Tribunale Civile e Penale della Spezia,
Ordinanza 21 marzo 2000

IL TRIBUNALE DELLA SPEZIA

composto dai giudici:
dott. Vincenzo Faravino, Presidente,
dott. Giulio C. Cipolletta, Giudice,
dott. Paolo Scippa, Giudice,
all'udienza del 21 marzo 2000, pronuncia la seguente

ORDINANZA

nel procedimento n. __________ contro M. G., G. G., P. C., A. A., G. A., G. V., M. M., tutti imputati del delitto di rapina aggravata, nonché M., M. e G. anche di altri reati, come meglio specificato nel decreto del G.U.P. del Tribunale della Spezia del 27.1.1999 che ha disposto il giudizio nei confronti degli stessi;

PREMESSO CHE

· all'udienza del 22 febbraio 2000 è stata chiesta l'applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per gli imputati A. A., G. A. e M. M. e il P.M. ha prestato il suo consenso solo per gli imputati G. e M., mentre ha espresso parere negativo per A. A.; hanno, inoltre, proposto istanza di rito abbreviato ex art. 223 D.Lvo 51/98 gli imputati P. C., G. G. e M. G.;
· il Tribunale con ordinanza resa alla medesima udienza del 22 febbraio 2000 ha ritenuto che le istanze di giudizio abbreviato, sulle quali aveva concordato il PM, erano ammissibili ai sensi dell'art. 223 D. L.vo 51/98 non essendo stata iniziata l'istruzione dibattimentale;
· col medesimo provvedimento ha, invece, escluso la sussistenza dei presupposti per la formulazione delle istanze di applicazione della pena ex art. 444 CPP, ai sensi dell'art. 224 D. L.vo 51/98, posto che esse avrebbero dovuto essere presentate alla prima udienza successiva al 2.6.99, e cioè alla udienza del 14.6.99; mentre, con riferimento alla disciplina ordinaria del codice di procedura penale, a seguito dell'entrata in vigore della riforma dell'istituto introdotta dalla legge 479/99, le istanze di applicazione della pena non potevano più essere formulate al dibattimento e, pertanto, le dichiarava inammissibili;
· gli avv. A. e A., difensori degli imputati che avevano chiesto l'applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., riformulavano le dette istanze, chiedendo che venisse adottata un'interpretazione estensiva dell'art. 224 D.L.vo 51/98 e, in subordine, sollevavano questione di legittimità costituzionale dell'art. 446 C.P.P. così come novellato dalla detta legge 479/99 con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.;
· all'udienza odierna l'avv. A. e l'imputata G. A. rinunziavano all'istanza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. come riproposta alla precedente udienza, chiedendo il giudizio abbreviato;

