Tribunale
di Palermo, Sezione per il Riesame,
Ordinanza 19 giugno 2000
TRIBUNALE
DI PALERMO
Sezione per il
riesame dei provvedimenti
restrittivi della
libertà personale
e dei provvedimenti
di sequestro
Il Tribunale, sezione unica per il riesame, composto dai signori:
Dott. Giuseppe Rizzo |
Presidente |
Dott.ssa Antonella Consiglio |
Giudice |
Dott. Giovanni Tulumello |
Giudice rel. est. |
vista l’istanza di riesame proposta dall’avv. D. A. nell’interesse di B. F. |
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nato a _________ |
il ____________ |
avverso: - il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo il 22 maggio 2000; - l’ordinanza di convalida del sequestro preventivo eseguito dalla P.G. in via di urgenza, emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo il 22 maggio 2000; - il decreto di convalida di sequestro preventivo emesso dal P.M. (Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo) in data 13 maggio 2000; - |
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uditi il giudice relatore ed il difensore dell’istante all’udienza camerale del 19 giugno 2000; |
sciogliendo la riserva assunta all’esito della discussione;
ritenuta la propria competenza territoriale ex art. 324, comma 5, c.p.p.;
esaminati gli atti ritualmente inviati dall’A.G. procedente;
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
1. In data 11 maggio 2000, ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Comando Nucleo Regionale Polizia Tributaria della Guardia di Finanza procedevano al sequestro probatorio di numerosa documentazione rinvenuta presso il Centro di navigazione internet “XXX”, di pertinenza dell’odierno istante, ed al sequestro preventivo delle unità utilizzate per il collegamento internet e di altri beni.
Il Pubblico Ministero, con decreto del 13 maggio 2000, convalidava il sequestro probatorio della documentazione; chiedeva inoltre al Giudice per le indagini preliminari l’emissione dei provvedimenti di cui all’art. 321 cod. proc. pen. in ordine ai beni assoggettati a sequestro preventivo.
Il Giudice per le indagini preliminari, con provvedimento contestuale del 22 maggio 2000 contenente sia l’ordinanza di convalida del sequestro preventivo eseguito d’urgenza dalla polizia giudiziaria (art. 321, comma 3-bis, cpp), sia il decreto di sequestro preventivo (art. 321, primo comma, cod. proc. pen.), con riferimento alle due unità operative centrali e relativi accessori (rigettando invece le richieste del Pubblico Ministero con riferimento al sequestro preventivo dei locali e degli arredi).
La difesa, con l’istanza di riesame che ha introdotto il presente giudizio, ha impugnato sia il decreto di convalida di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero, sia l’ordinanza di convalida del sequestro preventivo (ancorché a questa sia stato attribuito, nell’istanza medesima, il nomen iuris di “decreto”) ed il decreto di sequestro preventivo emessi dal Giudice per le indagini preliminari.
2. Questi ultimi due provvedimenti, epigrafe richiamati, hanno – rispettivamente – disposto e convalidato il sequestro preventivo delle due unità centrali e dei relativi accessori, in presenza delle ipotesi di reato di cui agli artt. 718 e 719 cod. pen. e 4 l. 401/1989.
Sul punto osserva in primo luogo il collegio che ai sensi dell’art 322 cod. proc. pen. oggetto del giudizio di riesame è unicamente il decreto di sequestro emesso dal Giudice per le indagini preliminari: non dunque, l’ordinanza di convalida, né il provvedimento emesso in via di urgenza dal Pubblico Ministero.
Tale limitazione normativa non determina un vuoto di tutela per l’ipotesi di emissione del decreto di sequestro in via di urgenza, poi convalidato con ordinanza: infatti l’art. 321, comma 2-bis, cod. proc. pen., inserendosi in rapporto di coerenza sistematica anche con la richiamata disciplina delle impugnazioni cautelari, stabilisce che in tale fattispecie, analogamente a quanto avviene in materia di misure cautelari personali applicate all’esito del giudizio di convalida del fermo o dell’arresto, oltre al provvedimento di convalida il giudice emetta anche il “decreto previsto dal comma 1” del medesimo art. 321.
