Corte
di Appello di Venezia, Sezione IV Penale,
Ordinanza 26 aprile 2001
CORTE
D'APPELLO di VENEZIA
SEZIONE QUARTA PENALE
1083/99 RG
rilevato che si procede in relazione a reati in materia sessuale, oggetto della sentenza del Tribunale di Rovigo in data 24.9/21.12.1998 - con cui due dei tre imputati sono stati condannati per una parte dei delitti loro originariamente contestati - a seguito delle impugnazioni proposte dagli imputati condannati, dal Procuratore della Repubblica di Rovigo avverso tutti gli imputati, dal Procuratore generale avverso uno degli imputati;
rilevato che uno degli appellanti ha proposto nei motivi dell'impugnazione l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado, per non avere partecipato all'intera istruttoria dibattimentale tutti i giudici che hanno concorso a deliberare la sentenza;
osservato che l'eccezione ha evidente rilevanza preliminare rispetto all'esame delle doglianze di tutti gli appellanti nel merito, posto che la questione procedurale proposta, che sia riconducibile alla nullità della sentenza ovvero alla nullità o inutilizzabilità delle prove orali assunte prima della definitiva modifica del collegio giudicante, influisce in modo determinante sull'esito della decisione di questo giudizio di appello;
rilevato che dagli atti risulta che all'udienza del 21.5.1998, dopo che numerose udienze dibattimentali erano state celebrate, con lo svolgimento di diffusa e determinante attività istruttoria (in particolare l'esame delle persone offese e di numerosi testi), per il mutamento di uno dei tre componenti del collegio giudicante, dovuto ad impedimento non contingente del componente sostituito, il Tribunale procedeva alla rinnovazione del dibattimento; in tale contesto tutte le parti riproponevano la richiesta di ammissione anche delle prove orali, come originariamente formulata, ed il Tribunale con l'ordinanza disciplinante l'ulteriore corso del processo statuiva, tra l'altro, che "tanto premesso non appare necessario rinnovare l'esame dei testi finora già esaminati, atteso che la modifica della composizione del collegio giudicante di per sé solo non giustifica l'accoglimento della richiesta";
rilevato che, per il punto della decisione che qui allo stato solo interessa, in definitiva le parti pubblica e private avevano richiesto l'introduzione di tutte le prove già richieste nella fase preliminare del precedente dibattimento, nonché di altre prove la cui pertinenza e rilevanza era emersa nelle more del lungo dibattimento; in particolare, quanto ai testi già esaminati, nessuna argomentazione diversa dalla mera formale richiesta di riassunzione era stata proposta (salvo una questione, formale, relativa al fatto che, nelle stesse more del dibattimento due testi erano stati sottoposti a procedimento penale per falsa testimonianza, poi definito con archiviazione per la tempestiva ritrattazione);
ritenuto che la questione della necessità della rinnovazione delle prove orali già assunte nella pienezza del contraddittorio, quando vi sia mutamento totale o parziale del giudicante, è stata oggetto di netti contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione del combinato disposto degli artt. 511, 514 e 525 c.p.p.;
rilevato che le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno sul punto (sent. 15.1 - 17.2.1999, ric. Iannasso e altro, sentenza successiva a quella in questa sede appellata) affermato il principio che, indispensabile la rinnovazione del dibattimento per evitare la nullità assoluta di cui al capoverso dell'art. 525 c.p.p., la testimonianza raccolta dal giudice nella sua originaria composizione, pur ritualmente raccolta nei verbali acquisiti al fascicolo per il dibattimento, non è utilizzabile per la decisione mediante semplice lettura, quando l'esame del dichiarante possa aver luogo e sia stato (anche solo genericamente) richiesto da una parte;
ritenuto pertanto che, seguendo tale indirizzo giurisprudenziale, di tutte le dichiarazioni assunte nella prima fase del lungo dibattimento di primo grado non potrebbe tenersi conto per la decisione di appello; non solo, ma se ci si dovesse adeguare all'indirizzo giurisprudenziale della successiva Sez. 3, sent. 24.5-3.8.2000 n. 8828, ric. Iodice (che ha annullato la sentenza di appello rinviando gli atti al giudice di primo grado, in un caso in cui la Corte distrettuale - essendosi il giudice di primo grado limitato a dare lettura delle precedenti acquisite dichiarazioni testimoniali senza rinnovare l'esame del teste, pur richiestone dalla difesa- aveva risentito il teste appunto nel giudizio di appello, argomentando che non si tratterebbe di atti nulli, perciò rinnovabili nel processo di secondo grado, ma di atti inutilizzabili perché prove illegittimamente acquisite), neppure potrebbe procedersi in questa sede alla rinnovazione degli esami in questione;
