Pretura
di Savona
Sentenza 26 novembre 1998
svolgimento del processo
A seguito di
decreto di citazione si è proceduto nei confronti di B. G. e C. M. per
i reati ascritti in epigrafe, quali risultano a seguito della modifica dell'
imputazione, così come posta in essere nel corso del giudizio.
In data 25 marzo 1997, dopo la costituzione di parte civile del Comune di Bergeggi
nei confronti degli imputati, il processo veniva rinviato su istanza del difensore
di fiducia del B.
L' 1 aprile 1997, dichiarata la contumacia degli imputati, il processo veniva
ancora rinviato in adesione alla istanza in tal senso avanzata dalla difesa
B.
L' 8 luglio 1997, di seguito alle eccezioni preliminari proposte, l' ufficio
rinviava il processo al 23 luglio seguente al fine di effettuare i necessari
accertamenti relativi all' istanza di sospensione del giudizio; in tale data,
peraltro, il dibattimento veniva nuovamente differito dovendosi disporre la
rinnovazione della notifica del decreto di citazione.
Il 28 ottobre 1997, dichiarata la contumacia degli imputati, definite le questioni
pregiudiziali ed effettuata la relazione introduttiva, erano ammessi i capitoli
di prova indicati ed acquisita la documentazione prodotta dalle parti.
In seguito, al fine di valutare la conformità alla legge ed alle norme
tecniche degli impianti del complesso M. indicati in imputazione, si nominava
perito l' ing. G. R., che, presente in udienza, accettava l' incarico.
Procedendosi all' istruzione della causa erano, quindi, sentiti B. R., sindaco
di Bergeggi, G. F. (segretario generale del detto Comune), F. G. (dipendente
comunale, all' epoca dei fatti per cui è processo addetta all' ufficio
protocollo) e E. C. (attualmente comandante dei vigili urbani di Bergeggi).
Il 3 novembre 1997, venivano sentiti B. I. e B. S. (entrambi artigiani elettricisti
che avevano effettuato lavori presso il complesso M.), R. R. (in precedenza
dipendente dell' impresa Bertolazzi), T. G. (dipendente della società
Finretica con l' incarico di gestire il complesso alberghiero), B. G. (geometra,
libero professionista, che si era occupato del complesso M.), P. E. (idraulico,
dipendente della ditta B.).
Il 19 novembre 1997 venivano sentiti P. G. (che aveva curato la "prima
accensione" delle caldaie del complesso M.), G. G. (ingegnere edile che
aveva effettuato diversi sopralluoghi nel citato complesso), M. G. (idraulico
che aveva effettuato lavori per conto della ditta B.), M. S. (che aveva istallato
diverse caldaie nel complesso M.), B. A. (che aveva curato la posa in opera
degli impianti elettrici), L. R. (che aveva lavorato come apprendista presso
la ditta B.), Z. M. (che aveva collaborato alla installazione di caldaie).
Il 21 novembre 1997, revocata la contumacia del C., venivano sentiti G. M. (che
aveva effettuato lavori presso il complesso M. per conto della ditta B.), F.
G., S. E. (imputati entrambi di reato in procedimento connesso e proprietari
di un appartamento nel detto complesso immobiliare), l' ing. S. M., consulente
tecnico del pubblico ministero, G. G. (direttore dei lavori per la parte architettonica
nel M. B), M. R. (libero professionista, geometra il quale, per conto della
società F., aveva effettuato prestazioni nel M. A), F. R. (imputato di
reato in procedimento connesso, proprietario di un appartamento nel complesso
immobiliare in argomento, ingegnere edile, socio della cooperativa M., che,
per conto di quest' ultima, aveva anche effettuato accertamenti nel maggio-luglio
1994). Sempre nel corso della stessa udienza veniva disposta l' acquisizione
presso la ditta F. di Verona di copia dei moduli di messa in servizio degli
impianti indicati dal geom B.
L' 1 dicembre 1997 erano sentiti P. S., F. A., B. L., P. F. (tutti imputati
di reato in procedimento connesso e proprietari di appartamenti nel complesso
M., il P., inoltre, prima di acquistare l' immobile, aveva effettuato lavori
alle caldaie del M.).
Il 3 dicembre 1997 erano sentiti i testi M. G. (architetto, progettista e direttore
dei lavori edilizi presso il complesso M.), B. M. (dapprima responsabile del
progetto esecutivo architettonico ed, in seguito, direttore dei lavori presso
il detto complesso immobiliare).
In seguito il C. M. si sottoponeva ad esame, adempimento che proseguiva anche
nella udienza del 10 dicembre 1997, nel corso della quale il B. G. compariva
in giudizio e rilasciava spontanee dichiarazioni. Sempre in pari data, M. E.
e V. B., imputati di reato in procedimento connesso, si avvalevano della facoltà
di non rispondere, mentre B. L., anch' essa sentita ai sensi dell' art. 210
c.p.p., rendeva le dichiarazioni indicate a verbale.
Veniva, quindi, sentito Profeta Lorenzo ( imputato di reato in procedimento
connesso), mentre M. A., T. G., Z. M., G. G., D. C., B. C., M. L., D. G. F.,
B. R., tutti imputati ai sensi dell' art. 210 c.p.p., si avvalevano della facoltà
di non rispondere; conseguentemente le dichiarazioni da costoro in precedenza
rese al pubblico ministero venivano acquisite agli atti del giudizio.
In seguito la difesa di B. rinunciava all' audizione dei testi G. C., V., G.
M., S. M., B. A. ed O. G. ed, ai sensi dell' art. 507 c.p.p., veniva disposta
l' audizione dei geometri O. L. e F. F. e degli ingegneri G. e N.
Il 12 dicembre 1997, erano sentiti il F. e l'O. (i quali, per conto del comune
di Bergeggi, avevano verificato lo stato dei luoghi in relazione alle domande
di condono avanzate dai proprietari degli appartamenti del complesso M.). Veniva,
quindi, nuovamente sentito G. G., ingegnere edile che aveva effettuato sopralluoghi
per verificare lo stato del complesso M., il quale riferiva circa le richieste
di condono presentate in adempimento dell' incarico ricevuto dalla cooperativa
M. il 31\3\1995 (nel corso di tale seconda deposizione, dichiarava, in particolare,
di avere curato unicamente la compilazione delle parti tecniche "mentre
le considerazioni giuridiche erano state fatte dallo studio G.").
Il 17 dicembre 1997 era sentito R. A., imputato di reato in procedimento connesso,
mentre si avvaleva della facoltà di non rispondere C. G., la cui deposizione
in precedenza resa al pubblico ministero veniva acquisita agli atti. In pari
data erano sentiti C. A. (imputato anch'egli ai sensi dell' art. 210 c.p.p.,
proprietario di un appartamento nel detto complesso immobiliare) e N. M. (ingegnere,
che, a suo tempo, aveva realizzato il progetto esecutivo del citato complesso).
Successivamente, il pubblico ministero formulava richiesta di modifica dell'
imputazione, che, nei termini prospettati, non era accolta in quanto relativa
a fatto nuovo, pur concorrente, ed il processo veniva rinviato in relazione
al termine a difesa richiesto.
Il 27 gennaio 1998 erano sentiti G. A. (ingegnere, libero professionista, che
aveva seguito i lavori del complesso M. B) e B. M. (muratore che aveva lavorato
presso il M. A).
Successivamente il pubblico ministero contestava al C. M. reato concorrente
nei termini indicati in imputazione e, quindi, il processo era rinviato per
consentire gli adempimenti prescritti dall'art. 520 c.p.p.
Il 4 marzo 1998, preso atto che non era ancora pervenuta la documentazione precedentemente
richiesta ai testi sentiti nel corso del giudizio di cui era stata disposta
l' acquisizione (tabulati INPS, contratti preliminari e definitivi di acquisto
di appartamenti del complesso M., contratti di direzione lavori), veniva disposto
ulteriore provvedimento di acquisizione.
Il 12 marzo 1998 era sentito C. G. (amministratore della società F.),
poi, acquisita ulteriore documentazione, era ammessa l' audizione dell' ing.
S. A.
Il 21 aprile 1998 era sentito il detto ing. S., il quale aveva avuto l' incarico,
da parte del comune di Bergeggi, di verificare la regolare esecuzione delle
opere di urbanizzazione primaria e secondaria previste dagli strumenti urbanistici
relativamente al complesso M.
Veniva, quindi, sentito il perito ing. R., il quale aveva in precedenza depositato
una ponderosa relazione e riferiva in ordine agli accertamenti effettuati. Evidenziava
di aver individuato nelle apparecchiature esaminate una gran quantità
di anomalie ed irregolarità, talune delle quali di notevole pericolosità;
alcuni degli impianti a gas, inoltre, a causa della distanza delle valvole di
chiusura del gas, nel caso di incendio, sarebbero risultati pericolosi in quanto
non idonei ad ostacolare il diffondersi dell' incendio stesso, mentre l' uso
di apparecchi di cottura avrebbe potuto cagionare avvelenamento da ossido di
carbonio.
In data 27 aprile 1998, ultimata la relazione dell' ing. R., erano sentiti il
consulente tecnico del pubblico ministero, ing. S. M., e quello dell' imputato
B., geom. S. G.; poi, in seguito alla contestazione di reato connesso effettuata
nei confronti del B., il processo veniva differito.
Il 19 maggio 1998 il processo era rinviato in seguito ad eccezione avanzata
dalla difesa B.
In data 15 giugno 1998 ai sensi dell' art. 507 c.p.p. veniva sentito Z. M.,
indicato dalla difesa B., e, dopo nuova audizione dell' ing. R. relativa agli
accertamenti ulteriormente richiesti, non veniva accolta la richiesta di supplemento
di perizia formulata dalla difesa B.
Il 22 giugno 1998 il pubblico ministero depositava requisitoria scritta e, successivamente,
le parti, ultimata la discussione, concludevano come indicato in atti ed il
processo veniva rinviato per le repliche.
In data 29 luglio 1998, dopo che i difensori avevano depositato memorie scritte
ed il pubblico ministero repliche scritte, le parti concludevano come in atti.
La causa, tuttavia, non veniva posta in decisione, ritenendo l' ufficio a tal
fine necessari ulteriori accertamenti e, segnatamente:
1) l' acquisizione, dalla data di costituzione, dei verbali assembleari della
cooperativa M.;
2) l' acquisizione del fascicolo presso la USL relativo al nulla osta per l'
emissione del certificato di agibilità;
3) ulteriori chiarimenti da parte del perito sugli accertamenti effettuati presso
il complesso M.;
4) la citazione di un funzionario della società Italgas.
Nel corso dell' udienza il pubblico ministero modificava l' imputazione e venivano,
quindi, disposti gli adempimenti prescritti dall' art. 520 c.p.p.
In data 9 novembre 1998 il processo veniva differito a causa dell' astensione
dalla partecipazione alle udienze indetta dai componenti della Camera penale,
cui dichiaravano di aderire i difensori delle parti.
Il 25 novembre 1998, rigettate preliminarmente le eccezioni relative alla modifica
dell' imputazione da ultimo effettuata, acquisita la documentazione precedentemente
richiesta ed ammessa quella ulteriormente prodotta dal pubblico ministero, l'ing.
R. relazionava in ordine ai chiarimenti indicati all' udienza del 29 luglio
1998.
Veniva, quindi, sentito P. S., funzionario Italgas, il quale riferiva in ordine
all' allacciamento del gas effettuato presso il complesso M.
In seguito, ultimata la discussione, le parti concludevano come in atti e la
difesa B. depositava ulteriore memoria scritta.
motivi della decisione
Per una migliore comprensione dei fatti di causa rileva puntualizzare che nel
comune di Bergeggi, località M., è stato realizzato un fabbricato
composto da due corpi (denominati A e B), con collegamento tra loro a livello
della hall di ingresso, provvisto di autorimessa interrata su due piani, area
esterna destinata a parco, parcheggi e verde, con relative strade interne, attrezzature
e servizi.
Il complesso denominato M. aveva avuto imposta la destinazione turistico-alberghiero-residenziale
in conformità degli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Bergeggi.
Nel corso del 1994 le singole unità immobiliari erano state vendute dalle
imprese costruttrici (società P. e F.) con l' eccezione dei c.d. enti
comuni, parti necessarie per l' esercizio dell' attività alberghiera,
come meglio verrà chiarito appresso.
Nei contratti di compravendita relativi alle singole porzioni immobiliari gli
acquirenti avevano espressamente accettato i regolamenti d' uso allegati all'
atto a rogito notaio S. in data 19\10\90, impegnandosi ad osservarli e farli
osservare da eredi ed aventi causa.
Del pari, sempre nell' atto notarile, gli acquirenti avevano dichiarato di essere
a conoscenza che, in virtù della convenzione edilizia in data 19\10\90
a rogito notaio S. e della concessione edilizia, " il complesso in questione
e quanto da essa parte acquistato deve essere e rimane destinato ad uso turistico
alberghiero residenziale
pertanto, allo scopo di garantire l' unitarietà
nella gestione del Complesso turistico-alberghiero-residenziale, resta in ogni
caso esclusa dalla presente vendita la titolarità dell' attività
connessa alla destinazione turistico-alberghiero-residenziale del complesso
medesimo della quale attività resta unica ed esclusiva titolare la società
D. R. srl o suoi aventi causa e la quale società avrà i diritti
e gli obblighi indicati nel regolamento contrattuale e di condominio depositato
nei miei rogiti con il succitato verbale in data 3 luglio 1992 e la quale società
o suoi aventi causa dovrà garantire la gestione unitaria del complesso,
così come nel regolamento stesso specificato" (cfr. rogito notaio
M. di Sanremo del 21\2\1994, similare a tutti i contratti di alienazione esaminati,
redatti tutti dal medesimo notaio).
Successivamente, quasi tutti gli acquirenti avanzavano istanza di condono edilizio
indicando, quale abuso posto in essere, il mutamento di destinazione d' uso
da immobile avente destinazione di residenza turistico alberghiera in unità
residenziali. Tali domande erano respinte dalla Amministrazione comunale di
Bergeggi come anche le istanze avanzate dalla cooperativa M., che si era costituita
nel novembre 1993 per consentire ai proprietari delle unità immobiliari
la gestione della attività alberghiera del complesso M..
Diversi proprietari delle porzioni immobiliari presentavano, quindi, ricorso
al TAR Liguria nel quale evidenziavano, tra l' altro, che l' immobile non poteva
essere gestito e funzionare come azienda alberghiera e formulavano una serie
di argomentazioni di natura giuridica volte a dimostrare che si trattava di
un condominio di civile abitazione e non di una struttura alberghiera.
