Tribunale Penale di Grosseto, in composizione monocratica,
Ordinanza 8 febbraio 2000

ORDINANZA

Il Giudice, sulla sollevata eccezione preliminare, osserva quanto segue.
La difesa dell'imputato invoca l'applicazione dell'art.550 comma 3 c.p.p., per come novellato dall'art.44 legge 16.12.1999 n.479, recante modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e al codice di procedura penale.
La disposizione citata prevede che "se il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale con citazione diretta per un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare e la relativa eccezione è proposta entro il termine indicato dall'articolo 491 comma 1 c.p.p., il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero".
Nella fattispecie in esame non è in discussione che per il reato per il quale si procede (art. c.p.) sia prevista - in base alle nuove disposizioni di cui agli artt. 549 e ss. legge citata - l'udienza preliminare, non rientrando tale fattispecie criminosa tra quelle per le quali è prevista la citazione a giudizio diretta del Pubblico Ministero; non è poi parimenti in discussione che l'eccezione difensiva sia stata sollevata entro il termine di cui all'art.491 comma 1 c.p. richiamato dalla norma invocata.
Si tratta allora di stabilire se la disposizione in questione debba trovare applicazione anche per i procedimenti - quale quello che occupa - per i quali il decreto di citazione a giudizio sia stato emesso e notificato prima dell'entrata in vigore della novella legislativa.
La difesa pone a sostegno della richiesta un duplice considerazione.
In primo luogo, si sostiene che in realtà, pur in assenza di esplicite norme transitorie - in effetti non rintracciabili nel corpus della legge 479/99 - l'applicazione delle nuove disposizioni processuali sui processi in corso dovrebbe trovare regolamentazione, in via interpretativa, attraverso le norme transitorie dettate dagli articoli 219 e ss. del Decreto Legislativo 19.2.1998 n.51, recante "Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado"; e ciò in ragione dell'intrinseca connessione ed interdipendenza esistente fra i due testi legislativi, dai quali è scaturito il nuovo assetto procedurale.
Secondo tali disposizioni, ed in particolare ai sensi dell'art.219, "quando vi è stato il controllo sulla regolare costituzione delle parti a norma dell'articolo 484 del codice di procedura penale, i giudizi di primo grado in corso alla data del presente decreto proseguono con l'applicazione delle disposizioni anteriormente vigenti, comprese quelle relative alla competenza e alla composizione dell'organo giudicante".
Pertanto, poiché nell'odierno procedimento non si è compiuto il controllo della regolare costituzione delle parti mentre invece è stato sollevata la relativa eccezione, il processo non può continuare con le disposizioni anteriormente vigenti, dovendo invece trovare immediata applicazione la disposizione del nuovo art.550 comma 3 c.p.p., con obbligo - dunque - di trasmissione degli atti al Pubblico Ministero perché proceda nelle forme che prevedono il passaggio innanzi al giudice per l'udienza preliminare.
La seconda argomentazione difensiva muove da opposta premessa metodologica.
Assumendo in via alternativa e subordinata che nella fattispecie non possano trovare ingresso le norme transitorie appena richiamate, la difesa sostiene che anche il ricorso al principio del tempus regit actum provocherebbe l'accoglimento della eccezione, in considerazione del fatto che la nuova disciplina regolatrice di un atto procedimentale deve trovare applicazione ogni qual volta - come nella odierna fattispecie del decreto di citazione a giudizio - l'atto stesso non ha ancora esaurito i propri effetti.
Le due tesi difensive, poste a sostegno alternativo della eccezione sollevata, si espongono ad alcune considerazioni.
Premesso che le nuove disposizioni normative dettate dalla legge 16.12.1999 n.479 non sono corredate da disposizioni transitorie inerenti ai procedimenti in corso, molte perplessità suscita l'invocato ricorso alla norme transitorie di cui al decreto 51/98, e ciò per un duplice ordine di motivi:
- in primo luogo, nel testo della legge 479 non si rinviene alcun riferimento alle norme transitorie del decreto n.51/98 (articoli 219/226) tale da consentire di affermare che il legislatore, sia pure indirettamente, ha inteso rimandare a quella normativa per l'applicazione delle norme sui processi in corso; il dato non sembra di secondaria importanza, posto che l'operazione interpretativa invocata dalla difesa avrebbe sicuramente maggior pregio se solo fosse confortata da un qualche esplicito richiamo, sia pure incidentale, che consentisse di porre come dato certo l'affermata stretta interconnessione fra le due novelle; al contrario, anche un rapido esame dei lavori preparatori dei due testi dimostra come la seconda novella abbia percorso un binario di formazione e approvazione del tutto indipendente da ogni considerazione sistematica con la legislazione già esistente ed in particolare con il decreto legislativo 51/98;
- secondariamente, e ad ulteriore riprova che in realtà la legge 479/99 va letta nella sua autonomia rispetto alle precedenti novità legislative, non può non rimarcarsi come la legge "Carotti" ha ridisegnato il processo penale introducendo rilevanti novità in tema di competenza, di scelta fra rito monocratico e collegiale, di udienza preliminare, di riti alternativi, nonché di citazione a giudizio dell'imputato, novità che mal si conciliano con le norme transitorie del decreto 51/98, norme - queste ultime - che invece ponevano come proprio punto di riferimento l'assetto dettato da quell'originario testo normativo, come detto successivamente emendato.
