Tribunale di Padova, Sezione Penale,
Ordinanza 1° giugno 2000

TRIBUNALE DI PADOVA
SEZIONE PENALE

N. 921/96 R.G. Trib.
N. 1169/94 R. n.r.

ORDINANZA

Il Tribunale in composizione collegiale,
sentita l'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal P.M. all'udienza del 3-5-2000 avente ad oggetto gli artt. 513 e 210 co. 4 c.p.p.;
sentite le altre parti;
valutato lo svolgimento dell'istruttoria dibattimentale sin qui espletata, ai fini e per gli effetti di cui all'art. 23 co. 2 L. 11-3-1953 n. 87;
osserva quanto segue.

Nel procedimento a carico di O. M. + altri, imputati dei reati di cui agli art. 640 e 416 c.p., il P.M. ha fra l'altro chiesto l'ammissione dell'esame ex art. 210 c.p.p. di F. F., già imputato di reati connessi, ex art. 12 lett. a) c.p.p., a quelli per cui oggi si procede, nei confronti del quale è stata peraltro pronunciata dal GUP di questo Tribunale sentenza ex art. 444 c.p.p., passata in giudicato in data 8/11/97, come risulta da copia di sentenza acquisita agli atti.
In dibattimento il F. (che, come precisato dal P.M, ha reso 6 interrogatori in fase di indagini preliminari) ha ritenuto di avvalersi della facoltà di non rispondere (cfr. verbale ud. 3-5-2000); le parti non hanno comunque consentito all' acquisizione delle sue dichiarazioni.
A seguito di tale scelta processuale, il P.M., senza procedere a specifiche contestazioni ex art. 513 co. 2 , cpp come integrato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 361/98, ha sollevato la predetta eccezione di illegittimità degli artt. 513, 210 co. 4 c.p.p., per violazione degli artt. 3, 24 e 112 Cost., nella parte in cui tali norme facultizzano l'imputato di reato connesso a non rispondere su fatti concernenti altre persone nei confronti delle quali abbia reso dichiarazioni durante la fase delle indagini preliminari .

La parte civile si è associata alle conclusioni del P.M., evidenziando peraltro la necessità di procedere alle contestazioni specifiche prodromiche all'acquisizione dei verbali utilizzati per le contestazioni, ex art. 513 c.p.p..

Le difese degli imputati hanno al proposito manifestato la propria opposizione, anticipando l'intenzione, in tal caso, (ossia di richiesta di acquisizione di verbali seguita alle contestazioni specifiche) di sollevare questione di illegittimità dell'art. 513 c.p.p come integrato dalla sentenza Corte Cost. 361/98, per violazione dell'art. 111 Cost. come recentemente modificato dalla legge cost. 2/99. Tale norma consentendo l'acquisizione delle dichiarazioni citate darebbe infatti luogo alla formazione di prova non in contraddittorio delle parti in evidente contrasto con il principio specificamente contenuto nel 4° comma dell' art. 111 Cost. nella sua attuale formulazione (le dichiarazioni stesse non hanno costituito oggetto di contraddittorio né al momento della loro originaria enunciazione dinanzi al p.m. né in dibattimento in ragione del silenzio mantenuto dal F.).
Il Tribunale osserva quanto segue.

In punto di rilevanza della questione rispetto al caso in esame, va evidenziato che dall'istruttoria dibattimentale sinora svolta, anche ai fini di una compiuta valutazione ai sensi dell'art. 23 co. 2 L. 87/53, la figura del F. è emersa come centrale rispetto alle vicende che hanno portato alla formulazione degli attuali capi d'imputazione, tenuto conto della sua qualifica soggettiva (egli era direttore della filiale dell'istituto bancario di cui alle imputazioni) e dei rapporti che secondo la prospettazione dell'accusa esistevano tra lui e gli attuali imputati.
Per altro verso non sono emersi elementi da cui desumere l'esistenza dei presupposti di cui al 5° comma dell'art. 111 Cost.
Per altro verso ancora, la rilevanza delle sue dichiarazioni si deve presumere dal fatto che egli ha reso, come dichiarato dal P.M. e come emerge dal decreto di rinvio a giudizio, ben sei interrogatori nel corso delle indagini preliminari: privarsi delle sue dichiarazioni equivale dunque, per quanto allo stato si possa ragionevolmente presumere, a sottrarre al panorama probatorio una significativa fonte di valutazione.