rilevato che il richiamato orientamento interpretativo delle Sezioni unite è stato sì oggetto di consistenti critiche, tant'è che successiva giurisprudenza di merito ha ripetutamente e motivatamente disatteso l'insegnamento (sia consentito, per agilità espositiva, il mero richiamo esemplificativo alle condivise ordinanze di due sezioni del Tribunale di Roma, 13.5.99 in proc. Pacifico e 17.5.99 in proc. Nicoletti e altri, e del Pretore di Foggia-Manfredonia, 7.12.1999, in proc. Tomaiuolo, tutte in Cass. penale 2000, m. 171, 172 e 1047, pagg. 196-202 e 1801), ma pare aver trovato unanime adesione nella giurisprudenza di legittimità, così di fatto imponendosi come diritto vivente, posto il ruolo strutturale di ultimo interlocutore sulla questione, assolto dalla Suprema corte;
ritenuto che l'interpretazione del combinato disposto degli artt. 511, 514 e 525 c.p.p., secondo cui, nel caso di mutamento totale o parziale del giudicante, le prove orali acquisite in precedenza, pur nel pieno contraddittorio, non possono essere utilizzate mediante semplice lettura dei verbali dibattimentali quando vi sia una anche immotivata richiesta di riesame del dichiarante da parte di una delle parti, appare contrastare con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 25, 101, 111, sicchè va dichiarata la non manifesta infondatezza della relativa questione di legittimità costituzionale;
rilevato che analoga questione è già stata proposta dal Tribunale di Asti, con l'ordinanza 13.11.2000 in proc. Moraglio (pubblicata al n. 141 nella G.U. supplemento 1^ serie speciale n.10 del 7.3.2001) e dal Tribunale di Foggia, con l'ord. 16.11.2000 in proc. Di Biase (pubblicata al n. 227 nella G.U. suppl.spec.1^ n. 13 del 28.3.2001) e che, sempre per ragioni di economia espositiva, innanzitutto le argomentazioni lì esposte vanno qui richiamate (richiamo che deve ritenersi consentito, essendo l'alternativa quella del riportare in questo punto, pedissequamente, quell'invece pubblicato argomentare, già conosciuto proprio dalla Corte che si va ad adire);
ritenuto comunque che l'interpretazione che qui si contesta (l'obbligo del riesame del dichiarante anche quando la richiesta di riesame sia priva di qualsiasi argomentazione e, quindi, senza che il giudice possa esercitare i suoi poteri di valutazione della ammissibilità della prova, riconosciutigli ed impostigli dagli artt. 190 e 190 bis c.p.) in realtà:
. non è affatto imposta dalla lettera della norma, in quanto la locuzione "a meno che l'esame non abbia luogo", che chiude il capoverso dell'art. 525 c.p.p., non legittima affatto la sola indicazione del caso dell'obiettiva impossibilità della riassunzione (anzi ultronea, in presenza dello specifico art. 512), ben consentendo invece la considerazione del caso in cui, per qualunque motivo (tra cui l'esercizio dei poteri/doveri di cui agli artt. 190 e 190 bis c.p.p.) non abbia storicamente luogo;
. non attiene alle modalità di introduzione della prova nel processo, sotto il, quello sì costituzionalmente garantito, diverso profilo del diritto al contraddittorio nella sua formazione dibattimentale;
. si
risolve, a ben vedere, nell'esaltazione dell'oralità quale apodittico
canone e fonte di legittimità dell'atto probatorio, in un contesto sistematico
nel quale, invece, non solo manca alcuna norma che consenta una tale conclusione
ma, addirittura, vi sono plurime, inequivoche ed insuperabili indicazioni del
carattere solo tendenziale dell'oralità: basti pensare innanzitutto all'istituto
dell'incidente probatorio, ma poi, specialmente e, sia consentito il termine,
clamorosamente, all'intero giudizio di appello, secondo grado di merito in cui
il giudice è libero di modificare le valutazioni di attendibilità,
credibilità e adeguatezza delle prove orali dopo la sola e mera lettura
delle carte contenute nel fascicolo per il dibattimento (essendo eccezionale
la rinnovazione dell'istruttoria e, per quel che qui rileva, comunque non imposta
come previa condizione per la modifica delle valutazioni del primo giudice quanto
alle prove orali);
ultima ma significativa conferma normativa dell'esposta lettura sistematica
è data dal nuovo testo del primo comma dell'art. 190 bis c.p.p., sostituito
