Tribunale di Genova, Sezione per il Riesame,
Ordinanza 9 febbraio 2001

                                                      reg. ries. 81/01

IL TRIBUNALE DI GENOVA

SEZIONE PER IL RIESAME

riunitosi in camera di consiglio in data 9 febbraio 2001 nelle persone dei Magistrati:

        

         dott. Marina ORSINI                                    - Presidente

         dott. Massimo CUSATTI                                  - Giudice est.

         dott. Cristina DAGNINO                               - Giudice

ha pronunziato la seguente

o r d i n a n z a

provvedendo sulla richiesta di riesame proposta nell’interesse di E. C. avverso l’ordinanza con cui il g.i.p. presso il Tribunale di Genova ha disposto, in data 22.1.01, la misura cautelare della custodia in carcere in atto nei suoi confronti, facendo seguito - a norma dell’art. 27 c.p.p. - all’ordinanza del g.i.p. presso il Tribunale di Caltanissetta del 7 dicembre 2000 così come modificata - in punto di efficacia - dal competente Tribunale per il Riesame con ordinanza del 5 gennaio 2001

&

Il Tribunale

letti gli atti trasmessi dall’Autorità procedente,

sentito il difensore comparso all’odierna udienza camerale,

o s s e r v a

quanto segue.

Va osservato, in via preliminare, che nessuna questione è stata sollevata dal ricorrente - né risulta rilevabile d’ufficio - in punto di validità dell’impugnata ordinanza.

Quanto al profilo dell’incompetenza per territorio del giudice di prime cure, l’unico espressamente affrontato dalla difesa, il Tribunale ritiene opportuno ripercorrere - seppure per sommi capi - la cronistoria della complessa vicenda giudiziaria da cui scaturisce l’ordinanza impugnata.

A seguito di tre distinte richieste del P.M. presso il Tribunale di Caltanissetta, il g.i.p. di quell’Ufficio ha emesso, in data 7 dicembre 2000, una sola ordinanza di custodia cautelare in relazione a tre diversi gruppi di indagati, a carico dei quali ha ravvisato gravi indizi in relazione a svariati episodi di traffico di stupefacenti ed a tre associazioni per delinquere costituite a quel fine, tra loro formalmente distinte - quanto ad ambito di operatività territoriale - ma coordinate in una sorta di "associazione orizzontale" avente il proprio centro decisionale nel territorio del circondario di Gela: ciò che ha radicato, per le note attribuzioni della D.D.A. in questo particolare settore criminale, la competenza territoriale a provvedere al riguardo appunto in capo al g.i.p. del Tribunale di Caltanissetta.

La posizione di E. C., cittadino albanese dimorante nel Savonese, rientra tra quelle inserite nella prima di quelle tre associazioni per delinquere, gravitante per lo più nel territorio ligure (con propaggini lombarde) e, nell’impostazione accusatoria, collegata alla "casa madre" gelese per il tramite del coindagato G. A., residente ad Albenga ma con saldi legami - non soltanto di nascita - con il Nisseno.

Il ricorrente si è visto contestare in quella sede, oltre al predetto reato associativo, il delitto continuato ed aggravato di acquisto, trasporto e detenzione di ingenti quantitativi di cocaina: e ciò dopo essere stato arrestato dai Carabinieri di Albenga, il 12 ottobre 2000, nella flagrante detenzione di un etto di quella sostanza stupefacente, con la conseguente emissione da parte del g.i.p. presso il Tribunale di Savona di una prima ed autonoma ordinanza impositiva della custodia in carcere (nell’ambito di un procedimento poi trasmesso alla D.D.A. di Caltanissetta per la chiara connessione di quell’episodio con il predetto reato continuato di cui all’art. 73 d.p.r. 309/90).

C. ha proposto ricorso per riesame avverso la predetta ordinanza del 7.12.00, ed il Tribunale di Caltanissetta l’ha confermata, subordinandone però la perdurante efficacia, a norma dell’art. 27 c.p.p., all’emanazione di un nuovo provvedimento cautelare da parte del g.i.p. presso il Tribunale di Genova, ritenuto competente per il reato associativo contestato: ed è appunto questo il nodo centrale che occorre sciogliere per interpretare appieno il senso di quel provvedimento.

I giudici nisseni sono giunti a quella conclusione a seguito dell’affermata inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, i cui tabulati non erano stati rinvenuti negli atti del fascicolo processuale. L’ordinanza impugnata in quella sede aveva però superato la "prova di resistenza" fornita dai restanti elementi probatori, ritenuti idonei a suffragare i gravi indizi non soltanto in relazione alla contestazione di cui all’art. 73 d.p.r. 309/90 (pacificamente di competenza dell’A.G. ligure, per sé sola considerata), ma anche in relazione all’ipotesi associativa contestata a C., seppure con un diverso - ed assai più ridotto - ambito soggettivo.

