Pretura di Savona
Sentenza 26 novembre 1998

svolgimento del processo

A seguito di decreto di citazione si è proceduto nei confronti di B. G. e C. M. per i reati ascritti in epigrafe, quali risultano a seguito della modifica dell' imputazione, così come posta in essere nel corso del giudizio.
In data 25 marzo 1997, dopo la costituzione di parte civile del Comune di Bergeggi nei confronti degli imputati, il processo veniva rinviato su istanza del difensore di fiducia del B.
L' 1 aprile 1997, dichiarata la contumacia degli imputati, il processo veniva ancora rinviato in adesione alla istanza in tal senso avanzata dalla difesa B.
L' 8 luglio 1997, di seguito alle eccezioni preliminari proposte, l' ufficio rinviava il processo al 23 luglio seguente al fine di effettuare i necessari accertamenti relativi all' istanza di sospensione del giudizio; in tale data, peraltro, il dibattimento veniva nuovamente differito dovendosi disporre la rinnovazione della notifica del decreto di citazione.
Il 28 ottobre 1997, dichiarata la contumacia degli imputati, definite le questioni pregiudiziali ed effettuata la relazione introduttiva, erano ammessi i capitoli di prova indicati ed acquisita la documentazione prodotta dalle parti.
In seguito, al fine di valutare la conformità alla legge ed alle norme tecniche degli impianti del complesso M. indicati in imputazione, si nominava perito l' ing. G. R., che, presente in udienza, accettava l' incarico.
Procedendosi all' istruzione della causa erano, quindi, sentiti B. R., sindaco di Bergeggi, G. F. (segretario generale del detto Comune), F. G. (dipendente comunale, all' epoca dei fatti per cui è processo addetta all' ufficio protocollo) e E. C. (attualmente comandante dei vigili urbani di Bergeggi).
Il 3 novembre 1997, venivano sentiti B. I. e B. S. (entrambi artigiani elettricisti che avevano effettuato lavori presso il complesso M.), R. R. (in precedenza dipendente dell' impresa Bertolazzi), T. G. (dipendente della società Finretica con l' incarico di gestire il complesso alberghiero), B. G. (geometra, libero professionista, che si era occupato del complesso M.), P. E. (idraulico, dipendente della ditta B.).
Il 19 novembre 1997 venivano sentiti P. G. (che aveva curato la "prima accensione" delle caldaie del complesso M.), G. G. (ingegnere edile che aveva effettuato diversi sopralluoghi nel citato complesso), M. G. (idraulico che aveva effettuato lavori per conto della ditta B.), M. S. (che aveva istallato diverse caldaie nel complesso M.), B. A. (che aveva curato la posa in opera degli impianti elettrici), L. R. (che aveva lavorato come apprendista presso la ditta B.), Z. M. (che aveva collaborato alla installazione di caldaie).
Il 21 novembre 1997, revocata la contumacia del C., venivano sentiti G. M. (che aveva effettuato lavori presso il complesso M. per conto della ditta B.), F. G., S. E. (imputati entrambi di reato in procedimento connesso e proprietari di un appartamento nel detto complesso immobiliare), l' ing. S. M., consulente tecnico del pubblico ministero, G. G. (direttore dei lavori per la parte architettonica nel M. B), M. R. (libero professionista, geometra il quale, per conto della società F., aveva effettuato prestazioni nel M. A), F. R. (imputato di reato in procedimento connesso, proprietario di un appartamento nel complesso immobiliare in argomento, ingegnere edile, socio della cooperativa M., che, per conto di quest' ultima, aveva anche effettuato accertamenti nel maggio-luglio 1994). Sempre nel corso della stessa udienza veniva disposta l' acquisizione presso la ditta F. di Verona di copia dei moduli di messa in servizio degli impianti indicati dal geom B.
L' 1 dicembre 1997 erano sentiti P. S., F. A., B. L., P. F. (tutti imputati di reato in procedimento connesso e proprietari di appartamenti nel complesso M., il P., inoltre, prima di acquistare l' immobile, aveva effettuato lavori alle caldaie del M.).
