Tribunale
di S. Angelo dei Lombardi, in composizione monocratica,
Ordinanza 11 aprile 2000
TRIBUNALE
DI S. ANGELO DEI LOMBARDI
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi in composizione monocratica dott. Ferdinando LIGNOLA, all'udienza dell'11.4.2000 ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel procedimento a carico
di XXXXXXXXXXXXXXX
generalizzato come in atti.
All'odierna udienza, all'atto della costituzione dell'ufficio, era designato
dal Procuratore della Repubblica di S. Angelo dei Lombardi quale rappresentante
dell'ufficio del Pubblico Ministero nell'udienza odierna l'avv. YYYYYYYYY "viste
le necessità di questo Ufficio di Procura", come da delega agli
atti.
In proposito il Tribunale osserva.
L'art. 72 del R.D. n.12 del 1942, disciplinante i Delegati del procuratore
della Repubblica presso il tribunale ordinario, è stato oggetto di
due recenti interventi da parte del legislatore ordinario.
L'art. 23 del D. Lvo 51/1998 ne ha riscritto completamente il contenuto, prevedendo
la possibilità di delegare nominativamente le funzioni dell'udienza dibattimentale,
nei procedimenti sui quali il tribunale giudica in composizione monocratica,
ad uditori giudiziari, a vice procuratori onorari addetti all'ufficio, ad ufficiali
di polizia giudiziaria diversi da coloro che hanno preso parte alle indagini
preliminari ed a laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno
della scuola biennale di specializzazione per le professioni legali, di cui
all'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398.
In particolare, poi, il terzo comma della norma prevedeva che "nella
materia penale, è seguito altresì il criterio di non delegare
le funzioni del pubblico ministero in relazione a procedimenti relativi a reati
per i quali la legge stabilisce una pena detentiva superiore a quattro anni
di reclusione, determinata a norma dell'art. 4 del codice di procedura penale".
Tale comma (la cui entrata in vigore è stata differita al 2.2.2000 dall'art.
3, comma 3, del decreto-legge 24 maggio 1999 n. 145, conv. nella legge n. 234/1999),
è stato poi modificato dall'art. 58 della legge 16 dicembre 1999, n.
479, nel testo attuale: "nella materia penale, è altresì
seguito il criterio di non delegare le funzioni di pubblico ministero in relazione
a procedimenti relativi a reati diversi da quelli per cui si procede con citazione
diretta a giudizio secondo quanto previsto dall'art. 550 del codice di procedura
penale".
L'ambito dei procedimenti delegabili è dunque più propriamente
individuato dalla lettura combinata dei commi 1 e 3 dell'art. 72 citato, che
limita ai reati che seguono il procedimento cd. "a citazione diretta"
la possibilità di esercizio della funzione requirente da parte del vice
procuratore onorario.
Non è possibile infatti vedere nel terzo comma una norma priva di contenuto
precettivo: già sotto il profilo letterale, infatti, il termine "criterio"
è sinonimo di "regola", "norma", "principio",
o quanto meno "metodo", "parametro", il che già è
indice, in mancanza di una espressa limitazione normativa (con espressioni quali
"normalmente", "di massima", "ove possibile",
"di regola", ecc.), del carattere inderogabile del precetto.
La lettura suggerita è inoltre dettata da ragioni di ordine "sistematico".
Anche nell'art. 43 bis delle norme di Ordinamento giudiziario, inserito
dall'art. 10 del D. L.vo 51/1998, a proposito delle funzioni dei giudici onorari
addetti al tribunale ordinario, la cui possibilità di tenere udienza
è limitata dal secondo comma ai casi di impedimento o mancanza dei
giudici ordinari, il legislatore ha adoperato l'espressione "è
seguito il criterio" rispetto al non affidamento agli stessi, nella
materia penale, delle funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice
dell'udienza preliminare, nonchè la trattazione di procedimenti relativi
a reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva superiore a quattro
anni di reclusione.