dall'art. 3 della legge 1.3.2001 n. 63, laddove viene previsto che, quando le
precedenti dichiarazioni siano state assunte nel contraddittorio con la persona
nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, "l'esame
è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto
delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo
ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze"; né tale
ultima innovazione, che non è la prima, come ricordato nelle condivise
argomentazioni contenute nelle ordinanze di rimessione dei giudici di Asti e
Foggia, potrebbe essere considerata un'eccezione ad un opposto principio generale:
si è già osservato che l'art. 525.2 c.p.p. non impone affatto
la lettura datagli dalle Sezioni unite, mentre apparirebbero davvero singolare
che le eccezioni riguardino proprio le situazioni di maggiore potenziale delicatezza
dell'aspetto probatorio (i reati ex art. 51.3 bis c.p.p.; le situazioni di incompatibilità,
astensione e ricusazione in relazione all'art. 1 dl 23.10.1996 n. 553 conv.
l.23.12.1996 n. 652; la composizione monocratica o collegiale del giudice, ex
art. 33 novies c.p.p.; la incompetenza del giudice che ha proceduto, ex art.
26 c.p.p.);
in definitiva, questi ripetuti interventi legislativi debbono essere interpretati
come indicazione univoca e reiterata della oggettiva volontà del legislatore
sul punto dell'utilizzabilità degli atti acquisiti al processo, nel rispetto
delle norme ed in particolare del contraddittorio, anche nel caso di mutamento
della persona fisica del giudicante, in assenza di una precedente norma contraria
ed in presenza, quindi, di un vuoto normativo sulla problematica, non tenuta
presente al momento della redazione del codice del 1988;
ritenuto che, tutto ciò argomentato, l'imporre il riesame del teste, già sentito nel pieno contraddittorio, in presenza di una richiesta generica e senza l'indicazione specifica di ragioni da sottoporre al consueto vaglio di cui agli artt. 190 e 190 bis c.p.p., pare contrastare:
. con l'art. 3 Cost., laddove tale riesame obbligato verrebbe escluso per le situazioni di maggior preoccupazione quanto alla genuina e "terza" acquisizione delle prove ed invece imposto nelle situazioni "fisiologiche" (quale è l'occasionale mutamento del giudice per ragioni del tutto svincolate dalle vicende endoprocedimentali): con disparità di soluzione caratterizzata da evidente irrazionalità;
. con gli artt. 25 e 101 Cost., parametri costituzionali che regolano l'esercizio della funzione giurisdizionale consentendo, come già insegnato dalla Corte costituzionale ed opportunamente evidenziato nella richiamata ordinanza del Giudice di Asti, di enucleare anche l'efficienza del processo (intesa quale necessaria attitudine del sistema processuale a conseguire attraverso opportuni meccanismi normativi idonei allo scopo l'accertamento dei fatti e delle responsabilità) quale bene costituzionalmente tutelato; nella specie, imporre l'integrale riesame di tutte le prove orali già assunte nella massima pienezza del contraddittorio, senza altra ragione che quella, normativamente non prevista e non ricavabile dal sistema processuale penale quale principio generale indefettibile, del garantire l'oralità quale mezzo necessario per la conoscenza del giudice, si risolve in una palese gratuita inefficienza, tanto più che tale riesame non comporta interruzione o sospensione dei termini prescrizionali;
. con
l'art. 111.2 Cost., giacchè l'incombente determina un evidente allungamento
della durata del processo, senza che alcuna ragione di tutela di beni ed interessi,
individuali o collettivi, tutelati costituzionalmente o anche solo dalla legge
ordinaria lo giustifichi; quindi un allungamento dei tempi di ragionevole durata,
per causa irragionevole;
osserva in proposito
questa Corte veneta che la Corte costituzionale ha recentemente insegnato (ordinanza
25.1 - 9.2.2001 n. 32, pubblicata sulla G.U. suppl. 1^ serie spec.n.7 del 14.2.2001)
che "l'esigenza di garantire la maggior celerità possibile dei processi
deve tendere ad una durata degli stessi che sia, appunto, 'ragionevole' in considerazione
anche delle altre tutele costituzionali in materia, in relazione al diritto
delle parti di agire e difendersi in giudizio garantito dall'art. 24 Cost; che
il legislatore continua quindi a disporre della più ampia discrezionalità
in materia, pur essendo vincolato a scelte che non siano prive di una valida
ragione, ora anche sotto il profilo della durata dei processi".