In punto di non manifesta infondatezza. Appare in primo luogo necessario esaminare se l'art. 513 c.p.p., come integrato dalla più volte citata sentenza della Corte costituzionale, sia norma tuttora vigente in tale formulazione nell'ordinamento; ciò non solo, ed in generale, per effetto della modifica dell'art. 111 Cost., ma anche, e nello specifico, alla luce della normativa introdotta dalla L. 35/2000, normativa di carattere transitorio che si applica "fino alla data di entrata in vigore della legge che disciplina l' attuazione dell' art. 111 della Costituzione, così come modificato…" a tutti i procedimenti in corso alla data del 7-1-2000, tra cui quello in esame.
Vertendosi in ipotesi di procedimento in corso nel quale le dichiarazioni non sono ancora state acquisite deve infatti trovare indubbiamente applicazione la norma di cui al 1° comma dell' art 1 del D.L. 7/1/2000 convertito con modifiche nella l. 25/2/2000 e non quella del 2° comma dello stesso articolo..
E' parere di questo Tribunale che, a prescindere dalla connotazione di norma self-executing da attribuire all' art. 111 Cost. novellato che correttamente parte dei commentatori le ha attribuito, la predetta legge di conversione (norma di pari rango rispetto a quella che ha introdotto nel suo complesso la normativa processuale vigente), limitando sia pure "transitoriamente" l' utilizzazione dei verbali di dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari all' ipotesi in cui essi siano già acquisiti al fascicolo del dibattimento, introduca un regime del tutto incompatibile con quello venutosi a creare dopo la citata decisione 361/98 della Corte costituzionale, che prevedeva la possibilità di acquisizione al fascicolo e dunque di utilizzazione dei verbali di dichiarazioni rese durante la fase delle indagini preliminari dall'imputato di reato connesso che si sia poi avvalso della facoltà di non rispondere a dibattimento, senza alcun limite temporale salva la previa effettuazione di contestazione.
Tale incompatibilità tra le normative di pari rango succedutesi nel tempo implica ex art. 15 preleggi l'abrogazione della norma anteriore incompatibile.
Va ricordato per completezza che l'abrogazione tacita è situazione ben distinta dal contrasto con precetti costituzionali e, del resto, il riconoscimento dell' avvenuta abrogazione di una norma rientra certamente nella competenza del giudice.
Valutando come attuale l'obbligo di attenersi ai principi contenuti nella nuova formulazione dell'art. 111 Cost. come "applicato" dalla L. 35 citata, non risulta pertanto possibile procedere a contestazioni specifiche finalizzate esclusivamente ad uno scopo di acquisizione di prove (i verbali delle pregresse dichiarazioni) ormai inattuabile.
Per tali ragioni e per quanto si dirà di seguito in particolare con riferimento alla norma di cui all' art. 197 c.p.p. la prospettazione della parte civile circa la necessità di procedere alle contestazioni specifiche non è condivisa da questo Collegio; parimenti, si rende improponibile la questione di costituzionalità anticipata dalle Difese (avente ad oggetto l'art. 513 c.p.p.), atteso che l'interpretazione che qui si prospetta (sulla base della quale la norma, in particolare il comma secondo, ultima parte, come integrato dalla sent. 361/98, è di fatto abrogata) appare conforme a Costituzione, e rende dunque superflua la prospettazione della questione in tali termini.