Escluso dunque il possibile ricorso alle norme suddette, non può che darsi luogo ai normali criteri ermeneutici per stabilire l'ambito di applicazione dell'art.550 comma 3 c.p.p., per come novellato.
Al riguardo, posto che le norme relative alla citazione a giudizio assumono evidente carattere processuale, si deve ritenere che per esse valga il criterio dettato dall'art.11 delle Disposizioni sulla legge in generale (cd. "Preleggi"), per il quale "La Legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo".
Tale criterio va evidentemente interpretato, nel senso che ogni modifica legislativa appare suscettibile di immediata applicazione allorché l'atto compiuto sotto la previgente disciplina non abbia ancora esaurito i propri effetti.
In conformità all'indirizzo sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 13.7.1998, imp. Citaristi), si devono allora distinguere atti processuali a struttura "monofasica", cioè che si esauriscono senza residui al loro compimento sicché una eventuale sopravvenuta modificazione normativa del processo di formazione dell'atto non incide su quello già compiuto; nonchè atti processuali a struttura "polifasica", il cui iter formativo è destinato a protrarsi nel tempo e nel quale ogni sequenza è legata alla successiva da uno stretto vincolo di interconnessione strumentale e funzionale, di talché il risultato finale cui le singole fase tendono e che solo le valorizza non può prodursi se proprio esso è impedito dalla legge nel frattempo sopravvenuta.
Si tratta allora si verificare se il decreto di citazione a giudizio , emesso dal Pubblico Ministero a carico del XXXXXXXX in data __________ e notificato in data ______________ , cioè in epoca anteriore alla entrata in vigore della nuova disciplina, evidente atto processuale a struttura polifasica, abbia raggiunto o meno il risultato finale, cioè abbia esaurito i propri effetti prima della modificazione legislativa.
Questo Giudice ritiene che al quesito possa essere data risposta positiva.
Gli effetti dell'atto processuale costituito dalla emissione e dalla notificazione del decreto di citazione a giudizio devono individuarsi nell'esercizio dell'azione penale e nella cosiddetta vocatio in ius, cioè nella chiamata in giudizio dell'imputato innanzi al Giudice competente.
Tali effetti si sono già correttamente prodotti ed esauriti al momento rispettivamente della emissione e della notificazione del decreto; la cosiddetta "verifica del rapporto processuale" - mediante il controllo della regolare costituzione delle parti e formalità connesse (dichiarazione di contumacia e/o rinnovo della notifica) - è attività successiva di pertinenza del giudicante che nulla ha più a che fare con il decreto di citazione a giudizio, i cui effetti si sono ampiamente esauriti.
Per la verità, il decreto di citazione a giudizio nei procedimenti già di rito pretorile ed oggi monocratico, produce anche effetti sul piano dei diritti dell'imputato per l'accesso ai riti alternativi: ma anche sotto questo profilo, gli effetti dell'odierno decreto si sono ampiamente consumati, atteso che l'imputato è stato posto in grado di accedervi innanzi al Giudice per le Indagini Preliminari nel termine indicato in decreto.
Nessuna lesione dei diritti difensivi dell'imputato può peraltro derivare da una interpretazione strettamente legata al principio del tempus regit actum.
Secondo le previgente disciplina l'imputato è stato - come detto - correttamente messo in condizione di accedere al rito abbreviato nonché di chiedere l'applicazione di pena concordata sia innanzi al Giudice delle Indagini Preliminari che innanzi al Giudice del dibattimento, facoltà - quest'ultima - che deve essergli riconosciuta nonostante che la novella abbia eliminato la facoltà di accedere al rito ex art.444 c.p.p. in sede dibattimentale, a pena di una insopportabile compressione dei diritti cd. "quesiti" dell'imputato.
Un ultima considerazione va aggiunta: l'accoglimento della tesi difensiva provocherebbe la rilevazione di un motivo di nullità invero non esistente all'epoca della formazione dell'atto e la rimessione degli atti al P.M., a mente di quanto disposto dall'art.550 comma 3 c.p.p.: sarebbe allora difficile non scorgere un possibile profilo di incostituzionalità nella norma suddetta, nella parte in cui, anziché ordinare la semplice trasmissione degli atti al GIP, prevede una abnorme regressione dell'azione penale, che in quanto irrevocabile è soggetta a precisi ed inderogabili motivi di invalidità,; conseguentemente, e ad ulteriore conforto del convincimento espresso, fra le due possibili interpretazioni va privilegiata quella più conforme al dettato costituzionale, per come sempre ricordato dall'insegnamento della Corte Suprema.
Su tali premesse, considerata l'assenza di disposizioni transitorie applicabili sui processi in corso, ritenuta l'applicabilità dell'art.11 delle Disposizioni sulla legge in generale, ritenuta l'incoerenza costituzionale (sotto il profilo della illogicità) di una interpretazione che censuri ora per allora atti compiuti nella inosservanza di norme all'epoca non esistenti, reputate illese le prerogative processuali dell'imputato, si ritiene non applicabile la disposizione invocata sui processi in corso per i quali sia già stato notificato il decreto di citazione a giudizio.

P. Q. M.

Rigetta l'eccezione difensiva e dispone procedersi oltre.

Il Giudice
dott. Pietro Molino

Grosseto, 8 febbraio 2000

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