Tribunale di Asti, in composizione monocratica,
Ordinanza 13 novembre 2000

TRIBUNALE DI ASTI

Ordinanza

- (art. 23 l. 87/53) -

Il Tribunale di Asti in composizione monocratica nella persona del giudice dott. Federico Manotti,

vista l’ordinanza ex art. 23 legge 87/53 emessa da questo stesso Ufficio in data 24/9/99 che si riporta di seguito integralmente:

"vista l’istanza con cui il P.M. all’odierna udienza ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 511 comma 2 del c.p.p., così come interpretato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 15/1/99, n. 1 – ric. Iannasso), in relazione agli artt. 3, 25 e 101 della Costituzione.

Ritenuta la rilevanza della questione sollevata dal P.M. atteso che nell’ambito del presente dibattimento, come consta dal p.v. dell’odierna udienza:

è stata disposta, ex art. 525 comma 2 c.p.p., la rinnovazione del dibattimento a seguito del mutamento della persona del Giudice monocratico in quanto innanzi al primo Giudice (rectius Pretore) si era svolta attività istruttoria (esame testi);

la Difesa ha chiesto un nuovo esame dei dichiaranti già sentiti non prestando in ogni caso il consenso alla lettura dei verbali contenenti le menzionate testimonianze.

Secondo il "diritto vivente", cristallizzato nella citata pronuncia della Suprema Corte, alla luce della richiesta della Difesa, non potrebbero essere utilizzate, mediante "la semplice" lettura, le testimonianze raccolte dal precedente Giudice (rectius Pretore) e contenute nei relativi verbali già inseriti nel fascicolo del dibattimento.

La questione sollevata dal P.M. non è manifestamente infondata e deve anzi essere condivisa per i motivi che seguono.

In primo luogo è opportuno ricordare che l’art. 511 c.p.p., dopo aver stabilito nel comma 1 che "il giudice, anche di ufficio, dispone che sia data lettura, integrale o parziale, degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento", recita al comma 2: "la lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l’esame della persona che le ha rese, a meno che l’esame non abbia luogo".

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1 del 15/1/99, hanno sancito il seguente principio di diritto: "nel caso di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, la testimonianza raccolta dal primo giudice non è utilizzabile per la decisione mediante semplice lettura, senza ripetere l’esame del dichiarante, quando questo possa avere luogo e sia richiesto da una delle parti".

Dalla lettura della norma non pare, contrariamente al principio enucleato dalla Cassazione, che il legislatore abbia voluto limitare la lettura dei verbali di dichiarazioni ai soli casi di irripetibilità della prova e quindi di impossibilità di nuovo esame (nel qual caso avrebbe detto "a meno che l’esame non possa avere luogo"), né tantomeno ancorare tale utilizzabilità "de plano" ad un consenso - di cui non si trova traccia nella norma - delle parti.

Ritiene questo Giudice, conformemente al P.M. istante, che se è vero che i principi di oralità e di formazione della prova in dibattimento costituiscono istanze fondanti dell’impianto del nuovo codice, è parimenti vero che tali principi non possono essere considerati isolatamente, né assolutizzati. Infatti, come ha avuto modo di puntualizzare la Corte Costituzionale, l’oralità non rappresenta il veicolo esclusivo di formazione della prova nel dibattimento, non è regola assoluta, bensì criterio – guida del nuovo processo (cfr. sent. n. 255 del 3/6/92), dovendo tali principi essere sviluppati e coordinati con quelli pariordinati di non dispersione dei mezzi di prova, ossia non sarà lecito non utilizzare materiale probatorio legittimamente e correttamente acquisito, in quanto ciò sarebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza. Per la Consulta il bene dell’efficienza del processo, enucleabile dai principi costituzionali che regolano l’esercizio della funzione giurisdizionale (artt. 25, comma 1 e 101 comma 2 Cost.), coincide con la necessaria attitudine del sistema processuale a conseguire attraverso opportuni meccanismi normativi idonei allo scopo, l’accertamento dei fatti e delle responsabilità; se tali meccanismi espongono a rischio la stessa possibilità di svolgimento e di conclusione del processo non possono non ritenersi in contrasto con i principi costituzionali che presiedono al buon funzionamento della giurisdizione. La circostanza poi che l’oralità non sia il veicolo esclusivo di formazione della prova ma criterio – guida del nuovo processo, non confligge affatto con il principio del contraddittorio, la cui essenza sta nella conoscibilità delle parti degli elementi probatori e nella corretta acquisizione degli stessi.

