Tribunale di Bolzano, in composizione monocratica,
Sentenza 21 gennaio 2001

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI BOLZANO - SEZIONE PENALE

in persona del Giudice:
Dott. Carlo Busato

alla pubblica udienza del 21/11/2000 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento penale n. 127/00 DIB., contro
M.H, nato il xxx a Bolzano, residente a Caldaro, Via xxxx n. xx, elettivamente domiciliato a Caldaro (BZ), Via xxx;
LIBERO PRESENTE

IMPUTATO

del delitto p. e p. dagli artt. 640 bis, 110 c.p., per avere, nella sua qualità di titolare dell'omonima ditta individuale, in concorso con K. K., con artifizi e raggiri, consistiti nella presentazione alla Provincia Autonoma di Bolzano di un preventivo di spesa e di una fattura di acquisto con importi maggiorati forniti dalla società A. s.r.l. di Bolzano, inducendo così in errore l'ente pubblico sull'entità della spesa ammissibile a contributo che veniva pari danno per la Provincia Autonoma di Bolzano.
In particolare per avere presentato la fattura n. 17609 dell' 08.11.1994 emessa dall'A. s.r.l. relativa all'acquisto di un pulmino per l'importo di L. 46.000.000 + IVA, mentre l'effettiva spesa sostenuta era di L. 41.270.000 + IVA, ottenendo in tal modo un indebito vantaggio patrimoniale di almeno L. 473.000. Liquidazione conseguita sul c/c n. xxx aperto presso la Cassa Rurale dell'Oltradige, Filiale di Caldaro s.s.d.v. (BZ) nei 45 giorni successivi all'ordine di liquidazione del 26.01.1996.

Con la partecipazione al dibattimento del Pubblico Ministero e dei difensori di fiducia dell'imputato, avv.ti A. M. e M. M. di Bolzano.
Le parti hanno formulato a chiusura della discussione finale le seguenti

CONCLUSIONI

Del Pubblico Ministero: richiamando le motivazioni di cui alla memoria scritta dd. 13.11.2000, dimessa in atti, chiede respingersi la questione sollevata ai sensi dell'art. 129 cpp dal Giudice in ordine all'applicazione al caso in esame dell'art. 316 ter c.p., introdotto dalla legge 300/2000 e la prosecuzione del dibattimento.
Dei difensori dell'imputato: applicarsi l'art. 316 ter c.p. e conseguentemente assoluzione dell'imputato ex art. 129 c.p.p. perché il fatto non costituisce reato, per evidente mancanza di dolo; in subordine chiede assoluzione dell'imputato perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto d.d. 14.06.2000 il Giudice per l'udienza preliminare rinviava a giudizio M. H. per rispondere del reato di truffa ai danni della Provincia Autonoma di Bolzano (art. 640 bis c.p.), come riportato in rubrica.
In data 21.11.2000, nel corso dell'udienza dibattimentale, previa dichiarazione dell'imputato di scelta della lingua processuale italiana, venivano sentiti i testi indicati dal Pubblico Ministero ed acquisiti vari documenti; quindi il Giudice chiedeva alle parti ai sensi dell'art. 129 cpp, di prendere posizione in ordine all'eventuale applicazione al caso di specie dell'art. 316-ter c.p., introdotto dalla legge n. 300/2000. Ne seguiva discussione sul punto. Ad esito della camera di consiglio veniva data pubblica lettura del dispositivo di sentenza sotto riportato.