La giurisprudenza, sul punto, ha chiarito che “in tema di sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321, comma 3-bis c.p.p., è prevista la richiesta da parte del pubblico ministero al g.i.p. di due provvedimenti: la convalida della misura adottata in via di urgenza dallo stesso p.m. e l’emissione di decreto di sequestro. I due provvedimenti non sono inscindibilmente connessi, essendo possibile che il giudice neghi la convalida, non condividendo le ragioni di urgenza ravvisate dal p.m. e, tuttavia, autonomamente ritenendo i presupposti di legge per l’emissione de decreto di sequestro preventivo, provveda in conseguenza disponendo la misura che prenderà efficacia da quel momento” (Cass., 15 dicembre 1993, Rosato)..
L’ordinanza di convalida del G.I.P. non rientra pertanto nel novero dei provvedimenti impugnabili ex art. 322 cod. proc. pen.
Tale esclusione si spiega in considerazione dell’assenza di un apprezzabile interesse al gravame, posto che la mancata emissione del decreto di sequestro preventivo, pur a seguito della convalida del provvedimento emesso in via di urgenza, determina l’inesistenza di alcuna misura di cautela reale sui beni in questione (in argomento, nel senso della ricostruzione sistematica appena indicata, Cass., 15 dicembre 1993, Rosato: “... è inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione avverso il provvedimento di convalida, in mancanza di impugnazione avverso il decreto del g.i.p. costitutivo del sequestro, in quanto l’impugnazione deve tendere alla rimozione del pregiudizio derivante dall’adozione della misura, mentre il vincolo alla cosa è autonomamente imposto dal provvedimento di sequestro da parte del g.i.p.”).
Viceversa, la convalida contestuale all’emissione del decreto del G.I.P. priva di interesse l’impugnazione del primo provvedimento, essendo il secondo quello che costituisce l’unico titolo cautelare reale.
L’istanza di riesame avverso l’ordinanza di convalida deve essere pertanto dichiarata inammissibile.
Deve peraltro osservarsi che l’ordinanza di convalida emessa dal Giudice per le indagini preliminari potrebbe essere, secondo la giurisprudenza, appellabile ex art. 322-bis cod. proc. pen.: “Il provvedimento di convalida del sequestro preventivo e quello con il quale viene adottata la misura cautelare sono indipendenti ed autonomi, ciascuno soggetto ad uno specifico mezzo di impugnazione: il primo è appellabile ai sensi dell’art. 322-bis, il secondo è riesaminabile ex art. 322 (la S.C. ha osservato che, avendo l’indagato optato per l’impugnazione prevista da tale ultima norma, è improponibile ogni questione - nella specie difetto del requisito dell’urgenza nel sequestro effettuato dalla p.g. - concernente la convalida del sequestro)” (Cass., 13 dicembre 1995, Paione).
Ammessa, pertanto, in linea di principio la sola appellabilità dell’ordinanza di convalida del Giudice per le indagini preliminari, nel caso in esame non può essere praticata la soluzione - improntata al favor impugnationis - di qualificare come appello il gravame interposto dal difensore dell’istante avverso il provvedimento di convalida, atteso che la dichiarazione di impugnazione - priva dei motivi di gravame - è, nella forma e nella sostanza, un’istanza di riesame.
3. Venendo all’esame del merito dell’impugnazione proposta contro il decreto di sequestro preventivo, osserva il collegio che il controllo del giudice del riesame “non può investire in relazione alle misure cautelari reali, la concreta fondatezza di un’accusa, ma deve limitarsi all’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato” (Cass., SS.UU., 25 marzo 1993, Gifuni ).
Deve peraltro essere rilevato che tale approccio ermeneutico non si risolve – semplicisticamente – nella affermazione della sommarietà della cognizione del giudice della cautela, limitata alla mera configurabilità del fatto come reato, priva quindi di ogni reale garanzia sostanziale per l’indagato.
Invero un più attento esame della giurisprudenza delle Sezioni Unite, successiva a quella richiamata nel citato provvedimento, denota come siano stati chiariti i confini del sindacato del fumus commissi delicti nell’ottica della riferita ricostruzione dogmatica: “l’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma deve svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (Cass., SS.UU., 20 novembre 1996, Bassi).
