Giudice
dell'Udienza Preliminare presso il Tribunale della Spezia,
Sentenza 9 ottobre - 7 novembre 2001
TRIBUNALE
DELLA SPEZIA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
(Art. 442 c.p.p.)
Il Giudice
dell'Udienza Preliminare Dott. Alessandro RANALDI all'udienza del 9.10.2001
ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
S E N T E N Z A
Nei
confronti di:
L. S., n. a_________ il ____________ residente in ___________, libero presente,
rappresentato e difeso dagli Avv.ti Marco Argenziano e Gaspare Corniola di fiducia,
entrambi presenti.
Parte offesa: Sindaco pro tempore del Comune di _______, presente;
Parte Civile : Z. G., difeso dall'avv. Alessandro Civitillo, di fiducia, presente
I M P U T A T O
dei
reati di cui:
a) art. 328 co. 2 c.p. perché, quale pubblico ufficiale e cioè
funzionario preposto all'Ufficio Tecnico - Servizio Edilizia Privata del Comune
di _______, avendo ricevuto in data 17.1.99 richiesta scritta (inoltrata a
mezzo racc. A.R.) dell'avv. F. M., nell'interesse del suo cliente
sig. Z. G., affinchè fosse data esecuzione di ufficio ad ordinanza
di demolizione in data 31.5.93 del Comune di _______ inerente a manufatti vari
realizzati da C. G. in assenza di concessione edilizia (per cui venuti
meno gli effetti della sospensiva disposta dal TAR Liguria con ordinanza 31.8.93
n. 545, a seguito sentenza TAR Liguria 11.12.98 n. 555, dichiarativa dell'estinzione
del giudizio), entro il termine di gg. 30 dalla ricezione di tale richiesta,
e così entro il 16.2.99, non compiva l'atto del suo ufficio oggetto della
richiesta in questione né rispondeva per esporre le ragioni del ritardo.
Accertato in _______ il 17.2.99.
b) art. 328 co. 2 c.p. perché, quale pubblico ufficiale e cioè
funzionario preposto all'Ufficio Tecnico - Servizio Edilizia Privata del Comune
di _______, avendo ricevuto in data 26.7.99 richiesta scritta (inoltrata a
mezzo racc. A.R.) dell'avv. F. M., nell'interesse del suo cliente
sig. Z. G., affinchè fosse data esecuzione di ufficio all'ordinanza
di demolizione di cui al precedente capo a), come già sollecitato con
precedente richiesta scritta del gennaio 1999 dello stesso avv. F. M.,
o comunque a rispondere a parte istante per esporre le ragioni del ritardo,
entro il termine di gg. 30 dalla ricezione della nuova richiesta, e così
entro il 25.8.99, non compiva l'atto del suo ufficio oggetto della richiesta
in questione né rispondeva per esporre le ragioni del ritardo.
Accertato in _______ il 26.7.99
Con la
partecipazione del P.M. Dott.ssa Lottini e dei difensori come sopra indicati.
La parti hanno così concluso:
Il P.M. chiede che l'imputato sia condannato alla pena di mesi quattro di reclusione,
tenuto conto della diminuente del rito.
La parte civile chiede la condanna dell'imputato e il risarcimento come da conclusioni
depositate.
I difensori dell'imputato chiedono sentenza di assoluzione perché il
fatto non sussiste, in subordine perché il fatto non costituisce reato.
MOTIVAZIONE
Svolgimento
del processo - Il PM in sede chiedeva il rinvio a giudizio di S. L. per
rispondere dei reati menzionati in rubrica.
All'udienza preliminare, in cui si costituiva parte civile la persona offesa
Z. G., la difesa chiedeva preliminarmente l'interrogatorio dell'imputato.
All'esito dell'interrogatorio, l'imputato chiedeva il giudizio abbreviato, subordinando
la richiesta all'integrazione probatoria costituita dall'esame testimoniale
di C. G. (Sindaco del Comune di _______) e dell'avvocato F.