Sostenevano, inoltre, che, prima del 31\12\1993, erano stati eseguiti i seguenti
interventi (decisivi nel senso della soppressione di requisiti strutturali imprescindibili
per la identificazione di una azienda alberghiera anche alla più bassa
classificazione di legge che è pari a due stelle):
- erano state soppresse tutte le chiamate di allarme in tutti i servizi;
- erano state soppresse tutte le chiamate del personale;
- era stata soppressa la linea telefonica con apparecchi di uso comune;
- erano stati collocati citofoni di chiamata esterna diretta in ogni unità
abitativa;
- erano stati apprestati riscaldamenti autonomi in ogni unità abitativa
(tra loro differenziati a seconda delle scelte fatte dai singoli acquirenti,
taluni a gas, altri elettrici, tutti con autonomi contatori);
- non era stato realizzato il collegamento coperto tra casa madre e dependance
che era stato previsto dal progetto;
- quasi tutte le unità abitative erano state arredate da ogni proprietario
secondo il gusto individuale ed a spese proprie (sicché l' arredo è
di proprietà dei singoli proprietari);
- molte unità abitative erano state abitate dai proprietari (e dai loro
ospiti) sempre prima del 31\12\1993, e questo senza la stipulazione di alcun
contratto di albergo con alcun imprenditore alberghiero che non vi è
mai stato (cfr. ricorso al TAR Liguria redatto con il patrocinio degli avvocati
L. A. e G. G., agli atti).
Nel corso del presente giudizio, con sentenza in data 6 marzo 1998, il T.A.R.
Liguria respingeva il ricorso considerando gli atti giuridici indicati dai ricorrenti
come inidonei a sostanziare il denunziato abuso e ritenendo che i ricorrenti
non avessero fornito un oggettivo principio di prova circa la esecuzione delle
asserite opere abusive entro il termine del 31 dicembre 1993.
Contestazione
di cui al capo uno).
Al B. viene contestato il reato di cui agli artt. 81, 481 e 61 n. 2 c.p. perché,
con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di commettere
i reati di cui ai capi 2 e 3, quale soggetto abilitato ai sensi dell' art. 2
della legge 46\1990 alla installazione di impianti idraulici e di riscaldamento
ed al rilascio delle relative dichiarazioni di conformità, aveva falsamente
attestato:
"a) che la data nella quale aveva verificato (collaudo) e certificato che
gli impianti degli appartamenti degli immobili siti in Bergeggi Via privata
M. A e B fossero conformi alla regola dell' arte, era il giugno ed il luglio
1993 (predisponendo a tal fine le dichiarazioni di conformità datate
10.6.1993 per l'immobile M. A e 6\7\1993 per il M. B, mentre tali controlli
di conformità venivano in realtà svolti solo successivamente e
precisamente nel corso del 1994;
b) che gli impianti degli appartamenti predetti erano conformi alla regola dell'
arte."
Ciò posto, premesso che l' art. 9 della legge n. 46\1990 obbliga l' impresa
installatrice ad emettere al termine dei lavori la c.d. "dichiarazione
di conformità", le acquisizioni dibattimentali hanno evidenziato
la falsità delle date relative alle dichiarazioni di conformità
rilasciate dall' odierno imputato con riferimento agli impianti ubicati nel
M. A mentre, per il M. B, le date non risultano essere false.
Sul punto, invero, con riferimento al M. A, è sufficiente considerare
che la dichiarazione relativa al locale bar che il B. ha emesso indicando la
data del 10\6\1993 risulta intestata alla Cooperativa M. S.r.l., soggetto giuridico
costituito solo successivamente, in data 26 novembre 1993 con contratto rogato
dal notaio C. di Milano, acquisito al processo.
Conseguentemente l' odierno imputato non avrebbe potuto il 10\6\93 intestare
la dichiarazione alla coop. M., "prevedendo" quello che sarebbe successo
nel novembre 1993 e, quindi, parecchi mesi dopo, senza considerare che l' acquisto
da parte della cooperativa degli enti comuni è anche successivo in quanto
avvenuto in data 9\3\1994 (cfr. atto notaio M. agli atti).
Tale discordanza, sintomatica della falsità della data, ricorre anche
nella indicazione dei nominativi degli acquirenti gli appartamenti del M. A,
i quali, al momento dell' emissione del certificato, erano stati qualificati
come proprietari; anch' essi, quindi, con diversi mesi d' anticipo rispetto
alla reale data di acquisto.
Non può essere condiviso l' assunto difensivo secondo cui i nominativi
dei futuri acquirenti erano già noti nel giugno 1993 in quanto erano
già stati stipulati i contratti preliminari di acquisto.
Nonostante la prolungata istruttoria dibattimentale, invero, la difesa non ha
dimostrato la conoscenza da parte del B. di questi preliminari e, quindi,
deve ritenersi che, nel giugno 1993, i nominativi dei promissari acquirenti
non potevano essere a conoscenza dell' imputato (che, pure, ripetesi, risulta
averli indicati tutti con precisione).
Quand' anche esistenti, comunque, si sarebbe trattato unicamente di preliminari
di acquisto di unità immobiliari, atti di per sé unicamente idonei
ad obbligare le parti alla conclusione di un futuro contratto. Non si vede,
quindi, la ragione giustificativa della indicazione da parte del B. nella dichiarazione
di conformità dei promissari acquirenti che, comunque, nel giugno 1993,
non avevano titolo ad esserne qualificati proprietari.
La data indicata nei certificati in argomento è, quindi, falsa.
Va, inoltre, considerato che i lavori indicati nella dichiarazione emessa dal
B. non risultavano neppure ultimati nel giugno 1993 (al momento del rilascio
delle dette dichiarazioni).
A prescindere, invero, dalle acquisizioni dibattimentali (numerosi testi hanno
ampiamente provato la circostanza), basterebbe sul punto considerare la documentazione
notarile relativa alla compravendita degli appartamenti.
Dalla lettura dei contratti si evince infatti che, ancora nel gennaio-febbraio
1994, (ad esempio con riferimento agli atti notarili relativi alle vendite a
Ceriani e Profeta) il venditore (la società F.) evidenziava: "la
società venditrice dichiara e la parte compratrice prende atto ed accetta
che quanto oggetto del presente contratto è ultimato: tuttavia, poiché
potrebbero essere necessari interventi di finitura, anche inerenti alle parti
comuni del complesso, gli interventi tutti dovranno essere effettuati dalla
società venditrice interamente a propria cura e spesa".
Non si trattava di una frase "di stile", priva di concrete conseguenze.
La mancata esecuzione di lavori da parte della F. risulta, infatti, circostanza
provata ove si consideri che, nel verbale di assemblea del 27 maggio 1994, i
soci della coop. M. danno mandato per intraprendere "una azione tendente
a portare F. a ricercare una soluzione equa ed amichevole" in relazione
ai "lavori che F. si era impegnata ad eseguire e che sono ancora incompiuti".
Sintomatico della mancata ultimazione dei lavori alla data indicata nella dichiarazione
(giugno 1993) è anche il sequestro conservativo richiesto dal B. il 16
febbraio 1994 ed autorizzato con decreto emesso inaudita altera parte dal Presidente
del Tribunale di Savona (cfr. documentazione agli atti da cui risulta che il
B. aveva eseguito gli ulteriori lavori in economia di cui alle fatture emesse
in data 23\12\1993 e 2\4\1994, e, quindi, in epoca successiva al giugno 1993).
Ulteriore elemento a conforto della falsità della data, che, per il M.
A) è stata, evidentemente, anticipata di circa un anno rispetto alla
effettiva emissione della dichiarazione, si individua anche dalla lettura dei
due fax, in data 27\6\1994 e 4\7\1994, entrambi dal B. indirizzati al dr. C.
quale presidente della cooperativa M.
Nel primo documento, invero, il B. scriveva testualmente: "egregio dr.
C., Le comunico che sono a Sua disposizione i certificati di regolare esecuzione,
relativi ai lavori da noi eseguiti nello stabile del M. La consegna di tali
certificati può avvenire solo in questo momento, in quanto per lungo
tempo gli appartamenti non sono stati accessibili, come da ns. raccomandata
precedente. Le ricordo inoltre la scadenza di lit. 28.230.000 del 30\6\94, nonché
quella di lit. 113.320.000, contestuale alla consegna dei certificati".
Tale "memento" è rilevante volendo il B. significare che l'
emissione dei certificati costituiva il presupposto del pagamento sollecitato.
Nel secondo fax, inoltre, si legge: "egregio dr. C., la presente per informarla
che dal 01\08\94, a causa delle nuove disposizioni di legge in materia di impianti
termici, non potranno più essere collaudate e quindi utilizzate le caldaie
a flusso forzato con scarico libero in atmosfera. Tenuto conto che mancano ancora
i contatori del gas e che per averli dopo aver presentato i certificati di regolare
esecuzione passerà del tempo e altro ancora ne sarà necessario
per contattare i tecnici preposti ai collaudi, ne segue che non potrete più
utilizzare gli impianti di riscaldamento se non provvederete immediatamente
a presentare la documentazione necessaria (certificati di regolare esecuzione)".
Non a caso, pochi giorni dopo - l' 11 luglio 1994-, le dichiarazioni di conformità
sono pervenute agli atti del Comune, pur risultando emesse il 10\6\93 e, quindi,
un anno prima (cfr. comunicazione del B. ricevuta dal Comune in data 11\7\94
e deposizioni G. F. e F. G.).
La prova della falsità della data non può, quindi, essere posta
in discussione con riferimento agli impianti del M. A.
Diversamente, in assenza di ulteriori riscontri accusatori, sembra che le dichiarazioni
relative al M. B indichino una data corretta, considerato che la fornitura di
gas era stata richiesta il 5 luglio 1993 e la prima accensione delle calderine
era avvenuta nell' agosto dello stesso anno.
Si consideri infatti la lettera in data 5\7\93 della società Platamar
srl alla Italgas di richiesta di sottoscrizione dei contratti per l' allacciamento
al gas, istanza cui risultano allegate n. 58 dichiarazioni di conformità
dell' impiantista (documentazione esistente ed effettivamente allegata, come
si evince dall' elenco formato dall' Italgas, relativo alla documentazione consegnata
alla Guardia di Finanza).
Conferma la veridicità della data indicata nei certificati la somministrazione
del gas alla P. che aveva realizzato il M. B; la circostanza è stata
affermata anche dal funzionario Italgas in udienza ed era stata evidenziata
dal requirente nella requisitoria scritta ("per il M. B i contratti tra
P. e Italgas portano la data del 13\7\93 (faldone C), l' attivazione della fornitura
del gas alle singole utenze si ha tra il 13 ed il 19\7\93.)"
Risulta d' altra
parte provato per quanto riguarda il contenuto tecnico dei certificati, che
tutti gli impianti cui fa riferimento il B., attestandone la conformità
a regola d' arte, non sono stati realizzati con le cautele prescritte dall'
art. 7 della legge 46\1990.
Sul punto, invero, è sufficiente richiamare le conclusioni cui è
pervenuto l' ing. R. "Gli impianti di riscaldamento dei due complessi M.
-evidenzia all' esito di approfonditi accertamenti il Perito- non rispondono
alle norme di buona tecnica vigenti. In particolare, non sono conformi gli impianti
di adduzione dell' aria comburente ed evacuazione dei prodotti della combustione
dei generatori di calore, sia per gli apparecchi di cottura che per quelli di
riscaldamento collocati all' interno dei locali e collegati a canne fumarie.
Mancano le certificazioni che dovevano essere rilasciate dalle ditte F. e\o
P., costruttori delle canne fumarie e di ventilazione e delle murature esterne;
la dichiarazione di conformità rilasciata dall' arch. G. è priva
di valore sia in quanto non conforme al modello approvato, sia perché
priva dei necessari allegati, sia perché emessa da persona diversa dal
costruttore dell' impianto.
Gli impianti gas non sono conformi alla normativa vigente, sia per la collocazione
delle valvole generali o per la loro assenza, sia per la collocazione delle
tubazioni all' interno delle murature. Le dichiarazioni di prima accensione
delle caldaie non risultano regolari sia per l' indicazione di una data diversa
da quella di effettiva esecuzione dell' operazione, con conseguente annullamento
della garanzia, sia per la mancata o incompleta esecuzione dei vari controlli
richiesti.
Le dichiarazioni di conformità degli impianti di riscaldamento sono irregolari
per varie cause:
a) per la forma e per la persona che ha certificato, per una parte degli impianti
del M. 1 o A;
b) per la difformità esecutiva degli impianti dalle norme di buona tecnica,
in molte unità immobiliari;
c) per la mancanza dei requisiti di aerazione ed evacuazione dei prodotti della
combustione;
d) per l' utilizzo di materiale inidoneo, sia per le canne fumarie, sia per
le caldaie esterne;
e) per l' assenza dei necessari allegati obbligatori a corredo della dichiarazione;
f) per l' indicazione di una data di collaudo palesemente falsa, poiché
precedente alla fornitura del gas, alla dichiarazione di prima accensione delle
caldaie, all' inizio dei consumi di gas ed alla terminazione degli impianti"
(cfr. pagg. 234 e ss perizia).
Tali numerose e gravi irregolarità non sono, tuttavia, connesse con la
formulazione dell' imputazione ascritta sub 1) e, conseguentemente, non possono
costituire oggetto di valutazione nel presente giudizio.
Infatti, secondo la prospettazione accusatoria, che fa riferimento al meccanismo
previsto dalla legge n. 46\1990 in relazione al reato punito dall' art. 481
c.p., le dichiarazioni di conformità non veritiere sarebbero state rilasciate
dal B., nella qualità di incaricato di pubblico servizio, quale soggetto
abilitato ai sensi dell' art. 2 della legge 46\90 alla installazione di impianti
idraulici e di riscaldamento ed al rilascio delle relative dichiarazioni di
conformità, al fine di agevolare la presentazione delle istanze di condono
edilizio ed indurre in errore il Sindaco nel rilascio di concessione edilizia
in sanatoria.
Tale imputazione, quindi, non fa riferimento alla irregolarità degli
impianti, ma alla falsità ideologica in certificati commessa da persona
esercente un servizio di pubblica necessità.
Al B., in sostanza, non viene contestato di avere realizzato impianti irregolari,
ma di avere rilasciato, ai sensi dell' art. 481 c.p., quale esercente un servizio
di pubblica necessità, certificati falsi quanto alla data di emissione
ed alla dichiarazione della conformità delle strutture alla regola dell'arte.
Tenuto conto, quindi, della imputazione avanzata, nonostante le irregolarità
concernenti gli impianti esaminati emerse nel corso del giudizio, il B. dovrà
essere assolto dal reato ascritto sub 1) in forza delle considerazioni appresso
svolte.
Sull' argomento giova, invero, puntualizzare che oggetto materiale del reato
di cui all' art. 481 c.p. sono quei documenti che la dottrina ha efficacemente
definito "quasi pubblici" ad esplicazione della particolare tutela
loro accordata. Si tratta di scritture private rilasciate da privati che esercitano
professioni per il cui esercizio è richiesta, quando della loro opera
il pubblico è obbligato per legge ad avvalersi, una speciale abilitazione
dello Stato o che adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità
mediante un atto della pubblica amministrazione.
