Tribunale
di Monza, in composizione collegiale,
Sentenza e Ordinanza 30 novembre 2000
Tribunale
di Monza
- sezione penale
-
MOTIVAZIONE di SENTENZA e CONTESTUALE ORDINANZA
Il Tribunale, viste le eccezioni preliminari sollevate dalla difesa
OSSERVA
Quanto alle posizioni processuali dei singoli imputati:
La difesa di T. P. ha eccepito la nullità e/o inesistenza del decreto che dispone il giudizio così come notificato all’imputato in quanto il capo di imputazione ad esso relativo reca a margine l’indicazione “posizione stralciata”. La disamina del citato provvedimento tuttavia consente di rilevare come il nominativo dell’imputato fosse riportato sin dall’inizio al n. 55 nell’elenco dei rinviati a giudizio contenuto nel decreto nonché nella parte dispositiva con cui T. è stato citato a comparire avanti questo Tribunale per la data del 19 ottobre 2000. Sulla scorta di tale premessa risulta evidente come la precisazione operata dal G.U.P., in data 15 settembre 2000 non possa nemmeno qualificarsi quale correzione di errore materiale ma costituisca una mera esplicitazione di un dato processuale già di per sé evidente posto che T. non risulta essere stato prosciolto nel corso delle indagini preliminari (circostanza di cui sia l’imputato che il proprio difensore erano sicuramente consapevoli).
La difesa degli imputati D.L., G. e B. ha prospettato la nullità del decreto che dispone il giudizio in quanto, ai propri assistiti, sarebbe stato notificato un invito a comparire nell’ambito di altro procedimento penale (rubricato al numero 1960/98) diverso da quello che ha portato al rinvio a giudizio degli imputati (rubricato al numero 1622/99 R.G. notizie di reato). L’eccezione è infondata. Dalla disamina dell’invito a comparire prodotto dalla difesa si rileva come l’imputazione su cui gli imputati sono stati chiamati in quella sede a rendere interrogatorio sia esattamente la stessa contenuta nel decreto di rinvio a giudizio. La giurisprudenza, cui questo Tribunale ritiene di aderire, è assolutamente consolidata nel ritenere che il disposto dell’art. 375 del Codice di Procedura Penale possa essere soddisfatto attraverso qualsiasi atto che in concreto consenta all’imputato di esercitare il diritto di difesa con riferimento ai fatti contestati con la richiesta di rinvio a giudizio. Ciò è indubbiamente avvenuto nel caso di specie a prescindere da quello che poteva essere il dato formale costituito dal numero di Ruolo Generale cui era rubricato il procedimento nel corso del quale gli imputati hanno ricevuto la notifica dell’invito a comparire.
Relativamente alla questione sollevata dalla difesa di O. A. relativa alla nullità del decreto che dispone il giudizio per genericità del capo di imputazione deve ritenersi che la lamentela circa la mancata indicazione della data di estrazione non abbia compromesso la possibilità di individuare il fatto contestato e di approntare la difesa. E’ infatti comunque precisamente individuato l’oggetto delle imputazioni consistente nelle giocate di numeri preselezionati, nonché l’ammontare delle vincite illecitamente conseguite e l’arco temporale in cui si sono svolti i fatti. E’ stato d’altra parte più volte affermato dalla Suprema Corte che «La data del commesso reato costituisce un elemento accessorio del fatto, che non incide sul requisito della enunciazione del medesimo e non può quindi determinare la mancanza o incompletezza» (Cassazione 9 dicembre 1993 n. 11304). Deve inoltre ritenersi che il requisito della completezza della enunciazione del fatto vada inteso non in senso assoluto ma con riferimento alle emergenze processuali a disposizione dell’organo dell’accusa. Del pari va respinta la questione di nullità del capo di imputazione sollevata dalla difesa di D. apparendo sufficientemente chiara la condotta allo stesso attribuita, mentre il lamentato mancato approfondimento della natura del rapporto concorsuale con l’imputato De Marco non inficia il completo esercizio del diritto di difesa ed appare afferente più al merito del procedimento che a questione di natura processuale. Ciò anche in conseguenza della circostanza che la difesa ha comunque a disposizione gli atti d’indagine contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero e che la completezza della enunciazione del fatto va valutata alla luce non solo di quanto espressamente enunciato nell’imputazione ma anche in relazione al complesso delle informazioni conosciute dall’imputato (Cassazione 22 giugno 96, n. 6276).
