Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Latina,
Ordinanza 8 aprile 2001 (con nota di Fernando Greco)

TRIBUNALE ORDINARIO DI LATINA

SEZIONE INDAGINI  E UDIENZE PRELIMINARI

ORDINANZA

(art. 409 c.p.p.)

IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

letti gli atti del procedimento indicato a margine a carico di………

INDAGATI

del reato previsto dall’art. 640 c.p.

PREMESSO

Il pubblico ministero, concluse le indagini, chiedeva l’archiviazione del procedimento.

La richiesta va respinta.

Preliminarmente si deve precisare che nei procedimenti per i quali il pubblico ministero procede ai sensi dell’art. 552 c.p.p., quali quello in esame che riguarda reati rientranti tra quelli indicati dall’art. 409 c.p.p., non deve procedersi alla fissazione dell’udienza dell’art. 409 c. 2 per l’emissione dei provvedimenti previsti dall’art. 409 c. 4 e c. 5 c.p.p.

Tale interpretazione deriva in primo luogo dal combinato disposto degli artt. 409 e 549 c.p.p. che disciplinano il procedimento davanti al tribunale monocratico con l’applicazione delle norme previste per il procedimento davanti al tribunale collegiale in quanto applicabili.

Gli artt. da 550 a 555 c.p.p., inoltre, disciplinano il procedimento per citazione diretta al quale sono sottoposte le fattispecie in esame in modo del tutto analogo al procedimento previsto in passato per i reati di competenza del pretore, dimostrando la diretta derivazione del procedimento per citazione diretta dal previgente procedimento pretorile.

In tale rito, come noto, non è prevista l’udienza preliminare e le esigenze di celerità sono ulteriormente evidenziate dall’applicazione delle disposizioni dell’art. 415 bis c.p.p. solo in quanto compatibili (art. 550 c. 1 c.p.p.), dalla diretta formazione del fascicolo per il dibattimento da parte del pubblico ministero (art. 553 c.p.p.) e dalla possibilità di richiedere i procedimenti speciali fino all’apertura del dibattimento (art. 555 c. 2 c.p.p.).

Le particolari esigenze di celerità di tale rito devono essere valutate anche alla luce dell’art. 111 c. 1 Cost., che impone di interpretare le norme nel senso che attribuisce al procedimento la maggiore celerità possibile, garantendone la ragionevole durata.

Ne consegue, pertanto, che nel procedimento davanti al tribunale monocratico per citazione diretta, qualora non debba essere accolta la richiesta di archiviazione del pubblico ministero il giudice emette i provvedimenti previsti dagli artt. 409 c. 4 e 409 c. 5 c.p.p. senza provvedere a fissare l’udienza camerale prevista dall’art. 409 c. 2 c.p.p.

Tale soluzione non è incompatibile con l’abrogazione del previgente testo dell’art. 554 c.p.p., sul quale si era fondata la possibilità di emettere le suddette ordinanze de plano, sia perché in base alla stessa norma si erano create prassi difformi e contrasti giurisprudenziali, risolti dalla Corte di cassazione don una pronuncia a sezioni unite che riconosceva la superfluità del procedimento camerale in processi per loro natura connotati da maggiore semplicità rispetto alle ipotesi delittuose per le quali si procedesse a udienza preliminare, sia perché lo stesso art. 409 c. 5 c.p.p. fa riferimento espresso ai soli reati per i quali il pubblico ministero procede ai sensi degli artt. 416 e ss. con richiesta di rinvio a giudizio.

Ne consegue che la fissazione di un’udienza camerale per i procedimenti nei quali comunque il pubblico ministero non deve richiedere la fissazione dell’udienza preliminare si risolverebbe in una superflua forma processuale priva di sostanziale utilità, non discutendosi direttamente della responsabilità dell’indagato, e contraria al principio costituzionale e convenzionale (Conv. eur. dir.uomo art. 6) della ragionevole durata del processo.

La tutela dell’indagato, peraltro, può svolgersi direttamente nella sede propria ove verrà emessa comunque la più stabile decisione di merito costituita dalla sentenza, anziché un’eventuale decreto di archiviazione, mentre l’omessa fissazione dell’udienza non crea stasi processuali di sorta, progredendo il procedimento nella fase processuale.

La giurisprudenza di legittimità, come accennato, in relazione a procedimenti trattati in base al rito pretorile ha precisato che:

SEZ. U       SENT.  00024  DEL 03/07/1995  (CC.09/06/1995)        RV.  201382
Qualora  il pubblico ministero presso la Pretura circondariale abbia formulato  richiesta  di  archiviazione  al giudice per le indagini preliminari,quest'ultimo,  in  caso  di opposizione a tale richiesta della persona offesa dal  reato,  non ha  l'obbligo di fissare, come e' previsto nel procedimento dinanzi  al  G.I.P. presso il Tribunale, l'udienza in camera di consiglio, ma puo'  decidere  con ordinanza de plano, in base ad un contraddittorio meramente  cartolare,  in  coerenza col principio di semplificazione del procedimento pretorile. (Vedi Corte Cost. 25 marzo 1993 n. 123 e 130).        

