Tribunale di Prato, in composizione monocratica,
Ordinanza 12 dicembre 2000 (con nota di Carlo Alberto Zaina) (*)

Il TRIBUNALE DI PRATO

 

visti gli atti del processo contro X. X. X. n. a ........ l'11.2.78 in atti detenuto presso la Casa Circondariale di Prato imputato

del reato di cui agli art. 81 cpv CP e 3 n. 8 L. 75/58 per avere, in concorso con Q. Q., favorito e sfruttato la prostituzione di Y. Y. e Z. Z. e, in particolare le accompagnava per strada, rimanendo a controllare per tutto il tempo in cui le donne esercitavano la prostituzione ed aspettandole quando si allontanavano con i clienti, forniva loro preservativi che dovevano, volta per volta, utilizzare con i clienti, riceveva dalle loro mani il denaro, provento dell'attività di prostituzione, facendoselo ciascuno consegnare volta per volta da una delle due donne o da ambedue in caso di momentanea assenza dell'altro;

in Prato quotidianamente tra il 17 ed il 24 luglio 2000, osserva:

X. X. X. è stato tratto, in stato di detenzione, al giudizio del Tribunale per rispondere del reato di cui in epigrafe in forza di decreto di giudizio immediato emesso dal GIP in sede in data 25.8.2000 e notificato all'interessato in data 2.10.2000; il difensore, nei preliminari dell'udienza ed al cospetto dell'interessato, ha chiesto di poter accedere al giudizio abbreviato, sollevando questione di legittimità costituzionale dell'art. 458 c 1 CPP, in relazione agli art. 3 e 111 Cost. quanto alla non congruità del termine previsto per la richiesta di giudizio abbreviato, deducendo che proprio a causa della estrema ristrettezza del citato termine l'imputato, di lingua cinese, in stato di detenzione, impossibilitato ad espremersi adeguatamente, all'epoca assistito da difensore d'ufficio, non sarebbe stato in grado di comprendere ed apprezzare appieno la possibilità, che pure gli era stata indicata nel decreto notificato, di ricorrere al rito alternativo di cui, dunque, lamentava l'impossibilità di celebrazione a fronte della decadenza intervenuta.

Il P.M. ha concluso per il rigetto della questione.

Il Tribunale ritiene che la medesima non sia manifestamente infondata, peraltro con esclusivo riferimento al profilo dell'art. 111 Cost., e che pertanto se ne debba investire codesta Corte emergendo che il giudizio in questione non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione prospettata.

Questo aspetto della causa va focalizzato nei termini che seguono.

Deputato a ricevere istanze di giudizio abbreviato e a celebrare il processo nelle forme conseguenti è il GIP, non il Tribunale. E dunque si può forse sostenere che solo per questo organo giudicante (investito magari della questione con una istanza tardiva di giudizio abbreviato) emerge in modo diretto la condizione di cui all'art. 23 e 2 L. 11.3.53 n. 87; compete infatti solo a quel giudice dichiarare ammissibile o meno la richiesta di giudizio abbreviato e dunque affrontare il problema della manifesta infondatezza, o meno, della questione sollevata; sennonché se al GIP fosse stata presentata una simile istanza, atteso che il processo venne inviato al dibattimento fin dal 6.10.2000, addirittura prima che fosse scaduto il termine in questione, quel giudice si sarebbe travato a trattare la questione senza disporre degli atti e senza neppure poter ottenere dal Tribunale la restituzione del fascicolo. Appare così processualmente corretto che la questione sia sollevata dinanzi al Tribunale ed è consequenziale ritenere che competa al giudice dinanzi al quale si trova la parte che intende sollevare la questione farsi carico della stessa. D'altro canto, come compete al Tribunale restituire gli atti al GIP nella ipotesi della nullità della notifica del decreto di giudizio immediato affinché l'atto sia rinnovato sì da far decorrere nuovamente il termine di cui all'art. 458 CPP, deve ritenersi che analoga procedura si dovrà seguire nel caso di pronunzia di una sentenza dichiarativa della illegittimità costituzionale della norma denunziata.