La lamentata genericità dell’indicazione della data del commesso reato con riferimento al capo X, eccepita dalla difesa di B. D., B. G., A. L. e F. A. non importa nullità della citazione posto che l’indicazione della data delle singole estrazioni è chiaramente evincibile dal corpo dell’imputazione laddove vengono indicate le date delle estrazioni “truccate”.
La difesa ha inoltre eccepito la nullità del decreto di citazione emesso nei confronti degli imputati B., C., D.S., D.M., F., Fl. M., M.A., M.L. e P. e M., T.M., T.A. V. per omessa indicazione del “locus commissi delicti”. La circostanza in punto di fatto corrisponde a verità. Tuttavia la giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare in casi analoghi come «In tema di requisiti del decreto di citazione, la mancanza della data e del luogo del commesso reato può costituire vizio di “insufficiente motivazione”, con i seguenti effetti di cui al secondo comma dell’articolo 429 del Codice di Procedura Penale; tale ipotesi è correttamente sussistente e quindi rilevabile ai sensi dell’art. 178 del Codice di Procedura Penale però soltanto quando non sia possibile collocare nel tempo e nello spazio i relativi termini del reato contestato, mentre una indicazione pur sintetica ed essenziale di tali requisiti non può essere produttiva di effetti giuridici caducatori del provvedimento» (Cassazione penale sez. VI, 13 maggio 1999 n. 6044). Nel caso di specie, l’indicazione puntuale delle giocate effettuate dagli imputati sulla ruota di Milano insieme alla lettura del complesso del decreto, che indica i luoghi del commesso reato in Cinisello e Milano, consentivano agli imputati di comprendere che tale poteva considerarsi anche il luogo di commissione del reato.
Altra questione di carattere più generale è stata sollevata dai difensori con riferimento alla ordinanza con la quale il G.I.P. ha dichiarato la contumacia di taluni imputati all’udienza del 25 gennaio 2000. Regola fondamentale della validità degli atti del processo è quella del “tempus regit actum”. All’udienza del 14 dicembre 1999 non si è provveduto a disporre la comunicazione della data di rinvio alle parti non presenti in quanto tale incombente non era previsto dalla normativa processuale previgente in base alla quale doveva ritenersi sufficiente a garantire la presenza degli imputati all’udienza successiva l’avviso dato in udienza (ai sensi dell’art. 148 comma 5° del Codice di Procedura Penale) alla parte o al difensore. Del resto la declaratoria di contumacia non ha pregiudicato ad avviso del Tribunale in concreto l’esercizio di alcuna facoltà connessa al diritto di difesa posto tra l’altro che agli imputati contumaci è stato successivamente notificato il decreto che dispone il giudizio.
La difesa V. ha richiesto l’esclusione della L. perché le giocate erano successive alla condotta della V.. In effetti dal capo di imputazione si rileva che il fatto imputato alla V. è stato commesso il 23 settembre 1995, mentre la L. ha dichiarato di aver giocato tra il 1997 e il 1999. Pertanto la richiesta va accolta. Va invece respinta la richiesta della stessa V., per quanto attiene l'esclusione della N., motivata sulla base di una presunta omessa indicazione del titolo della domanda nei confronti della V.. In realtà dall’atto di costituzione della N. chiaramente si evince come costei abbia, nei confronti dei dipendenti del Ministero delle Finanze agito a titolo contrattuale e nei confronti di chi non fosse dipendente dello stesso Ministero solo a titolo extracontrattuale.