In questo caso il diverso criterio adoperato dal legislatore rispetto ai magistrati
onorari requirenti (i "procedimenti relativi a reati per i quali la
legge stabilisce una pena detentiva superiore a quattro anni di reclusione",
con esclusione dunque di quelli singolarmente indicati dall'art. 550 e rientranti
in tale fascia, per i quali dunque può aversi sostituzione nelle funzioni
requirenti e non in quelle giudicanti) conferma la natura inderogabile del precetto.
Peraltro la circostanza che rispetto al passato il legislatore abbia sentito
il bisogno di limitare la cognizione del giudice onorario addetto al tribunale
ordinario rispetto a quella del vecchio vice pretore onorario (atteso che -
se pure il limite di pena detentiva coincide con quello della "vecchia"
competenza pretorile - resta nondimeno escluso l'affidamento ai giudici onorari
dei procedimenti relativi ai reati già specificamente attribuiti alla
competenza del pretore dal vecchio comma 2 dell'articolo 7 del codice di procedura
penale, puniti con pena massima più elevata, reati che peraltro contribuiscono
in modo determinante a costituire il carico di lavoro degli uffici giudiziari)
è una ulteriore conferma del carattere inderogabile del precetto.
Non è privo di significato, sempre sotto il profilo sistematico, che
il vecchio testo dell'art. 34 (cui corrisponde l'attuale art. 43 bis) al comma
2 testualmente affermasse che "i vice pretori onorari non possono, di
regola, tenere udienze se non nei casi di mancanza o di impedimento del
titolare e degli altri pretori".
L'interprete attento noterà inoltre la coerenza di una previsione legislativa
che impone la presenza del pubblico ministero togato nel rito maggiormente garantito,
nel quale tale partecipazione è già assicurata nella fase dell'udienza
preliminare: sarebbe del tutto incoerente prevedere la partecipazione del magistrato
togato solo nella fase del filtro e poi consentire che nella fase fisiologicamente
destinata alla decisione partecipi un magistrato onorario.
Va ancora nel senso di una interpretazione rigorosa della norma la concezione
del processo penale che emerge dalla Costituzione, quale strumento di garanzia
e sede di garanzie dell'imputato, rispetto all'imputazione contestagli,
garanzie che risulterebbero ingiustificatamente affievolite da una interpretazione
"elastica" della norma di ordinamento giudiziario relativa al pubblico
ministero, poichè, prescindendo dalla indiscutibile ed elevata professionalità
dei magistrati onorari, la presenza del magistrato togato costituisce maggiore
garanzia, essendo solo questi titolare di funzioni inquirenti anche "a
favore" della persona indagata, e per la sua natura di "parte pubblica"
ed "imparziale" (Corte costituzionale, ord. dell'11 aprile 1997, n.
96, in Giur. cost. 1997, 953).
Una interpretazione della norma che affermasse la derogabilità della
regola dettata dal comma 3 dell'art. 72 R.D. n.12 del 1942, imporrebbe da una
parte una compiuta motivazione dell'atto derogante, secondo i principi generali
in materia di atto amministrativo in genere ed in particolare dell'azione dell'autorità
giudiziaria (articoli 97, comma 1; 111, commi 1 e 6, Cost.); e dall'altra l'irrinunciabile
potere del Tribunale di sindacare tale disapplicazione del canone legale, potere
difficilmente esercitabile in mancanza di un parametro, nella norma citata,
cui uniformare la deroga da parte del titolare dell'azione penale e che inevitabilmente
condurrebbe l'organo giusdicente ad interferire nell'organizzazione interna
dell'ufficio di Procura.
A ritenere poi il potere del Procuratore sganciato da ogni indirizzo, si finirebbe
con il configurare la scelta del pubblico potere non in termini di legalità
- discrezionalità, ma di sostanziale libertà, il che imporrebbe
la proposizione di una questione di illegittimità costituzionale della
norma.
Non può ignorarsi, infatti, come il principio di legalità costituisca
il principio fondamentale di funzionamento delle pubbliche amministrazioni,
prima ancora che principio di diritto processuale penale (oggi chiaramente affermato
dall'art. 111, comma 1, Cost., nel testo introdotto dalla recente legge cost.
n. 2 del 23.11.1999), costituendo, più che un limite, il vero e proprio
fondamento dell'esplicazione dei pubblici poteri (cd. principio di legalità
sostanziale), che nella legge devono trovare il proprio fondamento positivo,
con norme che ne disciplinino competenza, forma, presupposti, contenuti, limiti,
effetti.