La questione sollevata risulta già affrontata dalla Corte con la sentenza n. 122 del 1997; la infondatezza è stata articolata, attesi i profili trattati dal giudice remittente, sugli art. 3 e 24 Cost.

A seguito delle modifiche apportate all'art.111 Cost., emergono nuovi aspetti che rendono necessario un ulteriore esame da parte della Corte.

Statuisce il comma 3 del citato articolo che la legge assicura che la persona accusata di un reato disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa.

In via preliminare non sembra discutibile che nella ampia locuzione per preparare la sua difesa debba ritenersi compresa ogni attività di parte destinata a produrre effetti sulla trattazione del processo, vuoi sotto il profilo della indicazione dei mezzi di prova, vuoi nella scelta dei riti alternativi.

Con il ricorso al giudizio abbreviato l'imputato attua una ben precisa strategia difensiva consistente nel rendere disponibili per il giudizio tutte le attività di indagine poste in essere dal P.M. Il materiale probatorio si amplia così in massimo grado ed inoltre si consente che il processo possa vedere l'acquisizione di ulteriori elementi probatori su iniziativa del giudice; in un quadro normativo di tale complessità la scelta del rito senz'altro costituisce uno dei più significativi modi di articolazione della difesa.

Venendo al merito della questione è opportuno ricordare che la sentenza 122 si sofferma sui requisiti che consentono l'emissione del decreto di giudizio immediato per escludere la assimilabilità dei modelli processuali presi in esame dal giudice remittente (art. 458 e art. 555 c l lett e CPP), ma la novità del parametro costituzionale citato e del quadro normativo emergente dalla L. 479/99, consente di prescindere dall'insieme delle considerazioni formulate dalla Corte in quella sede, atteso che non appare affatto determinante accertare se nei due diversi modi di esercizio dell'azione penale si realizza una ingiustificata disparità di trattamento.

Sotto il profilo del diritto di difesa l'esame che la nuova norma costituzionale impone è in parte diverso; il generale principio enunciato dell'art. 24 Cost è stato affiancato da una serie di previsioni, alcune quanto mai specifiche, che postulano una sua tutela più puntuale e dettagliata. Tra le novità vi è quella relativa al tempo necessario alla predisposizione della difesa. Il termine previsto dall'art. 458 c 3 CPP si pone esattemente nel quadro di riferimento costituzionale che si è premesso e la valutazione che deve essere oggi compiuta è quella relativa alla sua congruità, alla sua adeguatezza sotto profili, non già di mera possibilità di esercizio del diritto di difesa, ma di un agevole ricorso agli istituti processuali che il rito pone a disposizione dell'imputato.

In questa prospettiva la preventivabilità della emissione di un decreto di giudizio immediato non sembra possa costituire utile argomento per risolvere la questione nei termini in cui la stessa oggi si propone. Quale che sia la consapevolezza che l'imputato ha della propria posizione processuale, per aver ricevuto una motivata ordinanza cautelare, per aver potuto consultare tutti gli atti sui quali questa si fonda, per aver già avuto contatto con il P.M., è comunque dato dubitare che un termine obbiettivamente esiguo come quello di sette giorni possa essere considerato sufficiente ad articolare una scelta così delicata e definitiva come è quella della richiesta di giudizio abbreviato. Appare indubbio, quale che sia la posizione dell'imputato (detenuto o libero assistito da un difensore di fiducia o d'ufficio, di nazionalità italiana o straniero) che il ristretto termine previsto rende quanto meno disagevole l'esercizio del diritto di difesa; del resto proprio nella sentenza 122 si dà atto che si tratta di un termine breve.