Il 3 dicembre 1997 erano sentiti i testi M. G. (architetto, progettista e direttore dei lavori edilizi presso il complesso M.), B. M. (dapprima responsabile del progetto esecutivo architettonico ed, in seguito, direttore dei lavori presso il detto complesso immobiliare).
In seguito il C. M. si sottoponeva ad esame, adempimento che proseguiva anche nella udienza del 10 dicembre 1997, nel corso della quale il B. G. compariva in giudizio e rilasciava spontanee dichiarazioni. Sempre in pari data, M. E. e V. B., imputati di reato in procedimento connesso, si avvalevano della facoltà di non rispondere, mentre B. L., anch' essa sentita ai sensi dell' art. 210 c.p.p., rendeva le dichiarazioni indicate a verbale.
Veniva, quindi, sentito Profeta Lorenzo ( imputato di reato in procedimento connesso), mentre M. A., T. G., Z. M., G. G., D. C., B. C., M. L., D. G. F., B. R., tutti imputati ai sensi dell' art. 210 c.p.p., si avvalevano della facoltà di non rispondere; conseguentemente le dichiarazioni da costoro in precedenza rese al pubblico ministero venivano acquisite agli atti del giudizio.
In seguito la difesa di B. rinunciava all' audizione dei testi G. C., V., G. M., S. M., B. A. ed O. G. ed, ai sensi dell' art. 507 c.p.p., veniva disposta l' audizione dei geometri O. L. e F. F. e degli ingegneri G. e N.
Il 12 dicembre 1997, erano sentiti il F. e l'O. (i quali, per conto del comune di Bergeggi, avevano verificato lo stato dei luoghi in relazione alle domande di condono avanzate dai proprietari degli appartamenti del complesso M.). Veniva, quindi, nuovamente sentito G. G., ingegnere edile che aveva effettuato sopralluoghi per verificare lo stato del complesso M., il quale riferiva circa le richieste di condono presentate in adempimento dell' incarico ricevuto dalla cooperativa M. il 31\3\1995 (nel corso di tale seconda deposizione, dichiarava, in particolare, di avere curato unicamente la compilazione delle parti tecniche "mentre le considerazioni giuridiche erano state fatte dallo studio G.").
Il 17 dicembre 1997 era sentito R. A., imputato di reato in procedimento connesso, mentre si avvaleva della facoltà di non rispondere C. G., la cui deposizione in precedenza resa al pubblico ministero veniva acquisita agli atti. In pari data erano sentiti C. A. (imputato anch'egli ai sensi dell' art. 210 c.p.p., proprietario di un appartamento nel detto complesso immobiliare) e N. M. (ingegnere, che, a suo tempo, aveva realizzato il progetto esecutivo del citato complesso). Successivamente, il pubblico ministero formulava richiesta di modifica dell' imputazione, che, nei termini prospettati, non era accolta in quanto relativa a fatto nuovo, pur concorrente, ed il processo veniva rinviato in relazione al termine a difesa richiesto.
Il 27 gennaio 1998 erano sentiti G. A. (ingegnere, libero professionista, che aveva seguito i lavori del complesso M. B) e B. M. (muratore che aveva lavorato presso il M. A).
Successivamente il pubblico ministero contestava al C. M. reato concorrente nei termini indicati in imputazione e, quindi, il processo era rinviato per consentire gli adempimenti prescritti dall'art. 520 c.p.p.
Il 4 marzo 1998, preso atto che non era ancora pervenuta la documentazione precedentemente richiesta ai testi sentiti nel corso del giudizio di cui era stata disposta l' acquisizione (tabulati INPS, contratti preliminari e definitivi di acquisto di appartamenti del complesso M., contratti di direzione lavori), veniva disposto ulteriore provvedimento di acquisizione.
Il 12 marzo 1998 era sentito C. G. (amministratore della società F.), poi, acquisita ulteriore documentazione, era ammessa l' audizione dell' ing. S. A.