La funzione probante attribuita a tali scritture, connessa alla particolare
posizione professionale dell' autore, ne giustifica la tutela sotto l' aspetto
della falsità ideologica, in deroga all' art. 485 c.p. che, per quanto
riguarda le scritture private, riconosce conseguenze penali unicamente alla
falsità materiale.
Stante la natura della contestazione, è necessario allora valutare la
rilevanza delle dichiarazioni in questione con riferimento agli impianti del
complesso M. e, segnatamente, se siano state emesse da un soggetto in adempimento
di un servizio di pubblica necessità e cioè, secondo l' assunto
accusatorio, da un privato che esercita una professione il cui esercizio sia
per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando della
sua opera il pubblico sia obbligato ad avvalersi.
Ciò posto, rileva esaminare la legge n. 46\1990 che prevede precisi obblighi
nella progettazione ed installazione degli impianti di riscaldamento azionati
da fluido liquido, aeriforme, gassoso e di qualsiasi natura e specie. Tali impianti,
a cura di soggetti abilitati ai sensi degli artt. 2 e 3, devono essere realizzati
a regola d' arte, utilizzando allo scopo materiali parimenti costruiti a regola
d' arte.
Ai sensi dell' art. 7 della legge, si considerano a regola d' arte i materiali
ed i componenti realizzati secondo le norme tecniche di sicurezza dell' Ente
italiano di unificazione (UNI) e del Comitato elettrotecnico italiano (CEI),
nonché nel rispetto di quanto prescritto dalla legislazione tecnica vigente
in materia.
L' art. 9 della legge, inoltre, pone a carico dell' impresa installatrice l'
obbligo, al termine dei lavori, di rilasciare al committente la dichiarazione
di conformità degli impianti realizzati nel rispetto delle norme di cui
all' art. 7.
Ai sensi del successivo art. 11, infine, il sindaco rilascia il certificato
di abitabilità o di agibilità dopo avere acquisito anche la dichiarazione
di conformità o il certificato di collaudo degli impianti installati,
ove previsto, salvo quanto disposto dalle leggi vigenti.
Ad avviso del requirente, pertanto, il B. sarebbe "persona esercente un
servizio di pubblica necessità ai sensi dell' art. 359 n. 1 c.p. Infatti
il B. è un privato che esercita una professione che non può
essere esercitata senza una particolare abilitazione dello Stato: è in
possesso dei requisiti tecnico professionali di cui all' art. 3 lett. a L. 46\90
è ingegnere e la sua ditta è regolarmente iscritta alla Camera
di Commercio ed all' albo provinciale delle imprese artigiane previsto dall'
art. 2 L. 46\90. Inoltre per legge (art. 11 L. 46\90) il pubblico è obbligato
ad avvalersi della sua opera in quanto il proprietario dell' immobile non può
ottenere l' abitabilità per esso senza il certificato di conformità
rilasciato da un tecnico quale l' imputato." (cfr. requisitoria agli atti).
Tale impostazione non sembra condivisibile non potendosi ritenere, nel caso
in esame, il B. una persona esercente un servizio di pubblica necessità
ai sensi dell' art. 359 e 481 c.p.
Deve, invero, condividersi l' opinione del pubblico ministero laddove evidenzia
che l' attività posta in essere nei termini previsti dalla legge n. 46\1990
dai soggetti abilitati alla installazione degli impianti costituisce servizio
di pubblica utilità ex lege.
Si tratta, infatti, di una attività di natura privata svolta da soggetti
privati (gli installatori, i quali devono possedere i requisiti tecnico professionali
previsti dagli artt. 2 e 3), "in nome e per conto proprio", svincolata
da ogni collegamento soggettivo con la pubblica amministrazione.
Conformemente al disposto dell' art. 359 c.p. vi è anche l' obbligo da
parte della collettività di avvalersi dell' opera di questi privati ove
si consideri che, ai sensi dell' art. 10 della legge 46\1990, il committente
od il proprietario è tenuto ad affidare i lavori di installazione, di
trasformazione, di ampliamento e di manutenzione degli impianti di cui all'
art. 1 ad imprese abilitate ai sensi dell' art. 2.
Tale attività è anche oggettivamente connotata da un rilievo e
da un interesse pubblico (la progettazione e la installazione di impianti a
regola d' arte) e, come tale, sottoposta a controlli da parte dello Stato. L'
art 14 della legge prevede, infatti, che, "per accertare la conformità
degli impianti alle disposizioni della presente legge e della normativa vigente,
i comuni, le unità sanitarie locali, i comandi provinciali dei vigili
del fuoco e l' Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro
hanno facoltà di avvalersi della collaborazione dei liberi professionisti,
nell' ambito delle rispettive competenze, di cui all' art. 6 comma 1, secondo
le modalità stabilite dal regolamento di attuazione di cui all' art.
15" (cfr. anche il regolamento di attuazione della citata legge che, all'
art. 10, fa riferimento alle "violazioni della legge accertate, mediante
verifica o in qualunque altro modo, a carico delle imprese installatrici").
Il rilascio del certificato di conformità da parte dell' impresa installatrice
al termine dei lavori costituisce un atto di natura amministrativa certificativa,
imposto da una norma imperativa di ordine pubblico (cfr. Tribunale di Roma,
sentenza edita su il Nuovo diritto anno 1996, pag. 620).
Conseguentemente, per valutare l' esistenza dell' illecito ascritto al B. nei
termini indicati in imputazione che fa riferimento, ripetesi, alla falsità
ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica
necessità di cui per legge il pubblico è obbligato ad avvalersi,
occorre stabilire se la legge richiedeva per gli impianti in questione (di riscaldamento
ed idrosanitari dell' albergo turistico residenziale M.) il rilascio della dichiarazione
di conformità prevista all' art. 9 della citata normativa.
Ciò in quanto, ove non fosse richiesto dalla legge il certificato di
conformità per gli impianti in argomento, il B., rilasciando comunque
le dichiarazioni di conformità, non avrebbe esercitato il ruolo di persona
esercente un servizio di pubblica necessità e, ove dette dichiarazioni
non fossero riconducibili allo schema normativo previsto dalla legge n. 46\1990,
tali atti, anche se menzogneri, non possederebbero i requisiti prescritti dall'
art. 481 c.p. per la punibilità della condotta di falso ideologico.
Con riferimento al primo aspetto del problema, non sembra che gli impianti di
riscaldamento ed idrosanitari del complesso M. possano essere qualificati come
"relativi ad edifici adibiti ad uso civile", anche alla luce dell'
art. 1 del regolamento della legge, norma che, estendendo l' ambito di operatività
della legge, qualifica come edifici adibiti ad uso civile, ai sensi dell' art.
1 della legge n. 46\90, le unità immobiliari o la parte di esse destinate
ad uso abitativo, a studio professionale o a sede di persone giuridiche private,
associazioni, circoli o conventi e simili.
L' art. 1 della legge, infatti, delimitando l' ambito di applicazione della
normativa, assoggetta alla disciplina gli impianti di cui trattasi (di riscaldamento
ed idrosanitari) unicamente in quanto "relativi agli edifici adibiti ad
uso civile" non essendo richiesta la dichiarazione qualora tali installazioni
siano relative ad immobili adibiti ad attività produttive, al commercio,
al terziario ed ad altri usi. Il capoverso dell' art. 1 prevede, infatti, che
"sono altresì soggetti alla applicazione della presente legge gli
impianti di cui al comma 1, lettera a), relativi agli immobili adibiti ad attività
produttive, al commercio, al terziario e ad altri usi" e, quindi, con esclusione
per tali tipi di immobili degli obblighi di cui alle lettere b), c), d), e),
f), g), tra i quali rientrano gli impianti di riscaldamento ed idrosanitari
(rispettivamente lettere c e d).
L' esclusione dalla disciplina della legge n. 46\1990 per gli impianti di riscaldamento
ed idrosanitari relativi ad immobili adibiti ad unità produttive, al
commercio, al terziario ed altri usi è stata, quindi, espressamente voluta
dal legislatore ed è stata formulata in termini inequivocabili.
Restano assoggettati alla disciplina della legge n. 46\1990 per il settore industriale
e commerciale solo gli impianti concernenti la produzione, il trasporto, la
distribuzione e l' utilizzazione dell' energia elettrica (art. 1 della detta
legge).
I certificati rilasciati dal B. non erano, quindi, richiesti dalla legge in
quanto l' albergo residenziale turistico (tale era la destinazione degli immobili
M.), non può considerasi edificio adibito ad uso civile bensì
ad attività produttiva.
Va anche preso in considerazione il disposto dell' art. 5 della legge n. 217
del 1983 che, disciplinando la materia, definisce come turistiche le imprese
che svolgono attività di gestione di strutture ricettive ed annessi servizi
turistici ( e si rammenti che l' oggetto sociale della coop. M. è proprio
la gestione di complessi turistico ricettivi).
Al successivo art. 6 della legge n. 217 le strutture ricettive sono individuate
negli alberghi, motels, villaggi-albergo, nelle residenze turistico alberghiere,
campeggi, villaggi turistici, alloggi agro-turistici, esercizi di affittacamere,
case ed appartamenti per vacanze, case per ferie, ostelli per la gioventù,
rifugi alpini, definendosi espressamente le residenze turistico alberghiere
quali alberghi aperti al pubblico, a gestione unitaria, che forniscono alloggio
e servizi accessori in unità abitative arredate costituite da uno o più
locali, dotate di servizio autonomo di cucina.
Conseguentemente, gli impianti "certificati" dal B., in quanto relativi
a residenze turistico alberghiere, non erano sottoposti alla legge n. 46\90,
ma ad altri controlli in ordine alla sicurezza (rimanendo, comunque, l' obbligo
della realizzazione degli impianti a regola d' arte prescritto dalla legge n.
1083\1971).
Vanno anche considerate le disposizioni del D.M. 16\2\1982 le quali prevedono,
tra l' altro, che "i locali le attività, i depositi, gli impianti
e le industrie pericolose i cui progetti sono soggetti all' esame preventivo
dei comandi provinciali dei vigili del fuoco ed il cui esercizio è soggetto
a visita e controllo ai fini del rilascio del certificato di prevenzione incendi,
nonché la periodicità delle visite successive, sono determinati
come dall' elenco allegato che, controfirmato dal Ministro dell' Interno e dal
Ministro dell' industria, del commercio e dell' artigianato, forma parte integrante
del presente decreto". Non a caso nell' elenco, gli alberghi -e quindi
il complesso M.- sono collocati al n. 84, immediatamente dopo i locali di spettacolo
e trattenimento in genere con capienza superiore a 100 posti (n. 83) ed, addirittura,
prima e con la medesima periodicità di visita delle scuole di ogni ordine
e grado per oltre 100 persone presenti (n. 85) e degli ospedali, case di cura
e simili con oltre 25 posti letto ( n. 86 ).
In definitiva, quindi, le unità abitative del M. ed i c.d. enti comuni,
non essendo adibiti ad uso civile, non erano soggetti, per quanto riguarda gli
impianti di riscaldamento ed idrosanitari, al rilascio della dichiarazione di
conformità prescritta dal citato art. 9.
La stessa Amministrazione Comunale, consapevole del vincolo di destinazione
gravante sul M., sin nell' atto di denuncia mostrava di non condividere la definizione
edifici ad uso civile data dal B. nelle dichiarazioni in argomento ("questo
Comune non sa neppure spiegarsi perché già nel 10\6\93 soltanto
il locale bar è stato indicato come esistente in edificio ad uso di "commercio"
mentre tutte le altre unità abitative sono state indicate come esistenti
in edificio ad "uso civile" allorché l' immobile era destinato
ad Albergo residenziale e gli impianti erano stati ordinati per soddisfare tale
destinazione", cfr. denuncia agli atti).
Conseguentemente, trattandosi di impianti di riscaldamento ed idrosanitari ubicati
in edificio adibito ad attività produttiva (alberghiera), le dichiarazioni
di conformità rilasciate dal B. non possono ritenersi emesse ai sensi
della legge n. 46\1990 e quindi in adempimento di un servizio di pubblica necessità;
ne deriva che le dichiarazioni in esame, seppure non veritiere, non sono sanzionabili
ai sensi dell' art. 481 c.p.
Il consulente tecnico del pubblico ministero sostiene che la legge si riferisce
unicamente all'uso abitativo e, richiamando a tal fine anche "la definizione
di abitazione riportata in qualsiasi vocabolario della lingua italiana",
ritiene che le porzioni immobiliari in questione siano da considerarsi inserite
in edifici adibiti ad uso civile (e, quindi, sottoposte alla disciplina prevista
dal primo comma del citato art. 1 legge n.46\1990).
Sennonché, è sufficiente far riferimento agli atti di causa, per
escludere ulteriormente che gli immobili venduti dalla società F., e
tantomeno le c.d. parti comuni, siano edifici adibiti ad uso civile ai sensi
dell' art. 1 della nota legge.
Infatti, come già ricordato in precedenza, nei contratti di compravendita,
le parti acquirenti avevano espressamente accettato il regolamento d' uso per
i servizi turistico-ricettivi nel complesso M. (cfr. atto a rogito notaio M.
di Sanremo del 21\2\94, da F. spa a P. L. che si può ben ritenere "atto
tipo" di vendita da F. ai singoli acquirenti).
Tale regolamento d' uso delinea senza ombra di dubbio la natura alberghiera
delle singole unità immobiliari. Basta, infatti, considerare che, ai
sensi dell' art. 1 del regolamento "il complesso ha destinazione turistico
ricettiva a proprietà frazionata, al quale viene assicurata, mediante
le clausole di cui al presente regolamento, la destinazione ad albergo residenziale
con gestione unitaria. Agli effetti di cui sopra, le parti, società venditrice
e parti acquirenti le singole unità immobiliari, in virtù della
sottoscrizione dei relativi atti di acquisto e dell' accettazione del presente
regolamento, che deve avvenire al momento della stipulazione del contratto preliminare
e\o di acquisto, assumono espressamente per loro, loro eredi od aventi causa
anche a titolo particolare gli obblighi del presente regolamento".
Il regolamento disciplina minutamente l' attività turistico ricettiva
ed, all' art. 5, regola nei seguenti termini la locazione delle camere di albergo:
"come sopra precisato la società venditrice o altro soggetto da
questa indicato rimane sola ed esclusiva titolare dell' azienda turistico-ricettiva.