Una simile conclusione è ancor più fondata ove si considerino le profonde modifiche apportate al rito abbreviato dalla L. 479/99 che sopra si sono appena accennate. Per valutare se sia conveniente alla difesa il ricorso al rito speciale, l'imputato deve poter esaminare tutto il contenuto del fascicolo del P.M. e non solo gli atti utilizzati per l'emissione di un provvedimento cautelare. Al termine di questa attività dovrà poi scegliere se presentare una istanza, subordinandola o meno, ad una richiesta di integrazione probatoria. La delicatezza di queste valutazioni emerge ancor più alla luce dei nuovi poteri istruttori assegnati al giudice le cui possibili iniziative di acquisizione probatoria sono previste in termini assai ampi e meritano pertanto di essere adeguatamente ponderate. E dunque anche per queste osservazioni non sembra che la sentenza 122/97 contenga valutazioni utili a far ritenere ancora oggi manifestamente infondata la questione.

P.Q.M.

visto l'art. 23, 3 comma L. 11.3.53 n 87

solleva

questione di legittimità costituzionale dell'art. 458 c l CPP sotto il profilo dell'art. 111 c 2 Cost.

Visto l'art. 23, 4 comma L. 11.3.53 n 87

ordina

la trasmissione della presente ordinanza alla Corte Costituzionale e la notifica della medesima al Presidente del Consiglio dei Ministri.

Si dia comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Sospende il processo.

Data lettura nel corso della pubblica udienza del 12.12.2000 alla presenza dell'imputato e del suo difensore.

Prato 12.12.2000

Il Presidente
Dr. Renzo Dell'anno

(*) Nota del curatore. L'ordinanza e la nota di commento vanno lette con la nuova lettera dell'art. 458, comma 1, c.p.p. così come novellato dall'art. 14, comma 2, l. 63/01 la quale ha innalzato il termine de quo da sette a quindici giorni.

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Carlo Alberto Zaina, La legge 479/99 quale ostacolo alla declaratoria di incostituzionalità del termine di sette giorni in tema di conversione del giudizio immediato in giudizio abbreviato

La sentenza che si annota pone, sotto un nuovo profilo una antica questione.

Il giudizio immediato, infatti, è sempre stato procedimento speciale del codice di rito, caratterizzato negativamente dall’eccessiva compressione dei termini che il legislatore ha riconosciuto all’inquisito ed al suo difensore, per la proposizione di richieste riguardanti l’adozione di riti alternativi al dibattimento, al fine di operare scelte strategiche e decisive per il prosieguo del giudizio.

Va detto che i sette giorni di cui al co. 3° dell’art. 458 c.p.p. sono sempre stati “mal digeriti”, perché hanno sempre costretto i difensori ad impensabili corse contro il tempo per potere giungere alle ricordate precise determinazioni.

Va, altresì, rilevato che l’istituto in esame aveva subito notevoli stravolgimenti, nella pratica, ed attraverso pronunzie giurisprudenziali, atteso che i due requisiti l’uno portato dal co. 1° dell’art. 453 c.p.p., l’evidenza della prova, e l’altro dall’art. 454 co. 1° c.p.p., il termine di novanta giorni dall’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., sono stati disattesi non venendo loro riconosciuto un valore tassativo. [1]

Il giudizio immediato diveniva, pertanto, agli occhi di chi come lo scrivente ha vissuto sia l’esperienza del codice del 1930 e quella del codice del 1988, una sorta di “scimmiottamento” di quel giudizio dibattimentale che veniva celebrato (con il vecchio rito) al termine dell’istruttoria sommaria, propria del P.M..

In pratica, una citazione a giudizio quasi diretta (è ben raro che il G.I.P. disattenda l’istanza del P.M., o verifichi in modo penetrante le condizioni di ammissibilità del rito), adottata anche per fatti notevolmente complessi o concernenti reati particolarmente gravi.

Il dubbio del Tribunale di Prato può, quindi, apparire legittimo, laddove pone l’accento sul disagio derivante da una frettolosa opzione processuale, in relazione all’evoluzione che la L. 479/99 ha operato in tema di giudizio abbreviato.

Condivisibili risultano, quindi, le osservazioni svolte dal Giudice in tema di ampliamento del materiale probatorio utilizzabile per il rito alternativo, che confermano la “sofferenza”, che, spesso sottende alla scelta da effettuarsi.