///

Se dunque va affermato che il nucleo della questione non è più la conformità costituzionale dell'art. 513 c.p.p, (questione già "risolta" dalla nuova normativa nel senso di cui sopra si è detto), risulta a tal punto evidente che va affrontato il profilo della legittimità costituzionale degli artt. 210 co. 4 in relazione al 1° e 197 lett. a) c.p.p. norme in base alle quali viene, da un lato, riconosciuta al F. la facoltà di non rispondere, e dall'altro, viene prevista la sua incompatibilità a deporre come teste, in quanto persona già giudicata con sentenza non di proscioglimento divenuta irrevocabile.
Dette norme si pongono invero in contrasto con gli artt. 3, 111 in particolare al 3° comma e 112 Cost.
Il Collegio reputa di dover sottoporre al vaglio della Corte un profilo di illegittimità costituzionale che solo in parte si sovrappone a quello prospettato dal P.M. di cui va peraltro condivisa la considerazione di partenza, secondo la quale il complessivo assetto di composizione dei diversi principi considerati nella citata sentenza 361 risulta ora superato dall'introduzione a livello costituzionale delle specificazioni circa la necessaria garanzia di formazione in contraddittorio, prevista dal nuovo art. 111, con l'inevitabile vanificazione, quanto ad efficacia probatoria, delle dichiarazioni rese erga alios in fase di indagini preliminari da chi in seguito si sottrae volontariamente al contraddittorio mediante l'esercizio della facoltà di non rispondere, non più superabile attraverso il meccanismo delle contestazioni.
Per tale ragione, e cioè per il diverso assetto normativo che si è venuto a creare, si può ritenere superata ogni considerazione contraria che parrebbe derivare dalla più volta citata sentenza 361 laddove viene affermato che "nei termini in cui sono poste e in riferimento all' attuale formulazione dell' art. 210 4° comma c.p.p. le questioni [attinenti ai profilati dubbi di legittimità della norma testé citata] sono infondate". Ed invero al di là della esplicita e marcata sottolineatura di quella che in sintesi potrebbe definirsi una "clausola rebus sic stantibus" non si può dimenticare che il testo della decisione prosegue evidenziando che il dubbio di illegittimità che investiva tale norma non aveva ragione di essere proprio perché "altri sono [erano] gli strumenti offerti dall'ordinamento processuale penale per porre rimedio alle censure dei giudici rimettenti già indicati da questa Corte mediante il contestuale intervento additivo sull'art. 513 comma 2° c.p.p.". Tale intervento additivo è stato infatti ora vanificato ed i diversi strumenti sono venuti meno: la situazione dunque è mutata.
Parimenti appare condivisibile ritenere che le nuove regole fissate dall'art. 111 Cost. impongano a livello costituzionale (e ciò a tutela dei medesimi valori costituzionali posti a base della sentenza 361) una revisione dei confini tra il diritto alla formazione della prova in contraddittorio ed il diritto al silenzio del dichiarante erga alios nel senso che alla maggior espansione ed alla più intensa tutela del primo (art. 111, 4° comma in relazione alla formazione in contraddittorio della prova, ma anche 3° comma in relazione al