Giudice
per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Napoli,
Ordinanza 21 luglio 2000
TRIBUNALE
PENALE DI NAPOLI
SEZIONE DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
UFFICIO XII
Il Giudice
Sentita la richiesta del
PM che, nel corso del giudizio abbreviato che sta celebrandosi a carico di A.
ed altri, sollecita il potere d'integrazione probatoria di questo Giudice previsto
dall'art. 441 comma 5 cpp;
sentite le parti;
osserva
La disciplina del rito abbreviato
è stata fortemente modificata dalla l. 479/99 (cd legge Carotti) che,
come è noto, ha principalmente inteso riconoscere all'imputato la possibilità
di accedere a tale rito alternativo (ed al conseguenziale obbligatorio sconto
di un terzo della pena in caso di condanna) senza più bisogno del consenso
del PM e senza più bisogno che il Giudice terzo cui la richiesta venga
rivolta debba deliberare sulla decidibilità o meno allo stato degli atti
del procedimento (cd richiesta "non condizionata" di cui all'art.
438 comma 1 cpp).
All'imputato viene oggi anche attribuito il diritto di chiedere l'accesso al
rito abbreviato subordinando la richiesta "ad una integrazione probatoria
necessaria ai fini della decisione" (art. 438 comma 5 cpp): in tal caso
(e solo in questo caso) al Giudice terzo viene riconosciuta la facoltà
di rigettare tale richiesta laddove l'integrazione probatoria risulti "non
necessaria" ai fini del decidere e "non compatibile con le finalità
di economia processuale proprie del procedimento".
In entrambi i casi però (richiesta cd "secca" e richiesta "condizionata"
poi accolta) al Giudice terzo è riconosciuto il potere d'integrazione
probatoria laddove lo stesso non ritenga di poter decidere allo stato degli
atti: l'art. 441 comma 5 cpp prevede infatti che in tali casi "il giudice
assume, anche di ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione".
Appare ovvio, dall'inciso "anche di ufficio", che l'esercizio di tale
potere può legittimamente essere sollecitato dalle parti, cosa che è
avvenuta nel caso in esame, restando ovviamente libero il Giudice di dar corso
o meno alle sollecitazioni propostegli.
I problemi da affrontare nel caso in esame sono molteplici e tutti però, a ben vedere, di non difficile soluzione, se sol si tenga presente la ratio complessiva della nuova disciplina del rito abbreviato ed i principi costituzionali che la sorreggono.
La prima questione è
quella relativa al "tempo" della richiesta del PM (che sollecita questo
Giudice all'esercizio del potere di cui all'art. 441 comma 5 cpp) e conseguenzialmente
al "tempo processuale" nel quale è consentito al Giudice di
far ricorso al potere d'integrazione probatoria di cui alla norma indicata.
Ciò perché nell'odierna udienza il PM avrebbe dovuto formulare
le sue conclusioni (nel rito abbreviato già ammesso da questo Giudice
nella precedente udienza) e le difese hanno prospettato l'inammissibilità
temporale della richiesta suindicata del PM.
Tale problema appare strettamente connesso a quello relativo ai limiti di tale potere: se cioè il potere d'integrazione probatoria attribuito dall'art. 441 comma 5 cpp al Giudice del rito abbreviato debba o meno rispettare il limite della "compatibilità con le finalità di economia processuale proprie del procedimento", posto che lo stesso viene indicato dal legislatore solo ed esclusivamente nell'art. 438 comma 5 cpp come limite alla richiesta dell'imputato (oltre a quello della "necessità" ai fini del decidere, indicato invece espressamente in entrambe le ipotesi).
Ritiene questo Giudice che
l'omessa indicazione del limite della cd. economia processuale nel potere d'integrazione
probatoria attribuito al Giudice dall'art. 441 comma 5 cpp non sia stata una
mera dimenticanza del legislatore, un mero lapsus nella redazione della
legge, ma che invece si inserisca perfettamente e logicamente nella nuova disciplina
del rito abbreviato, anche nel rispetto di evidenti principi costituzionali.
