Tribunale di Oristano, Sez. dist. di Macomer, in composizione monocratica,
Ordinanza 24 ottobre 2000

REPUBBLICA ITALIANA
Tribunale di Oristano
Sezione distaccata di Macomer

N. 661/94 R.G. Notizie di reato
N. 11/96 R.G. Tribunale

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Oristano, sezione distaccata di Macomer,
in composizione monocratica
nella persona del dott. Salvatore Carboni

alla pubblica udienza del 24 OTTOBRE 2000 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei confronti di:

M. B., nato a _____ il __________, ivi residente in ___________, LIBERO PRESENTE, rappresentato e difeso dall'avv. M. M. del foro di Cagliari, quale difensore di fiducia;

IMPUTATO

del reato di cui agli artt. 61 n. 5, 81 e 527 C.P., per avere, esibendo i genitali in luogo aperto al pubblico ai minori S. E. e F. C., commesso atti osceni profittando di circostanze di persona tali da ostacolare la privata difesa.
In __________, il 15.09.1993

Con l'intervento del Pubblico Ministero dott. S. S., Vice Procuratore Onorario delegato per l'udienza.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto emesso in data 17.06.1999 il sottoscritto magistrato, designato per la trattazione del presente procedimento dal Presidente del Tribunale di Oristano con decreto del 5.6.1999, citava a giudizio l'imputato per rispondere del reato di cui all'epigrafato capo di imputazione.
All'udienza dell'11.02.2000, in assenza di questioni preliminari ex art. 491 CPP, il Pubblico Ministero procedeva alla relazione introduttiva, illustrando i fatti che hanno condotto all'odierno processo. Chiedeva, quindi, l'ammissione delle prove dedotte nelle liste, in particolare l'esame dei testi indicati. Produceva due certificati medici relativi a S. E. (datato 15.09.1993) e F. T. (diminutivo di C.: v. foglio 283 del fascicolo) (16.09.1993).
La difesa replicava chiedendo l'ammissione delle prove a discarico, in particolare il controesame dei testi dell'accusa. Chiedeva la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, a norma dell'art. 525 CPP e della sentenza n. 2/99 delle SS.UU., trattandosi di processo parzialmente istruito da altri magistrati, successivamente astenutisi. Produceva documentazione fotografica ritraente i luoghi ove si sarebbe svolto il fatto.
Il Tribunale disponeva la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale e, accertata l'ammissibilità e la rilevanza a norma dell'art. 190, 1° comma, CPP, ammetteva le prove dedotte dalle parti.
L'istruzione dibattimentale si svolgeva con le deposizioni dei testi S. E., S. S., F. C., D. P., C. I., e in seguito (ud. 27.06.2000) R. P. e (ud. 24.10.2000) D. R., i quali rendevano le dichiarazioni di cui ai verbali di udienza.
L'imputato rendeva in numerose occasioni spontanee dichiarazioni, riportate nei verbali di udienza.
Conclusa l'istruzione dibattimentale, le parti concludevano come segue:
* Il Pubblico Ministero per la condanna dell'imputato a mesi 4 di reclusione;
* la difesa per l'assoluzione dell'imputato, ovvero per la declaratoria di intervenuta prescrizione o depenalizzazione del reato, qualificato come punibile a norma dell'art. 726 C.P.
Il Tribunale, all'esito della deliberazione, pronunciava sentenza dando pubblica lettura del dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

(omissis)