A parere di chi scrive, però, il ragionamento del remittente avrebbe avuto indiscutibile pregnanza ove si vertesse in ambito precedente all’entrata in vigore della riforma, e cioè se l’emissione del decreto che dispone il giudizio immediato fosse stato il primo vero momento di discovery del materiale raccolto nell’indagine.

In tale ambito la considerazione relativa all’esiguità del termine di sette giorni – secondo l’opinione dello scrivente -, sarebbe certamente fondata e riverberebbe, senza dubbio effetti su di un pronuncia di incostituzionalità della norma secondo i profili prospettati nell’ordinanza di rimessione.

Non può dimenticarsi che, prima dell’entrata in vigore dell’art. 441 co.5°, introdotto recentemente, [2] si poneva sovente la drammatica alternativa tra l’abbreviato “classico” (giudizio allo stato degli atti, ma con possibilità di sconto di pena in caso di condanna) ed il dibattimento, che poteva permettere rivisitazioni del materiale probatorio acquisito in sede di indagine preliminare, ma che non permetteva sconti sanzionatori).

Un esempio tipico era quello di dover valutare, in ambito di processi per sfruttamento della prostituzione, basati su denunce di parti lese, la possibilità di chiedere l’esame delle stesse in dibattimento (con il rischio tutt’altro che remoto di un’assenza delle testi, tale da introdurre il meccanismo delle letture di cui all’art. 512 bis c.p.p.), o limitarsi, nell’ambito del giudizio abbreviato, a criticare sul piano logico deposizioni spesso rese al solo P.M. od alla P.g., quindi, in assenza di contraddittorio.

Ciò premesso, corre l’obbligo di rilevare, preliminarmente, che la questione così come ritenuta e proposta, appare formalmente ammissibile, in quanto risulta del tutto diversa da quelle che hanno formato oggetto di precedenti pronunce della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione [3] .

Come è agevole verificare il Giudice di Prato, infatti, focalizza la presunta sussistenza del contrasto della norma in esame, con la carta costituzionale, solo in relazione all’art. 111, in forza della modifica operata allo stesso dalla L. 23.11.1999 n. 2.

Non viene, infatti, valutato o ritenuto alcun conflitto né con l’art. 3, né con l’art. 24 Cost., che, invece, avevano già formato oggetto di precedente doglianza, peraltro, rigettata.

Ciò posto, però, chi scrive ritiene non condivisibile l’opinione del giudice remittente la questione, perché nessuna violazione dell’art. 111 Cost. si rinviene nell’ambito di una disamina più ampia delle norme che regolano sia la fase conclusiva dell’indagine, che quella successiva del rito in questione.

Si deve, infatti, rilevare positivamente che – come si anticipava più sopra – la riforma portata dalla L. 479/99 ha introdotto un istituto, quello previsto dall’art. 415 bis c.p.p., che arieggia e richiama indiscutibilmente, quella fase che nel codice del 1930, era propria della chiusura dell’istruttoria formale e veniva regolata dall’art. 372 c.p.p. abrog..

Chiunque abbia esercitato prima del 1988, ricorderà perfettamente come prima dell’emissione dell’ordinanza di rinvio a giudizio o della sentenza di proscioglimento del G.I., vi fosse, nei 5 giorni dalla notifica dell’avviso di cui alla citata norma la possibilità per la difesa di estrarre copia degli atti e di presentare memorie.

Or bene, pur con un termine diverso concretante una dilatazione di 20 giorni, e pur in presenza di una fase gestita al 90% dal P.M., fortunatamente si ritorna all’antico, favorendo una discovery anticipata delle risultanze dell’indagine e permettendo ad indagato e difensore di operare una valutazione completa e precisa del materiale raccolto, ed in base al quale il P.M. ritiene di poter iniziare l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio dell’inquisito.

E’, pertanto, evidente che l’istituto di cui all’art. 415 bis c.p.p. venga a rivestire il ruolo di valvola di decompressione del termine di cui al giudizio immediato, permettendo agli interessati di avere un quadro preciso della situazione processuale, in un momento ben anteriore a quello dell’emissione del decreto che dispone il giudizio.