Ritiene cioè lo scrivente che l'unico limite al potere d'integrazione
probatoria del Giudice ex art. 441 comma 5 cpp sia la verifica della
"necessità" o meno ai fini del decidere degli elementi da assumere
(elementi che di ufficio o su sollecitazione di parte vengano all'attenzione
del Giudice stesso).
I principi da tenere ben presenti
per risolvere nel senso suindicato la questione sono quelli indicati in più
sentenze della Corte Costituzionale che, in diverse pronunzie (n. 241 del 26-6-94,
n. 11 del 26-3-93, n. 254 del 3-6-92), ha sottolineato come il fine primario
ed ineludibile del processo penale sia quello della ricerca della verità
(verità processuale) con conseguenziale riconoscimento al giudice terzo
della possibilità di adoperarsi al tal fine anche ovviando ad eventuali
lacune nelle indagini, e ciò nel rispetto dei principi costituzionali
che prevedono la soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.),
l'indisponibilità dell'azione penale (art. 112 Cost.) e il giusto processo
teso alla ricerca della verità (art. 111 Cost.).
Alla luce di tali principi e di tali considerazioni appare allora ovvio che
il Giudice non può e non deve essere limitato e/o vincolato, nella ricerca
della verità processuale, dalle indicazioni delle parti (PM o imputati
e difensori) e che, laddove ritenga necessario acquisire ulteriori elementi
ai fini del decidere, possa disporne l'assunzione.
Nel dibattimento ciò è previsto dall'art. 507 cpp e nel giudizio
abbreviato ciò è previsto dall'art. 441 comma 5 cpp.
E dunque, alla luce di queste stesse considerazioni, appare ovvio (e logicamente
coordinato con quanto previsto per il dibattimento dall'art. 507 cpp) che tale
potere possa essere esercitato dal Giudice del rito abbreviato non solo contestualmente
al provvedimento di ammissione al rito (provvedimento nel quale, a ben vedere,
si deve solo valutare l'ammissibilità dal punto di vista strettamente
processuale del rito stesso), ma anche nel corso dello svolgimento del rito
medesimo (ad esempio dopo l'interrogatorio //oggi ammissibile anche in tale
fase// di qualche imputato che lo chieda, circostanza che per altro si è
verificata anche nel presente procedimento avendo chiesto l'imputato P. di rendere
interrogatorio nel rito abbreviato chiesto), ed anche all'esito delle discussioni
delle parti (allorquando cioè il Giudice si sia ritirato in camera di
consiglio per decidere), risultando palese che alcun limite temporale (come
quello sostenuto dalla difesa nel caso in esame) è posto dal legislatore
nell'art. 441 comma 5 cpp e nessun limite di tal fatta potrebbe essere ritenuto
costituzionalmente rispettoso del principio della ricerca della verità
sopra richiamato.
Parimenti ovvio (e logico
e rispettoso dei principi suindicati) è ritenere che tale potere del
giudice terzo non possa e non debba avere altro limite che quello della verifica
della "necessità" o meno ai fini suindicati dell'integrazione
probatoria da compiere.
E per altro è proprio l'art. 441 comma 5 cpp che rende legittimo costituzionalmente
il nuovo rito abbreviato posto che, senza tale previsione normativa, ci si sarebbe
trovati di fronte ad un giudice vincolato del tutto (non solo nella scelta del
rito, ma anche nel vero e proprio accertamento dei fatti/reato sottoposti alla
sua attenzione) alle richieste dell'imputato (e solo di esso) e ciò in
palese violazione delle disposizioni costituzionali suindicate.
E sul punto non può essere dimenticato che anche sotto la vigenza della
precedente normativa del rito abbreviato (laddove comunque, dopo la richiesta
delle parti, il giudice doveva deliberare sulla decidibilità allo stato
degli atti) sempre la Corte Costituzionale (con sent. n. 92 del 9-3-92), pur
rigettando una prospettata illegittimità costituzionale, aveva auspicato
una modifica legislativa del rito con riconoscimento al giudice di un potere
d'integrazione probatoria.