Allo scopo di consentire la locazione turistico ricettiva delle singole unità
immobiliari in oggetto, le parti acquirenti in virtù dell' accettazione
del presente regolamento e della sottoscrizione degli atti di acquisto si obbligano
a mettere l' unità abitativa a disposizione dell' azienda turistico ricettiva
e rilasciano procura alla stessa perché proceda, mediante la stipulazione
dei contratti di albergo e per un periodo non inferiore a sette giorni così
come prevede il 6° comma dell' art. 3 L.R. 11\82, alla locazione ricettiva
delle unità immobiliari oggetto dei contratti stessi.
Tale procura ha le seguenti caratteristiche:
a) dura sino a quando sull' immobile in oggetto duri la destinazione turistico
ricettiva;
b) per tutta la sua durata essa sarà assolutamente irrevocabile, perché
conferita anche nell' interesse del mandatario, e cioè della società
venditrice titolare dell' azienda turistico ricettiva;
c) la procura stessa viene conferita con specifico obbligo di rendiconto
I rapporti tra la società venditrice o gestrice i servizi turistico
ricettivi e la persona proprietaria dell' unità immobiliare acquirente
in virtù del relativo atto notarile saranno regolati dalle seguenti norme:
a1) i prezzi di affitto minimi e massimi delle unità immobiliari verranno
stabiliti come per legge dalle autorità preposte al turismo della provincia
di Savona e tempestivamente comunicati al proprietario dell' unità immobiliare.
b1) la società gestrice i servizi turistico ricettivi sarà tenuta
a versare alla parte proprietaria dell' unità immobiliare l' 80% dell'
importo ricevuto per la locazione turistica della stessa unità immobiliare,
al netto di eventuali servizi di carattere accessorio, I.V.A. ed eventuali tasse
(dato atto che comunque come sopra precisato i servizi turistico ricettivi di
carattere obbligatorio dovranno essere pagati dal proprietario per l' intero
anno). Il residuo 20% verrà trattenuto dalla società gestrice
i servizi turistico-ricettivi quale rimborso delle spese di contabilità,
gestione della locazione e servizi obbligatori...
c1) dato atto che le unità immobiliari oggetto dei singoli atti di compravendita
debbono obbligatoriamente essere destinate, come sopra precisato, ad albergo
e quindi essere messe a disposizione del pubblico, la parte acquirente l' unità
immobiliare riserva a favore proprio, nonché a favore dei propri familiari,
il diritto di alloggiare, al pari e sotto le stesse norme e condizioni del contratto
di albergo così come qualsiasi altro cliente dell' azienda turistico
ricettiva, nell' unità immobiliare da essa parte acquistata mediante
regolare rogito notarile, e pertanto: detta parte dovrà regolarmente
procedere alla prenotazione della unità immobiliare che sarà a
sua disposizione, con i limiti previsti dal succitato 6° comma dell' art.
3 L.R. 11\82, solamente se libera nel periodo non desiderato, la stessa potrà
essere locata a terzi ( i quali non avranno precedenza a parità di prenotazione
con il proprietario o con i suoi familiari); denunciarsi alla portineria mediante
regolare documento di identità, così come previsto dalla legge
di Pubblica Sicurezza; nonché in generale sottostare a tutte le altre
norme e disposizioni relative al soggiorno turistico ricettivo. La stessa parte
acquirente dell' unità immobiliare dovrà regolarmente consegnare
la chiave del' unità immobiliare al servizio di ricezione ogni volta
che si allontanerà dall' albergo residenziale e lasciare la chiave stessa
presso lo stesso servizio quando avrà cessato di alloggiare nell' unità
immobiliare per uso proprio (o dei propri familiari), affinché possa
essere occupata dagli altri eventuali clienti. Durante i periodi nei quali l'
unità immobiliare verrà ad essere occupata direttamente dal proprietario
o dai propri familiari, il proprietario stesso, per espresso patto contrattuale,
non sarà tenuto a corrispondere alcunché per l' occupazione dell'
unità stessa alla società gestrice i servizi turistico ricettivi,
fatta eccezione per il compenso del 20% per la prestazione dei servizi turistico-ricettivi
obbligatori, delle spese di contabilità e della gestione delle locazioni,
nonché del compenso per la prestazione dei servizi turistico ricettivi
facoltativi, questi ultimi se richiesti".
Considerato questo meccanismo, imposto dal costruttore e recepito da tutti gli
acquirenti delle porzioni immobiliari, non si comprende come possa essere messa
in dubbio la natura alberghiera delle porzioni immobiliari in questione che,
per giunta, avevano mantenuto intatte le loro caratteristiche alberghiere.
Significativa sul punto è la già citata relazione di accertamento
tecnico richiesta dal Comune di Bergeggi l' 11\3\95 ai geometri F. ed O., allegata
agli atti.
La lettura di tale documento e la diretta visione delle numerose foto allegate
evidenzia, infatti, che, nel periodo degli accertamenti (effettuati nel marzo-giugno
1995), il complesso M. si presentava come una struttura alberghiera e che
gli appartamenti non erano abitati (in quanto privi di arredamenti personali
e di fatto quasi spogli). Si possono, anche, vedere le foto relative alle spaziose
cucine dell' albergo, alle ampie sale comuni, al ristorante (quest' ultimo dotato
di numerose poltroncine), al bar dell' albergo, agli uffici, alla hall con bancone
reception.
Il complesso M., quindi, non può essere considerato un edificio adibito
ad uso civile.
Aver ritenuto le "dichiarazioni di conformità" emesse dal B.
come relative ad edifici ad uso civile (e non ad un albergo) e, quindi, conformi
alla legge n. 46\1990 è valutazione che non può essere condivisa
in quanto, trattandosi di impianti di riscaldamento ed idrosanitari in edificio
alberghiero, le dichiarazioni rilasciate dal B. non erano richieste ai sensi
dell' art. 1 della legge n. 46\1990.
Conseguentemente, le dichiarazioni non sono state rilasciate nell' esercizio
di un servizio di pubblica necessità. Devono, quindi, ritenersi atti
privati e, dunque, seppure non veritiere, non sono sanzionabili ai sensi dell'
art. 481 c.p.
Tale ordine di argomentazioni risulta confermato da ulteriori anomalie nelle
dichiarazioni di conformità che ne escludono ulteriormente la riconducibilità
alla legge 46\90.
Va, infatti, considerato che numerose dichiarazioni non avrebbero dovuto essere
emesse dal B. il quale, non avendo installato l' impianto, non aveva titolo
a certificarne la conformità ai sensi dell' art. 9.
Anche tale circostanza, peraltro, era stata puntualmente evidenziata dal Comune
nel citato atto di denunzia: "questo Comune non è in grado di dire
se sono legittime le dichiarazioni di conformità rese da un soggetto
per impianti eseguiti da terzi".
Come già ricordato, infatti, ai sensi della legge n. 46, l' obbligo del
rilascio compete all' impresa installatrice al termine dei lavori.
Di contra, nelle dichiarazioni di conformità appresso indicate, il B.,
che pure non aveva realizzato l' impianto, ha rilasciato la dichiarazione, realizzando,
quindi, un atto privo di effetti giuridici per il committente ed i proprietari
(anzi, verosimilmente, anche dannoso ove si consideri che simili dichiarazioni
-in quanto retrodatate di un anno al momento del rilascio- vanificavano di fatto
gli effetti di ogni tipo di garanzia sull' installazione). Nelle citate dichiarazioni,
il B. affermava, infatti, testualmente: "dichiara sotto la propria personale
responsabilità che l' impianto per quanto visivamente riscontrabile e
pur non essendo stato realizzato dal sottoscritto, è stato eseguito in
modo conforme a quanto prescritto dall' art. 7 della legge n. 46\1990
."
Evidentemente l' odierno imputato, che non aveva effettuato i lavori, non aveva
titolo a rilasciare le dichiarazioni di conformità e, consapevole del
fatto, lo affermava esplicitamente nel testo della dichiarazione (il riferimento
è alle dichiarazioni relative agli appartamenti contraddistinti agli
interni dal numero 1 al numero 11 compreso, dal n. 23 al 32 compreso, dal n.
43 al 52 compreso, dal n. 66 al n. 75). Non essendo il soggetto installatore,
egli non era tenuto ad emettere le dichiarazioni, per altro anche prive di rilevanza
giuridica.
Non si vede, infatti, quali conseguenze avrebbero potuto derivare al B. nel
caso di controlli sulle strutture da lui non realizzate quand' anche queste
ultime fossero risultate tecnicamente inidonee.
La legge 46\1990 nel regolamento di attuazione prevede, infatti, che "le
violazioni della legge accertate, mediante verifica o in qualunque altro modo,
a carico delle imprese installatrici sono comunicate alla commissione di cui
all' art. 4 della legge, competente per territorio, che provvede all' iscrizione
nell' albo provinciale delle imprese artigiane" e che la violazione reiterata
delle norme relative alla sicurezza degli impianti da parte delle imprese abilitate
può comportare la sospensione temporanea dall' albo.
Evidentemente nessuna conseguenza nei casi in esame in quanto il B. non era
stato il soggetto installatore, quindi non era tenuto al rilascio delle dichiarazioni
di conformità e, conseguentemente, non poteva svolgere un servizio di
pubblica necessità ai sensi dell' art. 481 c.p.
Rileva, altresì, considerare, come da ultimo chiarito dal perito R.,
che sono state emesse dal B. anche dichiarazioni di conformità per
impianti addirittura inesistenti (ad. es. nell' appartamento n. 22).
Si tratta, evidentemente, di atti nulli, comunque al di fuori della portata
della legge 46\1990 che, prevedendo un sistema di tutela per il committente,
mira a responsabilizzare l' impresa installatrice, imponendole obblighi di garanzia.
Conseguentemente, poiché la certificazione per gli impianti di riscaldamento
risulta emessa nell' esercizio di un servizio di pubblica necessità solo
quando è richiesta dalla legge, e cioè quando è relativa
agli impianti ubicati all' interno di edifici adibiti ad uso civile ed è
rilasciata dall' installatore, avendo il B. emesso dichiarazioni non necessarie
in quanto relative ad edifici non adibiti ad uso civile ed, addirittura, in
numerose casi, irrilevanti ( non essendo stato il soggetto installatore) e,
perfino, per impianti inesistenti, non ha agito nell' esercizio di un servizio
di pubblica necessità ai sensi dell' art. 481 c.p.
Conseguentemente, nella condotta ascritta non è configurabile alcun reato
di falso giuridicamente rilevante in quanto il falso ideologico in scrittura
privata non è punibile, come in precedenza già rilevato.
Dal reato ascritto sub 1), quindi, l' odierno imputato deve essere assolto perché
il fatto non sussiste.
Sull' argomento occorre peraltro considerare che, come evidenziato dall' ing.
Ravedati, il B. ha installato numerosi impianti non conformi alle vigenti
norme di sicurezza.
Tale condotta contrasta con la legge n. 1083 del 1971, la quale prescrive che
tutti i materiali, gli apparecchi, le installazioni e gli impianti alimentati
con gas combustibile per uso domestico ed usi similari, devono essere realizzati
secondo le regole specifiche della buona tecnica, per la salvaguardia della
sicurezza, ritenendosi tali gli impianti realizzati secondo le norme specifiche
per la sicurezza pubblicate dall' Ente nazionale di unificazione (UNI) in tabelle
con la denominazione UNI-CIG (cfr. artt. 1 e 3 citata legge).
Considerate, quindi, le numerose e gravi anomalie riscontrate negli impianti,
deve disporsi la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso
la Pretura Circondariale.
Prima di concludere sul punto ci si deve ancora chiedere perché il B.,
sia pure non essendone tenuto, ha rilasciato i certificati indicati in imputazione.
Quanto agli impianti relativi al M. B -verosimilmente rilasciati nel luglio
1993- sicuramente non per agevolare l' accoglimento delle istanze di condono,
istanze di cui a quel tempo non era neppure ipotizzabile la presentazione (non
potendosi prevedere all' epoca la normativa di condono).
Relativamente al M. B cade, quindi, in radice la prospettazione accusatoria
laddove sostiene che queste mendaci dichiarazioni erano connesse alle domande
di condono.
Per quanto concerne il M. A, riesce difficile ipotizzare un concorso tra B.
e C. solo argomentando con riferimento all' effettivo pagamento degli importi
dovuti dai soci della cooperativa al B., ritenuto l' unico fornitore ad essere
stato interamente retribuito. Per altro neppure tale circostanza (che il B.
sia stato l' unico fornitore ad essere interamente pagato nella realizzazione
del complesso M.) è stata provata dall' accusa (è vero, infatti,
che uno dei fornitori sentiti in udienza, il B., ha dichiarato di non essere
stato interamente pagato, ma non si conosce il numero complessivo dei fornitori
intervenuti e di quelli che non sono stati interamente soddisfatti).
Riservando al prosieguo la trattazione della questione, si può comunque
ritenere che questi certificati interessassero al C. il quale, seppure verosimilmente
intento ad esaminare le varie opzioni, a quell' epoca pareva interessato principalmente
a trovare una via d' uscita ai problemi posti dall' insolvenza della società
costruttrice del complesso, la Finretica, che non pagava, tra l' altro, rilevanti
rate di mutuo scadute (cfr. verbale assemblea della coop. M. del 27 maggio 1994
e 2 luglio 1994).
Non risulta provato che, all' inizio del luglio 1994 -periodo in cui sono state
emesse dal B. le false dichiarazioni- il C. fosse interessato a procedere
a condonare porzioni del M.
A prescindere dal fatto che la legge sul condono era ancora in itinere ( il
provvedimento di condono è stato disposto con D.L. 26\7\94 n. 468 non
convertito in legge), il C. appariva effettivamente interessato alla gestione
alberghiera del complesso (di per sé incompatibile con il mutamento d'
uso dedotto successivamente in condono) al punto di avere avviato concrete trattative
con gli aventi causa dalla società Platamar (e, cioè, i possessori
di unità immobiliari poste nel M. B) per coinvolgerli nella gestione
alberghiera (cfr. verbale assemblea coop. M. del 2 luglio 1994).
Solo qualche mese dopo, quando gli aventi causa dalla P. gli comunicavano la
loro decisione di restare al di fuori della gestione alberghiera e solo quando
la possibilità di gestire l' albergo era tramontata in seguito alla procedura
di condono iniziata dai proprietari del M. B, il C. si attivava per ottenere
il condono edilizio per gli enti comuni del M. A (dicembre-gennaio 1995). Sino
a tale data, verosimilmente, il C. era orientato ad ultimare il complesso alberghiero
(cfr. verbale coop. M. dell' 8 ottobre 1994).
Non essendo, quindi, provato l' intento del C. di attivarsi per intraprendere
la via del condono, tantomeno può ritenersi provato il concerto con tale
attività col B. il quale ha rilasciato le dichiarazioni compiacenti,
verosimilmente, solo per essere regolarmente retribuito in relazione ai lavori
in precedenza effettuati.
Contestazione
di cui al capo 2).