Si possono, così, formulare in anticipo le opportune strategie finalizzate a definire il processo.

A quanto sin qui esposto si oppone l’osservazione del Giudice di Prato in ordine alla non rilevanza del “criterio di prevedibilità dell’emissione del decreto di giudizio immediato”.

L’osservazione, secondo lo scrivente, va disattesa, proprio per le ragioni sopra esposte, che divengono assorbenti rispetto al termine di 7 giorni riguardante la scelta del rito.

Tale termine è certamente esiguo in sé e per sé, ma se, rapportato alla modifica normativa introdotta con l’art. 415 bis c.p.p., non pare più tale da risultare insufficiente a permettere una ponderata scelta processuale, che nei fatti è possibile in un momento precedente.

E che di questa novità il giudice non tenga conto deriva proprio dalla mancata menzione della stessa.

Con l’anticipazione del momento della discovery, alla fase della chiusura delle indagini preliminari e prima dell’emissione di qualsivoglia provvedimento o richiesta di rinvio a giudizio da parte del P.M., la difesa è chiamata ad un rinnovato dovere di valutazione preventiva degli sviluppi che il procedimento andrà ad avere.

In buona sostanza, è del tutto evidente che la difesa è certamente posta nella condizione, diversamente da quanto avveniva ante L. 479/99, di poter ragionevolmente prevedere le ulteriori mosse dell’accusa, e, comunque, con la diligenza che deve connotare l’espletamento del mandato difensivo, non deve, affatto, “consumare” i 7 giorni canonici solo per farsi un’idea della posizione del proprio assistito, compulsando per la prima volta il fascicolo.

Consegue da ciò, quindi, che, a modesto parere di chi scrive, la questione sollevata con l’ordinanza commentata appare non meritevole di accoglimento.

Rimane, secondo la mia opinione, comunque, insoluto il problema nodale dell’uso strumentale di questo rito, della disapplicazione delle sue condizioni di ammissibilità; in sintesi, la necessità che il giudizio immediato venga riformato sostanzialmente, affinché esso non prosegua ad essere un ibrido malamente utilizzato.

- Avv. Carlo Alberto Zaina - gennaio 2001 -

(riproduzione riservata)


[1] L'ammissione del giudizio immediato è sempre insindacabile da parte del giudice del dibattimento. (Nell'occasione la Corte ha precisato che la constatazione della mancanza dell'evidenza della prova non potrebbe mai condurre ad una regressione del processo ad una fase precedente e meno garantita; che la tardività della richiesta del pubblico ministero, per la cui presentazione è previsto un termine non perentorio, non incide né sull'iniziativa nell'esercizio dell'azione penale, né limita i diritti della difesa; e che l'omissione dell'interrogatorio dell'accusato prima della formulazione della richiesta viene in rilievo non quale carenza di un presupposto del rito, bensì in quanto violazione di una norma procedimentale concernente l'intervento dell'imputato, sanzionata di nullità a norma degli art. 178, lettera c, e 180 C.P.P.).

Edita in Arch. nuova proc. pen. 1998, pag. 231; Cass. pen. 1998, pag. 3101; Foro it. 1998, II, pag. 517 con nota di LA SPINA Pierfrancesco; Gazz. giur. Italia Oggi 1998, IV, pag. 48; Giust. pen. 1999, III, pag. 145 con nota di MONARI Silvia; Guida al diritto 1998, pag. 85 con nota di PATALANO Vincenzo; Riv. trim. dir. pen. 1998, pag. 913 con nota di SVAMPA Alfonsina; Vita not. 1998, I, pag. 277

Giurisprudenza correlata

Cass. pen., sez. VI, 14-10-1992, n. 2750 - RV192014

Cass. pen., sez. V, 04-05-1992, n. 5154 - RV190067

Cass. pen., sez. III, 06-05-1993, n. 4631 - RV194705

Cass. pen., sez. I, 27-05-1994, n. 6238 - RV198874

Cass. pen., sez. III, 12-01-1996 (26-09-1995), n. 273 - Pres. Glinni PP - Rel. Fiale A - Pellegrino ed altro - P.M. (Conf.) Ranieri (massima 1) RV203707