Rileva il collegio che, alla stregua delle risultanze investigative in atti, la astratta qualificazione giuridica dei fatti nello schema delle fattispecie di cui all’art. 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, appare corretta, onde nessun ulteriore rilievo può essere svolto in sede di riesame sotto il profilo del fumus commissi delicti, nel senso precisato.
E’ stato infatti accertato (si veda la comunicazione di notizia di reato in data 26 maggio 2000, in atti) che l’esercizio in questione svolgeva un’attività di raccolta di scommesse, relative ad eventi sportivi (non ricadenti nella previsione di cui al primo comma, secondo periodo, del citato art. 4).
Le quotazioni delle scommesse era determinata dalla società inglese B. Ltd., avente sede legale nel Regno Unito, cui il Centro di navigazione XXX era collegato via Internet.
Presso il detto Centro venivano raccolte le scommesse e pagate le relative vincite.
Ad avviso della difesa, che ha allegato a sostegno della propria memoria alcuni arresti giurisprudenziali, tale attività configura una mera intermediazione, come tale non rientrante nelle condotte di “organizzazione di pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali e giuochi di abilità”, punite ai sensi del primo comma, terzo periodo, del citato art. 4.
Osserva sul punto il collegio che la fattispecie devoluta all’esame di questo
Tribunale è stata qualificata, nei termini ritenuti dal Giudice per le indagini
preliminari, anche dalla giurisprudenza amministrativa, con un orientamento
che il collegio condivide ed al quale si riporta:
“In tema di scommesse, sulla base alla normativa comunitaria, così
come interpretata dalla C. giustizia CEE 24 marzo 1994 C-n 275/92, le autorità
nazionali dispongono di un potere discrezionale, a tutela dei giocatori e
dell'ordine sociale, nel disciplinare le modalità di organizzazione
delle lotterie, il volume delle puntate, la destinazione degli utili e,
soprattutto, nel vietare o limitare tali attività, purché dette
limitazioni non siano discriminatorie. I soggetti italiani che, per conto
di bookmakers britannici, svolgono attività preparatoria alle scommesse
(telefonate, pubblicità), di coordinamento (raccolta delle scommesse,
trasmissione delle stesse all'allibratore straniero) e di pagamento delle puntate,
espletano condotte essenziali per l'organizzazione delle scommesse e per tale
tipo di scommesse è legittimo invocare ragioni di ordine pubblico per
vietare o regolamentare sotto il profilo pubblicistico l'attività.
Il rapporto trilatere che lega il soggetto straniero che gestisce la scommessa,
il cosiddetto intermediatore italiano e lo scommettitore italiano si perfeziona
nel nostro Paese: ne consegue che la vicenda è regolata dalla legislazione
italiana e soggiace ai limiti pubblicistici imposti dalla legge e cioè
al regime autorizzatorio di cui all'art. 88, t.u.p.s. e dall'art. 161, r.d.
6 maggio 1940 n. 635 del relativo regolamento di esecuzione, nonché al
regime sanzionatorio di cui all'art. 4, legge 13 dicembre 1989 n. 401.
L'esercizio di attività di intermediazione, diretta a mettere in contatto, mediante strumenti telematici, scommettitori italiani e bookmaker estero e ad effettuare il pagamento relativo alle puntate vigenti, è assoggettato alla disciplina della legislazione italiana, in quanto si svolge nel territorio nazionale e soggiace ai limiti pubblicistici imposti dalla legge, e cioè al regime autorizzatorio di cui all'art. 88 T.U. 18 giugno 1931 n. 773 e all'art. 161 del relativo regolamento di esecuzione di cui al R.D. 6 maggio 1940 n. 635 nonché al regime sanzionatorio di cui all'art. 4 Legge 13 dicembre 1989 n. 401 e successive modifiche e integrazioni. A norma dell'art. 19 Legge 7 agosto 1990 n. 241, come sostituito dall'art. 2 comma decimo Legge 24 dicembre 1993 n. 537, la formale denuncia di inizio di attività assume il valore dell'esplicita autorizzazione amministrativa solo nei casi in cui il formale rilascio di quest'ultima non è subordinato a positive valutazioni discrezionali della Pubblica amministrazione e dipende esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge; pertanto, nel caso di attività di gestione di scommesse svolta per conto di Società straniera, occorre un atto autorizzatorio esplicito, avuto riguardo alle ragioni di tutela dell'ordine pubblico e della credibilità popolare che sono alla base della specifica disciplina giuridica di cui all'art. 88 T.U. 18 giugno 1931 n. 773 e che impediscono di considerare come attività vincolata quella cui è tenuta l'Amministrazione nel rilascio del titolo abilitativo all'esercizio di scommesse”. (TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per la Toscana, SEZ. 01 SENT. N. 00475 DEL 03/11/1997, Fattori C/ Min. Interno, in Il Foro Amministrativo, 1998, 2175 e ne I T.A.R., 1998, I, 170).