Risulta provato che il C., quale presidente della cooperativa M. ha falsamente
affermato, nelle otto istanze di condono edilizio presentate al Comune, la avvenuta
trasformazione degli "enti comuni" in unità residenziali.
Per una migliore comprensione della vicenda, va premesso che, come appare dalla
lettura degli atti notarili da ultimo acquisiti, per "enti comuni",
si intendono gli spazi ubicati all' interno del M. A destinati ad ospitare i
servizi alberghieri del complesso adibito a residenza turistico alberghiera
(e segnatamente: portineria, cucine, ristorante, bar, sale a disposizione dei
turisti alloggiati).
Tali "enti" erano stati acquistati nel 1994 dalla cooperativa M. dalla
società F. allo scopo di realizzare la gestione dell' albergo turistico
residenziale ed, a quanto è emerso in dibattimento (lo ha ammesso anche
lo stesso C.), non hanno, di fatto, subito alcuna trasformazione in unità
residenziali.
Con riferimento alle date, è anche necessario rilevare che, il 9\3\94,
con atto a rogito notaio M., la D. R. srl aveva ceduto alla coop. M., d'intesa
con la F., la titolarità del diritto a costituire l' azienda turistico
alberghiera residenziale gestrice unitaria del complesso M. (e siccome il prezzo
della vendita degli enti comuni era stato elevato, e cioè pari a £.
2.000.000.000 oltre I.V.A., per complessive £. 2.380.000.000, l' acquisto
degli enti comuni e del diritto di esercitare l' azienda costituisce circostanza
idonea ad evidenziare le caratteristiche alberghiere della struttura, escludendo
ancora una volta la natura di "edifici ad uso civile" alle unità
abitative ed agli enti comuni del complesso M.).
La trasformazione in civile abitazione in epoca anteriore al 31\12\1993 dichiarata
nelle otto istanze in sanatoria e nelle considerazioni giuridiche allegate alla
domanda, costituisce, quindi, una serie di dichiarazioni false, volte ad evitare
"un ingente danno alla Cooperativa".
Come si legge, infatti, nel verbale del 20 gennaio 1995 di una affollata assemblea
straordinaria tenutasi in Milano della coop. M. (che riuniva i proprietari delle
unità abitative poste nel M. A) "il Presidente (e cioè il
C.) comunica che il 23 dicembre u.s. ha avuto notizia del fatto che i proprietari
delle unità immobiliari del Complesso M. 2 stavano effettuando il pagamento
della oblazione prevista dalle vigenti leggi sul condono edilizio per cambiare
la destinazione di uso da albergo residenziale ad unità immobiliare per
abitazione. Tale iniziativa costituisce ingente danno per la Cooperativa, nella
sua qualità di ente gestore del complesso, perché il risultato
economico di gestione alberghiera è notevolmente pregiudicato sia perché
da una parte si riducono di 59 unità gli alloggi destinati alla locazione,
sia perché dall' altra parte resteranno immutati i costi di gestione
per la fornitura dei servizi obbligatori della gestione alberghiera. (Anche
il C., evidentemente, riteneva il complesso M. un albergo). Per questi motivi
la Cooperativa ha immediatamente notiziato i soci ed ha provveduto anche al
pagamento delle oblazioni per cambio di destinazione delle unità immobiliari
di sua proprietà con l' obbiettivo di una successiva vendita di quelle
unità immobiliari ad uso comune suscettibili di valutazione autonoma.
La vendita dovrebbe consentire di compensare, sia pure parzialmente, la diminuzione
di valore che subirà tutta la parte immobiliare a destinazione commerciale
che era stata acquistata perché indispensabile per l' avvio della gestione
alberghiero residenziale del complesso. L' iniziativa del M. 2 ha costretto
anche i proprietari delle unità immobiliari dell' edificio M. 1 ad effettuare
il pagamento dell' oblazione sia per evitare di dover avviare la gestione alberghiera
con un ridotto numero di unità immobiliari e quindi con elevati costi
di gestione, sia perché il comune di Bergeggi ha dichiarato la sua indisponibilità
a rilasciare la licenza di esercizio soltanto per una parte del complesso M.
Al temine della esposizione del Presidente -si legge sempre nel verbale-
si apre una ampia ed approfondita discussione sui diversi aspetti del condono",
la cui scelta veniva approvata all' unanimità dai soci nei termini prospettati
dal C.. Quest' ultimo si era determinato, quindi, ad intraprendere la via del
condono per cercare di valorizzare gli enti comuni il cui valore economico sarebbe
risultato pregiudicato dal mancato avvio dell' attività alberghiera.
La difesa, contestando con articolate argomentazioni l'imputazione, evidenzia
che il falso penalmente rilevante consiste in attestazione del privato relativa
a fatti, risultando escluse le dichiarazioni aventi a contenuto giudizi, valutazioni
o dichiarazioni di volontà. Conseguentemente, la determinazione della
data di ultimazione lavori, inerente al mutamento di destinazione d' uso, non
si potrebbe qualificare un fatto storico in quanto implicherebbe una complessa
valutazione di natura giuridica.
Tali argomentazioni, seppure abilmente formulate, non possono essere condivise.
Proprio sulla scorta delle anzicennate dichiarazioni del C. - da questi rese
quale presidente della cooperativa- risulta provato che gli acquirenti degli
appartamenti, "per limitare i danni", avevano volontariamente, e con
piena consapevolezza della drammatica situazione debitoria in cui stavano sprofondando
anche in seguito al fallimento della Finretica, tentato di condonare i c.d.
enti comuni e le unità immobiliari abitative. La gravità della
situazione, evidente anche in altri verbali assembleari, aveva reso necessari
approfonditi accertamenti, posti in essere proprio dallo stesso C. Quest' ultimo,
nonostante il disposto dell' art. 20 dello statuto sociale che prevede, in linea
di principio, che gli amministratori non hanno diritto a retribuzione, salvo
che non lo deliberi l' assemblea, proprio per l' impegno profuso, nonostante
la pesante situazione debitoria in cui versavano i soci della coop. M.,
aveva ottenuto la corresponsione di consistenti somme per l' attività
prestata: £. 72.000.000 fino al 31\12\1995, e £. 80.000.000 per
l' anno 1996 (cfr. verbali 20\1\1995 e 20\10\1995).
Nel verbale da ultimo citato si legge, infatti, testualmente: "dopo ampia
ed approfondita discussione l' assemblea, preso atto che l' attività
della cooperativa impegna il presidente per una media giornaliera di lavoro
che supera le quattro ore, con l' astensione dei soci F. R. ed E. sas, delibera
di attribuire al presidente del consiglio di amministrazione dr. C., l' emolumento
di £. 80.000.000 per l' anno 1996 a fronte dell' attività che egli
svolgerà come presidente e come professionista della cooperativa".
La somma sopraindicata, inoltre, non comprendeva neppure "la elaborazione
contabile e la domiciliazione della società, attribuita alla Società
O. sas.".
In presenza di una simile situazione non si può ritenere che le false
dichiarazioni in esame non siano state rese senza approfondita riflessione dal
C. che risulta essere stato proprio "il regista" dell' operazione
e sul quale gli sfortunati soci della coop. M. facevano affidamento perché
individuasse opportune soluzioni ai loro problemi.
Del pari risulta evidente che le dichiarazioni giuridiche in argomento riguardino,
quantomeno in larga misura, proprio l' indicazione di fatti falsi.
Costituisce, infatti, falsa dichiarazione di fatti dichiarare nelle otto "considerazioni
giuridiche sull' accoglibilità della domanda di condono" allegate
alle istanze dal n. 271 al n. 278 - relative, rispettivamente, all' ex cucina,
ex sala thè 1° piano, ristorante 1° piano, parti comuni 2°
piano, parti comuni 3° piano, parti comuni 4° piano, ex ufficio piano
terreno, ex palestra piano terreno- che tali immobili oggetto di istanza di
condono erano stati trasformati in civile abitazione in epoca anteriore al 31\12\93.
Questa trasformazione, si legge nelle considerazioni, sarebbe conseguita anche
alla esecuzione di "piccoli, ma decisivi interventi edilizi, univoci nel
senso della soppressione di requisiti strutturali imprescindibili in una struttura
alberghiero residenziale
Sono state altresì eseguite, sempre prima
del 31\12\1993, altre opere incompatibili con la destinazione alberghiera. Sono
stati apprestati riscaldamenti autonomi in ogni unità abitativa, tra
loro differenziati a seconda delle scelte fatte dai singoli acquirenti, con
contatori autonomi, taluni a gas, altri elettrici" (il riferimento agli
impianti di riscaldamento suscita perplessità ed appare connesso alla
falsità delle dichiarazioni in precedenza ricordate; in assenza di ulteriori
deduzioni accusatorie, tuttavia, per le considerazioni in precedenza indicate,
non sembra sintomatico del concorso del B. con il C.; la circostanza verrà,
comunque, riesaminata nel prosieguo).
In ognuna delle otto considerazioni giuridiche si legge inoltre: "l' istanza
tende a sanare il mutamento di destinazione di uso che è stato operato
nell' intero fabbricato, di cui il dichiarante è l' ente preposto alla
gestione per aver acquistato il relativo diritto, ed al quale sono annessi gli
enti comuni di proprietà del dichiarante per i quali si presenta domanda
di condono edilizio. L'immobile, approvato con destinazione alberghiera, è
stato trasformato in civile abitazione in epoca anteriore al 31\12\1993."
La prova della falsità delle dichiarazioni relative alle parti comuni
è data dalla situazione attuale, così come ammessa anche dal C.,
che, nel corso dell' udienza del 10\12\97, ha escluso la realizzazione di alcuna
trasformazione.
Il riferimento è alle risposte date dall' imputato alle serrate domande
del difensore della parte civile, quali risultano nei verbali agli atti: "risposta
a domanda della parte civile: ciò che per me era rilevante, così
come per l' atto notarile, era evidenziare nelle dichiarazioni che dovevano
essere rese che non era avvenuto nessun abuso, tranne il fatto che mancavano
le infrastrutture alberghiere, ma che io mi trovavo ad essere proprietario,
come presidente della cooperativa, di una serie di parti commerciali delle quali
a questo punto non sapevo più cosa farmene. Perché mentre il ristorante
aveva una collocazione, mentre la cucina aveva una collocazione, in realtà
c' erano le varie sale di lettura ed altro che erano parti commerciali ma nel
futuro che si fa? e sulla base di questo viene presentata una domanda di condono
dicendo: siccome tutti hanno predisposto una domanda di condono, io mi ritrovo
proprietario di che cosa non lo so, chiedo la trasformazione. Quindi mi associo
e voglio pagare gli oneri e quanto dovuto per trasformare
Domanda parte civile: ma lei non li ha trasformati, il punto è lì.
Perché non è una richiesta di variante edilizia, è una
richiesta di sanatoria.
Risposta C.: siccome non è avvenuto nulla, allora io prendo atto dell'
errore, l' ho detto prima, non sono infallibile l' ha scritto il tecnico e purtroppo
non me ne sono accorto. Infatti non c' era niente
Sì perché
in realtà l' ing. G. nel visionare il complesso aveva rilevato che in
realtà c' erano delle aree che allo stato erano comuni però non
aveva senso farle restare comuni. Faccio un esempio: l' atrio di ingresso è
un affare di 200 metri quadrati. Ora diceva l' ing. G. "se dobbiamo realizzare
dobbiamo cercare di recuperare l' investimento perché gli altri hanno
fatto la domanda di condono e quindi non possiamo lasciare tutto quest' atrio
come parte comune. Allora diciamo, siccome ci sono le finestre, siccome ci sono
due bagni, uno da una parte ed uno dall' altra, qui potrebbero venire altri
due appartamenti". Quindi allora aveva identificato, anche frazionando
delle unità che comunque
Domanda: ma sono sulla carta, non nella realtà?
risposta del C.: no ma tutto sulla carta
.
Domanda della parte civile: terza istanza, numero 273, che riguarda l' ex sala
ristorante, al piano primo del corpo A, in cui lei dice: trasformazioni da enti
comuni appartenenti al complesso M. a destinazione di residenza turistica
alberghiera trasformati in unità abitativa residenziale. Anche qui lavori
nessuno, è vero ? sarebbe il ristorante. Perché forse il ristorante
si presentava così quando ha fatto l' istanza di condono ?
risposta del C.: tuttora è così
.
Parte civile: altra domanda, sempre su queste istanze. E parliamo della sala
comune al piano secondo del corpo D, le famose sale comuni, si ricorda? Anche
qui si dice: trasformati in unità residenziale. Anche qui nessun lavoro,
è vero ?
Risposta del C.: no.
Domanda sempre della parte civile relativa all' istanza n. 275: trattasi della
sala comune al piano terzo. Ed anche qui si dice: trasformati in unità
residenziali. Anche qui la realtà non corrisponde alla dichiarazione
fatta, credo. È così ?
risposta del C. : sì
.
Domanda della parte civile: io le ho già chiesto della istanza n. 271,
n. 272, n. 273, n. 274, n. 275, mi pare e stavamo parlando
Sì,
275, e per tutte queste istanze lei ha dichiarato che gli abusi, diciamo, i
pretesi abusi denunciati nell' istanza di sanatoria in realtà lei non
li ha compiuti ?
Risposta del C.: no.
Domanda P.C. : perché tutte le cose sono rimaste
?
Risposta C.: tali e quali
. La situazione è rimasta immutata.
Tali dichiarazioni appaiono particolarmente rilevanti in quanto rese da un soggetto
qualificato (il C. è dottore commercialista, con studio in Milano),
e la gestione della vicenda M. era diventata verosimilmente una sua primaria
attività (come visto, infatti, lavorava per il complesso M. 4 ore
al giorno, percependo elevati compensi).
Ove necessario, le dichiarazioni confessorie dell' imputato trovano esatta conferma
nell' accertamento tecnico commissionato dal Comune ai geometri F. F. ed O.
L. in seguito alla necessità di dover esaminare le numerosissime istanze
di sanatoria relative al complesso M., accertamento che ha escluso la realizzazione
di mutamenti negli enti comuni (cfr. le fotografie allegate all' accertamento
in precedenza ricordato che evidenziano in modo inequivocabile lo stato dei
luoghi).
Indicativa della falsità delle dichiarazioni che fanno riferimento a
modifiche intervenute entro il 31\12\1993 risulta anche la semplice lettura
dell' atto in data 9\3\94, relativo all' acquisto da parte della coop. M. dalle
società F. spa e D. R. srl degli enti comuni (cfr. rogito notaio M. di
Sanremo in data 9\3\1994, agli atti).