Pur in mancanza di una esplicita affermazione nel diritto pubblico, esso viene
desunto da una serie di enunciazioni di livello costituzionale, prima fra tutte
quella relativa alla sovranità popolare (art. 1 Cost.), che va esercitata
comunque "nelle forme e nei limiti della Costituzione", oltre
che in altre norme di carattere generale (articoli 23; 42 comma 3; 103, 113
e 24; 101; 125 e 130 della Costituzione) e, in materia di organizzazione dei
pubblici uffici, dall'art. 97, comma 1, Cost..
Evidentemente il principio di legalità sostanziale non può non
riguardare anche l'attività della Procura, se solo si considera che la
principale norma costituzionale relativa a tale attività, l'art. 112
Cost., uniformando alla regola della obbligatorietà l'esercizio dell'azione
penale, in sostanza proietta in chiave processuale il principio di legalità
- tassatività della norma penale; principio che verrebbe meno qualora
si accedesse ad una interpretazione delle norme di ordinamento giudiziario che
rimettesse alla libera scelta del pubblico potere la presenza del magistrato
togato nella udienza dibattimentale davanti al tribunale in composizione monocratica,
consentendo in sostanza al Procuratore della Repubblica di rinunciare del tutto
all'attività requirente, a vantaggio esclusivo di quella investigativa,
quanto meno in tutti i processi che si svolgono davanti al tribunale in composizione
monocratica, che costituiscono la maggior parte di tutti quelli che si celebrano
davanti ad organi giurisdizionali di primo grado. Ne risulterebbe vulnerato
il valore stesso della giurisdizione, che la Carta fondamentale ha voluto mettere
al centro dell'attività della Magistratura, nell'affermazione che la
"giustizia è amministrata in nome del popolo" (art. 101, comma
1, Cost.) e che "la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati
ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario"
(art. 102, comma 1, Cost.).
Nel caso di specie la violazione dell'art. 72, comma 3, dell'ordinamento giudiziario
si traduce in un'ipotesi di nullità a carattere intermedio del giudizio
(segnatamente ex articolo 178, comma 1, lettera b, del codice di procedura penale,
rientrando la delega delle funzioni requirenti tra i requisiti relativi alla
partecipazione al procedimento del pubblico ministero), rilevabile di
ufficio prima della decisione (in tal senso, a proposito della partecipazione
all'incidente di esecuzione di cui all'art. 666, comma 4, c.p.p., Cassazione
penale sez. I, 15 novembre 1995, n. 5775, Iuvara; Id., sez. III, sent. 31 agosto
1993, Azzolina), che il giudice ha il dovere di rilevare e prevenire attraverso
un rinvio dell'udienza che consenta l'intervento del magistrato togato.
Nel merito la delega di cui al presente procedimento (delega relativa all'intera
udienza dibattimentale innanzi al Tribunale di S. Angelo dei Lombardi in composizione
monocratica dell'11.4.2000) riguarda anche un procedimento per reati diversi
da quelli per cui si procede con citazione diretta a giudizio secondo quanto
previsto dall'art. 550 del codice di procedura penale (tra gli altri l'art.
589, comma 2, c.p., reato punibile con pena edittale massima di cinque anni
di reclusione); consegue, in mancanza di un rappresentante togato dell'ufficio
del pubblico ministero, l'impossibilità di costituire l'ufficio e dunque
la necessità di rinviare il procedimento ad altra data, dando incarico
alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Procuratore della Repubblica
in sede, all'imputato ed al suo difensore, se non comparsi, resi edotti i presenti
mediante pubblica lettura della stessa.
PQM
rilevata l'impossibilità
di costituire l'ufficio per l'assenza di un magistrato togato dell'ufficio di
Procura;
letti gli artt. 178 c.p.p. e 72 R.D. n.12 del 1942;
rinvia la causa al 18 maggio 2000 mandando la cancelleria di dare avviso al
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi.
S. Angelo dei Lombardi, udienza dell'11.4.2000
IL GIUDICE
Dott. Ferdinando LIGNOLA