La stessa Corte Costituzionale del resto ha avuto modo di occuparsi della disciplina relativa alla valenza probatoria degli atti istruttori assunti in dibattimento nel caso di mutamento della persona fisica del giudicante. Anzitutto il giudice delle leggi ha rilevato che nei casi in cui è necessario procedere alla rinnovazione del dibattimento non si produce alcun annullamento dell’attività istruttoria compiuta, dovendosi quindi ritenere che le dichiarazioni rese dai testi già esaminati dinanzi al precedente organo giudicante, contenute nei verbali dibattimentali relativi alle udienze precedenti fanno legittimamente parte del fascicolo del dibattimento (cfr. sent. n. 101 del 19/3/93). Ed ancora, più in particolare, nel dichiarare l’infondatezza della eccepita incostituzionalità degli artt. 238 e 512 c.p.p., la Corte ha statuito che gli atti contenenti dette dichiarazioni possono essere acquisiti mediante lettura od indicazione sostitutiva ai sensi dell’art. 511 c.p.p., potendosi prescindere dal previo esame del dichiarante, quale presupposto per l’acquisizione mediante lettura delle relative dichiarazioni, in tutti i casi in cui l’esame stesso non abbia luogo. (cfr. sent. n. 17 del 3/2/94). Quest’ultima pronuncia è stata confermata, con riguardo al caso di attività istruttoria compiuta da giudice successivamente dichiarato incompatibile, avendo la Corte nell’occasione ribadito che la disciplina relativa alla utilizzabilità dei verbali di mezzi di prova assunti in una precedente fase dibattimentale da un diverso giudice va rinvenuta proprio nell’art. 511 c.p.p. dato che i verbali fanno parte del fascicolo del dibattimento a disposizione del nuovo giudice, e che la pregressa fase dibattimentale conserva indubbiamente il carattere di attività legittimamente compiuta, restando salva nel caso di specie la distinta regola di cui all’art. 42 c.p.p. secondo la quale con il provvedimento che accoglie l’istanza di astensione o ricusazione viene dichiarato se e in quale parte mantengono validità gli atti compiuti (cfr. ord. n. 99 del 3/4/96).

Per quanto concerne poi il riferimento della sentenza delle Sezioni Unite al "consenso delle parti" deve rilevarsi che, se la mancanza di ripetizione degli atti di istruzione dibattimentale dinanzi al nuovo giudicante integra violazione del principio di cui al comma 2 dell’art. 525 del c.p.p., la correlativa nullità – assoluta ed insanabile a norma del comma 2 dell’art. 179 c.p.p. – non potrebbe certamente essere superata dal consenso delle parti. Se invece è consentito prescindere dal previo esame dei testi già escussi, per la utilizzabilità ai fini del decidere delle relative dichiarazioni, l’eventuale dissenso delle parti non può comunque costituire impedimento alla legittima acquisizione del materiale probatorio precedentemente formatosi, utilizzabile quindi per la formazione del libero convincimento del giudice a norma degli artt. 192 comma 1 e 526 del c.p.p..

In particolare le dichiarazioni di cui si discute presentano alcune peculiarità: infatti non sono state rese nelle indagini preliminari, e neppure in sede di incidente probatorio, o in altro procedimento, e quindi poi acquisite nel dibattimento, ma direttamente assunte in questo pubblico dibattimento, nel contraddittorio delle diverse parti, nell’ambito dello stesso processo penale, e pertanto esse risultano, già dall’inizio, legittimamente formate nel medesimo dibattimento.

Né dall’avvenuto mutamento del giudicante può dedursi una – sopravvenuta – inutilizzabilità, piena o parziale, di tali dichiarazioni. Contro tale soluzione militano diversi argomenti.

Anche in tema di prove assunte dinanzi al giudice incompetente, l’art. 26 c.p.p. – espressione del generale principio di conservazione degli atti processuali – precisa che dette prove mantengono la propria efficacia, limitando poi l’utilizzabilità delle dichiarazioni, qualora rese al giudice incompetente, per materia, soltanto nell’udienza preliminare e, nel dibattimento, per le sole contestazioni ai sensi degli artt. 500 e 503. Conseguentemente se si tratta di prove acquisite davanti a giudice incompetente per profili diversi dalla materia tale utilizzabilità dibattimentale sarà piena.

In termini ancora più chiari, il d.lg. 19/2/98 n. 51, all’art. 170 ha introdotto una norma – art. 33 nonies – secondo la quale "l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non determina …l’inutilizzabilità delle prove già acquisite" (ovviamente dinanzi a giudice diverso, in tal caso anche nella sua composizione).

Da ciò consegue che, se in tali condizioni le prove, anche dichiarative, acquisite dinanzi a precedente organo giudicante – non competente ovvero cui comunque non era attribuita la cognizione del reato – sono pienamente utilizzabili nella prosecuzione del processo (innanzi al differente giudice territorialmente competente ovvero al medesimo giudice nella sua corretta composizione, collegiale o monocratica, e quindi diverso nei suoi componenti), a maggior ragione, le prove assunte dinanzi al precedente giudice, ovviamente competente, ed in relazione allo stesso processo, non possono essere sottoposte ad un regime che ne comporti una minore utilizzabilità.