Nell' contratto si legge, infatti: "la medesima parte compratrice dichiara
e dà atto di essere a conoscenza che in virtù della succitata
convenzione edilizia ed in virtù della concessione edilizia di cui appresso,
il Complesso in questione e quanto da essa parte acquistato deve essere e rimane
destinato ad uso turistico-alberghiero-residenziale. A tal fine la medesima
parte compratrice si obbliga ad osservare le pattuizioni tutte di cui ai succitati
regolamenti che garantiscono tale destinazione. Pertanto, allo scopo di garantire
l' unitarietà della gestione del complesso turistico-alberghiero-residenziale,
resta in ogni caso esclusa dalla presente vendita la titolarità dell'
attività connessa alla destinazione turistico-alberghiero-residenziale
del complesso medesimo."
La falsità, quindi, riguarda sia la data di ultimazione dei lavori di
mutamento di destinazione d' uso, sia (per le otto unità immobiliari
di proprietà della cooperativa) lo stesso mutamento di destinazione d'
uso che, di fatto, non era stato realizzato.
Passando ad esaminare l' ulteriore argomentazione avanzata dalla difesa del
C., va considerato che il reato di falsità ideologica commesso dal
privato in atto pubblico ricorre quando si attestano falsamente al pubblico
ufficiale (quale è certamente il notaio che ha ricevuto le dichiarazioni)
in un atto pubblico (quale è la dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà prevista dall' art. 39 della legge 724\1994) fatti che l' attestante
ha il dovere giuridico di esporre veridicamente e dei quali l' atto, in cui
tali dichiarazioni sono inserite, è destinato a provare la verità.
Secondo la dottrina, si tratta di un' ipotesi di falsità ideologica inesattamente
definita tale e, comunque, diversa dalle altre falsità ideologiche in
quanto dà luogo ad una sorta di "falsa testimonianza al di fuori
del processo".
Per la configurabilità del delitto occorre, quindi, che l' atto ricevuto
dal pubblico ufficiale abbia, per disposizione di legge, la speciale funzione
di provare i fatti in essa attestati.
Ad avviso del difensore del C., nel caso in esame mancherebbe l' oggetto
materiale del reato, in quanto l' istanza di condono dovrebbe considerarsi un
atto privato volto ad ottenere un beneficio dalla pubblica amministrazione e
non un atto pubblico. La domanda di condono, inoltre, non implicherebbe l' attestazione
di fatti dei quali l' atto è destinato a provare la verità e l'
attestazione posta in calce all' istanza dal pubblico ufficiale avrebbe unicamente
la funzione di certificare le generalità del soggetto che sottoscrive
la domanda. Ragionando al contrario, conclude il difensore, tutte le istanze
di condono non accolte dal sindaco comporterebbero la realizzazione del reato
di falsità ideologica commesso dal privato, "cosa che apparirebbe
francamente assurda".
Tali argomentazioni, seppure suggestive, non possono essere condivise.
Il procedimento per ottenere la concessione o l' autorizzazione in sanatoria,
infatti, inizia con la presentazione della domanda al comune ove è ubicata
l' opera abusiva.
La domanda deve contenere in modo chiaro e completo tutti i dati necessari alla
amministrazione procedente per eseguire la fase istruttoria.
In particolare, è onere del richiedente dimostrare l' ultimazione dell'
opera entro il 31\12\1993 mediante prove documentali certe o, come è
avvenuto nel caso in esame, mediante specifica indicazione nella dichiarazione
resa ai sensi dell' art. 4 della legge n. 15\1968.
Il citato art. 39, semplificando la disciplina prevista dalla precedente legge
n. 47\1985, consente la sostituzione della documentazione di cui all' art. 35
comma 3 L. n. 47\1985 con un' apposita dichiarazione resa ai sensi dell' art.
4 legge n. 15 del 1968 che prevede la possibilità di produrre, in luogo
degli atti notori, dichiarazioni sostitutive dell' atto di notorietà
concernenti fatti, stati o qualità personali che siano di diretta conoscenza
dell' interessato.
Tali dichiarazioni sono state rese con le formalità previste dalla legge
n. 15 del 1968.
Risulta, quindi, provata la penale responsabilità dell' imputato relativamente
all' illecito in questione in quanto sussiste il reato di cui all' art. 483
c.p. qualora vengano rese "in una dichiarazione sostitutiva dell' atto
notorio delle false attestazioni su fatti dei quali l' atto è destinato
a provare la verità; detta dichiarazione si considera, infatti, come
resa a pubblico ufficiale e le affermazioni del privato in essa contenute hanno
una rilevanza probatoria inerente alla natura ed all'essenza dell'atto stesso
e debbono perciò corrispondere a verità" (nella specie trattavasi
di un ferroviere, il quale aveva falsamente asserito che la sua attività
prevalente era quella di pescatore, Cass. Sez. V 84\16401).
Va, del pari, considerato che "l'attestazione al pubblico ufficiale di
circostanze non veritiere in una dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio
resa al pubblico ufficiale, integra il reato di falsità' ideologica del
privato in atto pubblico, di cui all'art. 483 c.p., pure nel caso in cui quanto
dichiarato possa essere altrimenti verificato dal successivo destinatario dell'atto;
in tale ipotesi, invero, deve escludersi la configurabilità' del falso
innocuo, atteso che l'innocuità' del falso in atto pubblico non va ritenuta
con riferimento all'uso che si intende fare del documento - che non e' necessario
ad integrare la condotta incriminata, e può altrimenti integrare estremi
di reato diverso - ma solo se si esclude l'idoneità dell'atto falso ad
ingannare comunque la fede pubblica" (Cass. 16\12\1997).
Occorre, inoltre, considerare, conformemente all' insegnamento della Suprema
Corte, che "la valutazione di innocuità del falso commesso dal privato
in atto pubblico, di cui all' art. 483 c.p., non può essere rapportata
alla funzione che l' atto assume, quale elemento o requisito di valutazione
per un diverso procedimento amministrativo, per la destinazione occasionale
datagli dal privato a questo fine, giacché la tutela del falso concerne
l' attestazione di per sé stessa e cioè la pubblica fede che,
in ogni caso, si può riporre nel documento, alla stregua della funzione
rappresentativa riconosciutagli dalla legge".
L' uso dell' atto non è, infatti, necessario per la perfezione del reato
di falso, mentre può integrare la condotta di un reato ulteriore quale
quello previsto dall' art. 640 c.p. (Cass. 29 luglio 1997). Condotta che, in
relazione alla fattispecie in esame, ha correttamente indotto il pubblico ministero
a contestare al C. l' imputazione ascritta sub 3).
Ad avviso della Corte di Cassazione, infine, "la dichiarazione sostitutiva
regolata dalla legge 4 gennaio 1968 n. 15 può attenere, oltre che a stati
e qualità personali, ai quali fa riferimento l' art. 2, anche a fatti,
cioè ad ogni situazione concreta ed obbiettiva attinente a persone o
beni di cui il dichiarante affermi di essere direttamente a conoscenza, poiché
l' ambito di operatività previsto dall' art. 4 è più ampio
di quello previsto dall' art. 2. Né ha alcun rilievo che il funzionario
che riceve l' atto e vi appone l' autenticazione della sottoscrizione non sia
competente od espressamente delegato a tale funzione, o che i timbri posti in
calce al documento non facciano alcun riferimento a tale delega, potendosi escludere
la falsità solo quando, essendo l' organo o l' ente nell' ambito del
quale il funzionario stesso opera del tutto sfornito di competenza in tal senso,
debba parlarsi di inesistenza dell' atto medesimo" (Cass. 20\12\1996, nell'
affermare il detto principio la Corte ha precisato che integra gli estremi dell'
art. 483 c.p. la falsa dichiarazione sostituiva di un atto di notorietà
presentata al capo dell' ufficio tecnico del comune con il quale l' interessato
attesta l' esistenza pluriventennale di un manufatto edilizio).
La falsa dichiarazione resa dal C. per la cooperativa M. appare di particolare
importanza, perché, qualora gli enti comuni caratterizzanti la residenza
turistico alberghiera M. fossero stati effettivamente trasformati in ordinarie
unità abitative, la tesi dei condomini del M. miranti ad ottenere
il condono avrebbe avuto maggior possibilità di essere accolta.
Appare, inoltre evidente, la particolare rilevanza della personalità
del C. all' interno della cooperativa M. di cui era stato un socio fondatore,
il primo presidente (operando nel periodo più delicato) e da cui era
stato remunerato (proprio in considerazione della intensa attività professionale
prestata) con consistenti indennità, trattamento non riservato al successore.
Non può, tuttavia, condividersi l' impostazione accusatoria laddove sostiene
che B. e C., agendo tra loro in concorso, avrebbero indotto in errore
i proprietari degli appartamenti del complesso inducendoli a presentare domande
di condono.
I proprietari, infatti, come emerge dai verbali di assemblea in precedenza riportati,
erano ben consapevoli della reale situazione di fatto ed interessati a limitare
il danno conseguente al lievitare dei prezzi degli immobili acquistati e dei
sopraggiunti costi di gestione.
Nel verbale in data 20\1\95, nel corso di una assemblea a cui parteciparono
47 soci, l' intero consiglio di amministrazione ed i sindaci, si legge, infatti,
che, "al termine della esposizione del presidente, si apre una ampia ed
approfondita discussione sui diversi aspetti del condono nonché sulle
opere da realizzare per rendere l' immobile pienamente godibile.
Terminata la discussione l' assemblea all' unanimità delibera:
- di approvare quanto finora svolto dalla cooperativa in tema di condono edilizio,
da coltivare fino a trasformare la unità ad uso comune in unità
abitative nella eventualità che il Comune di Bergeggi dovesse rifiutare
o frapporre ostacoli al rilascio della licenza per casa vacanze;
- che ogni proprietario coltiverà secondo le personali esigenze, la propria
pratica di condono edilizio che sarà affidata all' ing. Gabriele Giordano
per uniformità di indirizzo e, a tal fine, la cooperativa presterà
ogni assistenza ai propri soci".
Conformi sul punto anche le deposizioni dei soci della coop. M. sentiti
in udienza secondo cui:
"il condono era da fare, si riteneva opportuno farlo e mi sono adeguato
agli altri e l' ho fatto. S' era detto di fare il condono dato che la legge
aveva permesso di farlo. La legge diceva di fare il condono. In TV lo dicevano
in televisione. Abbiamo deciso di fare il condono" (Felisari Gianni).
"Per il condono ho parlato con l' ing. Giordano di Spotorno che mi ha fornito
un modulo, l' ho compilato e restituito al G. So che era stato preparato da
un legale della cooperativa. L' istanza di condono è stata presentata
dall' ing. Giordano che ho pagato io" (S.).
"Il condono era da farsi perché si riteneva opportuno che andasse
bene farlo ed io mi sono allineato agli altri e l' ho fatto
Di sicuro l'
ho firmato. Nessuno mi ha messo la pistola alla tempia per firmarlo, l' ho firmato
di mia spontanea volontà.
ha mai conosciuto l' ing. B. ? Mai visto"
(P.).
"La voce già circolava in noi tutti di fare questa domanda di condono.
L' idea diciamo era collettiva, eravamo tutti d' accordo di farlo" (B.).
"Le considerazioni sono state fatte dall'avvocato G. La consulenza allo
studio A. è stata chiesta secondo me parallelamente al mio intervento
circa il condono; l' avvocato G. era stato contattato anche prima per il condono
del M. B. Non ho fatto riferimento ai certificati di conformità, non
servivano per il condono" (ing. G.).
Non sussiste, pertanto, alcuna prova di una concreta attività ingannatoria
posta in essere da B. e C. nei confronti dei soci della cooperativa al fine
di indurli a rendere le false dichiarazioni in esame.
Risulta, invece, provato che la presentazione di tutte le istanze di condono
era conforme agli interessi dei soci della cooperativa M. i quali, divenuti
consapevoli della disastrosa situazione economica in cui stavano sprofondando
anche in seguito al fallimento della Finretica, cercavano ogni sistema per limitare
ulteriori esborsi di somme e "compensare la diminuzione di valore che subirà
tutta la parte immobiliare a destinazione commerciale che era stata acquistata
perché indispensabile per l' avvio della gestione alberghiero residenziale
del complesso" (cfr. il già citato intervento dei C. all' assemblea
straordinaria del 20\1\95).
Del resto, come già osservato, non sussiste alcun riscontro in ordine
al concorso tra il C. ed il B. nella attività criminosa nei termini
prospettati in imputazione, ed è stata in precedenza evidenziata la sostanziale
irrilevanza delle dichiarazioni di conformità ai fini del rilascio del
condono alla cui istanza non erano state neppure allegate.
Il B., con ogni probabilità, ha sottoscritto i certificati di conformità
non veritieri e di compiacenza per esigenze economiche relative ai pagamenti
dei lavori effettuati, ma, in assenza di ulteriori deduzioni accusatorie sul
punto, non certo per agevolare l' istanza di condono, di cui in cooperativa
si era discusso nel gennaio 1995 e, quindi, diversi mesi dopo la presentazione
dei documenti i del M. A in Comune (prodotti nel luglio 1994), mentre,
come già ricordato, i certificati del M. B risalgono addirittura
al luglio 1993.
Significativa sul punto appare anche la circostanza, che può ritenersi
provata, che le dichiarazioni relative al M. A furono emesse dopo i pagamenti
delle spettanze dovute al B., e proprio poco dopo tale pagamento, il B.
fece pervenire i certificati in Comune.
Che, in seguito, l' estensore delle considerazioni giuridiche allegate al condono
mesi dopo abbia parlato della installazione di impianti di riscaldamenti autonomi
per confermare l' avvenuta realizzazione dei "piccoli ma decisivi interventi
edilizi" è contingenza che, in assenza di ulteriori deduzioni accusatorie,
non può, evidentemente, ritenersi sintomatica del concorso tra B. e C.
nel reato ascritto sub 2, anche considerato la irrilevanza delle dichiarazioni
di conformità per l' ottenimento di condono, dichiarazioni non allegate
alle relative domande.
Ininfluente sul punto, in quanto non sintomatico di un concorso, anche il fatto
che il B. sia stato uno dei pochi fornitori ad essere interamente pagati dagli
acquirenti gli immobili del complesso M.
Il pagamento delle spettanze dovutegli per l' esecuzione dei lavori (solo di
questo risulta essersi trattato, non di somme aggiuntive) appare la conseguenza
di una decisa ed accorta linea difensiva adottata nei confronti della società
Finretica e della cooperativa M. dal B. il quale, a sostegno delle proprie ragioni
creditorie, si era precedentemente rivolto ad un avvocato savonese ed aveva
anche ottenuto un sequestro conservativo a carico della inadempiente società
F. (cfr. ricorso per sequestro conservativo in data 16\2\1994, lettera avvocato
R. in data 22\4\1994 e dichiarazioni del C. all' udienza del 3\12\1997).
Seppure la circostanza non sia stata chiarita compiutamente né dal requirente
né dal difensore e neppure dallo stesso B., il quale ha anche rifiutato
di sottoporsi ad esame, la conflittualità tra l' imputato e la cooperativa
presieduta dal C. emerge anche dalla semplice lettura della lettera scritta
dall' avvocato R. per conto del B. e indirizzata alla Finretica, all'avvocato
G. ed alla coop. M..
Mediante tale missiva, infatti, che appare anche indicativa della falsità
delle dichiarazioni di cui al capo 1), l' avvocato R. faceva notare che al 22\4\1994
non erano ancora stati consegnati alla ditta B. i necessari materiali e che
la F. era inadempiente ai pagamenti nei termini concordati, concludendo drasticamente:
"avverto che non verrà dato seguito ad altre lettere che dovessero
da Voi pervenire".