Quanto alla esclusione delle parti civili
Le difese degli imputati V. N., V. N., O. A., D. Gi., B. G., A. L., F. A., G. B., D., G. hanno preliminarmente sollevato la questione relativa all’esclusione delle parti civili Alfa, Beta e Gamma. In particolare viene dedotta la mancanza in capo a detti enti di un diritto soggettivo direttamente attinto dalla condotta dei singoli imputati. L’eccezione ad avviso del Tribunale appare fondata. In realtà dalla disamina degli atti di costituzione dei vari Enti si evince che gli stessi lamentano la lesione dello statuto delle associazioni ed in particolare dell’interesse che negli statuti viene esplicitato come scopo dell’esistenza dell’ente, quale quello alla correttezza, trasparenza, equità nei rapporti contrattuali (atto costituzione Beta) ovvero interesse ed equità nella gestione del gioco del Lotto (atto di costituzione Gamma). L’interesse che viene assunto quale scopo dell’ente e che viene ritenuto leso dalla condotta degli imputati non può essere considerato alla stregua di un diritto soggettivo dell’ente medesimo, né tantomeno di un interesse legittimo, (che è la particolare posizione di vantaggio che alcuni cittadini vantano in relazione a particolari beni della vita, nei confronti della regolarità dell’azione amministrativa che invece può essere lesa da un provvedimento amministrativo). Trattasi invece di un interesse diffuso, di cui l'ente si fa portatore nei confronti dei terzi, ma che non può valere ad attribuire agli enti un autonomo diritto di azione nei confronti degli imputati di condotte quali quelle di truffa ai danni dello Stato non direttamente lesive dei diritti degli associati. A ritenere diversamente se ne dovrebbe concludere che ogni reato che offenda un interesse, la cui tutela sia stata assunta da un ente quale scopo precipuo della sua esistenza, determinerebbe a carico di detto ente un danno non patrimoniale risarcibile e determinerebbe di conseguenza la costituzione di parte civile di qualunque associazione costituita sul territorio nazionale avente finalità di tutela di interessi lesi dal reato. Tale conclusione non può condividersi: il concetto di danno morale risarcibile diventerebbe eccessivamente evanescente, coincidendo con una generica lesione dell’interesse dell’ente al raggiungimento del proprio scopo. Inoltre, se si ammettesse la costituzione di parte civile in base alla semplice interferenza del reato sulle finalità dell’ente, resterebbe privo di operatività lo strumento dell’intervento degli enti ed associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato previsto dall’art. 91 del Codice di Procedura Penale. Peraltro allorché si è ritenuta l’ammissibilità della costituzione di parte civile dei cosiddetti enti o associazioni esponenziali si è affermato che l’interesse diffuso, da essi perseguito, dovesse essere rivolto alla salvaguardia di una situazione storicamente circostanziata con riferimento ai fatti oggetto del procedimento penale e non ad interessi o scopi statutari talmente generici da risultare fungibili in una pluralità indeterminata di situazioni. Neppure può essere desunto un riconoscimento legale del diritto a costituirsi parte civili degli enti in questione dalla recente disciplina introdotta dalla legge 30 luglio 1998 n. 281, la quale, nell’individuare specifici ambiti di azione delle associazioni predette, non prevede la facoltà di costituirsi parte civile nel processo penale e per il resto si limita a consentire a siffatti enti l’esercizio di determinate circoscritte tipologie di azioni (ad esempio le inibitorie). Deve pertanto escludersi l’ammissibilità della costituzione delle parti civili Alfa, Beta e Gamma.
L’eccezione sollevata dalla difesa di V. N. concernente la costituzione di parte civile del Ministero delle Finanze e dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli dello Stato non appare invece fondata. Deve ritenersi infatti evidente in relazione ai reati contestati il richiamo alla sussistenza di un danno nei confronti delle predette amministrazioni sia come danno erariale sia come immagine dell’Ente sia come danno morale. D’altra parte il rinvio operato nell’atto di costituzione ai capi di imputazione appare sufficiente ad enucleare nelle condotte ivi descritte la fonte di danno per la Pubblica Amministrazione.
Quanto all’eccezione sollevata dalla difesa di G. G. circa l’ammissibilità di costituzione di parte civile del Ministero delle Finanze dato il contemporaneo esercizio di azioni per responsabilità contabile è infondata. Infatti la natura dell’azione esercitata nel giudizio contabile e nel giudizio penale è diversa trattandosi nel primo caso di azione di natura contrattuale nei confronti di un dipendente e nell’altro di azioni per responsabilità aquilana. Infatti è noto che nelle ipotesi di danno prodotto dal pubblico agente infedele direttamente al patrimonio del proprio ente sono in astratto esercitabili due distinti azioni: una di responsabilità amministrativa fatta valere dal Pubblico Ministero avanti al Giudice contabile e l’altra civile di danno fatta valere dalla Pubblica Amministrazione dinnanzi al Giudice civile o, se il fatto costituisce reato, attraverso la costituzione di parte civile nel processo penale. In tale contesto, come più volte affermato dal Giudice contabile, l’azione di responsabilità amministrativa è autonoma rispetto all’azione civile di danno anche in ragione della diversa titolarità delle due azioni, l’una intestata al Pubblico Ministero presso la Corte dei Conti, l’altra intestata alla Pubblica Amministrazione danneggiata. Resta fermo che l’eventuale duplicità di singole voci di danno potrà essere ovviata in sede esecutiva.