Ciò posto, appare allora conseguenza logica ritenere che il Giudice del
rito abbreviato non debba essere vincolato, nell'acquisizione di elementi dallo
stesso ritenuti "necessari" per la decisione, dal limite della "compatibilità"
dei medesimi con il rito in corso.
La norma non lo prevede, la logica non lo consente ed il rispetto dei principi
costituzionali suindicati legittima tale conclusione.
Il Giudice del rito abbreviato è già vincolato (nel caso di richiesta
cd "secca" e nel caso di richiesta cd "subordinata" accolta)
alla richiesta del solo imputato, è già obbligato all'applicazione
dello sconto di un terzo della pena in caso di condanna: prevedere come legittimo
un ulteriore limite (oltre a quello della "necessità" dell'integrazione
probatoria da compiere) finirebbe con il contraddire tutta la nuova costruzione
processuale e con il rendere la stessa soggetta a fondati rilievi d'incostituzionalità.
E d'altra parte, a sostegno di quanto evidenziato, soccorrono anche le nuove
norme relative al rito abbreviato introdotte recentissimamente dalla l. n.144
del 5-6-2000 laddove le stesse prevedono non solo nuovi termini di fase per
la custodia cautelare (analogamente a quanto previsto per il dibattimento),
ma anche addirittura la possibilità per il Giudice, su richiesta del
PM, di sospendere la decorrenza dei termini di custodia cautelare nel caso di
"giudizi abbreviati particolarmente complessi", in tal modo testualmente
e legislativamente ipotizzando giudizi abbreviati che ben poco possono aver
a che fare con "il procedimento semplificato", rapido e veloce, ipotizzato
dal legislatore del 1988.
Né può sostenersi
che tale potere d'integrazione probatoria possa comportare conseguenze sulla
primaria formazione della volontà degli imputati nella scelta del rito
abbreviato (legittimando gli stessi ad un'eventuale revoca della richiesta,
all'esito dell'acquisizione di nuovi elementi di prova a loro carico non conosciuti
al momento dell'accesso al rito) posto che appare palese che la scelta degli
imputati implicava ab origine l'accettazione del rischio connesso all'integrazione
probatoria che avrebbe potuto essere disposta dal giudicante: l'art. 441 comma
5 cpp è norma inserita a pieno titolo nel rito abbreviato e dunque nota
alle parti istanti (ed ai loro difensori che li assistono) fin dalla prima richiesta
di rito abbreviato.
Ormai il nuovo rito abbreviato prescinde completamente dalla "cristallizzazione"
del materiale probatorio all'atto della richiesta dell'accesso al rito stesso:
l'art. 438 coma 5 cpp (integrazione probatoria sollecitata dalla parte) e l'art.
441 comma 5 bis cpp (integrazione probatoria disposta dal Giudice "anche"
di ufficio, e dunque "anche" su sollecitazione di parte) ne sono la
prova più evidente.
Non può dolersi dunque la parte istante laddove, all'esito del corretto
esercizio del potere di cui all'art. 441 comma 5 cpp, muti (integrandosi o meno)
il materiale probatorio sul quale deve essere valutata la sua posizione: l'imputazione
resta la medesima e la possibilità del ricorso a tale potere, repetita
iuvant, era ben nota alla parte istante fina dal momento della scelta del rito.
Solo allorquando il PM, all'esito della disposta integrazione probatoria, ritenga
eventualmente di far ricorso all'art. 423 cpp (effettuando le contestazioni
previste dal predetto articolo al comma 1), solo in tale ipotesi l'imputato
potrebbe chiedere che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie, revocando
di fatto in tal modo la richiesta di abbreviato (vedi la recentissima disposizione
sul punto introdotta, nell'art. 441 bis cpp, dalla l. n. 144 del 5 giugno 2000).
In caso contrario legittimamente si dovrà proseguire con le forme del
rito abbreviato già ammesso.
Ben diverso, completamente
diverso, è invece il discorso da fare in ordine ai limiti di cui all'art.
438 comma 5 cpp imposti all'imputato in caso di richiesta subordinata ad integrazione
probatoria.