Inoltre il codice contempla espressamente ipotesi di atti probatori assunti nell’ambito del medesimo processo con le formalità del dibattimento dinanzi a giudice diverso e pienamente utilizzabili in sede dibattimentale.

Ci si riferisce alla disciplina dell’incidente probatorio, fase anticipata del dibattimento, deputata all’assunzione di prove che, nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla relativa assunzione, sono pienamente utilizzabili nel successivo dibattimento.

Se così è non sembra davvero ragionevole e conforme al principio di eguaglianza (oltrechè a quello dell’efficienza del processo) la conclusione a cui giunge "il diritto vivente" della Corte di Cassazione allorchè ritiene che le prove assunte, non già in una fase anticipata del dibattimento ovvero in differente procedimento, ma proprio in dibattimento, divengano inutilizzabili – salvo impossibilità di ripetizione o consenso delle parti – se non previo nuovo esame del dichiarante.

Al contrario, a parere dello scrivente, una interpretazione conforme ai menzionati principi porta a ritenere che non sia necessario, in linea assoluta, disporre la ripetizione degli atti istruttori già compiuti né che ciò sia comunque subordinato al consenso delle parti. Da tale conclusione non deriva certo che sia in ogni caso vietato procedere a nuova assunzione dei mezzi di prova. Tuttavia, esclusa la rilevanza dell’eventuale dissenso delle parti sulla utilizzabilità degli atti, il presupposto per valutare la necessità di tale ripetizione dovrebbe essere rinvenuto nei principi generali in tema di prova. A norma dell’art. 190 c.p.p. le prove sono ammesse a richiesta di parte, potendo il giudice escludere – oltre ovviamente a quelle vietate dalle legge – soltanto quelle manifestamente superflue o irrilevanti e sussistendo un potere di ammissione delle prove ex officio quando ciò sia assolutamente necessario per la decisione (art. 507 c.p.p.). Pertanto, di fronte al materiale probatorio già legittimamente formatosi, resta fermo il diritto delle parti – disposta la rinnovazione del dibattimento con dichiarazione di apertura dello stesso e nuova richiesta di mezzi di prova – di chiedere un nuovo esame dei testi già sentiti. Tale richiesta dovrà essere valutata dal giudice, sotto il profilo della rilevanza e della non manifesta superfluità, ferma restando, qualora le parti non formulino richieste in tal senso, la possibile attivazione dei poteri ex officio ai sensi dell’art. 507 c.p.p.. Del resto tale opzione interpretativa è confortata dalla disciplina codicistica in tema di acquisizione di verbali di prove di altro procedimento. In merito infatti è sempre ammessa l’acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale, se si tratta di prove assunte nell’incidente probatorio ovvero nel dibattimento (art. 238 comma 1 c.p.p.), fermo restando il diritto delle parti di ottenere, a norma dell’art. 190 c.p.p., l’esame delle persone le cui dichiarazioni sono state già acquisite (art. 238 comma 4 c.p.p.). Quindi anche in tema di prove assunte in altro processo, e quindi in una situazione per le parti di minore garanzia rispetto a quella, massima, relativa a prove assunte, in contraddittorio tra le stesse, nel medesimo processo dinanzi a diverso giudice del dibattimento, la richiesta di nuovo esame del dichiarante deve passare attraverso il filtro della rilevanza e della non manifesta superfluità. Ecco quindi che l’art. 511 comma 2 c.p.p. viene ad assumere una funzione che, ben lungi dall’imporre la nuova audizione del dichiarante, è finalizzata a disciplinare nel concreto le modalità della eventuale escussione, evitando che la previa lettura possa pregiudicare la genuinità delle nuove dichiarazioni. Per questo si è stabilito l’ordine temporale esame – lettura che ovviamente non impedisce affatto, alla luce delle argomentazioni svolte, che la lettura sostituisca una (pur possibile) escussione ritenuta dal giudice irrilevante o manifestamente superflua.

L’interpretazione ora suggerita, oltre che ragionevole e coerente con il dettato normativo, consentirebbe, da un lato, di coordinare il principio di oralità con quelli, pariordinati, di non dispersione del materiale probatorio legittimamente acquisito, di semplificazione del processo e di piena cognizione del fatto reato, dall’altro di porre il processo penale al riparo da quelle condotte processuali meramente dilatorie il cui unico scopo è quello di conseguire ingiuste impunità attraverso l’istituto della prescrizione del reato.