Deve escludersi l’ammissibilità delle costituzioni delle parti civili nei confronti dei singoli giocatori imputati del reato di truffa per avere puntato somme di denaro su numeri per i quali sapevano l’esistenza di una dolosa predeterminazione altrui. In proposito deve condividersi l’argomentazione sviluppata dal G.U.P.: infatti il montepremi del lotto non è in funzione delle entità delle giocate ma è tale per cui in presenza di una determinata vincita viene liquidato comunque un determinato corrispettivo. Infatti ciascun giocatore incassa una somma multipla di quella puntata sui numeri estratti. Non sussiste pertanto rapporto causale tra la condotta dei soggetti che hanno in tal modo illegittimamente vinto ed il danno subito dai giocatori inconsapevoli dell’illecito meccanismo esistente. Va conseguentemente dichiarata l’esclusione della parte civile Z. Gi. nei confronti di tutti gli imputati ad eccezione di V. M. ed O. C.
Deve essere invece respinta la richiesta di esclusione di tutti coloro (persone fisiche) che si sono costituiti parti civili nei confronti dell’Amministrazione finanziaria e dell’ufficio autonomo Monopoli di Stato. Essi vantano quantomeno un diritto alla restituzione della giocata, che è astrattamente riconducibile all’omesso controllo sulla regolarità del meccanismo del gioco, a prescindere dalla valutazione sulle eventuali chances di vincita. Va appena sottolineato come nessuna norma preveda poi alcuna procura ad hoc per la citazione del responsabile civile da parte del difensore di parte civile, essendo tale facoltà ricompresa nella facoltà di esperire l’azione civile principale.
Quanto alla questione relativa alla validità della costituzione di parte civile da parte dell’Avvocatura dello Stato in difetto di esplicita procura speciale il Tribunale ritiene di non aderire a quell’orientamento giurisprudenziale (Cass. Sez. VI penale 17 giugno 1995 n. 6890) secondo cui la volontà della Pubblica Amministrazione di esercitare nel processo penale la pretesa risarcitoria o restitutoria non può ritenersi implicitamente ricompresa nella riserva “ex lege” all’Avvocatura dello Stato della difesa degli organi statali. Invero la legge istitutiva della Avvocatura dello Stato conferisce alla citata Avvocatura anche poteri di rappresentanza generale pur in assenza di specifico mandato. Ciò significa che secondo le comuni nozioni di carattere civilistico la qualifica di rappresentante legittima a manifestare all’esterno la volontà del rappresentato senza necessità alcuna di ulteriore specifica manifestazione esterna di volontà da parte del rappresentato che venga a riferirsi al singolo caso in esame. Ciò a maggior ragione in considerazione del fatto che la costituzione di parte civile è finalizzata all’esercizio della azione civile nell’ambito del processo penale.
Relativamente alla dedotta incompetenza per territorio:
Per giurisprudenza costante la competenza territoriale a conoscere un reato associativo, che è un reato di natura permanente, si radica nel luogo in cui la struttura associativa, destinata ad operare nel tempo, diventa concretamente operante, a nulla rilevando il luogo di consumazione dei singoli reati oggetto del “pactum sceleris” (Cass. Sez. I 10.12.1997 n. 6933, Cass. 25.11.1996, Cass. 25.11.1992, cass. Sez. un. 4.2.1992). Il reato cioè si consuma nel momento e nel luogo in cui vi è costituzione del vincolo associativo (in tal senso si è pronunciata la Suprema Corte per esempio con riferimento al delitto di banda armata). La costituzione di un’associazione per delinquere non si verifica nel momento in cui avviene l’accordo ma in quello della costituzione di un’organizzazione permanente frutto del concerto, anch’esso a carattere permanente, di intenti e di azione tra gli associati. In tale momento si realizza quel minimum di mantenimento della situazione antigiuridica necessaria alla sussistenza dei delitti di costituzione di associazione a delinquere (Cass. 28.1.1998, Cassl. 19.6.1987). Solo se difetta la prova relativa al luogo ed al momento della costituzione dell’associazione soccorrono criteri sussidiari. Nel caso di specie, secondo l’assunto accusatorio, il luogo di costituzione della condotta criminosa è Cinisello Balsamo, luogo in cui abitava Aliberti e dove tra l’altro aveva sede l’abitazione anche di altri coimputati, e luogo in cui costoro pertanto avevano possibilità o occasione di incontrarsi stabilmente in modo continuativo. Pertanto allo stato degli atti deve ritenersi la competenza dell’Autorità Giudiziaria di Monza in quanto è in Cinisello Balsamo che l’organizzazione ha acquisito, secondo l’accusa, quelle caratteristiche di permanenza e di concretezza da legittimare la contestazione del reato di cui all’art. 416 del Codice Penale.