Su posizioni identiche è del resto attestata la giurisprudenza penale:
“La raccolta in territorio italiano di scommesse e giocate concernenti “avvenimenti sportivi esteri" da parte di un allibratore estero, che si avvalga in Italia di un intermediario il quale curi la trasmissione delle puntate giocate al primo, integra gli estremi del reato di cui all'art. 4 Legge 13 dicembre 1989, n. 401.Infatti, il capoverso del primo comma dello stesso art.4 punisce "chiunque partecipi" all'organizzazione di pubbliche scommesse su competizioni di persone o animali e giuochi di abilità ( diverse da quelle specificamente descritte nella prima parte della norma ) "mediante la raccolta di prenotazione di giocate e l'accreditamento delle relative vincite e la promozione e la pubblicità effettuate con qualunque mezzo di diffusione": partecipare all'organizzazione non implica che la stessa , intesa come complesso organico e stabile di persone e di cose, si dispieghi totalmente o prevalentemente in territorio italiano nè che quivi venga posta in essere un'attività costituente "presupposto indefettibile di operatività" dell'organizzazione medesima, ma significa dare, comunque, un contributo efficiente all'attività organizzata, sicché, ed é la stessa previsione legislativa ad affermarlo, la raccolta delle puntate, la riscossione delle poste ed il pagamento delle vincite in territorio nazionale integrano un evidente apporto partecipativo all'organizzazione delle scommesse, frustrando l'interesse fiscale dello Stato all'esercizio in regime di monopolio ed al controllo della gestione di giuochi lucrativi a carattere collettivo” Cass., sez. III pen., sent., 18 giugno 1997 - 26 settembre 1997, P.M. in proc. Papili).
“Anche quando nel territorio italiano si effettui solo una parte dell'organizzazione di pubbliche scommesse, questa parte è soggetta alla legislazione nazionale, sebbene il resto della organizzazione faccia capo a società straniere e sebbene i giochi e le competizioni oggetto delle scommesse si svolgano all'estero. Anche in tale ipotesi, infatti, vanno applicate le norme di cui all'art. 88 TULPS e all'art. 4 legge 401 del 1989; è, quindi, necessaria la cd. licenza di polizia prevista dall'art. 88 TULPS , non acquisibile con la procedura del silenzio assenso. Pertanto l'esercizio senza licenza integra in tali ipotesi la contravvenzione prevista dall'art. 4 lett. c) citato.
Il regime del cd. silenzio assenso non è escluso solo per le attività specificatamente elencate nella tabella allegata al D.P.R. 411 del 1994, ma anche per tutte quelle attività in ordine alle quali non ricorre il presupposto generale per l'applicazione dell' art. 19 della legge 241 del 1990, ovvero allorché l'esercizio di una attività privata sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio degli atti stessi. Tale presupposto non ricorre con riferimento alle licenze di pubblica sicurezza per le scommesse, in quanto l'esercizio delle scommesse non è in via di principio autorizzabile.” (Cass., sez. III penale, sentenza 26 maggio - 1° luglio 1999, De Giulio).