OSSERVA

Il procedimento in esame è transitato nella fase del giudizio, a seguito di decreto del G.U.P. del Tribunale della Spezia del 27.1.1999, per cui può ritenersi che esso rientri tra quelli "in corso" alla data del 2.6.1999 di efficacia del decreto legislativo n. 51/98, e nei quali, ai sensi degli artt. 223 e 224 dello stesso decreto, gli imputati avevano la facoltà di chiedere il rito abbreviato - in qualunque udienza successiva al 2.6.1999 a condizione che non fosse iniziata l'istruzione dibattimentale - e l'applicazione della pena a richiesta dell'imputato ex art. 444 c.p.p. (solo alla prima udienza successiva al 2.6.1999).
La prima udienza era stata fissata nel decreto del GIP per il 14.6.1999, per cui il procedimento non rientra tra quelli indicati nell'art. 219 del detto decreto, per i quali continuano ad applicarsi le norme anteriormente vigenti.
A causa della disomogeneità della normativa di riforma c.d. del Giudice Unico e dell'entrata in vigore delle norme riformate del processo penale in tempi successivi (2.6.1999 e 2.1.2000) e sulla base di provvedimenti normativi diversi (D.L.vo 51/98, D.L. 145/99 convertito con modificazioni nella L.22.7.1999 n. 234, L. 479/99 c.d. Carotti), anche a prescindere dalla disciplina transitoria suddetta, alla prima udienza del 14.6.1999 ed alle successive poteva essere chiesta l'applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, come previsto dal testo originario del primo comma dell'art. 446 c.p.p..
Allorché il processo venne rinviato all'udienza del 22.2.2000 gli imputati, a prescindere dalle previsioni di cui all'art. 224 del D.L. 51/98, conservavano il diritto di chiedere l'applicazione della pena, posto che la detta dichiarazione di apertura del dibattimento non era stata effettuata (né l'art. 446 c.p.p. era ancora stato modificato).
Sennonché, il 2.1.2000 entrava in vigore la riforma processuale della legge 479/1999 che (art. 33, comma 1, lett. A) modificava il primo comma dell'art. 446 c.p.p..
A seguito di tale riforma, l'istanza ex art. 444 c.p.p. può essere formulata sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento solamente nel giudizio direttissimo, posto che nel giudizio ordinario la richiesta può essere formulata soltanto fino alla presentazione delle conclusioni dell'udienza preliminare (di cui agli artt. 421 comma 3 e 422 comma 3).
La legge n. 479/1999 non contiene norme transitorie, sicché, secondo il principio tempus regit actum, deve ritenersi - ed è stata ritenuta dal collegio - inammissibile la richiesta di applicazione della pena formulata all'udienza del 22.2.2000.
E' evidente che la modifica dell'art. 446, primo comma, c.p.p. ha inciso negativamente in ordine al diritto degli imputati di chiedere l'applicazione della pena ex art. 444, c.p.p., in quanto con l'entrata in vigore della legge è stato repentinamente precluso il diritto degli imputati di formulare tale richiesta, e che all'epoca della precedente udienza, essi ben potevano riservarsi di esercitare ad udienza successiva.
La modifica delle regole processuali nel corso del giudizio ha, peraltro, effetti sostanziali, posto che la disciplina degli artt. 444 e segg. C.p.p. ha solo in parte natura processuale, posto che essa consente all'imputato di non subire una vera e propria sentenza di condanna, di ottenere una pena ridotta, evitare la condanna al pagamento delle spese, alle pene accessorie ed alle misure di sicurezza; la sentenza non ha, poi, efficacia nei giudizi civili e amministrativi ed è diversa anche la disciplina degli effetti penali (art. 445 c.p.p.).
Invero, nel caso in esame non è indifferente procedere con un rito o con l'altro, posto che la scelta del rito alternativo comporta una decisione avente un contenuto anche qualitativamente diverso rispetto alla decisione ordinaria: sicché, ben può ritenersi che l'Istituto di cui agli artt. 444 e segg. C.p.p. contenga una disciplina non solo processuale, ma anche sostanziale, quanto alla natura ed agli effetti delle conseguenze penali per l'imputato che vi aderisca.
Sotto tale profilo non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 446, primo comma, c.p.p. come modificato dall'art. 33, comma 1 lett. A), della legge 16.12.1999 n. 479, nella parte in cui non salvaguarda, con riferimento ai giudizi in corso - e cioè a quelli in cui era già stato emesso il decreto di cui all'art. 429 c.p.p. anteriormente al 2.6.2000 -, la facoltà dell'imputato di chiedere l'applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, così come previsto dalla norma previgente e sino al 2.1.2000 applicata ai detti giudizi.
Appare vulnerato l'art. 25, secondo comma, Cost. posto che la norma suddetta, anticipando alle conclusioni dell'udienza preliminare il termine finale per la formulazione della richiesta di applicazione della pena - senza nulla disporre per regolare i processi pendenti - prevede, con riferimento ai procedimenti che si trovano già nella fase del giudizio, una decadenza con effetto retroattivo, in ordine all'esercizio di un diritto dell'imputato avente riflessi - come si è rilevato -, non solo processuali, ma anche sostanziali in ordine alla quantificazione della pena, al contenuto del provvedimento sanzionatorio ed agli altri effetti penali.
E' poi palesemente vulnerato l'art. 24 Cost., laddove l'imputato non è stato messo in condizione di conoscere entro quale termine avrebbe dovuto presentare l'istanza di applicazione della pena ex art. 444; la modifica dell'art. 446 c.p.p. costituisce un ingiustificato e repentino mutamento delle regole del processo in corso, posto che il legislatore non ha neppure assegnato un termine entro cui, nei procedimenti pendenti, le domande avrebbero dovuto essere presentate; sicché il soggetto che sino al 31.12.1999 in base alla legge vigente, nella quale faceva affidamento, aveva la facoltà di formulare tale istanza e poteva riservarsi di farlo all'udienza successiva, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, a partire al 2.1.2000 si è trovato decaduto da tale facoltà;
Non manifestamente infondata è, altresì, la questione di legittimità costituzionale della norma suddetta, nella parte in cui non ha salvaguardato la posizione dell'imputato che, sulla base delle norme sino ad allora vigenti, avrebbe potuto formulare l'istanza di applicazione della pena ad udienza successiva, con riferimento all'art. 3 Cost., per l'evidente irragionevolezza di tale disciplina, che, senza alcuna - almeno evidente - esigenza di tutela di interessi pubblici della collettività, va ad incidere sulla situazione sostanziale dell'imputato posta in essere dalla legge precedente, frustrando così anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto (Cfr. Corte Costituzionale sentenze 36 e 349/85).
Sussiste, peraltro, una ingiustificata disparità di trattamento, con violazione dell'art. 3 Cost., tra la situazione degli imputati la cui udienza venne rinviata ad epoca anteriore al 2.1.2000 e quella di coloro per i quali il rinvio venne effettuato ad udienza successiva, posto che solo nel secondo caso si è verificata, con l'entrata in vigore della legge suddetta, la preclusione alla formulazione dell'istanza di applicazione della pena.
Ritenuto che le questioni sollevate, dalla difesa e d'ufficio, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. e d'ufficio con riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost. non sono manifestamente infondate e che esse sono rilevanti nel presente giudizio, posto che, ove accolte, il Tribunale potrebbe prendere in esame la domanda formulata dall'imputato M. M., con riferimento alla quale il P.M. ha espresso il suo consenso - mentre la questione non è rilevante con riferimento all'imputato A. A. per il quale il P.M. non ha consentito al patteggiamento e all'imputata G. A. che vi ha rinunziato optando per il rito abbreviato -;

P.Q.M.

Visti l'art. 18, lett. b), c.p.p. e l'art. 23 della legge 11.3.1953 n. 87,
Dispone la separazione del procedimento nei confronti dell'imputato M. M. e dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal difensore e d'ufficio, dell'art. 446, primo comma, c.p.p., così come novellato dall'art. 33, comma 1, lett. a), della legge 16.12.1999 n. 479, in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, secondo comma, Costituzione, nella parte in cui non salvaguarda, con riferimento ai giudizi in corso, la facoltà dell'imputato di chiedere l'applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento.
Sospende il procedimento relativo al detto imputato M. M. e dispone la trasmissione immediata del fascicolo relativo, che sarà formato dalla cancelleria con copia di tutti gli atti, alla Corte Costituzionale.
Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e che essa sia comunicata al Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica.
Dispone con separata ordinanza in ordine alla prosecuzione del giudizio nei confronti degli altri imputati.

La Spezia, 21 marzo 2000
IL PRESIDENTE
dott. Vincenzo Faravino

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