CONSIDERAZIONI IN FATTO

Il presente procedimento trae origine da una verifica fiscale cui è stata sottoposta la concessionaria M. B. di Bolzano, società A. S.r.l. e che ha abbracciato l'arco di tempo 1987-1997. Nell'ambito di questa verifica, sui cui esiti ha ampiamente riferito in sede dibattimentale il teste Maresciallo della G.d.F. B., era emersa una prassi singolare: a fronte dell'avvenuta cessione di autoveicoli industriali, la società A. srl emetteva regolari fatture di vendita, seguite poi a distanza di pochi giorni dall'emissione di note di accredito, con le quali venivano parzialmente stornate le precedenti fatture. Tale anomala prassi e soprattutto la relativa frequenza (circa la metà delle vendite di autoveicoli industriali presentava annualmente tale particolare meccanismo) avevano indotto i militari ad approfondire i controlli. Gli esiti erano stati particolarmente interessanti sotto il profilo investigativo: tali operazioni di vendita e successivo storno risultavano infatti collegate a domande di concessione di contributi da parte della Provincia di Bolzano previsti da leggi di sostegno degli investimenti nel settore artigiano.
Relativamente alla posizione dell'odierno imputato, le indagini e l'istruttoria dibattimentale, hanno permesso di accertare quanto segue:
* In data 05.08.1994 M. H. presentava all'ufficio Artigianato della Provincia Autonoma di Bolzano una domanda di contributo per l'acquisto di un autocarro IVECO, secondo quanto previsto dall'art. 2 della L.P. n. 11/1982. Allegava a tale richiesta un preventivo di spesa emesso dalla società S. S.r.l. in data 21.07.1994 per un importo pari a lire 46.000.000.-
* Con delibera della Giunta provinciale n. 8446 d.d. 30.12.1994 la domanda del M. veniva accolta ed a suo favore veniva riconosciuto un contributo nella misura del 10% della somma indicata nel preventivo di spesa, quindi pari a lire 4.600.000.-
* Nel comunicare il positivo accoglimento della domanda, l'amministrazione provinciale faceva presente al M. che la liquidazione dell'importo avrebbe avuto luogo solo dopo l'invio della fattura relativa all'acquisto del veicolo, regolarmente quietanzata.
* Il M., ottemperando alla richiesta, presentava quindi la fattura emessa dall'A. srl, nr. 17.609 d.d. 8.11.1994, con indicazione di saldo, relativamente all'importo sul quale era stato riconosciuto il contributo e cioè lire 46.000.000 Iva esclusa. Tale documento quindi non si riferiva ad un acquisto effettuato presso la concessionaria I. società S. srl, della quale il M. aveva a suo tempo presentato il preventivo, bensì presso l'A. srl di Bolzano e riguardava l'acquisto di un autocarro M. B.. Rilevato peraltro che l'importo pagato era corrispondente a quello originariamente ammesso al contributo e che la tipologia di investimento era assolutamente identica (autocarro M. anziché I.), il contributo di lire 4.600.000.- veniva liquidato con atto del direttore dell'ufficio per l'artigianato di data 26.01.1996.
* In data 17.11.1994, e quindi a pochi giorni di distanza dalla emissione della fattura, l'A. srl emetteva a favore del M. la nota di accredito nr. 18.107, per un importo di lire 4.730.000, oltre ad IVA.
* Di questo storno di una parte della somma precedentemente indicata ed assunta dalla Provincia a base di calcolo per la concessione del contributo, non veniva mai data comunicazione alla Provincia stessa.
* In base alla deposizione del M.llo B. e dall'esame della contabilità della ditta M. (vedi documentazione dimessa dalla difesa con annotazione a mano relativa ad un conteggio che la parte ha riconosciuto per propria) risulta con certezza che l'effettivo prezzo pagato per l'acquisto del veicolo è stato pari alla differenza tra l'importo della fattura (lire 46.000.000 + IVA) e l'importo della nota di accredito (lire 4.730.000 + IVA) e quindi esattamente lire 49.111.300. A margine va per completezza evidenziato che il M. ha pagato all'A. srl, come risulta dalla relativa documentazione anche l'importo di lire 2.990.000 in base alla fattura del 17.11.1994 nr. 18.211 per interessi relativi ad un finanziamento per l'acquisto del veicolo stesso. Di questa spesa relativa alle modalità di pagamento del prezzo non va tenuto conto, oltretutto considerando che il M. non ha presentato alcuna documentazione sul punto alla Provincia.
* Va quindi ritenuto provato che la Provincia, alla quale il M. non ha presentato la nota di accredito (con ciò facendo figurare un costo d'acquisto superiore rispetto a quello effettivamente sostenuto), ha liquidato il contributo prendendo come base di calcolo un importo non corrispondente alla realtà economica e precisamente quello della fattura, falsamente recante una quietanza per il pagamento di un prezzo superiore a quello reale. Mediante la presentazione di questa documentazione falsa la società del M. ha quindi ottenuto un indebito maggiore contributo, indicato in imputazione in lire 473.000 pari al 10% (percentuale dell'investimento ammessa la contributo) sulla somma di cui alla nota di accredito.

