Tribunale
di Taranto, in funzione di Giudice dell'appello ex art. 310 c.p.p.,
Ordinanza 21 novembre 2000
N.
554/00 R.M.C.P.
N.2098/96 N.R.P.M.
N. 5/97 R.G.C.ASS.
TRIBUNALE
DI TARANTO
PRIMA SEZIONE PENALE
In funzione di Giudice dell'appello ex art. 310 c.p.p., composto dai seguenti Magistrati:
Dott. Sergio Cassano - Presidente;
Dott. Stefania D'Errico - Giudice;
Dott. Francesco Cacucci - Giudice rel;
riunito in camera di consiglio
per deliberare sull'appello proposto nell'interesse di C. N., nato a ______
il _______, avverso l'ordinanza emessa in data 28.9.2000, con la quale la Corte
d'Assise di Taranto ha rigettato la richiesta di scarcerazione per sopravvenuta
inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere a seguito della
decorrenza del termine massimo di fase;
udita la difesa;
O S S E R V A
C. N. veniva attinto da ordinanza
applicativa della misura cautelare della custodia in carcere in quanto gravemente
indiziato di vari reati, fra i quali il duplice omicidio di D. O. e P. V.
Per tali reati, il C. veniva tratto a giudizio con decreto emesso in data 9.7.97
e con ordinanza del 2.7.98, la Corte d'Assise di Taranto disponeva - ai sensi
dell'art. 304 comma 2° c.p.p. - la sospensione del termine di durata della
custodia cautelare di cui all'art. 303 comma 1° lett. b) n. 3, a causa della
particolare complessità dell'istruttoria dibattimentale in corso.
A seguito di richiesta formulata dall'imputato ex art. 4 ter della L. 144/2000 -legge che, nell'introdurre un termine di fase per il giudizio abbreviato, ha riaperto la possibilità di richiederlo anche nei dibattimenti in corso-, con ordinanza del 29.6.2000 la predetta A.G. ammetteva il C. al rito abbreviato.
L'odierno ricorrente proponeva, quindi, in data 9.7.2000 istanza di scarcerazione per decorrenza del termine massimo di fase, calcolato ex art. 303 lett. B n. 3 (termine di un anno e sei mesi decorrente dal decreto di rinvio a giudizio del 9.7.97, raddoppiato a seguito della pronuncia del provvedimento di sospensione), assumendo l'inapplicabilità, al caso di specie, del diverso termine previsto dalla lettera B bis) n. 3 del medesimo articolo del codice di rito, introdotto con la citata L. 144/2000 (nove mesi decorrenti dall'ordinanza con la quale veniva disposto il giudizio abbreviato). A tale conclusione il ricorrente perveniva invocando il principio - che avrebbe sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 292/98 - dell'assoluta invalicabilità del termine fissato dall'art. 304 comma 6 c.p.p.
L'istanza veniva rigettata dal giudice che procede col provvedimento qui gravato.
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L'appello è infondato e vanno qui condivise le motivazioni addotte dal primo Giudice a sostegno del rigetto.
Va infatti ribadito:
a) che la l.144/2000, che ha introdotto un apposito termine per la celebrazione
dei giudizi abbreviati, è stata la necessaria conseguenza del nuovo assetto
dato al rito speciale dalla recente l. 479/99 "Carotti", la quale
ha previsto il diritto dell'imputato all' ammissione dello stesso, con possibilità
di integrazioni istruttorie -di ufficio o su istanza di parte-, caratteristiche
che hanno attribuito al rito abbreviato un autonomo rilievo (nella prospettiva
di portarlo da speciale a "forma ordinaria" di definizione dei procedimenti);
b) che effetto dell'autonomo rilievo di cui si è detto è stata
la necessità di individuare una nuova ed autonoma fase di durata della
custodia cautelare, che inizia a decorrere dal momento in cui i rito viene ammesso,
in ciò mutando completamente il precedente assetto che ricomprendeva
il termine durata della custodia cautelare, in caso di celebrazione del rito
"allo stato degli atti" (così come allora era), in quello complessivo
delle indagini preliminari;
c) che, pertanto, dal momento in cui è stato ammesso il rito abbreviato
richiesto dall'imputato è iniziato a decorrere il termine di nove mesi
di cui alla lett. B bis n. 3 dell'art. 303 c.p.p.
