova normativa rende, cioè, notevolmente più gravosa, rispetto a quella dell’imputato, la posizione del P.M. e finisce così per ostacolare l’esercizio della giurisdizione, fino a compromettere, in alcuni casi, la possibilità stessa dell’accertamento giudiziale.

Le medesime ragioni concernenti la violazione del principio paritario alimentano il dubbio di incostituzionalità anche dell’art. 12 l. n. 367/01, laddove stabilisce, modificando l’art. 727 c.p.p., che “quando, a norma di accordi internazionali, la domanda di assistenza giudiziaria può essere eseguita secondo modalità previste dall’ordinamento dello Stato, l’autorità giudiziaria, nel formulare la domanda di assistenza, ne specifica le modalità indicando gli elementi necessari per l’utilizzazione processuale degli atti richiesti”. Poiché anche per la violazione di questa norma l’art. 13 prevede la sanzione dell’inutilizzabilità (art. 729, comma 1, bis c.p.p.) si ricava la regola per cui le più onerose modalità di acquisizione vanno osservate dal P.M. tutte le volte che esista un trattato che lo consenta, dovendosi in tal caso procedere secondo le norme del diritto italiano, in deroga dalla stessa Convenzione di Strasburgo (art. 3, comma 1,); e ciò accresce il vulnus che si denuncia, posto che qualsiasi violazione formale può cagionare l’inutilizzabilità dell’atto assunto in rogatoria.

Anche  questo aspetto assume puntuale rilievo nel processo contro il T., giacché la Germania, in data 1° gennaio 1999, ha aderito alla già citata Convenzione sul riciclaggio (che non si applica alle sole fattispecie di riciclaggio, ma in generale a tutti i delitti), il cui art. 9 stabilisce che l’assistenza viene prestata nei modi consentiti dalla legge interna della parte richiesta e, “nella misura non con essa incompatibile, secondo le procedure specificate nella richiesta”.

5 - I rilievi svolti in ordine all’esasperato rigore formale della nuova disciplina, che non appare sorretto da apprezzabili esigenze sostanziali della tutela giurisdizionale, rendono attendibile anche il dubbio di incostituzionalità concernente la violazione del principio di ragionevole durata del processo, sancito dallo stesso art. 111 Cost., enunciato, fra l’altro, da vari organismi internazionali (si pensi alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata il 14/11/00, che all’art. 47 espressamente pone, tra i fondamentali diritti dell’individuo, il diritto ad essere giudicato in tempi ragionevoli) e da ultimo posto a fondamento della legge 24 marzo 2001, n. 89. Infatti, il sistema introdotto con la disciplina in esame, in considerazione delle molteplici formalità richieste e delle severe conseguenze connesse alla loro inosservanza, determina inevitabilmente un ulteriore allungamento dei tempi occorrenti per l’esecuzione delle rogatorie, non giustificato da alcuna esigenza connessa alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti.

Il contrasto con il principio di ragionevole durata del processo maggiormente si apprezza con riferimento all’art. 18, che, come si è premesso, in deroga al principio tempus regit actum, ha esteso l’applicabilità delle nuove norme ai processi in corso, ciò che comporterà la regressione di molti processi per ogni minima irregolarità formale, dilatando a dismisura i tempi dell’accertamento giudiziale, ed impedendo di fatto di affrontare la questione fondamentale sulla colpevolezza, o meno, dell’imputato.

Al riguardo, è ben vero che il principio di non retroattività è costituzionalmente garantito solo per le leggi penali, ex art. 25, comma 2, Cost., ma, secondo il consolidato insegnamento della Corte Costituzionale, la retroattività di una norma è legittimamente sancita in quanto sia conforme a criteri di ragionevolezza e nella misura in cui non collida con altro principio costituzionale, qual’è, appunto, quello che ora si considera.

In conclusione, il  sistema delineato dal combinato disposto degli artt. 12, 13 e 18 n. 367/01 viola i principi costituzionali innanzi richiamati e non sembra superare, comunque, il controllo di conformità al canone generale di ragionevolezza, nella specie particolarmente stringente anche perché la nuova disciplina incide direttamente sulla certezza dei rapporti pregressi.

P.Q.M.

Visti gli artt. 134 Cost. e 23 l. n. 87/53;

DICHIARA

rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 727, comma 5 bis e 729 c.p.p., così come modificati dagli artt. 12 e 13 legge 5 ottobre 2001, n. 367, e dell’art. 18 della medesima legge, per violazione degli artt. 10 e 111 della Costituzione nei termini esposti in motivazione.

Sospende il presente procedimento ed ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e per la comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Roma, 7 novembre 2001

IL GIUDICE
dott.ssa Aurora Cantillo

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