Tale decisione giurisprudenziale dimostra che l’applicabilità dell’art. 409 c. 2 c.p.p. al rito pretorile non era legata alla mera vigenza dell’art. 554 c.p.p. nel testo antecedente alla l. n.° 479\99, ma dipendeva dalla particolare natura del procedimento pretorile, del quale l’attuale procedimento per citazione diretta davanti al tribunale monocratico è sostanziale perpetuazione.

Le direttive nn. 50 e 51 dell’art. 2 della l. n.° 81\87, delega per la emanazione del codice di procedura penale, prevedono, inoltre un procedimento per la valutazione della richiesta di archiviazione notevolmente semplificato rispetto al dettato dell’art. 409 c.p.p.

È infatti prevista comunque la fissazione diretta dell’udienza preliminare in caso di decisione del giudice per le indagini preliminari di non accogliere la richiesta di archiviazione e l’adozione dei provvedimenti di rinvio a giudizio, archiviazione o nuove indagini viene adottata, secondo la legge delega, proprio nella stessa udienza preliminare.

La individuazione di una “doppia” udienza (camerale e poi preliminare) può trovare parziale giustificazione nella necessità di coordinare gli esiti dell’udienza camerale (che prevede l’archiviazione) con quelli dell’udienza preliminare (che non prevede l’archiviazione, presuppone l’esercizio dell’azione penale e può concludersi con sentenza di non luogo a procedere).

È evidente, tuttavia, che in un procedimento quale quello a citazione diretta, nel quale tale necessità di coordinamento non esiste e nel quale nulla inibirebbe al pubblico ministero di esercitare l’azione penale ai sensi dell’art. 459 c.p.p., sarebbe un controsenso fissare un udienza di fittizio contraddittorio: le controparti, pubblico ministero e indagato, sono sostanzialmente d’accordo e il contraddittorio si snaturerebbe in contraddittorio con il giudice anziché tra le parti.

Tutto il sistema processuale delineato dalla legge delega per l’emanazione del codice e confermato dal legislatore della l. n.° 479\99 che ha mantenuto il sistema di reati a citazione diretta dimostra, pertanto, che l’art. 409 c. 2 c.p.p. non trova applicazione in relazione ai reati previsti dall’art. 550 c.p.p.

L’avviso previsto dall’art. 409 c. 3 c.p.p. deve riguardare la comunicazione dell’ordinanza al procuratore generale per l’esercizio eventuale delle facoltà previste dall’art. 412 c.p.p.

In base ai rilievi predetti, si può rilevare dall’esame degli atti che a carico degli indagati sussistono i fatti ipotizzati.

In particolare dagli accertamenti di polizia giudiziaria emerge che il fatto non costituisce un mero illecito civile ma una truffa contrattuale, poiché i prevenuti si sono resi responsabili dei reati previsti dagli artt. 61 n.° 7) 81 cpv., 110 e 640 c.p. perché in concorso tra loro e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante artifici e raggiri consistenti nell’indicare l’esistenza di concessioni edilizie mai rilasciate e di licenza di abitabilità in realtà inesistente inducendo in errore …… sulla sussistenza dei requisiti di legge per la cedibilità e per l’utilizzabilità degli immobili ottenevano la stipula di tre contratti di compravendita per un valore di £. 300.000.000 ciascuno, integralmente versate dalla parte acquirente che confidava nella validità degli atti in realtà nulli ai sensi dell’art.20 l. n.° 47\85, procurandosi così un ingiusto profitto e cagionando alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante entità; fatto commesso in ……. e accertato il ……..

P.Q.M.

I) visti gli artt. 409 e 549 c.p.p. dispone che il pubblico ministero formuli entro dieci giorni l’imputazione ai sensi dell’art. 552 c.p.p. per i reati previsti dagli artt. come indicato in motivazione nei confronti di ……… ;

II) ordina la comunicazione dell’ordinanza al procuratore generale ai sensi dell’art. 412 c.p.p.;

III) ordina la restituzione degli atti al pubblico ministero.

Latina, lì 8 aprile 2001.