Il C. ha
commesso il reato di cui all' art. 483 c.p. anche in relazione all' appartamento
di sua proprietà esponendo nell' istanza di condono e nell' allegato
due circostanze false: la trasformazione del suo appartamento in civile abitazione
in epoca anteriore al 31\12\1993 e l' esecuzione dei piccoli, ma decisivi interventi
edilizi, univoci nel senso della soppressione dei requisiti strutturali imprescindibili
in una struttura alberghiero residenziale, anche alla più bassa classificazione
di legge (riferendosi fra l' altro anche alla soppressione della chiamata di
allarme nei servizi, alla chiamata di personale, alla linea telefonica con apparecchi
di uso comune).
È risultato, infatti, che tali lavori sono stati realizzati e tali requisiti
soppressi solo nel 1994 e 1995 (cfr. contratto con B. in data 2\4\1994, dichiarazione
di conformità in data 28\6\1994 che attesta di avere correttamente realizzato
ad uso residenza turistico alberghiera l' impianto luce, F.M., telefonico -quest'
ultimo alla data del 26\10\94 risultava ancora da realizzare, cfr. lettera del
C., agli atti- e ricezione TV, in via Aurelia, Comune di Bergeggi ed osservazioni
c.d. "relazione di accertamento tecnico" dei geom. F. ed O. a seguito
dell' incarico ricevuto dal comune di Bergeggi). Nella citata relazione i geometri
incaricati dal Comune evidenziano addirittura "che durante gli accessi
(avvenuti dal 18\3\95 al 3\6\95) si è rilevata la presenza nei corridoi
ai vari livelli di quadri indicatori di chiamata selettiva (vedi foto C) che
sono stati poi rimossi come da successivo riscontro (vedi foto D)".
Risulta, quindi, provato che i "lavori" volti a modificare la destinazione
d' uso -i quali, come si può agevolmente considerare dalle altre numerose
foto allegate alla relazione che evidenziano l' esistenza di un struttura alberghiera
con cucine, uffici, hall, sale di ricevimento- sono avvenuti dopo la presentazione
delle domande di condono in Comune ed, addirittura, durante il corso degli accertamenti
predisposti dal Comune per valutare le domande di sanatoria.
Appare, infine, decisivo considerare che, alla data del 31\12\1993, mancava
nei proprietari la volontà di modificare la destinazione d' uso dell'
immobile M. A, intento che si manifesta solo una anno dopo (fine 1994, inizio
1995, cfr. il citato verbale di assemblea straordinaria in data 20\1\1995).
Proprio dalla lettura dei verbali si legge, infatti, che, nell' assemblea in
data 8 ottobre 1994, il presidente C. aveva testualmente dichiarato: "premesso
che il complesso immobiliare, se sarà tenuto inattivo, sarà soggetto
a deterioramento sia per effetto della salsedine, sia per eventuali atti vandalici
e senza peraltro valutare il rischio di eventuali occupazioni abusive ad opera
di terzi, invita i presenti a valutare, sotto l' aspetto economico, l' opportunità
di completare il complesso e di avviarne l' esercizio." Nel successivo
verbale in data 4 novembre 1994, inoltre, i soci della cooperativa, dopo ampia
ed approfondita discussione deliberavano all' unanimità: di demandare
al Consiglio di amministrazione ogni decisione in merito alle opere da eseguire
per completare il complesso M. e gli ulteriori impegni già di Finretica
derivanti dalla convenzione stipulata con il comune di Bergeggi a condizione:
a) che l' ingresso di nuovi soci apporti il capitale necessario per la loro
esecuzione;
b) che la variante alla convenzione, da stipulare con il comune di Bergeggi,
consenta la classificazione del complesso e l' avvio dell' attività alberghiero-residenziale."
Contestazione
di cui al capo 3).
Al B. ed al C. è stato contestato il reato di cui agli artt. 110,
56, 48, 480 c.p. perché "in concorso tra loro con le dichiarazioni
di cui ai capi precedenti, compivano atti idonei, diretti in modo non equivoco
ad ottenere dal Sindaco di Bergeggi, mediante inganno nei suoi confronti, il
rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L. 724\94 recante
da un lato la falsa attestazione dell' ultimazione delle opere edilizie nel
termine indicato nelle false dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà
e dall' altro la trasformazione di otto enti comuni del complesso M. A
a destinazione di residenza turistico alberghiera in unità residenziali,
non riuscendo nell' intento per cause indipendenti dalla propria volontà".
Occorre, quindi, chiarire la portata dell' art. 48 c.p. e valutare la ammissibilità
stessa della imputazione che è stata contestata dalla difesa del C..
Il difensore ha sostanzialmente eccepito la carenza in origine del fatto reato
"essendo pacifico che il Sindaco non ha rilasciato nessuna concessione,
né tantomeno ha tentato di rilasciarla". Affermazione, quest' ultima,
peraltro, smentita dalle numerosissime domande di condono provenienti dai proprietari
M. che hanno investito un Comune di modeste dimensioni quale è Bergeggi
(il Sindaco, in udienza, con termine espressivo, ha parlato di "valanga
di domande di condono").
È bene ricordare, insiste il difensore, che, "presupposto della
responsabilità dell' autore mediato, è la commissione da parte
del soggetto ingannato di un fatto obiettivamente conforme all' ipotesi delittuosa
tipica e, cioè, la realizzazione della fattispecie legale del reato almeno
nella forma del tentativo (Cass. 12 novembre 1973). Il tentativo -conclude-
deve pertanto riguardare non la condotta ingannatoria posta in essere dagli
autori mediati, bensì la condotta realizzata dall' autore immediato che
nella fattispecie non si è minimamente verificata, neppure allo stadio
di tentativo."
Tali considerazioni non possono essere condivise.
L' art. 48 c.p., invero, prevede l' efficacia scusante dell' errore sul fatto
originato dall' inganno del terzo e sancisce la responsabilità del determinatore
per il fatto commesso dal soggetto indotto in errore.
Secondo la giurisprudenza dominante ed anche a giudizio di una parte minoritaria
della dottrina, l' art. 48 c.p. indicherebbe un caso di responsabilità
dell' autore mediato, ossia di chi si serve per commettere il reato di un altro
soggetto utilizzato quale strumento inconsapevole, prevedendo la norma che l'
autore immediato agisca per volontà viziata in conseguenza dell'inganno
operato dall' autore mediato. Si ritiene comunemente, infatti, che l' art. 48
c.p. preveda "l' ipotesi di responsabilità dell' autore mediato,
cioè di chi si serve come strumento, per commettere un reato, di un altro
soggetto (autore immediato) inducendolo in errore mediante artificio od altro
mezzo atto a sorprenderne la buona fede ed a determinarlo a commettere il fatto
reato (Cass. 6\1\1981). Significativa anche Cass. 29\4\1985 secondo cui l' art.
48 del codice penale contempla l' ipotesi di responsabilità dell' autore
mediato, ossia di chi si serve per commettere un reato di altro soggetto come
strumento. La norma postula che l' autore immediato (ossia lo strumento) agisca
per volontà viziata, cioè in conseguenza dell' inganno adoperato
su di lui dallo autore mediato.
Ad integrare l' inganno vale qualsivoglia mezzo di persuasione o suggestione
idoneo a sorprendere l' altrui buona fede. Ne deriva che l' art. 48 c.p. non
richiede una particolare idoneità causale della condotta ingannatrice
a provocare l' errore, in quanto, diversamente opinando, si verrebbe a restringere
arbitrariamente la portata della norma.
Si ritiene comunemente, infatti, che l' inganno da cui deriva la responsabilità
ai sensi dell' art. 48 c.p. possa "consistere in qualunque artificio o
altro comportamento atto a sorprendere l' altrui buona fede attraverso il quale
l' autore mediato induca in errore l' autore immediato del delitto" (nella
specie era stata taciuta al provveditore agli studi da parte del funzionario
del Ministero della P.I., una situazione di incompatibilità rispetto
all' ufficio di presidente di commissione di esame, in cui si trovava un professore
il cui nominativo era stato suggerito al provveditore dal funzionario medesimo
e che implicava la strumentalizzazione ad interesse privato della predetta nomina,
Cass. 10\7\1990).
È pur vero che, anche di recente, in giurisprudenza si è fatto
riferimento all' idoneità dell' azione ingannatoria che andrebbe valutata
"in rapporto alle qualità ed alle capacità dell' autore immediato
con la conseguenza che qualora questo sia un pubblico ufficiale occorre tenere
conto del grado di preparazione che la sua qualifica richiede e dei doveri di
controllo che gli incombono. Pertanto, quando alla luce di siffatti dati le
prospettazioni del privato non valgono ad alterare la realtà fattuale,
deve escludersi induzione mediante errore, da parte di tale soggetto nei confronti
di quello pubblico alla commissione del reato." (Cass.19\1\98; nella memoria
prodotta dalla difesa del C. è puntualmente allegato anche il testo
integrale della detta sentenza da cui si evince, peraltro, una particolare situazione
di fatto data dalla contraddittorietà dei documenti depositati che mal
si conciliava con una volontà ingannatoria in capo all' imputato).
Tale requisito della idoneità ingannatoria, in linea di massima superato
dalla giurisprudenza, non può, comunque, essere accolto in quanto conseguente
all' accoglimento dello schema dell' autoria mediata, schema che, conformemente
all' avviso della dottrina non può ritenersi ammissibile nel nostro ordinamento
in quanto fonte di inutili complicazioni e privo di alcuna concreta utilità.
Evidenti argomentazioni (la disciplina positiva del concorso ed, in particolare,
il disposto degli artt. 111, 112 e 119 c.p.) hanno, infatti, indotto da tempo
la dottrina a superare la teoria dell' autore mediato -nata non a caso nell'
ordinamento tedesco che limita la punibilità alle tradizionali forme
di autore- inserendo il fenomeno nella disciplina del concorso.
Argomentazioni che vanno condivise in quanto maggiormente aderenti alla disciplina
codicistica del concorso di persone nel reato e per i risultati concreti che
consentono di conseguire, risultati che in questa sede maggiormente interessano
per la verifica della colpevolezza degli imputati.
Collocando, infatti, l' art. 48 c.p. all' interno della disciplina del concorso
si risolvono agevolmente alcune questioni pratiche che rilevano sotto il profilo
della idoneità causale dell' inganno, del concorso ex art. 48 c.p. nel
reato proprio e quanto alla configurabilità del tentativo. Appare, infatti
evidente che, aderendo alla tesi del concorso, è configurabile il tentativo
quando il comportamento del soggetto ingannatore presenti i requisiti di idoneità
ed inequivocità previsti dall' art. 56 c.p.
Ciò posto, l' accusa ha contestato ai prevenuti di avere tentato, con
atti idonei e non equivoci, di indurre in errore il Sindaco (senza volontà
colpevole e, quindi, esente da pena ai sensi dell' art. 48 c.p.) al fine di
indebitamente ottenere il rilascio della concessione in sanatoria ai sensi della
legge 724\1994.
Quanto al B. si comprende che il tentativo di induzione in errore sarebbe
avvenuto rilasciando false dichiarazioni di conformità degli impianti
idraulici e di riscaldamento delle unità immobiliari del complesso M.
e, quanto al C., sarebbe avvenuto presentando istanze di condono contenenti
false dichiarazioni di fatti che, ove veri, avrebbero legittimato il Sindaco
al provvedimento di condono; i due imputati avrebbero agito tra loro in concorso.
Si è già considerato che nessuna prova è emersa con riferimento
al concorso B.-C. nella condotta ingannatoria.
In relazione all' ottenimento del condono va, altresì, considerato che
nessuna idoneità ai sensi dell' art. 56 c.p. può essere riconosciuta
alla condotta del B. allorché ha rilasciato le false dichiarazioni
di conformità (che, come si è evidenziato, erano ininfluenti per
il mutamento di destinazione d' uso da albergo residenziale ad immobile contenente
tutte unità residenziali in quanto il riscaldamento c.d. comune non è
essenziale per l' esistenza di una entità alberghiera) .
Tale inidoneità risulta pure dalla semplice lettura del ricorso al TAR
avanzato anche personalmente dal C. per ottenere l' annullamento del rigetto
di istanze in sanatoria per abusi edilizi, laddove, a fronte di svariate argomentazioni
a sostegno della tesi della illegittimità del diniego, gli impianti di
riscaldamento in quanto autonomi sono ritenuti unicamente "un sintomo rivelatore
che concorre con tutti gli altri (la sottolineatura è degli stessi estensori
del ricorso) e che non può essere atomisticamente considerato elemento
del mutamento di destinazione d' uso" (cfr. pag 30 del ricorso in data
1 marzo 1996 in precedenza ricordato, agli atti).
In ogni modo, le dichiarazioni di conformità, di cui è stata esaminata
l' ininfluenza, non erano state allegate alle istanze di condono e, quindi,
nessuna valenza può essere loro annessa in quanto atti non valutabili
in occasione del rilascio del provvedimento amministrativo comunale.
Dal reato ascritto sub 3), conseguentemente, il B. deve essere assolto per
non avere commesso il fatto.
Ben diversa appare la posizione processuale del C. relativamente al quale
l' accusa ha ampiamente provato il reato contestato sotto il profilo sia giuridico
che di fatto.
Risulta dimostrato, come in precedenza esaminato, che il C., quale presidente
della cooperativa M. ed in proprio, ha falsamente affermato nelle istanze
di condono edilizio presentate al Comune, la avvenuta trasformazione degli "enti
comuni" in unità residenziali e la trasformazione del suo appartamento
in civile abitazione in epoca anteriore al 31\12\1993 con l' esecuzione di idonei
interventi edilizi.
La contestazione è giuridicamente fondata in forza delle considerazioni
che precedono. Anche la Suprema Corte, del resto, ha ritenuto sussistente il
reato di cui all' art. 480 c.p. nel fatto del privato che, nel richiedere una
licenza di costruzione, esibisca a corredo della domanda una falsa planimetria
indicante una superficie del suolo superiore a quella reale, inducendo così
in errore gli organi del comune che, omettendo gli accertamenti del caso, concedono
la richiesta autorizzazione sul presupposto, falso, che fosse rispettato il
rapporto tra area del suolo e cubatura della costruzione (Cass. 2\7\1979, Giust.