VALUTAZIONE CRITICA DELLE PROVE

La ricostruzione dei fatti sopra esposta ha trovato ulteriore significativa conferma nella deposizione, resa ai sensi dell'art. 210 cpp, di P.O., capo vendite dei veicoli commerciali ed industriali presso l'A. S.r.l.,. Il teste ha confermato il frequente utilizzo delle note di accredito da parte dell'A. S.r.l. giustificandole, anche se poco credibilmente vista la sistematicità del meccanismo, con la presenza di specifiche richieste in tal senso da parte dei singoli clienti, comunque sempre in ragione del riconoscimento di sconti particolari rispetto ai prezzi dei preventivi, tutti rigorosamente corrispondenti ai prezzi di listino, ovvero di operazioni di permuta con autoveicoli usati.
Esibitagli la fattura dell'autocarro acquistato dalla società M. e la relativa nota di accredito, il teste P. ha dichiarato di non ricordare nello specifico quel singolo acquisto ma che comunque la nota di accredito doveva riferirsi ad uno sconto concesso dall'A. alla società M..
Le dichiarazioni del P. sono da considerare complessivamente poco credibili sia nella parte in cui egli ha riferito di aver semplicemente accondisceso a specifiche richieste dei clienti che nella parte in cui ha tentato di giustificare l'emissione di una nota di accredito con il riconoscimento di un semplice sconto: infatti la vastità del fenomeno delle note di accredito si può spiegare unicamente con una completa disponibilità dell'A. a predisporre documenti da utilizzare per la presentazione delle domande di contributo con importi "gonfiati", da rettificare poi con le successive note di accredito. Se infatti queste avessero costituito un semplice sconto non vi era alcuna ragione di porre in essere un meccanismo contabile così complicato ed il prezzo scontato sarebbe stato direttamente esposto in fattura come usualmente e notoriamente avviene. Alla scelta dell'A. di operare secondo l'indicato meccanismo non sono probabilmente alieni motivi di politica commerciale, posti in essere per fronteggiare la concorrenza e rendere più appetibile il prodotto venduto, riconoscendo accanto al normale sconto commerciale, anche un supporto documentale per spuntare un maggior contributo da parte della Provincia.
Come dato conclusivo si consideri che l'effettivo pagamento da parte del M. del solo prezzo finale, risultante dopo l'applicazione dello sconto di lire 4.730.000 più IVA di cui alla più volte citata nota di accredito, dimostra inequivocabilmente che dall'origine l'accordo si era formato proprio su quel prezzo e non già su quello indicato in fattura.
Lo sviluppo cronologico dei fatti e le conclusioni che da essi si possono trarre sul piano degli elementi oggettivi, permettono quindi di ritenere sussistente in capo al M. una fattispecie di truffa e/o frode (il cui corretto inquadramento giuridico sarà più oltre affrontato), commessa in danno della Provincia Autonoma di Bolzano. Gli elementi che sostengono questa affermazione sono infatti tutti di natura documentale; la loro concatenazione non lascia spazio a dubbi.
Sotto il profilo soggettivo si osserva che l'esiguità del contributo indebitamente percepito con l'esposto meccanismo, rapportato anche al volume di affari della società del M., possono far sorgere dubbi in ordine alla consapevolezza, da parte dell'imputato dell'illiceità della condotta. Ciò non di meno si rileva che l'anomalia dell'operazione rispetto alla comune prassi commerciale ed il raggiungimento di un accordo su di un prezzo inferiore rispetto a quello indicato in fattura, rendevano estremamente facile la percezione del fatto che la fattura recava una quietanza non corrispondente al vero e che la mancata comunicazione dello storno avrebbe comportato l'erogazione del contributo maggiore del dovuto e quindi indebito.