Il 21 aprile 1998 era sentito il detto ing. S., il quale aveva avuto l' incarico, da parte del comune di Bergeggi, di verificare la regolare esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria previste dagli strumenti urbanistici relativamente al complesso M.
Veniva, quindi, sentito il perito ing. R., il quale aveva in precedenza depositato una ponderosa relazione e riferiva in ordine agli accertamenti effettuati. Evidenziava di aver individuato nelle apparecchiature esaminate una gran quantità di anomalie ed irregolarità, talune delle quali di notevole pericolosità; alcuni degli impianti a gas, inoltre, a causa della distanza delle valvole di chiusura del gas, nel caso di incendio, sarebbero risultati pericolosi in quanto non idonei ad ostacolare il diffondersi dell' incendio stesso, mentre l' uso di apparecchi di cottura avrebbe potuto cagionare avvelenamento da ossido di carbonio.
In data 27 aprile 1998, ultimata la relazione dell' ing. R., erano sentiti il consulente tecnico del pubblico ministero, ing. S. M., e quello dell' imputato B., geom. S. G.; poi, in seguito alla contestazione di reato connesso effettuata nei confronti del B., il processo veniva differito.
Il 19 maggio 1998 il processo era rinviato in seguito ad eccezione avanzata dalla difesa B.
In data 15 giugno 1998 ai sensi dell' art. 507 c.p.p. veniva sentito Z. M., indicato dalla difesa B., e, dopo nuova audizione dell' ing. R. relativa agli accertamenti ulteriormente richiesti, non veniva accolta la richiesta di supplemento di perizia formulata dalla difesa B.
Il 22 giugno 1998 il pubblico ministero depositava requisitoria scritta e, successivamente, le parti, ultimata la discussione, concludevano come indicato in atti ed il processo veniva rinviato per le repliche.
In data 29 luglio 1998, dopo che i difensori avevano depositato memorie scritte ed il pubblico ministero repliche scritte, le parti concludevano come in atti.
La causa, tuttavia, non veniva posta in decisione, ritenendo l' ufficio a tal fine necessari ulteriori accertamenti e, segnatamente:
1) l' acquisizione, dalla data di costituzione, dei verbali assembleari della cooperativa M.;
2) l' acquisizione del fascicolo presso la USL relativo al nulla osta per l' emissione del certificato di agibilità;
3) ulteriori chiarimenti da parte del perito sugli accertamenti effettuati presso il complesso M.;
4) la citazione di un funzionario della società Italgas.
Nel corso dell' udienza il pubblico ministero modificava l' imputazione e venivano, quindi, disposti gli adempimenti prescritti dall' art. 520 c.p.p.
In data 9 novembre 1998 il processo veniva differito a causa dell' astensione dalla partecipazione alle udienze indetta dai componenti della Camera penale, cui dichiaravano di aderire i difensori delle parti.
Il 25 novembre 1998, rigettate preliminarmente le eccezioni relative alla modifica dell' imputazione da ultimo effettuata, acquisita la documentazione precedentemente richiesta ed ammessa quella ulteriormente prodotta dal pubblico ministero, l'ing. R. relazionava in ordine ai chiarimenti indicati all' udienza del 29 luglio 1998.
Veniva, quindi, sentito P. S., funzionario Italgas, il quale riferiva in ordine all' allacciamento del gas effettuato presso il complesso M.
In seguito, ultimata la discussione, le parti concludevano come in atti e la difesa B. depositava ulteriore memoria scritta.
motivi della decisione
Per una migliore comprensione dei fatti di causa rileva puntualizzare che nel comune di Bergeggi, località M., è stato realizzato un fabbricato composto da due corpi (denominati A e B), con collegamento tra loro a livello della hall di ingresso, provvisto di autorimessa interrata su due piani, area esterna destinata a parco, parcheggi e verde, con relative strade interne, attrezzature e servizi.