Pen 80, II, 418; cfr. anche Cass. 21\5\98 secondo cui: quando a corredo della
richiesta di concessione edilizia viene allegata documentazione redatta da professionista
qualificato e tale documentazione non è veritiera -sicché il pubblico
ufficiale viene indotto in errore nell' ambito della sua attività di
controllo con lo strumento urbanistico- il privato deve rispondere di falsità
ideologica mediata in atto pubblico ex artt. 48 e 479 c.p.).
La fattispecie contestata ricalca, inoltre, l' ipotesi prevista dall' art. 48
c.p.
Vi è stato, infatti, il tentativo di far rilasciare la concessione edilizia
in sanatoria, provvedimento che non avrebbe dovuto essere disposto in quanto
era stato rappresentato falsamente il presupposto di fatto. In tal modo il Sindaco,
qualora avesse provveduto, avrebbe inconsapevolmente commesso il reato proprio
(di cui è ipotizzabile il concorso ai sensi dell' art. 117 c.p.) di falsità
in autorizzazione amministrativa, quale è sicuramente il provvedimento
di condono, atto pubblico in senso lato in quanto redatto da un pubblico ufficiale
(il Sindaco di Bergeggi).
Sussiste, come già considerato in precedenza, l' inganno perpetrato dal
C. che era ben consapevole della reale situazione di fatto in precedenza diffusamente
evidenziata.
Sussiste l' univocità della condotta, essendo pacifico che le false dichiarazioni
avevano come unico scopo quello di ottenere il provvedimento da parte del Comune
di Bergeggi.
Quanto all' idoneità, risulta evidente, anche in relazione alle considerazioni
in precedenza formulate in ordine ai contenuti della domanda di condono ed al
meccanismo di prova previsto dall' art. 39 quarto comma della legge 724\1994,
l' attitudine causale delle false dichiarazioni a consentire il rilascio della
concessione in sanatoria.
La complessità della domanda (riconosciuta anche dagli stessi proprietari
delle unità abitative nel citato ricorso al TAR laddove, a proposito
della straordinaria lunghezza dei provvedimenti di diniego, fanno riferimento
"al sintomo evidente della difficoltà giuridica nella quale si è
trovato il Comune di Bergeggi"), la molteplicità delle istanze (non
a caso il Sindaco ha parlato di valanga di richieste), il fatto che Bergeggi
sia un piccolo Comune (meno di 1000 abitanti), sono tutte circostanze che, congiuntamente
considerate, potevano far ritenere probabile il rilascio del chiesto condono.
L' evento imprevedibile intervenuto è stata la ferma reazione dell' Amministrazione
comunale che, denunciando tempestivamente i fatti per cui è causa -per
il cui accertamento è stata necessaria una impegnativa attività
investigativa- ha sostenuto uno sforzo enorme per una meditata risposta alle
istanze, non esitando a sostenere notevoli costi economici (nomina di avvocati
per seguire la vicenda, impiego di personale per effettuare indagini ed accessi
sul luogo, nomina dei geometri Freccero ed Odello per accertare la situazione
di fatto nel 1995).
Il comportamento appare, infine, pienamente ascrivibile al C., professionista
qualificato, che, a sua volta, si era fatto assistere da numerosi altri professionisti
perfettamente a conoscenza degli aspetti tecnici della legge sul condono edilizio
e che, come risulta anche dagli elevati compensi ricevuti, era stato nominato
come una sorta di "plenipotenziario" dagli sfortunati soci della cooperativa
M. per risolvere i loro problemi tra cui vi era, sicuramente, quello della perdita
di valore dei c.d. enti comuni in seguito al mancato decollo dell' attività
alberghiera.
Nessun dubbio, inoltre, sulla giuridica configurabilità del tentativo
nel reato di falso ideologico che si perfeziona solo quando l'atto menzognero
è definitivamente formato.
Il caso in esame, nel quale vi è stato un preciso "iter criminis"
con il comportamento del soggetto ingannatore che presenta i requisiti di idoneità
ed inequivocità prescritti dall' art. 56 c.p. evidenzia, infatti, in
modo emblematico l' inconsistenza dell' opinione -peraltro diffusa in giurisprudenza-
che non ritiene concepibile il tentativo valutando come irrilevante l' attività
anteriore di preparazione. In particolari situazioni, comunque, anche la giurisprudenza
ha ammesso il tentativo di falso ideologico ritenendo, ad esempio, che debba
essere "qualificato come tentativo di falsità ideologica il comportamento
del pubblico ufficiale che firmi in bianco una attestazione, delegando altri
al riempimento del relativo modulo, qualora siffatto riempimento non abbia avuto
luogo" ( cfr. Cass. n. 4169 del 19\4\1995).
Il requirente,
nel corso dell' odierna udienza, ha invitato il giudicante a valutare l' opportunità
di restituire gli atti in relazione al reato di truffa che sarebbe stata realizzata
nei confronti della pubblica amministrazione dal C. con la condotta ascritta.
L' ipotesi delittuosa ipotizzata non sembra, tuttavia, fondata in quanto, "non
integra il tentativo di truffa il comportamento dell' agente che abbia chiesto
al comune una licenza edilizia in base ad estratto di mappe catastali falsificate
poiché in tale caso manca la possibilità giuridica del realizzarsi
del danno che è insita nei reati contro il patrimonio. Invero, il danno
è suscettibile di valutazione economica solo in un secondo momento, e
cioè nel caso di lesione degli interessi del comune a rispettare l' equilibrio
sociologico ed ecologico e l' osservanza della disciplina urbanistica"
(cfr. Cass. 9\5\1981 n. 4287).
Contestazione
di cui al capo 4).
Al C. è stato contestato il reato di all' art. 20 lettera c) legge
n. 47\1985 perché nel proprio appartamento nel M. A, quest' ultimo
immobile sottoposto al vincolo per la tutela della bellezze naturali relativo
al promontorio di Bergeggi, "realizzava senza concessione edilizia ed in
violazione dell' art. 9 NTA del SUA della zona e della convenzione relativa
all' attuazione di detto strumento urbanistico le seguenti opere volte a mutare
la destinazione d' uso dell' immobile da unità abitativa in civile abitazione:
- opere di finitura personalizzate pavimenti, rivestimenti, portone d' ingresso
blindato, porte interne, impianti idrico sanitario ed elettrico
- soppressione di requisiti strutturali alberghieri quali la chiamata di allarme
nei servizi, la chiamata del personale, la linea telefonica con apparecchi di
uso comune;
- impianto di riscaldamento autonomo per ogni abitazione con autonomi contatori".
Viene contestato, quindi, il mutamento di destinazione d' uso posto in essere
con la realizzazione di opere (c.d. materiale).
Com' è noto, il mutamento di destinazione d' uso viene considerato materiale
quando è compiuto attraverso opere edili costruite sull' immobile preesistente,
mentre è ritenuto funzionale quando consegue ad una semplice modificazione
dell' utilizzo che non comporti trasformazioni materiali; solo il mutamento
funzionale richiede, per essere integrato, l' effettiva modifica della destinazione
dell' immobile, mentre il mutamento materiale si consuma sin dall' inizio dei
lavori edilizi finalizzati al cambio di destinazione, purché tale finalizzazione
sia desumibile attraverso mezzi probatori di natura logica o storica (conf.
Cass. n. 3104 del 13\11\1997).
Nel caso in esame, già il TAR con la detta sentenza del 6 marzo 1998
ha espressamente ritenuto ininfluenti, in quanto inidonee a realizzare il mutamento
d' uso, le cosiddette opere di finitura personalizzate e l' impianto autonomo
di riscaldamento (in quanto non essenziali per l' esistenza di una entità
alberghiera organizzata nei termini in precedenza indicati trattando il reato
ascritto sub 1).
Ci si deve, quindi, chiedere se la soppressione della chiamata di allarme nei
servizi, della chiamata del personale e delle linee telefoniche con apparecchi
di uso comune concretizzino interventi edilizi e, precisamente, esecuzione di
opere edilizie.
A tali quesiti non si può che dare risposta negativa tenuto conto del
fatto che l' eliminazione della chiamata di allarme nei servizi implica la rimozione
di una "cordicella", la soppressione della chiamata del personale
consiste verosimilmente nel rendere inattivo un interruttore elettrico e la
disattivazione di una linea telefonica implica addirittura agire su cavetti
(verosimilmente anche "sotto traccia").
Risulta provato, come ampiamente ricordato in precedenza con l' indicazione
degli interventi contenuti nei verbali assembleari, che, sino al dicembre 1994,
la volontà dei soci della coop. M. era quella di perfezionare l'
ultimazione della azienda alberghiera (e, quindi, non disattivarne alcuni servizi
ritenuti essenziali dalla legge come quelli in argomento).
La modifica, quindi è stata compiuta non dall' impresa attuatrice dell'
intervento edilizio nel M. (la società F.), ma dal C. successivamente
all' acquisto della sua unità immobiliare, nel corso del 1994. Si consideri
il già citato accertamento tecnico per conto del Comune redatto dai geom.
O. e F. ove, relativamente, all' appartamento del C. di cui all' imputazione,
si legge testualmente "il campanello di chiamata soccorso con comando a
strappo, posto nei servizi igienici, risulta sprovvisto di cordino per essere
azionato". La disattivazione dell' impianto telefonico, altresì,
non può che essere successiva alla sua realizzazione che, come dichiarato
dal B., si colloca verso la primavera del 1994.
Non trattandosi di interventi edilizi non può essere, quindi, contestato
il reato previsto dalla lettera c) dell' art. 20 della legge n. 47\1985 ma l'
illecito previsto dalla lettera a) del medesimo articolo. Conformemente all'
insegnamento della Suprema Corte, infatti, "quando la modificazione ambientale
ex lege 8 agosto 1985 n. 431 non venga realizzata con interventi edilizi, ma
comporti egualmente un mutamento dell' assetto territoriale (secondo le destinazioni
del piano regolatore e degli altri strumenti urbanistici ed i regolamenti locali)
e del paesaggio (quale recepito nel territorio sottoposto a vincoli ambientali
-come nel caso per cui è processo-), può essere applicata quale
sanzione anche quella più lieve dell' art. 20 lettera a) legge 28\2\1985
n. 47 (Cass. 23\4\94 n. 4707 pubblicata su Riv. Pen. 1994, 12, 1240, relativa
ad arbitraria occupazione di una vsta area con caratteristiche agricole, sottoposta
a vincolo archeologico e paesaggistico con un grande numero di autovetture).
Conseguentemente deve dichiararsi non doversi procedere in ordine all' illecito
ascritto al C., in quanto il reato di cui alla lettera a) dell' art. 20 della
legge n. 47\1985 è punito con la sola ammenda, e poiché, secondo
il capo di imputazione, i fatti contestati si sarebbero esauriti nel giugno
1994, si è verificata la prescrizione della contravvenzione in esame.
Con riferimento al reato ascritto al capo 5) anche il requirente ha ritenuto
la contraddittorietà dell'accusa perché in contrasto con il capo
2) in quanto le relative istanze di condono edilizio erano ideologicamente false
non esistendo le opere edilizie volte a modificare la destinazione d' uso dei
c.d. enti comuni.
Da tale reato, quindi, il C. deve essere assolto perché il fatto non
sussiste.
Va ravvisata
la continuazione dei vari reati dei quali è stata riconosciuta la penale
responsabilità, avendo il C. agito con l' intento di valorizzare gli
immobili del complesso M. cercando di conseguire un indebito provvedimento di
condono da parte dell' Amministrazione comunale di Bergeggi dovendosi ritenere
più grave il reato ascritto sub 3) in quanto sanzionato con pena più
elevata nel minimo.
All' imputato, stante la situazione di incensuratezza, possono essere concesse
le attenuanti generiche.
Pertanto, valutati gli elementi di cui all' art. 133 c.p., considerata la particolare
gravità del fatto, ritenuto più grave il reato ascritto sub 3),
concesse le attenuanti generiche e disposto l' aumento per la continuazione,
risulta applicabile la pena di mesi nove di reclusione, oltre al pagamento delle
spese processuali ( p.b. mesi sei di reclusione, ridotti per le generiche a
quattro ed aumentati a nove per la continuazione).
Conseguentemente, oltre al pagamento delle spese processuali, il C. deve
essere condannato al risarcimento del danno in favore della costituita parte
civile, Amministrazione comunale di Bergeggi, da liquidarsi in separata sede
civile.
Il C. è altresì tenuto alla refusione delle spese di costituzione
e rappresentanza, che tenuto conto della particolare durata dell'istruttoria
dibattimentale, vanno liquidate in favore della costituita parte civile in £.
27.926.636 compreso spese Iva e CPA.
Con i benefici di legge, potendosi presumere che, per l' avvenire, l' imputato
si asterrà dal commettere ulteriori reati.
Stante la complessità degli argomenti trattati, l' ufficio si era riservato
giorni 90 per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Visto l' artt.
530 c.p.p. assolve B. G. dal reato ascritto sub 1) perché il fatto non
sussiste;
visto l' art. 530 c.p.p. assolve B. G. dai residui reati ascritti per non avere
commesso il fatto;
visto l' art. 530 c.p.p. assolve C. M. dal reato ascritto sub 5) perché
il fatto non sussiste;
visti gli artt. 521 e 531 c.p.p., qualificato il fatto ascritto sub 4), nel
reato previsto dall' art. 20 lettera a) della legge n. 47 del 1985, dichiara
non doversi procedere nei confronti di C. M. per estinzione del reato in seguito
a prescrizione;
visti gli art. 533 e ss c.p.p. dichiara C. M. responsabile dei residui reati
ascritti in continuazione e, ritenuto più grave il reato sub 3) e concesse
le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi nove di reclusione (p.b.
ritenuto più grave il reato sub 3, mesi sei di reclusione, ridotti per
le generiche a quattro ed aumentati per la continuazione a mesi nove), oltre
al pagamento delle spese processuali.
Dispone la sospensione condizionale della pena come sopra inflitta e la non
menzione della condanna
Visti gli artt. 538 e ss c.p.p. condanna il predetto C. M. al risarcimento dei
danni in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede dinanzi al
competente giudice civile.
Condanna il predetto C. M. alle spese di costituzione e difesa che liquida in
£. 27.926.636 compreso spese, CPA ed IVA.
Relativamente alla posizione processuale di B. G. con riferimento agli artt.
3 e 5 della legge 6 dicembre 1971 n. 1083 (norme per la sicurezza dell' impiego
del gas combustibile) dispone la trasmissione degli alla Procura della Repubblica
presso la Pretura Circondariale.
Riserva gg. 90 per il deposito della motivazione.
Savona, 26 novembre 1998.
Il pretore
Princiotta