INQUADRAMENTO GIURIDICO DELLA FATTISPECIE

Si osserva che al momento del rinvio a giudizio dell'imputato, il fatto a lui addebitato ben poteva essere inquadrato nell'ambito dell'art. 640 bis c.p. risultando integrati, sotto il profilo materiale, tutti i relativi presupposti così come stabiliti attraverso il richiamo all'art. 640 c.p.:
* l'artificio e raggiro consistente nella presentazione alla Provincia Autonoma, di documentazione ideologicamente falsa nella parte in cui veniva evidenziata una spesa maggiore di quella effettivamente sostenuta per l'investimento oggetto del contributo, il tutto accompagnato dall'omessa comunicazione dell'esistenza di un documento contabile, attraverso il quale veniva a determinarsi l'effettivo prezzo;
* l'induzione in errore, determinata dalla falsa rappresentazione della realtà, posto che l'ente pubblico ha calcolato e liquidato il contributo sulla base proprio del maggior importo indicato nel preventivo e nella falsa fattura;
* l'ingiusto profitto del beneficiario con conseguente corrispondente danno dell'ente pubblico, legato al maggior contributo indebitamente percepito.
Dopo il rinvio a giudizio ed anzi pochi giorni prima dell'apertura del presente dibattimento (il 26.10.2000) è entrata in vigore la legge nr. 300/2000 che all'art. 4, ha introdotto un nuovo reato rubricato come art. 316 ter del codice penale.
Trattasi della nuova figura di "indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato". La norma in questione al 1° comma punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni: "chiunque mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità Europee"; al 2° comma prevede una semplice sanzione amministrativa, nei casi in cui la somma indebitamente conseguita mediante la condotta delineata al 1° comma sia pari o inferiore a lire 7.745.000.
A prescindere dal considerare la collocazione della nuova norma, tra i reati contro la Pubblica Amministrazione e non contro il patrimonio, rispetto alla quale ben pochi spunti interpretativi sembrano potersi dedurre, si osserva che questo reato, come immediatamente osservato dai primi commentatori, corrisponde per struttura, soggetti passivi, natura dell'indebito profitto conseguito e modalità della condotta, allo specifico caso sanzionato ben più gravemente dall'art. 640 bis c.p.
Infatti al di là delle espressioni usate, non vi è dubbio che l'utilizzo o la presentazione di documenti o dichiarazioni false o attestanti cose non vere, ovvero l'omissione di informazioni dovute, è condotta riconducibile alla casistica, estremamente ampia, degli "artifici e raggiri" di cui all'art. 640 bis c.p. e che la prospettazione di una realtà falsa è comportamento idoneo ad "indurre in errore" il soggetto passivo ed a determinare quindi l'erogazione di un contributo, comunque denominato, che a questo punto si pone come "indebitamente percepito" (ingiustezza del profitto) e fonte "dell'altrui danno". Piena conferma di questa impostazione si ricava dalla lettura della motivazione della pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione 15.3.1996 nr. 2780 (relativa al tema del rapporto tra art. 2 DL 27.10.1986 nr. 701, convertito nella legge 898/86, in materia di frodi comunitarie - norma del tutto simile al nuovo art. 316 ter c.p. e richiamata negli stessi lavori preparatori come modello di ispirazione - e l'art. 640 bis, problema del quale ci si occuperà diffusamente in seguito). Chiariva la Corte in quella pronuncia che " il contrasto < interpretativo > non riguarda certamente la sussistenza o meno, nel reato di cui all'art. 2 L. 898/86, degli estremi "induzione in errore" "ingiusto profitto", "altrui danno" caratteristici del delitto di truffa ma erroneamente ritenuti dall'impugnata sentenza "del tutto assenti dal dettato dell'art. 2..."; laddove invece tale norma sostanzialmente li prevede, essendo evidente che l'esposizione di dati falsi è funzionale all'induzione in errore dell'AIMA e che il conseguimento indebito dei contributi, conseguente all'attività ingannatoria dell'esposizione di dati falsi e all'induzione in errore, costituisce "ingiusto profitto" con danno dell'AIMA."