In questo caso, come noto, l'integrazione probatoria richiesta non solo deve
essere "necessaria" ai fini del decidere, ma deve anche essere "compatibile"
con le finalità di economia processuale proprie del rito.
Ed anche in questo caso tale previsione normativa appare pienamente rispettosa
dei principi costituzionali suindicati e pienamente inserita nella nuova disciplina
del rito abbreviato.
Nel caso in cui all'imputato fosse riconosciuto il diritto di accedere al rito
abbreviato (con conseguenziale sconto di un terzo della pena da applicare in
caso di condanna) con il solo limite della "necessità" ai fini
del decidere dell'integrazione probatoria indicata, si finirebbe infatti con
il consentire ad una sola parte (l'imputato) la possibilità di sostanzialmente
dar corso ad un dibattimento "alternativo" nel corso dell'udienza
preliminare, consentendole in sostanza di "scegliere" la sanzione
da rischiare, quella edittale in caso di dibattimento o quella ridotta di cui
all'art. 442 cpp, non potendo che ritenersi estremamente limitato il potere
del Giudice alla sola verifica della "necessità" suddetta,
verifica dall'ambito ristretto e palesemente in contrasto, tra gli altri, specie
con il principio di cui all'art. 101 Cost.
Più che legittimo e più che rispettoso dei principi costituzionali
e della complessiva nuova disciplina del rito abbreviato è dunque l'aver
previsto che l'imputato possa accedere a tale rito alternativo (in caso di richiesta
subordinata di cui all'art. 438 comma 5 cpp) solo allorquando l'integrazione
probatoria risulti non solo necessaria ma anche compatibile con le finalità
di economia processuale propria del rito.
In ogni caso comunque, come clausola di salvezza, anche in questo caso (laddove
emerga anche nel corso del rito abbreviato condizionato, accolto dal Giudice,
la necessità di acquisire ulteriori elementi ai fini del decidere) vi
sarebbe la possibilità di ricorrere all'art. 441 comma 5 cpp sollecitando
il potere d'integrazione probatoria del giudice, svincolato dal limite della
compatibilità col rito.
Tornando alla questione che
interessa il presente procedimento, va dunque detto che questo Giudice legittimamente
può esercitare, anche nella presente fase processuale, il potere di cui
all'art. 441 comma 5 cpp, a ciò anche sollecitato dal PM.
E però va detto che tale potere non può essere esercitato nel
modo indicato dal PM e cioè semplicemente con l'acquisizione agli atti
dei verbali delle deposizioni rese da imputati in altro procedimento penale
(in ipotesi connesso al presente).
Se l'esercizio di tale potere a ciò si riducesse, si legittimerebbe in
sostanza il PM a proseguire le indagini (anche non nel procedimento in corso
ma in un procedimento ad esso connesso) parallelamente al giudizio abbreviato
in corso, con richiesta poi di acquisire al rito abbreviato le prove assunte
(a prescindere da come le stesse siano state assunte, direttamente dal PM od
anche in altro dibattimento da altro Giudice), e ciò in evidente contrasto,
tra l'altro, con i principi del contraddittorio di cui all'art. 111 Cost. (come
correttamente rilevato dalle difese infatti nessun imputato del presente procedimento
risulta tra quelli del procedimento in riferimento al quale le dichiarazioni
de quibus sono state rese).
Si legittimerebbe sostanzialmente il PM a procedere direttamente alle integrazioni
probatorie che invece, secondo il disposto anche letterale di cui all'art. 441
comma 5 cpp, devono essere "assunte" personalmente dal Giudice del
rito.
Ora, nel caso in esame, il
PM ritiene che le dichiarazioni rese dai due collaboratori di giustizia G. R.
e G. G. siano "assolutamente indispensabili" ai fini del decidere
per il processo in corso.