Il Giudice per le indagini preliminari
(Dr. Aldo Morgigni)

Il Cancelliere


Fernando Greco, Udienza camerale e rigetto della richiesta di archiviazione nel rito monocratico a citazione diretta

L’ordinanza del GIP del Tribunale di Latina dell’08.04.2001, che si sottopone a vaglio critico, tenta, in buona sostanza, di ripristinare, questa volta in via di interpretazione, le regole dell’art.554 sostituito, con tutto il libro VIII del CPP, dall’art.44 della legge n.479 del 1999 (c.d.legge Carotti), per affermare, in particolare, che, nei procedimenti per i quali il PM procede a sensi dell’art.552 cpp., non deve fissare l’udienza camerale prevista dall’art.409/2 per l’ emissione dei provvedimenti di cui ai successivi commi quarto e quinto.

A tale fine la decisione ha richiamato il principio, contenuto nella direttiva n.103 dell’art.02 della legge di delega per l’emanazione del nuovo codice, n.81 del 1987, e ribadito da S.U. n.24 del 03.07.1995 e da Corte Cost. n.123 e n.130 del 25.03.1993, secondo il quale la disciplina del processo davanti al pretore deve rispondere a criteri di massima semplificazione, principio ancora applicabile ai procedimenti per i quali è prevista la citazione diretta davanti al tribunale in composizione monocratica, la cui regolamentazione deriva direttamente da quella del procedimento pretorile. Di qui l’inoperatività delle norme incompatibili dell’art.409 cpp., emanate per il procedimento davanti al tribunale collegiale, in virtù della riserva contemplata nell’art.549 cpp. “in quanto applicabili”.

Va subito detto, per trarre elementi sulla deliberata attenuazione del principio di cui alla direttiva ricordata, che nella originaria formulazione del libro VIII non si avvertiva l’esigenza di fare ricorso alla riserva ora detta, giacchè il previgente art.554, espressione attuativa del principio stesso, conteneva apposita disciplina, derogatoria rispetto a quella dettata in via generale, per la fase della archiviazione.

Si può, ora, sostenere che il legislatore del 1999, con la sostituzione dell’intero libro VIII e con la non riproposizione del contenuto dell’art.554 cit., abbia inteso far rivivere le norme particolari di quest’ultimo non più in virtù della prima parte del nuovo (e del vecchio) art.549 (“per tutto ciò che non è previsto nel presente libro”), ma in forza della parte finale (“si osservano le norme contenute nei libri che precedono, in quanto applicabili”)?

La risposta negativa all’interrogativo e gli ulteriori elementi che militano per l’attenuazione del principio di semplificazione emergono, invero, dal processo evolutivo in tale direzione che si coglie nella successione dei diversi provvedimenti legislativi che sono intervenuti nella materia.

Va, infatti, sottolineato che il passaggio dal pretore al tribunale in composizione monocratica, quale articolazione del giudice unico, non è stata operazione indolore neppure per la direttiva in questione: è impensabile che il legislatore, non tanto in sede di normativa sul giudice unico, quanto, soprattutto, in sede di disposizioni sul procedimento davanti al giudice monocratico, abbia potuto fare propria la massima gattopardesca “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.

Se è vero che il provvedimento legislativo sul giudice unico (Dlgs.n.51 del 1998) aveva abrogato la normativa sugli organi giudiziari nel procedimento davanti al giudice monocratico (pm c/o pretura circondariale, gip, pretore del dibattimento); aveva, in ossequio alla direttiva della lett.e) dell’ art.01 della legge delega n.254 del 1997, mantenuto ferme le norme processuali per il procedimento innanzi al pretore (artt.190-199), nonostante l’attribuzione alla cognizione del primo di reati puniti con la pena della reclusione nel massimo fino a venti anni (artt. 33 bis e 33 ter), tuttavia assicurando unica regolamentazione del procedimento; ed aveva confermato, nella sostanza, le disposizioni di attuazione di cui agli artt.155-163 del cpp. (art.213); è altrettanto vero che tale impostazione è stata ribaltata dalla legge n.479 del 1999.

Questa, con il novello libro VIII ha ribadito, con modifiche di non poco conto, l’attribuzione alla cognizione del monocratico di numerosi reati in precedenza di competenza del tribunale vecchia maniera.

Ha, però, affiancato a detti reati altri (omicidio colposo, truffa aggravata, favoreggiamento etc.) in principio di competenza dell’ex pretore.

Ebbene, per tutte queste fattispecie ha espressamente statuito, quanto alla fase successiva alla conclusione delle indagini (richiesta di rinvio a giudizio, udienza preliminare etc.) la disciplina prescritta per il procedimenti davanti al tribunale collegiale (art.550/1-2 per esclusione, art.550/3, art.551).