Posto quindi che le disposizioni di cui al contestato art. 640-bis c. p. ed al nuovo art. 316-ter c.p. sembrano riferirsi allo stesso ambito (e sono pertanto entrambe rilevanti per il caso in esame), occorre stabilire quale sia la regola da adottare per risolvere il conflitto di applicazione.
In particolare occorre accertare in quale rapporto si pongano le due norme e precisamente se operi:
* il criterio di specialità, secondo il quale una norma di carattere generale viene ad avere un'estensione più ampia rispetto alla norma speciale ed il rapporto tra le due è tale per cui, ove la seconda (speciale) mancasse, i casi che vi rientrano sarebbero riconducibili alla prima;
* ovvero di sussidiarietà, che si configura quando l'applicabilità di una norma è subordinata alla non applicazione dell'altra.
Le conseguenze della scelta dell'uno o dell'altro criterio interpretativo sono notevoli: una lettura in chiave di specialità imporrebbe infatti di applicare ad un fatto già previsto dalla legge come reato, la nuova disciplina, considerata più favorevole sia per i limiti di pena edittali che per la previsione di una soglia di punibilità, secondo il meccanismo che regola la successione di leggi penali nel tempo di cui all'art. 2, comma 2° e 3° c.p.; in senso opposto, l'applicazione del criterio della sussidiarietà imporrebbe di continuare ad applicare unicamente l'art. 640 bis c.p. sempre che dello stesso venissero ritenuti sussistere tutti i presupposti
Due sono le osservazioni che immediatamente si pongono:
* a favore dell'adozione del criterio di sussidiarietà depone il chiaro inciso della norma che testualmente prevede: "Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'art. 640 bis cp.p.....";
* a favore dell'adozione del criterio di specialità depone invece il contenuto tipico della norma e la sua interpretazione sistematica alla luce del dibattito sviluppatosi in dottrina ed in giurisprudenza in materia del tutto analoga e precisamente a proposito del rapporto tra l'art. 640 bis c.p. e l'art. 2 del DL 701/1986, successivamente modificato con la legge 19.2.1992 nr. 142, norma.
Un punto va comunque affermato con assoluta certezza: l'eventuale adesione al criterio di sussidiarietà avrebbe come conseguenza la pratica inapplicabilità del nuovo art. 316 ter c.p. e quindi l'assoluta inutilità della sua previsione, considerato che, come già osservato, la condotta ivi prevista rientra certamente nell'area dell'art. 640 bis, e che non sono immaginabili ambiti di autonomia propri al di fuori dell'art. 640 bis c.p. L'unica soluzione che consenta invece di dare una lettura sensata alla nuova norma è quella di ricercarle un ambito di autonomia all'interno dello stesso art. 640 bis c.p., considerando che il legislatore, con conseguenze forse non adeguatamente ponderate, abbia voluto individuare all'interno del reato di truffa o più precisamente nel vasto ambito di possibile estrinsecazione degli artifici e raggiri, una condotta particolare, limitata quanto ad offensività penale e relativa alla "sola" presentazione di documenti falsi o attestanti cose non corrispondenti al vero, ovvero di omissione di informazioni dovute; questo comportamento è stato ritenuto passibile di una sanzione più lieve ed anche, al di sotto di una determinata soglia di indebita percezione, non rientrante nell'ambito penale. Se ciò sia stato fatto ritenendo antieconomica l'applicazione della sanzione penale, con tutti i relativi costi sociali, allorquando il contributo pubblico indebitamente percepito sia di limitato ammontare, è una possibile ragione; ciò che comunque preme evidenziare è la necessità di non considerare inutiliter data una ben precisa norma di legge.
I sostenitori della natura sussidiaria della nuova norma adducono invece, a sostegno della loro tesi, la circostanza che la nuova disposizione risulterebbe costruita appunto sulla falsariga della norma incriminatrice di cui all'art. 2, co. 1° decreto legge n. 701/1986, convertito con legge n. 868/1986, che punisce, salvo che il fatto costituisca il reato di cui all'art. 640 bis c.p. (modifica del 1992), chi "mediante l'esposizione di dati o notizie falsi, consegue indebitamente, per sé o per altri, aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi od altre erogazioni...". Proprio questa norma, che per costruzione letterale richiama molto la nuova fattispecie, è stata effettivamente più volte qualificata dalla Corte Costituzionale come sussidiaria e quindi residuale rispetto al reato di truffa (vedasi Corte Cost. sent. 26.01.1994-10.02.1994, n. 25, Corte Cost. ord. 14.12.1998-23.12.1998, n. 433). Alla prima pronuncia della Corte Costituzionale si è pienamente uniformata la Corte di Cassazione che nella decisione a Sezioni Unite del 15.03.1996, n. 2780 ha ribadito l'adesione del carattere di sussidiarietà
Si osserva che proprio l'attenta lettura del tipo di interpretazione allora fornito dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione, rapportato al contenuto del nuovo art. 316 ter c.p. finisce invece per rappresentare il miglior argomento a sostegno della prevalenza del criterio di specialità.
Nella motivazione delle citata sentenza infatti la Corte, dopo aver affermato che "la norma dell'art. 2 L. 898/86 ha carattere sussidiario e non di specialità rispetto al delitto di truffa aggravata", considerava le ragioni storiche che avevano a suo tempo indotto il legislatore ad introdurla ossia "il supplire all'incertezza giurisprudenziale circa il verificare se il concetto di "artifizi o raggiri" sia integrato anche dalla menzogna pura e semplice e cioè dalla menzogna che, anche senza particolari modalità ingannatorie "aggiuntive", abbia determinato l'errore nel soggetto passivo). Sosteneva inoltre la Corte che "la fattispecie dell'art. 2 cosi' come strutturato - in particolare menzionando soltanto l'esposizione di dati falsi senza aggiungere "o altri artifizi o raggiri" - rivela comunque chiaramente che la norma, nel vastissimo "ventaglio" di artifizi e raggiri, ha enucleato quello di gravita' minore rappresentato dalla semplice "esposizione di dati e notizie falsi" e, soltanto a tale condotta, non accompagnata da ulteriori "malizie" dirette all'induzione in errore del soggetto passivo, ha inteso collegare conseguenze piu' favorevoli in termini sanzionatori di quelle previste per il delitto di truffa. Puo' quindi affermarsi, con Corte Cost. 10/2/94 n. 25 che, anche aderendo alla tesi secondo cui in linea generale il semplice mendacio e' sufficiente ad integrare il delitto di truffa, "... tra gli elementi specializzanti che concorrono a distinguere, all'interno della fattispecie di truffa, l'autonoma figura di reato di cui all'art. 2 L. 898/86, vi sarebbe quindi anche un elemento negativo, costituito dall'assenza di elementi o modalita' ingannevoli diversi e ulteriori rispetto alla mera falsa dichiarazione, si' che, all'inverso, la presenza di questi ultimi determinerebbe, anche qui, la sussistenza del solo reato piu' grave".