Nel caso oggetto di esame, si impone una ripetizione (che oltretutto proprio
nel caso concreto, e da qui la speciale rilevanza della violazione di questo
parametro, determinerebbe la necessità di celebrare numerose udienze)
di attività istruttoria, a fronte dell'assenza di alcuna lesione o necessità
di contraddittorio, dell'assenza di alcuna essenziale rilevanza sulla valutazione
della prova e dell'assenza di una norma o di un principio sistematico che imponga
l'oralità quale forma indefettibile di conoscenza della prova;
la questione,
oltre che non manifestamente infondata, per quanto finora argomentato, è
anche rilevante nel presente processo: l'adesione alla giurisprudenza delle
Sezioni unite comporterebbe l'annullamento della sentenza di primo grado (seguendo
l'interpretazione della richiamata sentenza Iodice) e comunque l'impossibilità
di tener conto delle dichiarazioni assunte nelle udienze precedenti quella del
21.5.1998;
per contro, non risultando dal verbale dell'udienza del 21.5.98 argomentazioni
a sostegno della rinnovata richiesta di riesame di tutti i testi ed imputati,
diverse da quella sulla qualità di teste/persona sottoposta ad indagini
di due dei testi, l'interpretazione che fa salvo il potere di valutazione della
richiesta di riesame secondo i principi posti dagli artt. 190 e 190 bis c.p.
consentirebbe alla Corte di disattendere l'eccezione ed utilizzare tutte le
dichiarazioni rese prima di quell'udienza;
è vero che, in teoria, questa Corte potrebbe discostarsi dall'interpretazione
delle Sezioni unite ma, per quanto già ricordato, l'adesione successiva
delle diverse sezioni semplici a quella interpretazione renderebbe vano, senza
l'avallo autorevolissimo del Giudice delle leggi, un tale pronunciamento;
ritenuto, da ultimo, che la soluzione proposta nel dispositivo appare priva di qualunque margine di discrezionalità, riservato al legislatore, costituendo invece applicazione necessitata dei principi processuali dettati dal codice di rito in materia di valutazione dell'ammissibilità e rilevanza delle prove;
ritenuto che va quindi dichiarata la rilevanza nel presente giudizio e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sopra esposta e formalizzata come nel dispositivo che segue, e che vanno altresì adottati i conseguenti provvedimenti ordinatori;
PQM
La Corte
d'appello di Venezia, Quarta sezione penale,
visto l'art. 23 legge n. 87 del 11.3.1957,
dichiara, d'ufficio, rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata,
in relazione agli artt. 3, 25, 101 e 111 Cost., la questione di legittimità
costituzionale del combinato disposto degli artt. 511, 514 e 525.2 c.p.p., come
interpretati dalle Sezioni unite nella sentenza 15.1 - 17.2.1999, ric. Iannasso
e altro e, in particolare, nella parte in cui non prevedono che, nel caso di
mutamento totale o parziale del giudicante, le dichiarazioni assunte nella precedente
istruzione dibattimentale, quando l'esame del dichiarante possa aver luogo e
sia stato richiesto da una delle parti, siano utilizzabili per la decisione
mediante semplice lettura, dopo l'applicazione degli artt. 190 e 190 bis c.p.p.
Sospende il presente giudizio ed ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Letta nella pubblica udienza del 26.4.2001, in Venezia.
I
Consiglieri Il Presidente
Umberto Zampetti Giacomo Rodighiero
Carlo Citterio, rel. estensore