“Il principio di ubiquità accolto dall'art. 6 cod. pen. comporta che quando nel territorio italiano si effettui anche solo una parte della organizzazione di pubbliche scommesse (per esempio solo la raccolta delle puntate), questa parte è soggetta alla legislazione nazionale, sebbene il resto dell'organizzazione faccia capo a società straniere (per esempio la determinazione delle quote e il pagamento delle vincite) e sebbene i giuochi e le competizioni oggetto delle scommesse si svolgano all'estero. Ne consegue che anche in tal caso vanno applicate le norme di cui all'art. 88 t.u.l.p.s. e di cui all'art. 4 legge 13.12.1989 n. 401: sarà quindi necessaria la c.d. licenza di polizia prevista dall'art. 88, non acquisibile con la procedura del silenzio-assenso (Cass., sez. III, sentenza 25 maggio - 29 luglio 1999, Barbati).
A fronte della chiara ed evidente riconduciblità delle condotte accertate a carico dell’indagato - in forza del consolidato ed univoco orientamento giurisprudenziale di cui si è dato conto - alla fattispecie di reato di cui all’art. 4 l. 401/1989, le allegazioni difensive prodotte a sostegno della tesi contraria non offrono argomenti realmente contrastanti con la richiamata esegesi della disposizione incriminatrice.
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con la sentenza del 21 ottobre 1999 in causa C-67/98, Questore di Verona/Zenatti (in Foro It., 2000, IV, 218), non ha fatto altro che confermare, nella sostanza, il precedente orientamento della giurisprudenza comunitaria, posto a fondamento della richiamata sentenza del T.A.R. Toscana, in merito alla legittimità delle restrizioni che possono derivare alla libera prestazione di servizi dalla normativa in materia di scommesse su eventi sportivi.
Ad una attenta lettura si tale sentenza si ricava in primo luogo che essa si occupa di una fattispecie non omogenea a quella in esame, giacché era stato rimessa alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale relativa non già alla subordinazione a provvedimenti autorizzatori dell’esercizio delle scommesse, ma alla “riserva a taluni enti a determinate condizioni” di tale attività.
Tuttavia, sul piano dei princìpi, possono ricavarsi alcune importanti indicazioni comuni, prima fra tutte l’affermazione, da parte della Corte, della natura criminogena dell’attività in questione, e la conseguente necessità di “prevenire il rischio che tale gestione sia diretta a scopi fraudolenti e criminosi”.
Il punto di equilibrio, che rende compatibile la disciplina pubblicistica di controllo e di vincolo alle scommesse con i princìpi comunitari in materia di libera prestazione di servizi, è stato individuato dalla Corte di Giustizia nel fatto che tale disciplina persegua “effettivamente l’obiettivo di un’autentica riduzione delle opportunità di gioco”, e solo come “conseguenza vantaggiosa accessoria” miri anche al “finanziamento di attività sociali”, rimettendo in concreto tale verifica al giudice nazionale.
Orbene, mentre nessuna indicazione in tal senso può ricavarsi dalla ordinanza 21 dicembre 1999 della IV sez. del Consiglio di Stato, prodotta dalla difesa, giacché nella parte motiva di tale provvedimento si è affermato che “la sede cautelare non consente un’approfondita valutazione dei complessi profili di legittimità come sopra delineati”, deve invece rilevarsi come nel diritto interno si riconosca comunemente la rispondenza della normativa in esame al requisito ribadito dalla giurisprudenza comunitaria (si veda in tal senso l’ordinanza n.0520 del 1991 della Corte costituzionale, e la decisione n. 405 del 7 aprile 1993 della IV sez. del Consiglio di Stato: “In sede di esame della domanda di autorizzazione a gestire una sala per l'esercizio delle scommesse sulle corse dei cavalli, ai sensi degli artt. 88 T.U. 18 giugno 1931, n. 773 e art. 161 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635, nonché della Legge 24 marzo 1942, n. 314, l'autorità di pubblica sicurezza non può effettuare valutazioni in ordine alla sussistenza o meno delle esigenze del mercato ed alle eventuali conseguenze negative che questa subirebbe a seguito della apertura dell'agenzia, ma deve effettuare una valutazione che si attenga unicamente alle esigenze relative all'ordine pubblico”).