Ritiene questo GUP che (più che "assolutamente indispensabile")
risulta "necessario" ai fini del decidere sentire i due collaboratori
indicati dal PM e ciò perché i punti sui quali gli stessi hanno
già reso dichiarazioni (secondo quanto riferito in udienza dal PM //e
verbalizzato// e secondo quanto risulta dagli atti prodotti
dal PM a questo Giudice, e solo a tal fine esaminati da questa AG) risultano
effettivamente aver riguardato i fatti di cui all'imputazione di cui al capo
a) e cioè, tra l'altro, l'esistenza del Clan M., lo scontro anche armato
dello stesso con il clan G. d'appartenenza dei dichiaranti, le alleanze e/o
comunque i rapporti tra i clan camorristici citati e quelli delle famiglie T.-
V., tutti fatti indicati nel capo d'imputazione citato.
E sentire dalla diretta voce di compartecipi a clan avversi a quello in oggetto
le vicende proprie anche dello stesso, non può che essere valutato come
"necessario" ai fini del decidere per il processo in esame da questo
Giudice, soprattutto tenuto conto della visione d'insieme che potrebbe essere
data da tali soggetti ai singoli fatti oggetto del presente procedimento, la
cui esistenza allo stato emerge da singoli atti d'intercettazione e da indagini
di PG e/o dichiarazioni di ufficiali d PG intervenuti nelle indagini.
Ed a nulla rileva la possibile "non compatibilità" con le ragioni
di economia processuale proprie del rito di tale escussione, e ciò per
le ragioni già ampiamente indicate più sopra.
In conclusione quindi questo
Giudice ritiene, ex art. 441 comma 5 cpp, di interrogare direttamente i due
collaboratori citati.
Tali interrogatori verranno svolti con le forme della videoconferenza ai sensi
della l. n.11/1998 e ciò perché:
- i due G. si trovano nelle condizioni di cui all'art. 146 bis prima parte disp.
att cpp (art. 2 l. cit.);
- si procede per taluno dei delitti indicati nell'art. 51 comma 3 bis cpp;
- sussistono evidenti e gravi ragioni di sicurezza e di ordine pubblico, trattandosi
di collaboratori di giustizia e di procedimento avente ad oggetto agguerrito
e pericoloso clan camorristico.
Gli atti presentati dal PM
a questo Giudice per sollecitare il ricorso all'esercizio del potere di cui
all'art. 441 comma 5 cpp non vengono dunque acquisiti a
valere come elementi probatori da utilizzare per la decisione, ma vengono acquisiti
al solo fine di:
1) consentire alle parti tutte di conoscere (tramite richiesta di visione degli
atti stessi e/o di acquisizione di copie degli stessi da avanzare in Cancelleria)
la sostanza di ciò che sarà oggetto della futura prova da assumere
in contraddittorio (secondo infatti il disposto di cui all'art. 441 comma sei
cpp le forme per l'assunzione degli interrogatori citati saranno anche quelle
di cui all'art. 422 comma tre che prevede le domande anche da parte delle difese
e del PM), con ciò garantendosi ogni diritto difensivo;
2) consentire l'utilizzo processuale degli stessi solo ed esclusivamente ai
sensi ed ai fini di cui agli artt. 500 e 503 cpp, richiamati dall'art. 238 comma
4 cpp (disposizioni il cui contenuto appare applicabile pacificamente anche
al caso in esame trattandosi comunque di interrogatori da svolgere in contraddittorio
in un processo vero e proprio quale è il rito abbreviato).
PQM
Letto l'art. 441 comma 5 cpp;
ritenuto necessario ai fini della decisione interrogare gli imputati in procedimento
connesso G. R. e G. G.;
fissa
per tale incombente l'udienza del 4 ottobre 2000 prossimo, udienza che sarà svolta con le forme della videoconferenza per i predetti interrogatori, restando le parti presenti e quelle comunque avvisate edotte di tale fissazione con le forme indicate e del connesso rinvio senza altro avviso.
Manda la Cancelleria per:
- nuove traduzioni di tutti gli imputati
- la citazione dei due imputati in procedimento connesso sopra indicati, con
le forme della videoconferenza;
- la notifica dell'avviso di tale interrogatorio ai difensori dei due predetti
imputati.
Napoli 21 luglio 2000
Il Giudice per le Indagini
Preliminari
dott. Domenico Zeuli