Per completezza espositiva si impone una adeguata motivazione in ordine ad una questione procedurale insorta nel corso dell'udienza del 24.10.2000, nel corso della quale l'imputato, invocando il disposto dell'art. 111, 3° comma, Cost., come modificato dall'art. 2 l. cost. 23.11.1999 n. 2, ha preteso di rivolgere direttamente domande al teste, facoltà denegatagli dal Tribunale.
La pretesa dell'imputato vanta come precedente un'ordinanza divenuta ormai famosa, pronunciata dal Tribunale di Cagliari in composizione monocratica in data 9.6.2000 (2), con la quale, sulla base del tenore letterale della citata disposizione costituzionale, si è ammesso l'imputato a condurre personalmente l'esame dei testimoni.
L'interpretazione dell'art. 111 Cost. fornita dalla citata ordinanza, tuttavia, deve ad avviso di questo Tribunale essere disattesa in quanto non condivisibile, come osservato dall'autorevole dottrina che ha esaminato il singolare provvedimento.
L'art. 111, 3° comma, Cost., invero, prevede che "nel processo penale la legge assicura che la persona accusata di una reato [...] abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico [...]". Il 4° comma prosegue affermando il principio in base al quale "la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore".
La norma costituzionale pertanto, come appare evidente in base alla sua formulazione, non detta una disciplina di immediata applicabilità, ma demanda l'attuazione dei principi enunciati al legislatore ordinario, che con apposite norme dovrà in futuro disciplinare le modalità attuative dei principi enunciati.
Va osservato che la maggior parte dei principi del c.d. giusto processo enunciati dall'art. 111, 3° comma, Cost., sono già recepiti da apposite norme del codice di procedura penale: l'art. 415bis CPP consente all'imputato di venire a conoscenza, prima dell'esercizio dell'azione penale, delle imputazioni mosse a suo carico, di esaminare gli atti relativi alle indagini, di essere interrogato (a pena di nullità), con l'assistenza del difensore, sui fatti per cui si procede. I termini previsti dagli artt. 429, 3° comma, e 552, 3° comma, CPP (oltre al disposto dell'art. 38 disp. att. CPP) assicurano che l'imputato abbia il tempo e il modo di preparare la propria difesa. L'assistenza di un interprete e la possibilità di indicare mezzi di prova a difesa risultano parimenti garantite da apposite norme del codice (artt. 190, 495, 2° comma, e 143 ss. CPP).
Non risulta invece disciplinata in alcun modo la facoltà dell'imputato di interrogare personalmente il testimone.
Il nostro ordinamento, a differenza di altri, non ammette l'autodifesa processuale, imponendo a pena di nullità che l'imputato debba sempre essere assistito da un difensore.
A norma dell'art. 99, 1° comma, CPP, al difensore competono le facoltà e i diritti che la legge riconosce all'imputato, a meno che essi siano riservati personalmente a quest'ultimo.
Ai sensi dell'art. 498, 1° comma, CPP, le domande sono rivolte direttamente dal pubblico ministero o dal difensore che ha chiesto l'esame del testimone.
L'imputato, a norma dell'art. 494, ha soltanto la facoltà di rendere dichiarazioni spontanee in ogni stato del dibattimento, purché relative all'oggetto dell'imputazione.
Nessuna norma consente attualmente all'imputato di interrogare direttamente il testimone. Manca, difatti, una qualsivoglia norma di legge che dia attuazione al dettato della norma costituzionale (a differenza di quanto avviene per le altre garanzie difensive di cui si è detto).
E detta esclusione non è senza motivo, in quanto la conduzione dell'esame testimoniale richiede precise cognizioni tecnico-giuridiche che solitamente non sono possedute dal quivis de populo, e richiedono pertanto un'assistenza qualificata. La possibilità di esaminare direttamente il testimone, lungi dal garantire all'imputato il diritto di difesa, potrebbe facilmente risolversi in un danno per lo stesso, in quanto l'imputato non è sovente in grado di determinare gli elementi costitutivi della fattispecie penale e, di conseguenza, orientare l'esame dei testi verso l'accertamento dell'insussistenza degli stessi.
Ma il fatto che la facoltà dell'imputato di esaminare personalmente i testimoni debba esplicarsi mediante apposita disciplina normativa attuativa e non sia, allo stato, immediatamente esperibile in forza del mero dettato della norma costituzionale lo si desume anche da elementari considerazioni di opportunità processuale: è verosimile ritenere che l'imputato di gravi reati di criminalità organizzata o di violenza sessuale possa escutere direttamente i testimoni, ivi compresa la persona offesa? Se l'interpretazione dell'art. 111, 3° comma, Cost. proposta dal tribunale di Cagliari fosse corretta non si vede su quali basi all'imputato possa essere impedita una simile facoltà.
Ma è legittimo chiedersi, a questo punto, se fosse questo l'intento effettivamente perseguito dal legislatore costituente; quesito a cui deve darsi, ad avviso di questo Tribunale, risposta negativa, in quanto il rinvio contenuto nella norma costituzionale all'adozione di apposite norme attuative ("nel processo penale la legge assicura che...") depone chiaramente nel senso della possibilità di introdurre deroghe ed eccezioni a tale principio, tese appunto a prevenire le aberrazioni citate.
Se difatti l'intento del costituente fosse stato quello di consentire direttamente, immediatamente ed in ogni caso all'imputato di interrogare direttamente i testimoni, sarebbe stato sufficiente enunciare tale diritto in forma chiara e diretta, senza necessità di rinvii alla legge ordinaria. Ma ciò, saggiamente ed opportunamente, non è stato fatto. E ciò indica chiaramente che l'art. 111, 3° comma, Cost., non detta disposizioni di diretta ed immediata attuazione.
E ad ulteriore conferma dell'esattezza di tale ricostruzione può invocarsi il decreto legislativo 28.08.2000 n. 274, che nel disciplinare il procedimento penale davanti al giudice di pace non ha previsto alcuna norma che consenta all'imputato di interrogare direttamente i testimoni. E non vi è dubbio che il procedimento di fronte al giudice di pace, per il ridotto formalismo che lo caratterizza e il carattere bagatellare dei reati di competenza di tale giudice, sia la sede ideale per l'esplicazione della facoltà di esame diretto dei testi da parte dell'imputato. Il fatto invece che il legislatore delegato non abbia previsto alcuna norma sul punto testimonia che la materia sia troppo complessa per essere risolta con semplici, o semplicistiche interpretazioni letterali di norme costituzionali di principio.