M. sui fatti oggetto di imputazione.
Il Giudice, ritenuta l'integrazione probatoria necessaria ed utile ai fini della
decisione, disponeva il giudizio abbreviato.
Sentiti i testi, le parti concludevano come in epigrafe indicato.
Fatto
- Dagli atti presenti nel fascicolo e dalle acquisizioni dichiarative assunte
nel corso dell'udienza (interrogatorio dell'imputato ed esame dei due testi
sopra indicati), il fatto può essere così sinteticamente ricostruito.
Nel 1990 e nel 1993 il Comune di _______ aveva emesso due ordinanze di demolizione
di n. 5 fabbricati abusivi costruiti da tale C. G., asseritamente
sulla proprietà dello Z.. La procedura amministrativa era poi stata
sospesa a seguito di ricorso al TAR del C..
Il 29/10/1998 il TAR sentenzia l'estinzione del giudizio di sospensiva, rendendo
così (in teoria) nuovamente eseguibile l'ingiunzione di demolizione.
Con lettera raccomandata datata 14/1/1999, l'avvocato F. M. del foro
di Genova, in nome e per conto del signor Z., invita il Sindaco e il Dirigente
dell'Ufficio Tecnico del Comune di _______ (l'odierno imputato) a "dare
esecuzione di ufficio senza ritardo, come è vostro preciso dovere (...)
all'ordine di demolizione impartito".
Ricevuta tale comunicazione, il L. si consulta con il Sindaco (G. C.),
ed insieme giungono alla conclusione che non è prossibile dare seguito
alla richiesta, visto che sulla pratica pende un'istanza di condono edilizio.
Il L. quindi, qualche giorno dopo, telefona direttamente all'avvocato M.
(con studio a Genova), in presenza del Sindaco (il quale ha confermato la circostanza),
facendogli presente la situazione e l'impossibilità di procedere all'esecuzione
dell'ordine di demolizione (l'avvocato M. non ha ricordato la circostanza,
ma neanche l'ha esclusa).
Con ulteriore raccomandata datata 23/7/1999, l'avvocato M., sempre per conto
dello Z., reitera la sua richiesta, facendo presente che la prima raccomandata
di gennaio è rimasta senza risposta e rinnovando, "anche ai sensi
dell'art. 328 c.p., l'invito a dare esecuzione al provvedimento in oggetto (l'ordine
di demolizione) o quanto meno a comunicare le ragioni del rifiuto e del ritardo".
Il L. rimane sorpreso da questa seconda lettera, e questa volta lui e il Sindaco
decidono di recarsi personalmente a Genova per chiarire di persona la questione
con il legale.
In effetti i primi giorni di agosto dello stesso anno il L. ed il G.
si recano nello studio legale del M., ove opera anche l'avvocato G., il
quale fra l'altro ha rapporti professionali con il Comune di _______. Il M.
viene invitato dallo stesso G. a recarsi nella sua stanza, dove già
si trovano il L. ed il G.. Nel corso di questa riunione, peraltro di
breve durata, viene fatto presente al M. che sulla pratica da lui sollecitata
pende istanza di condono, per cui al Comune è precluso per legge di procedere
alla demolizione dei manufatti abusivi. Il M. prende atto della situazione,
precisando che quando aveva scritto la seconda lettera non ne era al corrente,
altrimenti non avrebbe neanche scritto il secondo sollecito.
Diritto
- L'accusa ha contestato all'odierno imputato due distinti episodi di omissione
di atti d'ufficio, in relazione all'ipotesi di cui all'art. 328 comma 2 c.p.,
riconducibili alla mancata attivazione o risposta del L. a seguito delle due
lettere raccomandate inviate dal legale dello Z. rispettivamente in data
14 gennaio e 23 luglio del 1999, cui si è accennato in precedenza.
Ritiene il giudicante che l'imputato debba essere mandato assolto da entrambi
i capi di imputazione, per insussistenza del fatto.