Si tenga inoltre presente che, nel caso di specie, risulta dagli atti una circostanza che aggiunge - sotto il profilo della autonomia della gestione - un ulteriore elemento, in punto di fatto, alla sussunzione della condotta dell’odierno istante nella fattispecie di reato in esame, giacché nella richiamata comunicazione di notizia di reato del 26 maggio 2000 si è affermato che “... il gestore scaricava dalla rete le quote determinate dalla XXX, proponendo le stesse ai giocatori per poi gestire autonomamente le giocate, raccogliendo le puntate e provvedendo alla distribuzione delle vincite, così come testimoniano le numerose bollette rinvenute all’interno del locale e sottoposte a sequestro. In buona sostanza, presso il citato centro non veniva fornita al giocatore la carta della XXX, necessaria per scommettere correttamente, bensì veniva accettati direttamente la puntata dallo stesso, rilasciandogli un tagliando sul quale venivano scritturati a penna gli eventi scelti, i risultati, gli importi delle giocate e le eventuali vincite”.
Ogni ulteriore considerazione difensiva relativa al merito dell’ipotesi di accusa è irrilevante in questa sede, esulando dall’oggetto del presente procedimento incidentale.
4. Acclarata la possibilità di sussumere i fatti attribuiti all’indagato nella fattispecie di reato indicata, si pone il problema della valutazione della concreta ed attuale necessità del mantenimento della misura cautelare in atto, nel senso che occorre stabilire se la libera disponibilità da parte dell’indagato dei beni sequestrati possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato suddetto.
Il pericolo rilevante ai fini dell’adozione - e della conferma - di un provvedimento di sequestro preventivo “va inteso in senso oggettivo, come probabilità di danno futuro”, connessa alla “effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa” (Cass., sez. I, 26 aprile 1990, Nuovo).
Più precisamente un indirizzo interpretativo al quale il collegio ritiene di aderire afferma che “anche in presenza di un reato istantaneo o di un reato del quale sia cessata la permanenza, è possibile adottare il sequestro della cosa pertinente al reato. Infatti il presupposto richiesto dalla legge - che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati (art. 321, comma 1, c.p.p.) - è concretamente ipotizzabile anche per i reati per i quali sia cessata la condotta o in genere siano perfezionati gli elementi costitutivi. Ciò perché le ‘conseguenze’ che il legislatore intende neutralizzare attraverso il sequestro preventivo non sono identificabili con l’‘evento’ del reato: sicuramente non possono identificarsi con l’evento in senso giuridico, ovverosia con la lesione del bene giuridico tutelato, che in genere cessa col cessare della permanenza; ma neppure sono identificabili tout court con l’evento in senso naturalistico, che integra la consumazione dei reati materiali, perché può darsi il caso che, causato l’evento naturalistico, si possano produrre ulteriori conseguenze antigiuridiche attraverso la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato già consumato” (Cass., sez. II, 13 aprile - 24 settembre 1994, Fiorillo).
Date queste premesse di metodo, è evidente nel caso in esame si tratta di verificare se la libera disponibilità delle cose sequestrate possa aggravare o protrarre le conseguenze dello stesso.
Ad avviso del collegio la risposta non può che essere, in concreto, di segno positivo.
Avuto riguardo ad una valutazione attuale e concreta, la libera disponibilità del bene in capo all’odierno istante determinerebbe uno stato di fatto antigiuridico maggiormente lesivo degli interessi tutelati dall’incriminazione in esame rispetto alla condizione di inerzia garantita dal sequestro.
E’ infatti di palese evidenza che l’organizzazione rilevata dalla polizia giudiziaria evidenzia la presenza non già di un’attività di natura occasionale, bensì di una vera e propria attività professionale, collegata a società estere, che all’atto del sequestro aveva maturato una notevole diffusione (come dimostra la documentazione oggetto di sequestro probatorio), di talché la libera disponibilità dei beni in capo all’indagato determinerebbe una assai probabile protrazione dell’offesa all’interesse tutelato dall’incriminazione, siccome individuato anche dalla richiamata giurisprudenza comunitaria, risiedendo la ratio di tale incriminazione nell’esigenza di limitare l’attività delle scommesse ed i naturali effetti criminogeni della stessa.
Le surriferite considerazioni determinano pertanto la conferma del provvedimento impugnato.
5. Venendo all’esame dell’istanza di riesame avverso il decreto di convalida del sequestro probatorio, giova anzitutto rilevare che il provvedimento di sequestro ex artt. 253, 354 cod. proc. pen. richiede in primo luogo l’esistenza di un’ipotesi di reato.