Va peraltro osservato che l'ordinanza del 9.6.2000 ha ritenuto di ravvisare la norma attuativa del precetto costituzionale nell'art. 1 del d.l. 7.1.2000 n. 2.
Detta tesi è però, ad avviso di questo Tribunale, del tutto infondata.
L'art. 1 del d.l. 2/2000, come modificato dalla legge di conversione 25.02.2000 n. 35, prevede testualmente che "fino alla data di entrata in vigore della legge che disciplina l'attuazione dell'art. 111 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, ed in applicazione dell'art. 2 della stessa legge costituzionale, i principi di cui all'art. 111 della Costituzione si applicano ai procedimenti in corso [...]".
Ne consegue che per espressa e chiarissima disposizione di legge il d.l. 2/2000, convertito con legge 35/2000, non è la legge che dà attuazione ai principi sanciti dall'art. 111 della Costituzione.
Va difatti ricordato che le norme costituzionali, ancorché di principio, non sono certamente prive di portata precettiva (la Corte Costituzionale, fin dalla sua primissima decisione - sent. n. 1/1956 - respinse la tesi del carattere meramente programmatico delle norme costituzionali), anche laddove, come nel caso di specie, esse non possano trovare diretta ed immediata applicazione in un giudizio.
La portata precettiva delle norme costituzionali di principio si traduce difatti, come insegna la consolidata dottrina costituzionalistica, da un lato nella loro funzione di canoni ermeneutici rivolti all'operatore del diritto, che dovrà interpretare le norme di legge (ordinaria) nel senso conforme alle direttive costituzionali (c.d. interpretazione adeguatrice), sollevando eventualmente questione di legittimità, ex art. 23 legge 11.03.1957 n. 87, di quelle disposizioni irrimediabilmente non riconducibili nell'alveo delle previsioni costituzionali, dall'altro come limite al legislatore ordinario, che non potrà introdurre o modificare norme in contrasto con i precetti costituzionali.
Nel caso di cui ci si occupa, il d.l. 2/2000 non ha certamente introdotto le norme attuative dell'art. 111 Cost., ma si é limitato a precisare i limiti dell'applicabilità dei principi sanciti dalla norma citata nei procedimenti in corso al momento dell'entrata in vigore della norme citata. Principi che, come detto, devono fungere da canoni ermeneutici per le norme vigenti, ma che non consentono di aggirare la necessità di norme attuatrici per quelle disposizioni che ne necessitano indefettibilmente; e tra queste non vi è soltanto la facoltà di esame diretto dei testi da parte dell'imputato, ma anche, ad esempio, la "ragionevole durata del processo" (art. 111, 2° comma), che non si può certo ritenere attuata mediante il citato decreto legge, che nulla dispone sul punto!
Ma a questo punto occorre andare oltre e chiedersi se l'espressione "interrogare o fare interrogare" abbia soltanto e necessariamente il senso indicato dall'imputato, o dall'ordinanza del Tribunale cagliaritano, o non ne abbia invece uno più sottile, e compatibile (a differenza dell'altro significato) con la normativa vigente.
Ritiene il Tribunale, sino a quando una norma di legge ordinaria non prevederà espressamente la facoltà dell'imputato di esaminare direttamente i testimoni, il citato precetto costituzionale indichi semplicemente il potere dell'imputato di escutere i dichiaranti a suo carico mediante il difensore, che, come visto (art. 99 CPP), costituisce lo strumento attraverso il quale l'imputato esercita nel processo i diritti non a lui espressamente riservati.
Va difatti considerato che il rapporto tra imputato e difensore è retto da un mandato, tipico contratto intuitu personae, che, specialmente nel caso di difesa di fiducia (ma il discorso vale anche per la difesa di ufficio, avendo l'imputato comunque il potere di revocare il mandato al difensore a lui sgradito) consente all'avvocato di agire per conto e nell'interesse dell'imputato, apportando il necessario patrimonio tecnico e professionale che solitamente l'imputato non possiede.
Il mandatario, come è noto, opera su istruzioni del mandante, pur conservando, specie nel caso di incarico professionale, l'autonomia necessaria per l'esplicazione di scelte tecniche.
Il difensore pertanto (e questo è il senso che ad avviso di questo Tribunale appare più ragionevolmente attribuibile al precetto costituzionale citato) ha certamente il potere di interrogare i testimoni di propria iniziativa, come solitamente avviene, ma deve anche rivolgere (salva la rinuncia al mandato) agli stessi le domande che l'imputato desidera vengano loro poste.
La citata norma costituzionale costituisce dunque a favore dell'imputato il diritto di chiedere al proprio difensore di rivolgere determinate domande ai testimoni, e il correlativo dovere del difensore, nell'ambito del rapporto fiduciario instaurato col cliente, di ottemperare a tale richiesta col necessario contributo tecnico. Diritto e dovere, questi, certamente preesistenti alla novellazione costituzionale in oggetto, ma che assurgono ora a principi informatori del processo penale, immediatamente applicabili anche ai processi in corso, oltre che a quelli futuri.
In sintesi, l'espressione "interrogare" attribuisce all'imputato il diritto di rivolgere domande al teste tramite il proprio difensore, che ha dunque un obbligo giuridico, oltre che deontologico, di formularle (col dovuto filtraggio tecnico); l'espressione "fare interrogare" indica il potere del difensore di rivolgere, di propria iniziativa, ma nell'interesse dell'imputato, le domande che ritiene opportune.
Sono, beninteso, possibili ulteriori interpretazioni dell'infelice formulazione della norma (che, come osservato dalla dottrina, costituisce una trasposizione, forse non troppo meditata, di un'espressione utilizzata in diverse convenzioni internazionali (3), stipulate tra Stati che in certi casi consentono, specie per reati bagatellari, l'esame diretto dei testi a carico da parte dell'imputato). Il "fare interrogare" può essere anche inteso, invero, nel senso di sollecitare l'organo giudicante a disporre l'esame di testi non indicati nelle liste formate a norma dell'art. 468 CPP, come nel caso dei testi de relato (art. 195 CPP), oppure di testi non interrogabili direttamente dalle parti, come i minori (art. 498, 4° comma), oppure ancora in relazione alle prove da assumere mediante rogatoria internazionale; ecc.
Ciò comunque testimonia che l'espressione costituzionale di cui si discute è suscettibile di una pluralità di interpretazioni, alcune proponibili soltanto in una prospettiva de jure condendo, altre di immediata applicazione.
L'imputato non ha dunque, de jure condito, alcun diritto all'escussione diretta dei testimoni, con conseguente infondatezza della pretesa del M. sul punto.