Il termine di novanta giorni che il pubblico ministero non può superare per richiedere, in presenza delle altre condizioni previste dalla legge, il giudizio immediato, ha natura tassativa per quanto riguarda il completamento delle indagini, ma ha natura ordinatoria per quanto attiene alla materiale presentazione della richiesta di giudizio immediato. Perciò il PM può legittimamente avanzare la richiesta anche oltre il novantesimo giorno dall'iscrizione della persona nel registro degli indagati, a patto che abbia terminato entro tale termine le indagini, che la prova risulti evidente e che l'indagato sia stato posto in grado di conoscere la contestazione e di difendersi attraverso l'interrogatorio o un suo valido avviso di fissazione.

[2] L’art. 441 co. 5° c.p.p. prevede la condizionabilità del giudizio abbreviato ad integrazioni probatorie, che vengano ritenute necessarie ai fini della decisione.

[3] Confronta in proposito:

a) Corte costituzionale 6 maggio 1997, n. 122  Mejri Marhez e altro, Cass. pen. 1997,2424,2955 nota (D'ORAZI), Giur. cost. 1997,1439 nota (MARINI; PINI), Cons. Stato 1997, II, 788, Dir. pen. e processo 1997, 676, Giust. pen. 1997,I, 403E' infondata la  q.l.c. dell'art. 458 comma  1 c.p.p., sollevata in  riferimento agli art. 3, 24 e 97 cost., nella parte in cui prevede la  decadenza dalla  facolta'  di richiedere il giudizio abbreviato entro il termine di  sette  giorni  dalla notificazione  del decreto di giudizio immediato anche nei  confronti degli imputati ristretti in  carcere, anziche' nel termine di giorni quindici desumibile dall'art.  555  comma 1  lett. e)  dello stesso  codice (la Corte ha ritenuto la  questione   infondata  per la  diversità  delle  situazioni poste  a  raffronto, giacche'  la  durata  del termine  previsto  dall'art. 555  comma  1 lett. e)  c.p.p.,  e' calibrata  non  solo  e non  tanto  in  funzione   di un  generico  favor  per i  riti  alternativi,  quanto,  soprattutto,  in ragione  del  fatto  che il  decreto  di citazione a  giudizio nel procedimento davanti al pretore ben puo’rappresentare e  nella prassi  frequentemente rappresenta - il primo atto dal quale l'imputato viene ad apprendere della esistenza del procedimento a suo carico e della accusa che gli viene mossa).

b) Cass. pen., sez. IV, 23-12-1999 (23-09-1999), n. 14481 - Pres. Losapio Md - Rel. Sepe Pa - Barbato - P.M. (diff.) Favalli M RV215250, LA LEGGE IPSOA

E' manifestamente infondata la eccezione di incostituzionalità dell'art. 458, primo comma, cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui la norma prevede che il termine di sette giorni previsto a pena di decadenza per formulare la richiesta di giudizio abbreviato decorre dalla notifica dell'atto di citazione per il giudizio immediato e non quale termine libero dalla data dell'udienza stessa; e inoltre laddove non prevede che la richiesta di giudizio abbreviato possa essere formulata anche negli atti preliminari alla udienza fissata per il giudizio immediato. Ciò in quanto il termine concesso nel giudizio immediato all'imputato per chiedere il giudizio abbreviato è frutto di una scelta legislativa non irrazionale n' illogica, ma caratterizzata da una interna coerenza con un sistema di giudizi, diversi da quello ordinario, in cui la speditezza è il canone principale nella delimitazione della normativa positiva. E tale scelta è rimessa alla discrezionalità del legislatore anche sotto il profilo della mancata decorrenza del termine di sette giorni quale termine libero dalla data della udienza fissata per il giudizio immediato.

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