Con riferimento alla posizione degli imputati unicamente dei reati di truffa aggravata:
Alcuni difensori hanno eccepito l’incompetenza di questa Autorità Giudiziaria negando la sussistenza di alcun vincolo di connessione rilevante ai sensi dell’art. 12 con il reato di cui all’art. 416 indicando quale giudice competente quello in cui si sarebbe consumata la truffa, da individuarsi nel luogo in cui è stata riscossa la vincita ovvero è stato accreditato l’importo vinto.
Secondo un’interpretazione avallata dalla Corte di Cassazione (tra le tante Cassazione Sez. I 25 giugno 1997, da ultimo Cassazione Sez. I 16 luglio 1998 n. 3962), ai fini della configurabilità della cosiddetta connessione di cui all’art. 12 lett. c) è necessario che ricorrano due condizioni e cioè che sussista il nesso teleologico, ovvero di occasionalità tra i due reati, ed inoltre che i reati siano stati realizzati dalla stessa persona.
E’ indubbio che tra i reati di associazione a delinquere di cui al capo A e le truffe asseritamente commesse da persone che, pur non avendo partecipato in alcun modo all’attuazione del meccanismo truffaldino diretto a “pilotare” l’estrazione di numeri preselezionati, hanno tuttavia scommesso somme di danaro su numeri del Lotto in quanto a conoscenza della cosiddetta “prescelta” operata da altri, sussista il vincolo di occasionalità “oggettivo”. Infatti a seguito della modifica introdotta dalla Legge 20 gennaio 1992 n. 8, l’art. 12 lett. c) prevede la connessione per: reati teologicamente connessi; reati connessi per consequenzialità; reati connessi per occasionalità. Pertanto sussiste connessione non solo quando i reati sono commessi per eseguire, occultare, ovvero per conseguire o assicurare al colpevole o ad altri il prezzo, il prodotto o l’impunità, ma anche se realizzati in occasione di questi. Perché sussista l’occasionalità giuridicamente rilevante tra i due reati occorre che la condotta e l’evento successivo nascano dalla particolarità di circostanze simultanee o contestuali al primo accadimento: è necessario quindi un certo grado di collegamento causale tra essi, dal momento che “occasione” è il motivo, il pretesto, l’opportunità, un insieme di fatti che favoriscono il risultato, pur non assurgendo a una causa vera. Deve sussistere tra i reati sia uno stretto rapporto temporale (un nesso cronologico di contemporaneità o di breve distanza), nonché una colleganza non meramente accidentale, cosicché uno possa dirsi occasionato dall’altro e trovare la sua spiegazione nel fatto principale. In sostanza le condizioni create da un reato devono offrirne altrettante utili a favorire la commissione di un altro illecito penale.
Tra i reati in esame sussiste pertanto un rapporto di occasionalità poiché le persone, che hanno partecipato al gioco del Lotto con la consapevolezza che i numeri “puntati sarebbero stati probabilmente estratti in quanto predeterminati dolosamente, hanno commesso tale azione e ne hanno conseguito il conseguente profitto proprio perché ed in quanto sussisteva ed operava un’attività criminosa diretta alla estrazione di numeri preselezionati. L’attività associativa di cui al capo A) ha creato le condizioni utili ed indispensabili affinché i singoli giocatori (accusati unicamente di truffa), venuti a conoscenza del sistema illecito di “preselezione”, scommettessero sui numeri indicati vincendo illegittimamente. Basti rilevare in proposito come tra le modalità realizzative delle truffe e quelle alla base dell’accordo associativo vi sia una sostanziale identità. Sussiste anche il nesso cronologico suindicato poiché la “giocata” era ovviamente in stretto collegamento temporale con la scelta dei numeri e l’estrazione irregolare.