diritto ora costituzionalmente riconosciuto di "interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico") debba corrispondere la riduzione dell'area riguardante l' esercizio della facoltà di non rispondere che sia possibile ritenere legittima costituzionalmente. In altri termini proprio in ragione di quanto previsto ex art. 111, 4° comma Cost. il diritto al silenzio non può essere ritenuto preponderante in tutta l'ampiezza sinora riconosciuta rispetto al diritto ad interrogare o far interrogare spettante a chi sia chiamato in causa; in particolare ciò vale nei confronti di chi ha inteso rendere prima del dibattimento, ma nel procedimento dichiarazioni ed ha parlato di fatti riguardanti coimputati od imputati in procedimenti connessi.
Non appare, per contro, condivisibile che tale riconsiderazione si debba appuntare ora, oltre che sulla norma di cui all'art. 210 c.p.p, sulla norma di cui all'art. 513 anziché su quella di cui all'art. 197 lett. a) c.p.p. e ciò proprio in ragione della già citata costituzionalizzazione del diritto al contraddittorio.
La tutela del diritto di difesa così come concepita ed attuata dal legislatore costituzionale del '99 impone ora che elementi di prova come quelli di cui si discute entrino nel patrimonio conoscitivo del giudice (salvo i casi espressamente eccettuati) solo previa concreta instaurazione del contraddittorio tra dichiarante e destinatario delle dichiarazioni di fronte al giudice stesso. In altri termini la modifica costituzionale intervenuta pare portare alla conclusione che l' affermazione secondo la quale non è conforme al principio costituzionale di ragionevolezza "una disciplina che precluda a priori l' acquisizione in dibattimento di elementi di prova raccolti legittimamente nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare" (sent. 361) va oggi rielaborata nel senso che non appare conforme al predetto principio una disciplina che precluda in ogni caso dal novero delle possibili testimonianze situazioni del tutto comparabili concettualmente a quelle che ricadono in tale novero in quanto non differiscono sostanzialmente da casi espressamente ivi previsti (v. cit. lett. a) e, che trovano in altre norme adeguata tutela dai rischi di violazione del citato principio nemo tenetur se detegere.
Tra tali norme quella di cui all'art. 198, 2° comma e quella di cui all'art. 63 c.p.p, in un sistema complessivo di garanzia dai rischi di "autoincriminazione" per cui pare potersi ribadire, pur in diverso contesto normativo, quanto evidenziato dalla Corte circa il fatto che esistono meccanismi atti ad evitare che vengano posti in essere violazioni dei fondamentali diritti di chi rende dichiarazioni ove quelle sul fatto altrui risultino inscindibilmente connesse a profili di responsabilità sul fatto proprio (sent. 361 cit.)
Al riguardo del cosiddetto diritto al silenzio, la stessa Corte, nella citata sentenza 361/98, pur affermando che " il diritto al silenzio non è suscettibile di censure di costituzionalità", ne ha peraltro ancorato il fondamento ad una "irrinunciabile manifestazione del diritto di difesa dell'imputato" a sua volta sintetizzato nel più volte citato principio nemo tenetur se detegere.