Nulla ha invece detto per la fase dell’archiviazione, anzi ha eliminato l’originaria attuazione del principio di massima semplificazione (previgente art.554 e relative disp.att.) in via generale, cioè sia riguardo ai procedimenti per i reati innanzi indicati e sia con riferimento a quelli per i reati del nuovo art.550.

Non solo, ha anche eliminato, allo stesso modo, la precedente normativa, sempre manifestazione di quel principio, relativa alla fase delle indagini preliminari (ex artt.551-553).

Trattasi, come si vede, di una modifica complessa che, immediatamente ed espressamente, ha soppresso le norme attuative del principio stesso, andando ad incidere profondamente sulla portata della direttiva n.103 dell’art.02 della legge delega del 1987 e della direttiva della lett.e) dell’art.01 di quella del 1997, nelle quali esso è racchiuso.

Essa, la modifica, rivela con chiarezza la volontà di istituire, per tutti i reati assegnati al tribunale in composizione monoccratica, una disciplina unica sia per la fase delle indagini preliminari che per quella della archiviazione, come si desume anche dalla attuale inesistenza di parametri di riferimento cui attenersi per l’applicazione della riserva “in quanto applicabili”: parametri che, dal punto di vista attuativo, in precedenza non erano costituiti dal principio di massima semplificazione, ma da quelli indicati nel previgente art.554 (il provvedimento de plano era stato, infatti, escogitazione del legislatore delegato e non di quello delegante, che si era limitato a dettare la direttiva senza entrare nei particolari attuativi!).

Altro che dimenticanza o lacuna o difetto di coordinamento della legge n.479/99!

Che sia così è anche dimostrato dal fatto che la riformulazione del libro VIII, è intervenuta anche con riferimento al contenuto dell’abrogato art.554 per salvarne il quarto comma, concernente il deposito del decreto di citazione a giudizio conseguente anche all’imputazione coatta e per trasferirlo, coerentemente con lo spirito della riforma, nell’attuale art.552/4, in tal modo, dunque, svincolandolo dalla procedura semplificata della fase dell’archiviazione.

Va, inoltre, rimarcato che il legislatore del 1999 non abbia potuto non recepire le risultanze del dibattito sul dubbio di legittimità costituzionale pur dopo gli interventi della Consulta ed, in particolare, sulla prospettata disparità di trattamento tra indagato e persona offesa nella fase dell’ archiviazione del procedimento pretorile: si era escluso che l’art.549 potesse consentire di superare il disposto dell’ art.554, che non prevedeva l’udienza camerale per il caso in cui il gip non avesse accolto la richiesta di archiviazione ovvero nel caso di opposizione a tale richiesta della persona offesa. L’impossibilità, dunque, di fare ricorso allo strumento dell’udienza camerale non permetteva all’indagato di interloquire, sia pure a sostegno della richiesta di archiviazione (mentre alla parte offesa era possibile di intervenire con l’opposizione). Di qui la estensione, dovuta anche all’intervento del legislatore costituzionale sul giusto processo, delle garanzie previste dalla normativa dettata, per la fase di archiviazione, per i procedimenti davanti al tribunale collegiale, ed, in particolare, della garanzia del contraddittorio tra tutti i soggetti interessati: pm., indagato, persona offesa). Non trattasi di contraddittorio con il giudice, come pure si è sostenuto nella ordinanza menzionata: la decisione del giudice, sia quando disponga ulteriori indagini che quando imponga l’imputazione, interviene all’esito dell’udienza camerale laddove l’indagato ed il pm. (per quest’ultimo non è escluso il ripensamento), per sostenere l’archiviazione, e la p.o., per contrastarla, possono produrre elementi e fonti di prova utili ai fini della decisione stessa, indipendentemente dalla congruità delle indagini svolte dal pm. e dalla loro qualificazione, nonché dall’ opinione, in un senso o nell’ altro, che ne ha tratto il gip in sede di delibazione prima di detta udienza.

La conclusione è quella che già si è letta altrove, secondo cui “lo schema procedimentale introdotto con l’art.44 della legge 16 dicembre 1999 n.479 presenta quindi tratti di significativa autonomia rispetto a quello già previsto per il Pretore” (Marzaduri, rito monocratico anche senza udienza preliminare, in G.24ore n.01/00, pag.LXXIII).

Un’ultima notazione concerne la presunta violazione del prin-

cipio della ragionevole durata del processo ove si ritenga di estendere alla fase di archiviazione nel procedimento davanti al giudice monocratico le regole dell’art.409 cpp.: sembra, invece, che, dal complesso delle norme costituzionali dell’ art.111 e non, emerga in modo inequivoco che la durata del processo non va valutata in relazione alle garanzie che l’ ordinamento riconosce all’indagato nel corso di esso.

Ariano Irpino, li 24 aprile 2001.

avv. Fernando Greco

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