Quanto all'episodio della prima lettera datata 14/1/1999, al di là delle
considerazioni che si faranno in seguito in ordine alle modalità della
risposta, preme osservare che la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione
ha precisato che "Affinché possa configurarsi il reato di rifiuto
di atti di ufficio nella formulazione di cui al secondo comma dell'art. 328
c.p. e possa conseguentemente qualificarsi come omissione penalmente rilevante
il ritardo a provvedere, è necessario che la 'richiesta' in essa norma
prevista (...) abbia il contenuto di una espressa diffida ad adempiere..."
(così Cass., sez. 6, n. 10002/2000; v. anche Cass., sez. 6, n. 8263/2000).
Nel nostro caso, non è chi non veda come il contenuto della prima raccomandata
indirizzata al Comune di _______ -nel segnalare l'intervenuta estinzione del
giudizio intentato davanti al TAR dal C. per ottenere l'annullamento dell'ordine
di demolizione- costituisca un semplice invito a dare esecuzione a tale ordine,
con riserva di ogni ulteriore iniziativa a tutela dei propri interessi. Si tratta
in sostanza di un mero invito a provvedere, in alcun modo percepibile come specifica
messa in mora della pubblica amministrazione (nel senso di intimazione ad adempiere
ovvero a richiedere l'esposizione delle ragioni del ritardo o del mancato compimento
dell'atto). Ed in ogni caso si è visto che il L. si attivò immediatamente,
telefonando al legale ed esponendogli le ragioni dell'Amministrazione.
Quest'ultimo aspetto merita di essere approfondito, con particolare riguardo
al secondo degli episodi contestati, quello relativo alla (presunta) omessa
risposta alla lettera del 23/7/1999.
Si è visto che il L., pochi giorni dopo il ricevimento del sollecito,
si recò personalmente, insieme al Sindaco, presso lo studio dell'avv.
M., e che qui ebbe un incontro con il medesimo, cui partecipò anche
l'Avv. G.. Nel corso di tale incontro, furono esposte al legale le ragioni
giuridiche che impedivano all'amministrazione comunale di procedere alla demolizione
(pendenza di istanza di condono). Lo stesso avv. M. riconobbe la fondatezza
di tali ragioni.
In effetti vi fu, quindi, una risposta tempestiva (nei 30 giorni) alla seconda
lettera del legale. Certamente si trattò di una risposta soltanto verbale,
anche se formulata personalmente dal pubblico funzionario (addirittura spostandosi
fuori sede) al procuratore della parte interessata.
La questione che si pone è se tale risposta verbale sia da considerare
valida ed idonea ad escludere nel caso l'integrazione della fattispecie penale
prevista dal secondo comma dell'art. 328 c.p. (omessa risposta nei 30 giorni).
E' stato invece definitivamente appurato in causa che il pubblico funzionario
non avrebbe comunque potuto compiere il richiesto atto del suo ufficio (dare
corso alla demolizione), stante il sopra ricordato ostacolo giuridico.
Ritiene il giudicante che la fattispecie penale in disamina non richieda necessariamente
una risposta scritta da parte del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico
servizio.
Sulla scorta dei principi di tassatività e determinatezza che informano
il nostro sistema penale, occorre rimarcare che a mente del secondo comma dell'art.
328 c.p., mentre per la richiesta (messa in mora) del privato è specificamente
prevista la forma scritta, nulla si dice con riguardo alla forma che deve assumere
la risposta del pubblico funzionario. Ne deriva, anche sulla scorta del noto
brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, che la risposta del pubblico
amministratore ben può essere formulata con forme diverse da quella scritta,
quindi anche verbalmente (o ad esempio per via telematica, basti pensare alla
posta elettronica), senza per questo dover rispondere del reato in argomento.
E' noto a questo giudice che la Suprema Corte, in un isolato pronunciamento,
ha affermato in massima che "la risposta prevista dall'art. 328 comma 2
cod. pen. (...) deve rivestire la forma scritta, in base ai principi generali
dell'ordinamento che richiedono la forma scritta per gli atti destinati ad essere
controllati da un'autorità diversa e normalmente sovraordinata, ovvero
(...) quando la verifica dell'esistenza dell'atto e del suo contenuto, sia rimessa
non all'autorità amministrativa, ma all'autorità giudiziaria;
ciò è conforme allo spirito della riforma di cui alla l. 86/90,
con cui il legislatore ha inteso offrire ai cittadini una maggiore tutela nei
confronti dell'operato della pubblica amministrazione, e risponde all'esigenza
di evitare incertezza in ordine all'accertamento del reato stesso" (Cass.,
sez. 6, n. 11484/1997).