La conseguente declaratoria dell’incompetenza del g.i.p. di Caltanissetta pare, nondimeno, frutto di un’errata impostazione del problema: altro è, invero, dichiarare l’inutilizzabilità di una parte degli atti ai fini della pronuncia incidentale in materia di libertà personale, altro è pronunciarsi sulla competenza tout court del giudice per le indagini preliminari; un potere, questo, del tutto precluso al Tribunale per il Riesame, che è giudice di secondo grado soltanto in relazione ad un singolo atto, e non all’intero procedimento. Ed allora la mera circostanza di non poter utilizzare una parte degli atti, per ragioni processuali collegate alla peculiarità del procedimento incidentale de libertate, non può certo provocare l’effetto dirompente della declaratoria di incompetenza del giudice di prime cure a conoscere dell’intero procedimento.

In altri termini, ad avviso di questo collegio la sanzione avrebbe dovuto essere soltanto "processuale", interna all’ordinanza gravata: mancando l’utilizzabilità delle intercettazioni, sulle quali sembra fondarsi il tessuto associativo che, nell’impostazione accusatoria, ricollega gli indagati "savonesi" alla comune matrice gelese, quel Tribunale per il Riesame doveva limitarsi a dichiarare l’inefficacia della misura in relazione al fatto associativo contestato, omettendo qualsiasi pronuncia sulla competenza territoriale del g.i.p. di Caltanissetta: questa, infatti, risultava ritualmente radicata dalla pendenza a carico di C. di un procedimento per un delitto associativo asseritamente consumato in quel distretto, tale da attrarre - a norma dell’art. 16 c.p.p. - anche la competenza a conoscere del reato-fine di cui all’art. 73 d.p.r. 309/90. In definitiva, la mancata conferma "piena" della misura cautelare per il delitto associativo non poteva certo comportare la "scomparsa" del relativo procedimento, che ovviamente è tuttora in corso, e la conseguente incompetenza per territorio dell’Autorità procedente: effetti, questi ultimi, che l’ordinamento riconnette soltanto alle sentenze con cui la Corte di Cassazione risolve i conflitti di competenza.

Certo è, nondimeno, che l’ordinanza del Tribunale nisseno rappresenta un dictum dal quale allo stato non è possibile discostarsi, almeno fino ad un eventuale annullamento da parte del giudice di legittimità. Ed allora, per dare comunque un senso compiuto a quel provvedimento e ravvisare la competenza del g.i.p. genovese che vi è stata delineata, deve ritenersi che il delitto associativo - così come delibato quoad libertatem da quei giudici per il Riesame ­ fosse radicato nel distretto ligure: se così non fosse, se cioè i giudici nisseni avessero ritenuto competente il g.i.p. di Genova ad emettere un’ordinanza di custodia cautelare relativa alla stessa contestazione formulata in origine dal g.i.p. di Caltanissetta (imperniata sul prevalente rilievo, ai fini della competenza territoriale, dell’attività svolta in territorio gelese), dovrebbe necessariamente giungersi ad una seconda declaratoria di incompetenza per territorio da parte di questo collegio per il Riesame, essendo di tutta evidenza che il fatto associativo de quo - così come acriticamente contestato, per la seconda volta e negli stessi termini, con l’ordinanza qui impugnata - ricade nella competenza per territorio del g.i.p. di Caltanissetta.

Il problema, insomma, è di valutare in relazione a quale associazione sia avvenuto il "rinvio" ex art. 27 c.p.p. al ‘competente’ giudice genovese: e dalle motivazioni dell’ordinanza del Tribunale per il Riesame nisseno si desume a chiare lettere che il nucleo associativo essenziale, ricostruito da quei giudici in assenza delle intercettazioni indispensabili a dimostrare i collegamenti del predetto A. con l’ambiente gelese, ruota sui nomi dello stesso C. e dei coindagati P. e T., i soli attinti - sulla base del materiale utilizzato dal Tribunale di Caltanissetta - da gravi indizi idonei a supportare la più ristretta ipotesi dell’esistenza "di una associazione operante tra le province di Savona e Varese", come si legge a pag. 7 del provvedimento.

E’ a questo fatto, dunque, che avrebbe dovuto fare riferimento il P.M., prima, ed il g.i.p. di Genova, poi, nell’emissione della "nuova" ordinanza di custodia cautelare ex art. 27 c.p.p.: l’unico fatto astrattamente idoneo, ancorchè per una via abnorme, a giustificare una trasmigrazione del fascicolo da Caltanissetta a Genova per ragioni di competenza territoriale. Ogni diversa interpretazione pare preclusa dal buon senso, anche alla luce dei successivi sviluppi processuali: non sembra ipotizzabile, per vero, che gli atti siano stati trasmessi a Genova per la sola emissione di una seconda ordinanza di custodia cautelare, con l’immediata ritrasmissione del fascicolo al P.M. di Caltanissetta per consentirgli "la trattazione unitaria della posizione del C. con quella degli altri associati di cui alla  citata ordinanza di custodia cautelare", come si legge nella missiva di quell’Ufficio in data 18 gennaio 2001.