Il complesso denominato M. aveva avuto imposta la destinazione turistico-alberghiero-residenziale in conformità degli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Bergeggi.
Nel corso del 1994 le singole unità immobiliari erano state vendute dalle imprese costruttrici (società P. e F.) con l' eccezione dei c.d. enti comuni, parti necessarie per l' esercizio dell' attività alberghiera, come meglio verrà chiarito appresso.
Nei contratti di compravendita relativi alle singole porzioni immobiliari gli acquirenti avevano espressamente accettato i regolamenti d' uso allegati all' atto a rogito notaio S. in data 19\10\90, impegnandosi ad osservarli e farli osservare da eredi ed aventi causa.
Del pari, sempre nell' atto notarile, gli acquirenti avevano dichiarato di essere a conoscenza che, in virtù della convenzione edilizia in data 19\10\90 a rogito notaio S. e della concessione edilizia, " il complesso in questione e quanto da essa parte acquistato deve essere e rimane destinato ad uso turistico alberghiero residenziale…pertanto, allo scopo di garantire l' unitarietà nella gestione del Complesso turistico-alberghiero-residenziale, resta in ogni caso esclusa dalla presente vendita la titolarità dell' attività connessa alla destinazione turistico-alberghiero-residenziale del complesso medesimo della quale attività resta unica ed esclusiva titolare la società D. R. srl o suoi aventi causa e la quale società avrà i diritti e gli obblighi indicati nel regolamento contrattuale e di condominio depositato nei miei rogiti con il succitato verbale in data 3 luglio 1992 e la quale società o suoi aventi causa dovrà garantire la gestione unitaria del complesso, così come nel regolamento stesso specificato" (cfr. rogito notaio M. di Sanremo del 21\2\1994, similare a tutti i contratti di alienazione esaminati, redatti tutti dal medesimo notaio).
Successivamente, quasi tutti gli acquirenti avanzavano istanza di condono edilizio indicando, quale abuso posto in essere, il mutamento di destinazione d' uso da immobile avente destinazione di residenza turistico alberghiera in unità residenziali. Tali domande erano respinte dalla Amministrazione comunale di Bergeggi come anche le istanze avanzate dalla cooperativa M., che si era costituita nel novembre 1993 per consentire ai proprietari delle unità immobiliari la gestione della attività alberghiera del complesso M..
Diversi proprietari delle porzioni immobiliari presentavano, quindi, ricorso al TAR Liguria nel quale evidenziavano, tra l' altro, che l' immobile non poteva essere gestito e funzionare come azienda alberghiera e formulavano una serie di argomentazioni di natura giuridica volte a dimostrare che si trattava di un condominio di civile abitazione e non di una struttura alberghiera.
Sostenevano, inoltre, che, prima del 31\12\1993, erano stati eseguiti i seguenti interventi (decisivi nel senso della soppressione di requisiti strutturali imprescindibili per la identificazione di una azienda alberghiera anche alla più bassa classificazione di legge che è pari a due stelle):
- erano state soppresse tutte le chiamate di allarme in tutti i servizi;
- erano state soppresse tutte le chiamate del personale;
- era stata soppressa la linea telefonica con apparecchi di uso comune;
- erano stati collocati citofoni di chiamata esterna diretta in ogni unità abitativa;
- erano stati apprestati riscaldamenti autonomi in ogni unità abitativa (tra loro differenziati a seconda delle scelte fatte dai singoli acquirenti, taluni a gas, altri elettrici, tutti con autonomi contatori);
- non era stato realizzato il collegamento coperto tra casa madre e dependance che era stato previsto dal progetto;
- quasi tutte le unità abitative erano state arredate da ogni proprietario secondo il gusto individuale ed a spese proprie (sicché l' arredo è di proprietà dei singoli proprietari);
- molte unità abitative erano state abitate dai proprietari (e dai loro ospiti) sempre prima del 31\12\1993, e questo senza la stipulazione di alcun contratto di albergo con alcun imprenditore alberghiero che non vi è mai stato (cfr. ricorso al TAR Liguria redatto con il patrocinio degli avvocati L. A. e G. G., agli atti).