Tanto premesso, va osservato che la norma di cui all'art. 210 co. 4 c.p.p. non riserva la facoltà di astenersi dal rispondere solamente alle persone nei confronti delle quali si proceda contestualmente o vi sia stata una decisione (decreto di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere, pronunce comunque non irrevocabili) suscettibile di essere modificata. La norma citata estende invece tale facoltà anche alle persone già definitivamente giudicate con la sola eccezione di quelle per le quali "la sentenza di proscioglimento sia divenuta irrevocabile" (art. 197 lett. a- c.p.p.).
In altri termini possono avvalersi della facoltà di non rispondere anche coloro che non hanno più da temere conseguenze contra se per effetto delle loro dichiarazioni, (ad esempio coimputati nei confronti dei quali è stata pronunciata sentenza ex art. 444 c.p.p. passata in giudicato) rispetto alle quali il principio nemo tenetur se detegere non può essere invocato per escludere l' obbligo di deporre.

///

Il Collegio ritiene che in questo si incentri l'irragionevolezza della normativa di cui al combinato disposto degli artt. 210 co.4 e 197 lett. a) c.p.p., e cioè nel fatto che mentre tutte le persone nei cui confronti sia intervenuta una pronuncia definitiva, (non importa se di assoluzione o di condanna o ex art. 444 c.p.p.), assumono nel dichiarare erga alios una posizione sostanzialmente equiparabile a quella del testimone e mentre per tutte tali persone è venuto meno in modo indifferenziato il rischio del se detegere, per altro verso solamente alcune e cioè quelle nei cui confronti sia intervenuta sentenza di proscioglimento divenuta irrevocabile, possono essere sentite come testi con tutto quanto ciò comporta, in primis rispetto all'obbligo di rendere dichiarazioni (il tenore della norma è del tutto chiaro, v. del resto Cass. Sez. 1° sent. 29/11/95 imp. Varsalone).
Ne deriva l'irragionevole conseguenza che il coimputato già giudicato definitivamente con sentenza non assolutoria diviene arbitro della "funzione essenziale del processo che è appunto di verificare la sussistenza dei reati oggetto del giudizio e di accertare le relative responsabilità" (sent. 361 cit.). Potendo decidere se rendere o meno dichiarazioni secondo "scelte meramente discrezionali", egli da un lato condiziona l'esercizio dell'azione penale, soprattutto nei casi in cui le sue pregresse dichiarazioni abbiano, in ipotesi, comportato il rinvio a giudizio o comunque lo sviluppo del procedimento (si pensi per es. all'emissione di misure cautelari); dall'altro si sottrae a quanto previsto dalla stessa nuova formulazione dell'art. 111 Cost. e cioè all'interrogatorio dei suoi accusati e loro difensori.

In definitiva, il combinato disposto degli artt. 210 co. 4 e 197 lett. a) c.p.p. così come attualmente congegnato viene a violare parametri costituzionali quali quelli dell'art. 3,dell'art. 111 co. 3 e dell'art. 112 Cost.

Quanto alla prospettata violazione dell'art. 3, va ribadito che già ora, come ricordato nella sentenza 361, "…sul terreno processuale l'imputato in procedimento connesso è in gran parte già sottoposto alla disciplina propria dei testimoni: l'art. 210 co. 2 c.p.p. prevede la citazione mediante le norme per i testimoni, l'obbligo di presentazione al giudice e l'accompagnamento coattivo. Tali simmetrie trovano appunto spiegazione e giustificazione nella analogia tra le posizioni processuali di soggetti le cui dichiarazioni sono contraddistinte dall'essere rivolte e dall'essere destinate a valere, nei confronti di altri…".
Tali considerazioni, che la Corte formulava in riferimento all' "imputato", vanno a rafforzare ulteriormente l'argomentazione che qui si propone ove si rifletta sul fatto che la censura di illegittimità è mossa laddove gli articoli 210 co. 4 e 197 lett.a c.p.p. attribuiscono la facoltà di non rispondere, e parallelamente dichiarano incompatibile ad assumere l'ufficio di testimone, non già l'imputato di reato connesso, ma chi, già imputato di tale reato, sia stato giudicato con sentenza irrevocabile diversa da quella di proscioglimento.
Per contro, costui si trova sostanzialmente in condizioni affatto analoghe a quelle del testimone, - stante la natura definitiva ed irrevocabile della sentenza emessa a suo carico, e la tutela comunque prevista dagli artt.. 63 e 198 co. 2c.p.p.- e tuttavia ( in violazione dell'art. 3 Cost) beneficia di condizioni favorevoli al primo non riconosciute, ossia della facoltà di non rispondere.