Nei fatti, per contro, è accaduto proprio questo: la misura è stata chiesta al g.i.p. genovese in relazione allo stesso fatto contestato a Caltanissetta, e dunque in relazione ad un fatto diverso (per ambito territoriale, soggettivo e quantitativo) rispetto a quello enucleato dai giudici per il Riesame di quel distretto nel provvedimento del 5 gennaio 2001.

Da ciò derivano, ad avviso di questo collegio, due distinte conseguenze riguardo alle sorti dell’ordinanza qui riesaminata: la prima è che, come poc’anzi accennato, deve concludersi nel senso di una seconda declaratoria di incompetenza da parte di questi giudici, stavolta in riferimento al g.i.p. di Genova; non sorgono, invero, eventuali problemi di conflitto con l’omologo Tribunale di Caltanissetta, atteso che in questa sede non si prende cognizione di fatti - ai fini di cui all’art. 28 c.p.p. - bensì di atti; e quello riesaminato a Caltanissetta è formalmente diverso (ancorchè sostanzialmente recepito per intero dal g.i.p. genovese) da quello oggetto del presente procedimento, non foss’altro per la pacifica utilizzabilità soltanto davanti a questo secondo giudice degli esiti delle intercettazioni telefoniche.

La seconda conseguenza è che il P.M. della D.D.A. genovese avrebbe dovuto richiedere - ed il competente g.i.p. emettere - un’ordinanza di custodia cautelare in relazione al diverso, e soggettivamente più ristretto, reato associativo delineato dai giudici nisseni nell’ordinanza deliberata il 5 gennaio 2001; e ciò senza alcun ulteriore pregiudizio per il ripristino della trattazione unitaria giustamente auspicata dal P.M. di Caltanissetta, essendo pur sempre possibile l’emissione, in quella sede, di una nuova ordinanza di custodia cautelare relativa sì alle stesse accuse, ma stavolta regolarmente assistita - a differenza di quella originaria: ciò che preclude ogni eventuale prospettazione di giudicato cautelare - dai tabulati delle intercettazioni telefoniche.

Pertanto, non avendo il giudice ‘competente’ provveduto all’emissione di un nuovo titolo detentivo per il diverso fatto associativo enucleato dai giudici del Riesame di Caltanissetta entro i venti giorni previsti dall’art. 27 c.p.p., l’efficacia dell’originaria ordinanza del g.i.p. nisseno in data 7 dicembre 2000 deve ritenersi cessata in parte qua: e di tanto va fatta declaratoria in questa sede. Né può pensarsi che questo Tribunale per il Riesame potesse a sua volta "ritagliare" all’interno della più ampia contestazione associativa un’ipotesi ridotta che si ricollegasse con quella motu proprio formulata dal Tribunale di Caltanissetta: a tutto voler concedere, una simile operazione - ove eseguita soltanto in questa sede . sarebbe stata certamente tardiva rispetto al termine di cui all’art. 27 c.p.p. (scaduto irrimediabilmente il 25 gennaio 2001).

Residua invece in capo al g.i.p. presso questo Tribunale, anche nell’ottica "anomala" conseguente al provvedimento del Riesame nisseno, la competenza per territorio ad emettere misure cautelari riguardo all’altra contestazione mossa nei confronti di C., trattandosi di delitto continuato che si assume consumato per buona parte sul territorio ligure. Considerato che gli atti sono pervenuti al g.i.p. genovese sulla scorta della "ristretta" ipotesi associativa come sopra delineata nel provvedimento del 5 gennaio 2001, la mancata adozione di un provvedimento cautelare ad hoc per tale contestazione non significa certo - per le ragioni prima esposte - che debba prescindersi dalla stessa ai fini della competenza per territorio.

Il P.M. in sede, in buona sostanza, ben potrà iscrivere nel registro delle notizie di reato un procedimento per il delitto di cui all’art. 74 d.p.r. 309/90 a nome dei predetti C., P. e T., recependo la pur improvvida sollecitazione in tal senso dei giudici del Riesame di Caltanissetta: salvo poi riconoscere prima facie il netto assorbimento di tale fattispecie criminosa nella più ampia associazione in origine contestata a Caltanissetta e ritrasmettere - di conseguenza - all’omologa A.G. di quella città l’intero procedimento, comprensivo della stessa ipotesi di cui all’art. 73 d.p.r. 309/90 qui ritualmente contestata.

