Giudice dell'Udienza Preliminare presso il Tribunale della Spezia,
Sentenza 2 giugno 2000

N. 1321/98/21 - 4 R.G Notizie di Reato N. Mod. 28
N. 64/99/20 - 3 R.G. - G.I.P N. Mod. 29
N. 203/00/30 Reg. Sentenze

TRIBUNALE DELLA SPEZIA
(Sentenza ex artt. 425 C.P.P.)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice dell'Udienza Preliminare Dr. ALESSANDRO RANALDI, nell'udienza del 2/6/2000 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

nei confronti di

G. E.
Libera/contumace

IMPUTATA

Del reato p. e p. dall'art. 4 comma 1 lett. d) L. 516/82 per avere utilizzato le seguenti fatture per operazioni inesistenti: n. 126 del 31/3/98 emessa dalla Edilmec srl nei confronti della ditta Giannarelli Edda dell'importo di L. 9.550.000 + IVA
Accertato in La Spezia e Follonica

Con l'intervento del Pm dott.ssa Dani e del difensore come sopra indicato.
Le parti hanno così concluso: Il PM chiede pronunciarsi sentenza di NDP perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. La difesa si associa.

FATTO E DIRITTO

Con rituale richiesta di rinvio a giudizio il Pubblico Ministero esercitava l'azione penale nei confronti di G. E. per il reato meglio descritto in intestazione.
All'udienza preliminare, svoltasi in contumacia dell'imputata, non comparsa senza addurre alcun legittimo impedimento, entrambe le parti chiedevano al giudice dichiararsi non luogo a procedere perché il fatto contestato non è più previsto dalla legge come reato.
In effetti rileva questo Giudice che il fatto per cui si procede non è più previsto dalla legge come reato: il D.L.vo 10 marzo 2000 n. 74 ha infatti realizzato un ampio intervento di depenalizzazione di molte fattispecie di reato in materie di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, delineando nuove fattispecie di delitto solo per poche condotte ritenute di elevata offensività, caratterizzate dalla presenza di un dolo specifico di evasione delle imposte, con eliminazione delle fattispecie contravvenzionali, e comunque ancorando la rilevanza penale (almeno per gran parte delle nuove ipotesi di reato) al superamento di talune soglie quantitative di rilevanza del fatto ragguagliate sia alla entità della base imponibile non dichiarata che alla entità dell'imposta evasa.
L'art. 25 del decreto legislativo citato, inoltre, ha abrogato in toto il titolo I del decreto legge 10\7\1982 n. 429 convertito dalla legge 7 agosto 1982 n. 516 e poiché l'art. 24 co. 1° L. 7\1\1929 n. 4 -che sanciva il principio di ultrattività delle disposizioni penali delle leggi finanziarie- è stato abrogato dall'art. 24 D.Lvo 30 dicembre 1999 n. 507, vi è necessità di fare diretto riferimento, ai fini della individuazione del trattamento sanzionatorio da riservare ai fatti per i quali pende procedimento penale al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina dei reati in materia di imposte, all'art. 2 del codice penale.
Nel caso di specie oggetto di contestazione è un reato previsto proprio dal titolo abrogato. Il fatto contestato non rientra in alcun modo nei comportamenti che oggi continuano ad avere rilevanza penale e l'intervento del legislatore si è risolto in una radicale abrogazione del reato, non essendo stata mantenuta autonoma rilevanza penale per la condotta di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, che semmai, nella nuova disciplina (che trova comunque applicazione per i fatti avvenuti a partire dal 15/4/2000, data di entrata in vigore della riforma), costituisce un antefatto (di per sé non punibile) del delitto previsto dall'art. 2 del citato decreto legislativo (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti). Non essendovi alcun rapporto di specialità (art. 15 c.p.) fra il fatto previsto dalla normativa abrogata (utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti) e quello attualmente disciplinato dall'art. 2 cit. (dichiarazione fraudolenta), trattandosi di fattispecie per nulla identiche sotto il profilo strutturale, fondandosi all'evidenza su elementi materiali assolutamente non sovrapponibili (per l'una bastava la mera utilizzazione, per l'altra occorre la specifica indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi/IVA di elementi passivi fittizi), non appare applicabile al caso il disposto di cui al 3° comma dell'art. 2 c.p., che presuppone una identità del fatto astrattamente regolato da leggi diverse, cosicché l'abrogazione della disposizione di legge in argomento [art. 4 comma 1 lett. d) L. 516/82] determina una abolitio criminis ai sensi del 2° comma dell'art. 2 c.p. e non una successione di leggi penali (cfr., per la corretta interpretazione del disposto di cui all'art. 2 c.p. in ipotesi di successione o abrogazione di leggi, la recente Cass., sez. 5°, 14/10/99, ric. Ghezzi, in Foro Italiano, n. 4/2000, parte II, pagg. 236 e segg., in relazione all'abolizione del reato di oltraggio).
L'assoluta diversità materiale dei fatti in questione è confermata, oltre che dalla non necessaria consequenzialità dei detti comportamenti, dalla considerazione che per l'accertamento delle menzionate condotte occorre esplicare differenti attività di indagine, tant'è che i procedimenti istruiti in materia di utilizzazione di "false" fatture difettano sempre di elementi idonei a comprovare, di per sé, la fattispecie criminosa introdotta dall'art. 2 cit., rendendo per tale motivo necessaria un'integrazione probatoria che, pur coerente con la "nuova" impostazione accusatoria (cui non può che conseguire una "nuova" impostazione difensiva), costituisce un chiaro indice di eterogeneità dei fatti e di impossibilità di ritenere che la fattispecie abrogata di "utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti" di cui all'art. 4 lett. d) cit. sia confluita in quella di "dichiarazione fraudolenta" di cui all'art. 2 cit. in forza di un fenomeno di successione di leggi penali, regolato dal 3° comma dell'art. 2 c.p., che al contrario presuppone sempre, lo si ribadisce, una identità sostanziale del fatto astrattamente regolato da leggi diverse.
Non essendo intervenuta definizione del procedimento con sentenza o decreto irrevocabili, alla violazione di cui trattasi deve dunque essere applicata la disposizione di cui all'art. 2 co. 2° C.P. che impedisce la punizione per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce reato.

P. Q. M.

visto l'art. 425 CPP dichiara non luogo a procedere nei confronti di G. E. in ordine al reato a lei ascritto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

La Spezia, 2 giugno 2000

Il Giudice
Alessandro Ranaldi

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