La giurisprudenza ha chiarito che, sotto questo profilo, è sufficiente la semplice indicazione di un reato astrattamente configurabile (Cass., sez. II, 19 novembre 1990, Di Rocco), rimanendo preclusa, ai fini della valutazione della legittimità del sequestro, ogni indagine circa la concreta esistenza e configurabilità del reato stesso, riservata alla definitiva decisione sul merito (Cass., sez. VI, 9 ottobre 1992, Faccio).
Tale ricostruzione giurisprudenziale limita notevolmente l’indagine di questo collegio in punto di fumus commissi delicti, valutazione quest’ultima propria del riesame dei provvedimenti di sequestro conservativo e di sequestro preventivo, aventi natura (non di mezzi di ricerca della prova, ma) di misure cautelari reali.
Nella fattispecie in esame, peraltro, il profilo suddetto risulta congruamente individuato nel provvedimento di sequestro convalidato dal P.M. con riferimento alle richiamate ipotesi di reato, in ordine alle quali si rinvia alle argomentazioni in precedenza espresse.
L’elemento che deve ulteriormente caratterizzare il provvedimento di sequestro probatorio perché questo possa dirsi legittimo, è dato dalla ragionevole configurabilità dell’oggetto del sequestro come corpo del reato o come cosa pertinente al reato (Cass., sez. III, 30 aprile 1993, Cicognani).
Il provvedimento in esame contiene una espressa qualificazione nel senso che la documentazione sequestrata deve essere sussunta nella categoria delle “cose pertinenti al reato, necessarie per l’accertamento dei fatti”.
L’opzione qualificatoria è peraltro di notevole rilievo sotto il profilo che si sta esaminando, giacché secondo la giurisprudenza di legittimità, che ha composto un precedente contrasto, mentre per il corpo del reato è sufficiente che risulti giustificata tale qualificazione, “senza che occorra specifica motivazione sulla sussistenza nel concreto delle finalità proprie del sequestro probatorio” (Cass., SS. UU., 11 febbraio 1994, Carella), invece tale regime privilegiato non si estende alle cose pertinenti al reato, il cui sequestro probatorio richiede una valutazione di necessità ai fini dell’accertamento del fatto, posto che soltanto il corpo del reato assume una rilevanza probatoria tale da attenuare l’obbligo di motivazione del decreto emesso ai sensi dell’art. 253 cod. proc. pen.
Orbene, correlati i superiori princìpi con le concrete risultanze investigative in atti, non può non osservarsi che i beni sequestrati per il tipo di legame ontologico e strutturale che presentano con le condotte criminose ascritte all’odierno indagato (bollette di scommesse, card prepagata XXX, ricevute di scommesse effettuate), vanno ricompresi nella nozione di “corpo del reato” rilevante nella fattispecie di cui all’art. 253 c.p.p., che è quella in cui “sono ricomprese tutte quelle cose sulle quali o mediante le quali fu commesso il reato o che dello stesso costituiscono l’effetto immediato o che, comunque, possano essere utilizzate per la prova del medesimo” (Cass., 21 maggio 1992, Beitin).
Le surriferite considerazioni determinano pertanto la conferma del provvedimento impugnato.
Segue di diritto la condanna dell’istante al pagamento delle spese relative alla presente fase impugnatoria (Cass., S.U., 5 luglio 1995, Galletto).
P.Q.M.
Visti gli artt. 321, 322, 324 cod. proc. pen.;
Dichiara inammissibile l’istanza di riesame proposta avverso l’ordinanza di convalida emessa dal G.I.P. presso IL Tribunale di Palermo il 22 maggio 2000.
Rigetta l’istanza di riesame proposta avverso il decreto di convalida di sequestro probatorio emesso dal P.M. (Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo) in data 13 maggio 2000, e contro il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo il 22 maggio 2000, confermando i predetti provvedimenti.
Condanna l’istante, in epigrafe generalizzato, al pagamento delle spese relative alla presente fase dell’impugnazione.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di rito.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 19 giugno 2000.
Il Giudice estensore Il Presidente