Quanto alla violazione degli attuali terzo e quarto comma dell'art. 111 Cost., appare preminente la considerazione che colui che in precedenza aveva reso dichiarazioni erga alios (utilizzate nella fase delle indagini preliminari, anche, in ipotesi, per motivare provvedimenti cautelari o per emettere un rinvio a giudizio) e successivamente si avvale della facoltà di non rispondere, di fatto preclude alle altre persone accusate degli stessi o di connessi reati di interrogarlo e farlo interrogare davanti ad un giudice.
Non può sfuggire il rilievo che può assumere, a fini difensivi, l'esigenza di esaminare o controesaminare il soggetto le cui dichiarazioni pregresse ( benché non utilizzabili in giudizio- salvo il consenso ex art. 493 co. 3 c.p.p., come novellato dalla L. 479/99- ma utilizzate in fase processuali precedenti) siano state, in ipotesi, contraddette da altri elementi di prova poi di fatto emersi; cosicché verrebbe a crearsi la paradossale situazione per la quale un soggetto, già coimputato di reato connesso, che sia stato già giudicato con sentenza irrevocabile non di proscioglimento, potrebbe evitare il momento di verifica processuale, in contraddittorio con i suoi accusati, attuali imputati, in ipotesi anche calunniosamente chiamati in correità.
E' stato invero con ragione osservato che "il diritto a confrontarsi con l' accusatore è attuato pienamente solamente se l' imputato ha il diritto di costringere l' accusatore a formulare i suoi addebiti dinanzi a lui ed al giudice con l' obbligo penalmente sanzionato di rispondere secondo verità". Di questo occorre tener conto nell' interpretare l' art.111 Cost. non della accidentale e fuorviante considerazione che, nel concreto ed in taluni casi, può essere "più vantaggioso" per l' imputato che l' accusatore non renda dichiarazioni in sede dibattimentale. Rimane invero evidente che tra le funzioni dell' ordinamento processuale penale vi è, ed in primis, quella di tutela dei diritti dell' imputato che rimane però inesorabilmente distinta da un punto di vista concettuale da quella di tutela degli interessi.

Per altro verso e per altro aspetto non va dimenticato che la mancata attuazione del diritto al confronto preclude il diritto all prova che spetta anche alla parte pubblica del processo ed invero l'ultima norma costituzionale che si assume violata, l'art. 112 Cost., laddove prevede che "Il Pubblico Ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale" viene menzionata in ragione del fatto che la scelta discrezionale del già coimputato di reato connesso incide significativamente sull'esercizio dell'azione penale, che rimane in tal caso esposta ad una variabile irragionevole, e tuttavia idonea a vanificare, o comunque a incidere significativamente sul predetto valore costituzionale.

Va infine considerato che l'eccezione proposta, a parere di questo Collegio, non implica un intervento additivo o manipolativo .
Invero, il sistema delineato dalle norme di cui agli artt. 210 co. 4, in relazione al comma 1, e 197 lett. a) c.p.p. verrebbe ad essere conforme a Costituzione ove fosse eliminato l'inciso "o si è proceduto" dal primo comma dell'art. 210 c.p.p., richiamato dal comma quarto; nonché ove , all'art. 197 co. 1 lett. a) c.p.p. fosse eliminato l'inciso "di proscioglimento" tra le parole "salvo che la sentenza" e quelle "sia divenuta irrevocabile", in tal modo non pregiudicando la facoltà di non rispondere per chi sia stato destinatario di decisioni (es.: sentenza di non luogo a procedere) comunque non irrevocabili.

PQM

visto l'art. 23 L. 11-3-1957 n. 87

ritenuta

rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 210 co. 4 in relazione al co. 1 per violazione degli artt. 3, 111 e 112 Cost., nella parte in cui prevede che il giudice debba avvertire della facoltà di non rispondere anche le persone nei confronti delle quali si è proceduto; e dell'art. 197 co. 1 lett. a ) c.p.p., per violazione degli artt. 3,111 e 112 Cost. nella parte in cui prevede l'incompatibilità con l'ufficio di testimone dei coimputati del medesimo reato o degli imputati di reato connesso a norma dell'art. 12, anche se nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile o comunque definitiva.

sospende

il presente giudizio, anche ai fini dell'art. 159 c.p., e

dispone

la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

mandando

la Cancelleria per la notifica della presente ordinanza al presidente del Consiglio dei Ministri e la sua comunicazione ai Presidenti delle Camere.

Ordinanza letta in udienza, alla presenza delle parti.

Padova, il 1° giugno 2000

Il Presidente
Dr. A. Apostoli Cappello

I Giudici
Dr. ssa Lara Fortuna
Dr.ssa Mariella Fino

[torna alla primapagina]