Nel corso del presente giudizio, con sentenza in data 6 marzo 1998, il T.A.R. Liguria respingeva il ricorso considerando gli atti giuridici indicati dai ricorrenti come inidonei a sostanziare il denunziato abuso e ritenendo che i ricorrenti non avessero fornito un oggettivo principio di prova circa la esecuzione delle asserite opere abusive entro il termine del 31 dicembre 1993.

Contestazione di cui al capo uno).
Al B. viene contestato il reato di cui agli artt. 81, 481 e 61 n. 2 c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di commettere i reati di cui ai capi 2 e 3, quale soggetto abilitato ai sensi dell' art. 2 della legge 46\1990 alla installazione di impianti idraulici e di riscaldamento ed al rilascio delle relative dichiarazioni di conformità, aveva falsamente attestato:
"a) che la data nella quale aveva verificato (collaudo) e certificato che gli impianti degli appartamenti degli immobili siti in Bergeggi Via privata M. A e B fossero conformi alla regola dell' arte, era il giugno ed il luglio 1993 (predisponendo a tal fine le dichiarazioni di conformità datate 10.6.1993 per l'immobile M. A e 6\7\1993 per il M. B, mentre tali controlli di conformità venivano in realtà svolti solo successivamente e precisamente nel corso del 1994;
b) che gli impianti degli appartamenti predetti erano conformi alla regola dell' arte."
Ciò posto, premesso che l' art. 9 della legge n. 46\1990 obbliga l' impresa installatrice ad emettere al termine dei lavori la c.d. "dichiarazione di conformità", le acquisizioni dibattimentali hanno evidenziato la falsità delle date relative alle dichiarazioni di conformità rilasciate dall' odierno imputato con riferimento agli impianti ubicati nel M. A mentre, per il M. B, le date non risultano essere false.
Sul punto, invero, con riferimento al M. A, è sufficiente considerare che la dichiarazione relativa al locale bar che il B. ha emesso indicando la data del 10\6\1993 risulta intestata alla Cooperativa M. S.r.l., soggetto giuridico costituito solo successivamente, in data 26 novembre 1993 con contratto rogato dal notaio C. di Milano, acquisito al processo.
Conseguentemente l' odierno imputato non avrebbe potuto il 10\6\93 intestare la dichiarazione alla coop. M., "prevedendo" quello che sarebbe successo nel novembre 1993 e, quindi, parecchi mesi dopo, senza considerare che l' acquisto da parte della cooperativa degli enti comuni è anche successivo in quanto avvenuto in data 9\3\1994 (cfr. atto notaio M. agli atti).
Tale discordanza, sintomatica della falsità della data, ricorre anche nella indicazione dei nominativi degli acquirenti gli appartamenti del M. A, i quali, al momento dell' emissione del certificato, erano stati qualificati come proprietari; anch' essi, quindi, con diversi mesi d' anticipo rispetto alla reale data di acquisto.
Non può essere condiviso l' assunto difensivo secondo cui i nominativi dei futuri acquirenti erano già noti nel giugno 1993 in quanto erano già stati stipulati i contratti preliminari di acquisto.
Nonostante la prolungata istruttoria dibattimentale, invero, la difesa non ha dimostrato la conoscenza da parte del B. di questi preliminari e, quindi, deve ritenersi che, nel giugno 1993, i nominativi dei promissari acquirenti non potevano essere a conoscenza dell' imputato (che, pure, ripetesi, risulta averli indicati tutti con precisione).
Quand' anche esistenti, comunque, si sarebbe trattato unicamente di preliminari di acquisto di unità immobiliari, atti di per sé unicamente idonei ad obbligare le parti alla conclusione di un futuro contratto. Non si vede, quindi, la ragione giustificativa della indicazione da parte del B. nella dichiarazione di conformità dei promissari acquirenti che, comunque, nel giugno 1993, non avevano titolo ad esserne qualificati proprietari.