Tuttavia, sfuggono a questo giudice le esatte coordinate dei principi generali
richiamati dal supremo collegio che richiederebbero in tutti i casi e necessariamente
la forma scritta per gli atti sottoposti alla verifica dell'autorità
giudiziaria.
Si può, inoltre, fondatamente dubitare, nella materia penale, della correttezza
di un'opzione ermeneutica, come quella sopra richiamata, che, nel richiamare
principi generali che mal si conciliano con i principi di tassatività
e determinatezza del precetto penale (costituenti corollario della riserva assoluta
di legge sancita dall'art. 25 della Costituzione in subjecta materia), si risolvono
sostanzialmente in un'interpretazione in malam partem della condotta tipica,
introducendo nel precetto un elemento ulteriore (la forma scritta della risposta)
non previsto nella chiara dizione normativa, e restringendo in tal modo l'area
del penalmente lecito nella fattispecie incriminatrice.
E' poi evidente che la legge 86/90 ha inteso offrire ai cittadini una maggiore
tutela nei confronti dell'operato della pubblica amministrazione, ma questo
non autorizza ad interpretare le norme penali introdotte dalla legge citata
in maniera più rigorosa di quanto in esse specificamente previsto, ben
potendosi ritenere che il legislatore abbia reputato sufficiente per la tutela
del privato l'introduzione di uno specifico onere di risposta (in forma libera)
da parte del pubblico amministratore alla sollecitazione scritta del cittadino.
Né imporre la forma scritta della risposta da parte della pubblica amministrazione
esclude necessariamente, in ipotesi, il verificarsi di situazioni di incertezza
nell'accertamento del fatto (basti pensare alla possibile fomazione di un documento
falso da parte del pubblico amministratore).
L'accertamento del fatto è sempre demandato al giudice attraverso la
valutazione dei mezzi di prova acquisiti agli atti e previsti dal codice di
rito, in cui assumono pari dignità sia quelli cd. "precostituiti"
(documenti scritti) sia quelli cd. "costituendi" (di tipo dichiarativo,
fra cui tipicamente la testimonianza), per cui anche sotto questo profilo non
si ritiene di poter condividere il qui criticato enunciato della Suprema Corte,
che attribuisce una sorta di preminenza assoluta alla prova scritta nell'accertamento
del fatto-reato che non trova alcun riscontro nel nostro sistema processual-penalistico,
fondato su una sostanziale equivalenza dei mezzi di prova e sul principio della
loro libera valutazione da parte del giudice.
Fra l'altro, una rigida applicazione di quanto affermato dalla Cassazione condurrebbe,
nel caso di specie, a risultati a dir poco paradossali: l'imputato dovrebbe
rispondere del reato ex art. 328 comma 2 c.p., nonostante sia stato definitivamente
appurato non soltanto che l'atto richiesto non poteva essere compiuto, ma addirittura
che lo stesso pubblico amministratore aveva prontamente risposto alle istanze
del cittadino prima telefonicamente e poi recandosi addirittura di persona a
rendere conto delle sue ragioni al medesimo (recte, al legale che lo rappresentava).
Non sembra si possa richiedere di più ad un pubblico amministratore coscienzioso
del proprio ruolo e rispettoso delle istanze avanzate dal privato.
In definitiva, nessuna omissione penalmente rilevante è addebitabile
al L. ai sensi dell'art. 328 comma 2 c.p.
P.Q.M.
Visti gli artt. 442, 530 c.p.p., assolve L. S. dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste.
Fissa il termine di gg. 40 per il deposito della sentenza.
La Spezia, 9 ottobre 2001
Il Giudice
Alessandro Ranaldi