Il Tribunale ritiene tuttavia, contrariamente a quanto deciso dal G.U.P., di aderire a quell’orientamento giurisprudenziale, assolutamente prevalente, con cui si richiede, quale ulteriore requisito per la sussistenza della connessione occasionale, il fatto che i due reati siano ascritti alla medesima persona. Il filone giurisprudenziale (Cassazione Sez. V, 22 settembre 98 n. 10041; Cassazione Sez. VI 13 giugno 98), richiamato dal G.I.P. nella propria ordinanza 9 marzo2000, che non ritiene necessario il requisito della “monosoggettività”, è in realtà assolutamente minoritario rispetto un orientamento della Suprema Corte sviluppatosi sia antecedentemente che successivamente alla sentenza in questione (fra le tante Cassazione Sez. 1 sent. 6226 del 7 dicembre 99 – Cassazione Sez. III sent. 02731 del 7 marzo 2000, udienza 26 novembre 99) con cui si è ribadito che non si verifica spostamento della competenza per connessione prevista dall’art. 12 lett. b) e c) Codice di Procedura Penale, qualora i reati siano stati commessi da soggetti diversi. Infatti in tal caso, mancando l’unità del processo volitivo tra il reato mezzo ed il reato fine, ricorre solo una ipotesi di connessione di natura eventualmente probatoria che non produce lo spostamento di competenza né per materia né per territorio, tanto più che l’interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei procedimenti per reati commessi in continuazione o connessi teleologicamente non può pregiudicare quello del coimputato (o dei coimputati) a non essere sottratto al Giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza. Deve peraltro rilevarsi come fosse onere delle parti che hanno sollevato la relativa eccezione documentare in modo inequivoco il luogo in cui è stato realizzato il profitto conseguente i delitti di truffa in contestazione. Tale onere è stato assolto unicamente dalle difese degli imputati V. N., V. Le. e V. Lo., che hanno prodotto documentazione bancaria comprovante l’incasso delle vincite. I restanti difensori che hanno sollevato l’eccezione non hanno assolto a tale onere probatorio. Pertanto nei confronti dei restanti coimputati del delitto di truffa aggravata trovano comunque applicazione i criteri di cui all’art. 9 del Codice di Procedura Penale e dunque deve ritenersi la competenza di questa Autorità Giudiziaria posto che in Cinisello si è consumata almeno una parte esecutiva del reato di truffa e comunque in Monza ha sede l’ufficio del Pubblico Ministero che per primo ha iscritto la notizia nel registro previsto dall’art. 335 del Codice di Procedura Penale.
Quanto alle richieste di applicazione pena:
Le istanze presentate dagli imputati C. Gi., C. Ra., C. Sa., C. G., C. M. e D.P. M. devono considerarsi inammissibili ai sensi dell’art. 446 del Codice di Procedura Penale così come modificato dalla Legge 479/99 in quanto proposte per la prima volta solo in questa sede. Le restanti richieste devono ritenersi invece ammissibili.
Le considerazioni che precedono hanno ad avviso del Tribunale carattere pregiudiziale ed assorbente rispetto le ulteriori questioni sollevate dalle parti ivi comprese quelle sollevate dal responsabile civile Avvocatura dello Stato con riferimento alla sua vocativo in jus e su cui questo Tribunale ha già deciso all’udienza del 2 novembre u.s.
P. Q. M.
Il Tribunale dispone l’estromissione dal presente procedimento delle parti civili Alfa, Beta, Gamma nonché delle persone fisiche Z. Gi. e L., con riferimento alla posizione degli imputati di truffa quanto a Z. e con riferimento a tutte le posizioni relativamente alla L..
Dichiara la propria incompetenza per territorio con riferimento alle posizioni di V. N., V. Le. e V. Lo. disponendo la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Milano quanto a V. e Brescia quanto a V. Le. e Lo..
Dichiara inammissibili le istanze di applicazione pena avanzate da C. Gi., C. Ra., C. Sa., C. G., C. M. e D.P. M..
Rigetta le ulteriori eccezioni avanzate dalle parti.
Monza 30 novembre 2000
IL PRESIDENTE
( Dott. Ambrogio Ceron.)