Tribunale di Firenze, Sezione II Penale, in composizione collegiale,
Ordinanza 6 aprile 2001

Il Tribunale di Firenze, II Sezione penale,

riunito in camera di consiglio nella persona dei seguenti magistrati:
dr. Giovanni De Giorgio - Presidente
dr.ssa Paola Masi - Giudice
dr.ssa Erminia Bagnoli - Giudice

sull'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 500 cpp, come modificato dall'art. 16 della L. n. 63/2001, sollevata dal PM in relazione all'impossibilità di acquisire a seguito di contestazione, e di valutare ai fini di prova, il verbale contenente le sommarie informazioni rese alla PG dal testimone x in data ../../.. ed il cui contenuto non è stato confermato da detto teste durante la sua audizione in pubblica udienza;
ritenuto che la questione di legittimità prospettata appare non manifestamente infondata per i seguenti motivi:

la norma appare palesemente in contrasto con gli artt. 2, 3, 24.1, 25.2 e 101.2 Cost., nella parte in cui preclude al Giudice di valutare, al fine dell'accertamento dei fatti, le dichiarazioni rese dai testi al PM e del quale si è data lettura per le contestazioni. Le garanzie costituzionali dei diritti fondamentali sopra richiamati postulano strumenti giuridici che integrino un giusto processo, ma al contempo non impediscono al Giudice la piena cognizione del fatto reato per l'effettiva attuazione della legge che ha il dovere di applicare. In particolare, la disciplina del procedimento di formazione della prova, per la sua natura strumentale, non può introdurre limitazioni di tale entità da privare di efficacia la legge penale sostanziale, così violando il diritto costituzionale di azione, svuotando la peculiare funzione del giudice penale e, in sostanza, privando di effettiva tutela i diritti inviolabili riconosciuti dalla Costituzione e salvaguardati dalla legge penale.
Pur nel mutato assetto costituzionale, non può non rilevarsi come continui a dispiegare la sua immutata efficacia il principio di "non dispersione dei mezzi di prova" che, come evidenziato nella nota sentenza n. 255/92 C.Cost., deve accompagnare il principio dell'oralità e della formazione della prova nel contraddittorio delle parti, nei casi in cui la stessa non sia compiutamente acquisibile con il metodo orale. Proprio sotto questo profilo la norma impugnata appare palesemente priva di giustificazione, ponendo in essere una irragionevole preclusione alla ricerca della verità.
La norma impugnata, inoltre, appare difficilmente compatibile con il principio del convincimento, inteso come libertà del Giudice di valutare la prova secondo il proprio prudente apprezzamento, con l'obbligo di dare conto in motivazione dei criteri adottati e dei risultati conseguiti, soprattutto laddove impone al Giudice di contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della stessa decisione ... in quanto se la precedente dichiarazione è ritenuta veritiera e perciò stesso sufficiente a stabilire l'inattendibilità del teste nella diversa deposizione resa in dibattimento, risulta chiaramente irrazionale che essa, una volta introdotta nel giudizio ... ed esaminata nel contraddittorio delle parti ... non possa essere utilmente acquisita ala fine della prova dei fatti in essa affermati.
L'attuale norma di cui all'art. 500.2 cpp. a differenza di quanto previsto dal previgente art. 500.4 cpp, prevede che nel caso verificatosi nel presente dibattimento, una "lettura-contestazione" senza acquisizione: le dichiarazioni oggetto di contestazione non possono costituire prova dei fatti in essi affermati, ma solo servire in chiava critica per valutare la credibilità del teste, con l'eventuale effetto di paralizzare l'efficacia probatoria delle dichiarazioni difformi rese al dibattimento. Viene perciò ripristinata la regola di esclusione probatoria che era affermata nell'originaria versione dell'art. 500 cpp, antecedentemente alle modifiche apportate prima dalla sent. C.Cost. n. 255/92, poi dal legislatore con il D.L. 8 giugno 1992 n. 306.
Pare al Tribunale che la nuova disciplina, che opta per una concezione "massimalista" del contraddittorio, pur in un contesto istituzionale rinnovato, non sia immune da quei vizi che la Corte Costituzionale aveva ravvisato nell'originaria formulazione dell'art. 500.3 cpp.
In particolare, nella sent. n. 255/92 sopra citata la Corte rilevò che la previsione dell'originario comma 3 dell'art. 500 cpp (corrispondente a quella del vigente art. 500.2 cpp) appariva irragionevole proprio per il contrasto con i principi della non dispersione della prova e del libero convincimento del Giudice.
Peraltro, non sembra che l'utilizzazione anche a fini probatori delle dichiarazioni lette per le contestazioni si ponga in aperto contrasto con il principio costituzionale di cui all'attuale testo dell'art. 111 Cost., secondo cui "il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova"; infatti, se nel corso dell'esame il testimone rende una dichiarazione difforme dalla precedente, dopo la contestazione sarà sollecitato dalla parte che conduce l'esame a spiegare la contraddizione, le altre parti, in sede di controesame, potranno porre domande su quella discrasia e il Giudice, dopo l'esame delle parti, potrà a sua volta intervenire per chiedere spiegazioni circa quella difformità. Sembra difficilmente contestabile che le dichiarazioni lette per le contestazioni non siano state così assunte "in contraddittorio". La utilizzazione anche a fini probatori delle precedenti dichiarazioni rese dal testimone e lette per la contestazione non urta nemmeno contro il principio secondo cui "la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base delle dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore", per l'ovvia ragione che le dichiarazioni lette per le contestazioni presuppongono l'esame del testimone.
La questione sollevata appare sicuramente rilevante nel presente procedimento:
il teste x ha infatti dichiarato di non ricordare il contenuto della precedente deposizione, resa in sede di indagini preliminari e contestatagli dal PM, in punto di riconoscimento fotografico di alcuni degli odierni imputati.
Si comprende pertanto come, in base al sistema normativo vigente, al Tribunale risulti sostanzialmente precluso l'accertamento in ordine alla avvenuta partecipazione o meno degli odierni imputati ad alcuni dei fatti-reato per i quali oggi si procede, laddove la possibilità di utilizzare anche ai fini probatori la precedente dichiarazione potrebbe dare ulteriori elementi non solo per valutare la credibilità del teste, ma per raggiungere la prova dei fatti affermati.

P.Q.M.

vista la L. 11.3.1953 n. 87,
ritenutane la rilevanza nel presente processo,

dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 500.2 come modificato dall'art. 16 della L. n. 63/2001, nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni lette per la contestazione, e valutate ai fini della credibilità del teste, possano essere acquisite e valutate anche quale prova dei fatti affermati, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24.1, 25.2 e 101.2 Cost.

Sospende il giudizio in corso nei confronti degli imputati e ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale in Roma.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti conseguenti, relativi alla notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, oltre a quanto previsto dalla legge.

Firenze, lì 6.4.2001

[torna alla primapagina]