La ratio dell'art. 2 del DL 701/1986 è stata quindi chiaramente individuata nell'intento di ovviare a quell'orientamento giurisprudenziale che negava il carattere di artifizio e raggiro riguardo alle semplici "dichiarazioni e notizie mendaci", qualora queste non fossero accompagnate da altri elementi o modalità ingannevoli di spessore tale da configurare gli elementi del più grave delitto di truffa di cui all'art. 640-bis c.p.; attraverso questa norma il legislatore copriva dunque una zona grigia nella quale dubbia era l'applicazione della sanzione penale ed in ogni caso ridotta la gravità della condotta. Per perseguire questo scopo, volutamente il contenuto precettivo dell'art. 2 citato era rimasto estremamente generico, con riferimento "all'esposizione di dati falsi od incompleti".
Orbene questo criterio interpretativo non può più essere adottato per il nuovo art. 316 ter c.p. Infatti la condotta in esso descritta risulta estremamente tipizzata e soprattutto riguarda comportamenti che da sempre sono stati ritenuti integrare il concetto di "artificio o il raggiro". Con la nuova disciplina quindi il risultato ottenuto, al di là delle possibili diverse intenzioni espresse nell'ambito dei lavori preparatori, è stato quello di sottrarre un limitato settore all'area di condotte rientranti nel reato di truffa, definendole e sanzionandole autonomamente nell'ambito della nuova norma, quindi in base ad uno schema del tutto opposto a quello passato ove, per allargare e rafforzare l'area di intervento del reato di truffa, si era deciso di coprire con la sanzione penale una zona altrimenti sprovvista.
Nella sostanza quindi l'apparente veste di sussidiarietà della norma nasconde un contenuto di vera e propria specialità.
Secondo le stesse parole a suo tempo utilizzate dalla Corte di Cassazione, si può infatti sostenere che la nuova fattispecie di cui all'art. 316-ter c.p. isola dal vastissimo ventaglio degli artifizi e raggiri alcune ipotesi, alle quali il legislatore ha collegato, in assenza di elementi e modalità ingannevoli ulteriori e diversi di quelli contenuti nella norma di nuova introduzione, conseguenze meno sfavorevoli in termini sanzionatori di quelle previste per il delitto di truffa ex art. 640-bis c.p..
Ciò posto, si osserva che la corretta impostazione del problema, al di là dell'applicazione di classificazioni schematiche, riguarda il contenuto e soprattutto il diverso spessore della condotta dell'imputato: solo ove questa si sia limitata alla "utilizzazione" e "presentazione" di "dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere", (comportamenti questi che integrano certamente veri e propri artifizi e raggiri, in quanto simulanti una realtà che genera nel soggetto erogatore un convincimento più forte e sicuro di quello delle mere dichiarazioni menzognere) trova applicazione la nuova fattispecie; ove invece la condotta sia connotata da qualche elemento ulteriore, troverà applicazione il reato di truffa.