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Per quanto riguarda il richiamo alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 292/98 (alla quale rinvia la recente ordinanza della stessa Corte n. 214/2000 citata nei motivi di appello) deve osservarsi innanzitutto che la stessa è una pronuncia interpretativa di rigetto che ha una limitata capacità di vincolare l'interpretazione del Giudice, per come indicato dalle sezioni unite del Supremo Collegio (v. Cass. sez. un. 13.12.95 Clarke; sez. un. 13.6.98 Gallieri; sez. un. 16.12.98 Alagni), e conseguentemente deve essere rigorosamente riferita alla specifica ipotesi esaminata, che nel caso di specie riguardava la durata del termine di fase nelle ipotesi di regressione del procedimento di cui all'art. 303 co. 2 c.p.p. (ossia l'interpretazione del combinato disposto degli art. 303 co. 2 e 304 comma 6 c.p.p.). In tal senso un richiamo è venuto dalla recente sentenza Cass. sez.un. del 19.1-29.2.2000, Musitano la quale, proprio trattando della ridetta sent. Corte Cost. n. 292/98, ha sottolineato la rilevanza della motivazione "per cogliere l'effettiva portata delle sentenze interpretative" di rigetto statuendo che di conseguenza "risulta arbitraria una qualsiasi ulteriore interpretazione 'mediata' che porti a ampliare l'àmbito applicativo risultante dalla pronuncia della Corte Costituzionale".
Peraltro anche a voler ritenere che la stessa sentenza abbia fissato un limite "finale invalicabile" per ogni grado e fase del giudizio -cosa che non è come è agevolmente dimostrato che nella sentenza nulla è detto, ad esempio, della previsione di cui al comma 7 dell'art. 304 c.p.p. v. in tal senso la Cass. s.u. Musitano cit.-, questo viene individuato nel "doppio dei termini previsti dall'art. 303 commi 1 2 e 3" e quindi, per quanto riguarda il caso che ci occupa, la sentenza del Giudice delle Leggi imporrebbe l'insuperabilità del termine di diciotto mesi -il doppio dei nove di cui alla lett. b bis b 3 cit.- di custodia cautelare da calcolarsi a partire dalla ordinanza ammissiva del rito pronunciata il 29.6.2000.
L'interpretazione innanzi esposta non può essere certo mutata dalla circostanza che l'imputato ricorrente è stato rinviato a giudizio il 9.7.97 e che da allora è in custodia cautelare, con compiuta decorrenza del temine massimo, originariamente fissato in tre anni in relazione al dibattimento di primo grado celebrato col rito ordinario.
Va rilevato, infatti, che l'apertura del nuovo termine è avvenuta su richiesta del ricorrente (richiesta fatta al fine di beneficiare in caso di condanna la riduzione di un terzo della pena inflitta) ed è quindi stata una precisa scelta dell'imputato quella di abdicare alla prossima decorrenza del termine di custodia -ammesso e non concesso che il Giudice procedente non avrebbe pronunciato sentenza prima della scadenza- per poter ottenere il detto beneficio (ed in questo devono dirsi infondate le lamentele difensive su una supposta, e comunque non dimostrata nella sua concreta sussistenza, disparità di trattamento con gli altri imputati processati col rito ordinario).
Deve inoltre essere sottolineato che la l.144/2000 cit. nel prevedere la riapertura della possibilità di richiedere il rito abbreviato anche nei procedimenti in corso, non ha inteso prevedere una speciale disciplina delle conseguenze della richiesta sulla durata della custodia degli imputati detenuti in via cautelare, in tal modo confermando quanto detto innanzi, ossia che la richiesta apre una fase del tutto nuova retta da un autonomo termine di custodia cautelare, e lasciando la tutela dell'interesse dell'imputato detenuto ad avere certezza sulla durata della propria custodia al termine massimo complessivo di cui al comma 4 dell'art. 303 c.p.p.
Al rigetto del gravame segue per legge la condanna alle spese del procedimento.
p.q.m.
rigetta l'appello proposto.
Condanna l'istante al pagamento delle spese del presente procedimento incidentale.
Si comunichi il presente provvedimento al Direttore del Carcere ex art. 94 disp.att.
c.p.p.
Manda la cancelleria per le comunicazioni e notifiche di rito.
Taranto, 21.11.2000
Il Presidente
I Giudici