In conclusione quindi devono condividersi i dubbi di costituzionalità sollevati dal P.M. in ordine all’art. 511 comma 2 del c.p.p., laddove, secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, dispone, in linea assoluta, la ripetizione degli atti istruttori già compiuti.

P.Q.M.

Visto l’art. 23 legge 87/53,

ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata dal P.M., dell’art. 511 comma 2 del c.p.p., così come interpretato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 15/1/99, n. 1 – ric. Iannasso), in relazione agli artt. 3, 25 e 101 della Costituzione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il presente giudizio.

Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento".

Vista l’ordinanza n. 307 dell’11/7/2000 (dep. il 19/7/2000) con cui la Corte Costituzionale ha disposto la restituzione degli atti al Tribunale di Asti per un nuovo esame della questione in quanto la stessa "investe il principio del contraddittorio nella formazione della prova, la cui disciplina, successivamente all’ordinanza di rimessione, è stata oggetto delle modifiche introdotte nell’art. 111 Cost. dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (inserimento dei principi del giusto processo nell’art. 111 della Costituzione), cui hanno fatto seguito le norme transitorie contenute nel decreto-legge 7 gennaio 2000 n. 2 (Disposizioni urgenti per l’attuazione dell’art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 in materia di giusto processo), convertito dalla legge 25 febbraio 2000 n. 35".

Sentiti, all’odierna udienza, il P.M. e la Difesa che hanno, rispettivamente, insistito nella eccezione di costituzionalità evidenziando l’ulteriore profilo della ragionevole durata del processo e chiesto una declaratoria di manifesta infondatezza della questione;

ritenuto che anche alla luce delle modifiche introdotte nell’art. 111 della Costituzione dalla legge costituzionale n. 2 del 1999 la questione già sollevata da questo Ufficio in data 24/9/99 sia, oltre che rilevante (vedi sopra), tuttora non manifestamente infondata in quanto nel caso di specie le testimonianze contenute nei pp.vv. di udienza sono state pacificamente assunte in dibattimento e quindi nella pienezza del contraddittorio tra le parti; come già evidenziato nel corpo dell’ordinanza di rimessione, a parere dello scrivente, è ininfluente che le prove in questione siano state assunte da un giudice-persona fisica diversa da quello che, mediante "semplice" lettura (laddove la richiesta di nuovo esame del teste già escusso avanzata dalla Difesa sia valutata dal Giudice manifestamente superflua ex art. 190 c.p.p.), le farà proprie e le utilizzerà per la decisione. Ne consegue che resta ferma la censura di costituzionalità all’art. 511 comma 2 del c.p.p. nella parte in cui, secondo la riferita interpretazione delle Sezioni Unite, prevede che il giudice, a fronte di una istanza di parte con la quale si chiede la rinnovazione dell’esame dei testimoni già escussi nello stesso procedimento davanti a giudice-persona fisica diversa, deve disporre la ripetizione degli atti già compiuti non potendo valutare la irrilevanza o manifesta superfluità del mezzo istruttorio richiesto. Anzi, come lucidamente evidenziato dal P.M. all’odierna udienza, il "diritto vivente" della Corte di Cassazione (va rimarcato che tutte le sentenze delle sezioni semplici della Suprema Corte successive alla sentenza delle sezioni unite che qui si critica si sono uniformate al principio di diritto affermato da quest’ultima), imponendo in via assoluta la ripetizione degli atti già compiuti e legittimamente inseriti nel fascicolo del dibattimento si pone in contrasto con il principio, pure introdotto dalla novella costituzionale n. 2/99 nell’art. 111 della Costituzione, della "ragionevole durata" del processo in quanto comporta come evidente conseguenza l’ingiustificata dilatazione dei tempi processuali, circostanza quest’ultima che inevitabilmente inciderebbe, nel caso di specie, sulla memoria dei dichiaranti a tutto discapito del buon funzionamento del diritto alla prova;

ritenuto pertanto che, riesaminata la questione, deve nuovamente eccepirsi la illegittimità costituzionale dell’art. 511 comma 2 del c.p.p., così come interpretato dal "diritto vivente" della Corte di Cassazione, negli stessi termini di cui alla precedente ordinanza sopra integralmente riportata con l’ulteriore precisazione che tale interpretazione si pone in contrasto anche con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo formalizzato nell’art. 111 comma 2 della Costituzione;

P.Q.M.

Visto l’art. 23 legge 87/53,

ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata dal P.M., dell’art. 511 comma 2 del c.p.p., così come interpretato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 15/1/99, n. 1 – ric. Iannasso), in relazione agli artt. 3, 25, 101 e 111 della Costituzione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il presente giudizio.

Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Asti, 13 novembre 2000.

Il Giudice

(dott. Federico Manotti)

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