A tale ultimo riguardo, rileva il collegio che i gravi indizi si desumono con assoluta chiarezza non tanto dall’ordinanza gravata, che si limita ad un generico cenno all’arresto in flagranza del 12 ottobre 2000, quanto dall’ordinanza del Tribunale per il Riesame di Caltanissetta e, soprattutto, dall’approfondita ordinanza di custodia cautelare dello stesso g.i.p. nisseno, nelle quali si tratteggia compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni spontanee rese dal coindagato Pluchino subito dopo l’arresto in flagranza da questi patito unitamente a C. (con particolare riguardo ai precedenti "movimenti" di sostanze stupefacenti; agli appuntamenti dinanzi alla stazione ferroviaria di Savona; alla saltuaria presenza, per la consegna, di un altro albanese; ai rifornimenti di cocaina effettuati congiuntamente in quel di Castellanza presso un altro albanese di nome A., minuziosamente descritto con particolari puntualmente riscontrati nella persona del coindagato T., peraltro avvistato dalla p.g. in compagnia dello stesso C. all’interno del porto turistico di Andora).

La gravità del fatto, per reiterazione nel tempo e quantità degli stupefacenti trattati, esime da motivazioni approfondite in punto di esigenze cautelari: il ricorrente, all’evidenza, trae le fonti di sostentamento nel nostro Paese da attività illecite quali quelle per cui si procede a suo carico, per cui è ragionevole prevedere che, ove non sottoposto alla misura cautelare in atto, si risolverebbe a riprendere traffici delittuosi della stessa specie.

In conclusione, l’ordinanza impugnata va confermata limitatamente alla contestazione di cui all’art. 73 d.p.r. 309/90.

Quanto alla contestazione associativa pedissequamente riportata al capo A), il collegio deve dichiarare il vizio di incompetenza per territorio dell’impugnato provvedimento, seppure ai limitati fini della specifica questione de libertate devoluta alla sua cognizione. Resta, infatti, a carico dell’Autorità ‘formalmente’ procedente - il P.M. presso questo Tribunale - ogni successiva valutazione (ex art. 54 c.p.p. o, eventualmente, 54 quater, 1° comma, c.p.p.) circa la successiva trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta per il prosieguo del procedimento.

Come s’è già accennato, invero, il Tribunale per il Riesame è giudice di singoli atti: se la sua declaratoria di incompetenza investisse l’intera indagine in corso - come mostra di aver opinato il Riesame nisseno -, ciò trasmoderebbe in un’indebita ingerenza in scelte processuali che spettano esclusivamente al P.M. o al g.i.p. che procedono. La novella di cui alla legge n° 479/99 consente, peraltro, allo stesso indagato di sollecitare un provvedimento sulla competenza da parte del  P.M., per cui una pronuncia che in questa sede si limiti a dichiarare il vizio di incompetenza dell’atto impugnato è l’unica realmente idonea a contemperare il rispetto delle prerogative processuali di altre Autorità con l’esigenza di non ledere i diritti di difesa della persona sottoposta ad indagini.

Le considerazioni prima svolte sull’avvenuta perdita di efficacia - limitatamente al delitto associativo - della misura originariamente disposta negli stessi termini dal g.i.p. di Caltanissetta rendono improponibile in questa sede una seconda ed immediata applicazione del disposto di cui all’art. 27 c.p.p.; non sembra ammissibile, infatti, che il g.i.p. comunque individuato ai sensi di tale ultima norma emetta un’ordinanza cautelare che non si adegui alla pronuncia del Tribunale per il Riesame, ma si limiti a reiterare alla lettera il provvedimento in quella sede censurato e ridimensionato sotto il profilo della competenza: ciò trasmoderebbe in un’arbitraria elusione di quel rigoroso termine di venti giorni, determinando di fatto un ulteriore differimento dell’inefficacia della prima ordinanza (indissolubilmente legata, sotto questo profilo, alla nuova).

Il parziale accoglimento dei motivi del ricorso esime il Tribunale dalla pronuncia sulle spese.

P. Q. M.

Visti gli artt. 22, 27, 279, 291 e 309 c.p.p.

d i c h i a r a

l’impugnata ordinanza di custodia cautelare viziata da incompetenza per territorio relativamente al delitto associativo così come contestato al capo A); per l’effetto

d i c h i a r a

cessata, nei limiti della contestazione di cui al relativo capo A), l’efficacia della precedente ordinanza resa nei confronti di C. dal g.i.p. presso il Tribunale di Caltanissetta in data 7.12.00;

o r d i n a

pertanto la formale scarcerazione dell’indagato - detenuto per altra causa - in relazione a quel solo titolo di reato;

c o n f e r m a

l’impugnata ordinanza con riguardo alla residua contestazione di cui al capo B); 

m a n d a

alla Cancelleria per gli adempimenti e le comunicazioni di rito.

         Genova, 9 febbraio 2001

        

                  Il Giudice estensore                                 Il Presidente

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