APPLICAZIONE DELLA FATTISPECIE AL CASO IN ESAME

La condotta posta in essere dal M. integra certamente il nuovo reato di cui all'art. 316-ter c.p.: egli ha infatti ottenuto l'erogazione indebita del contributo "solo" attraverso la presentazione dapprima di un preventivo e poi di una fattura, ideologicamente falsa nella parte in cui veniva attestato, con l'apposizione della quietanza, il pagamento di una somma superiore a quella effettivamente pagata per l'acquisto del veicolo. L'omessa allegazione della successiva nota di accredito, più che ulteriore ed autonoma condotta, ha costituito il mezzo per conservare la falsa rappresentazione della realtà contenuta nella fattura originariamente presentata, sulla base della quale l'amministrazione provinciale ha poi erogato il contributo.
Per quanto si voglia ritenere pianificata e preordinata al conseguimento dell'indebito contributo sia la presentazione del preventivo che quella della fattura, il tutto risulta sempre e comunque riconducibile nell'area degli "artifici e raggiri" di cui al nuovo art. 316 ter c.p. La condotta infatti si esaurisce nella descrizione dell'illecito, tipizzata dalla nuova norma. Solo in ipotesi di evidenza di ulteriori comportamenti sarebbe possibile uscire dal campo del 316 ter c.p. ed entrare in quello della truffa ma ciò nel caso di specie non è dato.
L'ammontare del contributo indebitamente percepito si colloca al di sotto della soglia di punibilità prevista dall'ultimo comma dell'art. 316 ter; ciò comporta che debba farsi luogo a pronuncia di assoluzione del M. non essendo il fatto a lui addebitato e diversamente qualificato da un punto di vista giuridico, come reato. Quanto all'applicazione della sanzione amministrativa si rileva che essa appare possibile, anche con riferimento ad una condotta anteriore all'entrata in vigore della norma che tale sanzione ha ora stabilito, in applicazione di un principio generale in ambito di depenalizzazione del quale sono espressione le disposizioni di cui agli artt. 40 della legge 24.11.1981 nr. 689 e dell'art. 100 del D.L. 507 del 30.12.1999 (attuativo della legge delega 25.6.1999 nr. 205). In entrambe queste norme richiamate infatti è stata espressamente prevista l'applicabilità delle sanzioni amministrative per fatti commessi anteriormente alla relativa entrata in vigore e che configuravano reato, allorquando il procedimento penale non fosse ancora definito con sentenza o con decreto irrevocabile. L'ampiezza della depenalizzazione attuata con le disposizioni indicate fa ritenere che l'enunciato principio possa essere ritenuto applicabile anche ad ipotesi isolate di depenalizzazione con sostituzione di sanzioni amministrative al precedente illecito penale.

P.Q.M.

Visti gli artt. 129 e 530 c.p.p. nonché gli artt. 2 c.p. e 4 della legge 300/2000, previa qualificazione del fatto addebitato all'imputato M. H. nella fattispecie prevista dall'art. 316 ter c.p. introdotto dall'art. 4 della legge 300/2000 ed in particolare nell'ipotesi contemplata al secondo comma di detto articolo, in ragione dell'ammontare del contributo indebitamente percepito

ASSOLVE

M. H. perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato;

DISPONE

trasmettersi gli atti al Commissariato del Governo della Provincia Autonoma di Bolzano per l'applicazione della sanzione amministrativa ai sensi del secondo comma dell'art. 316 ter c.p..
Bolzano, 21/11/2000

IL GIUDICE
Dott. Carlo Busato

Sent. 21/11/2000 Nr.1203/00

[torna alla primapagina]