P.Q.M.

Il Tribunale di Oristano, sez. dist. Macomer,
in composizione monocratica

* Visto l'art. 530 CPP, 2° comma, CPP, assolve M. B. dal reato ascritto, perché il fatto non sussiste.
* Visto l'art. 544, 3° comma, CPP, indica in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione della sentenza.

Così deciso in Macomer, addì 24.10.2000

Il GIUDICE
Dott. Salvatore Carboni


(1) omissis

(2) La si riporta per comodità espositiva:

TRIBUNALE DI CAGLIARI
ORDINANZA in data 9 giugno 2000

Il Giudice

sulla questione relativa alla possibilità, per l'imputato, di esaminare direttamente i testimoni, osserva quanto segue.
L'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, recante l'inserimento dei principi del giusto processo nell'art. 111 della Costituzione, prevede, per quanto in questa sede interessa, che la colpevolezza dell'imputato non possa essere provata sulla basa di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.
Alla luce della chiara lettera della legge deve ritenersi che nella Carta fondamentale sia stato appunto introdotto (anche) il principio della possibilità, per l'imputato, di interrogare direttamente quantomeno i testimoni a carico.
Cotesto principio, come in generale, gli altri contenuti nella legge citata, ai sensi del comma 1 dell'art. 1 del d.l. 7 gennaio 2000, recante Disposizioni urgenti per l'attuazione dell'art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, "si applica (direttamente) ai procedimenti in corso", e ciò è del resto confermato dal disposto del comma 2 dello stesso articolo, il quale invero espressamente lo richiama proprio per ribadirne l'immediata operatività.
Per questi motivi, ammette l'imputato a formulare direttamente le domande al testimone.
(Originariamente pubblicata su Foro di Cagliari, http://www.forodicagliari.it/trib_monocratico_poddighe_9_6_2000.html - n.d.r.)

(3) Vedasi, ad esempio, l'art. 6, comma 3°, lettera D, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva in Italia con legge 4.8.1955 n. 848.

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