La data indicata nei certificati in argomento è, quindi, falsa.
Va, inoltre, considerato che i lavori indicati nella dichiarazione emessa dal B. non risultavano neppure ultimati nel giugno 1993 (al momento del rilascio delle dette dichiarazioni).
A prescindere, invero, dalle acquisizioni dibattimentali (numerosi testi hanno ampiamente provato la circostanza), basterebbe sul punto considerare la documentazione notarile relativa alla compravendita degli appartamenti.
Dalla lettura dei contratti si evince infatti che, ancora nel gennaio-febbraio 1994, (ad esempio con riferimento agli atti notarili relativi alle vendite a Ceriani e Profeta) il venditore (la società F.) evidenziava: "la società venditrice dichiara e la parte compratrice prende atto ed accetta che quanto oggetto del presente contratto è ultimato: tuttavia, poiché potrebbero essere necessari interventi di finitura, anche inerenti alle parti comuni del complesso, gli interventi tutti dovranno essere effettuati dalla società venditrice interamente a propria cura e spesa".
Non si trattava di una frase "di stile", priva di concrete conseguenze. La mancata esecuzione di lavori da parte della F. risulta, infatti, circostanza provata ove si consideri che, nel verbale di assemblea del 27 maggio 1994, i soci della coop. M. danno mandato per intraprendere "una azione tendente a portare F. a ricercare una soluzione equa ed amichevole" in relazione ai "lavori che F. si era impegnata ad eseguire e che sono ancora incompiuti".
Sintomatico della mancata ultimazione dei lavori alla data indicata nella dichiarazione (giugno 1993) è anche il sequestro conservativo richiesto dal B. il 16 febbraio 1994 ed autorizzato con decreto emesso inaudita altera parte dal Presidente del Tribunale di Savona (cfr. documentazione agli atti da cui risulta che il B. aveva eseguito gli ulteriori lavori in economia di cui alle fatture emesse in data 23\12\1993 e 2\4\1994, e, quindi, in epoca successiva al giugno 1993).
Ulteriore elemento a conforto della falsità della data, che, per il M. A) è stata, evidentemente, anticipata di circa un anno rispetto alla effettiva emissione della dichiarazione, si individua anche dalla lettura dei due fax, in data 27\6\1994 e 4\7\1994, entrambi dal B. indirizzati al dr. C. quale presidente della cooperativa M.
Nel primo documento, invero, il B. scriveva testualmente: "egregio dr. C., Le comunico che sono a Sua disposizione i certificati di regolare esecuzione, relativi ai lavori da noi eseguiti nello stabile del M. La consegna di tali certificati può avvenire solo in questo momento, in quanto per lungo tempo gli appartamenti non sono stati accessibili, come da ns. raccomandata precedente. Le ricordo inoltre la scadenza di lit. 28.230.000 del 30\6\94, nonché quella di lit. 113.320.000, contestuale alla consegna dei certificati". Tale "memento" è rilevante volendo il B. significare che l' emissione dei certificati costituiva il presupposto del pagamento sollecitato.
Nel secondo fax, inoltre, si legge: "egregio dr. C., la presente per informarla che dal 01\08\94, a causa delle nuove disposizioni di legge in materia di impianti termici, non potranno più essere collaudate e quindi utilizzate le caldaie a flusso forzato con scarico libero in atmosfera. Tenuto conto che mancano ancora i contatori del gas e che per averli dopo aver presentato i certificati di regolare esecuzione passerà del tempo e altro ancora ne sarà necessario per contattare i tecnici preposti ai collaudi, ne segue che non potrete più utilizzare gli impianti di riscaldamento se non provvederete immediatamente a presentare la documentazione necessaria (certificati di regolare esecuzione)". Non a caso, pochi giorni dopo - l' 11 luglio 1994-, le dichiarazioni di conformità sono pervenute agli atti del Comune, pur risultando emesse il 10\6\93 e, quindi, un anno prima (cfr. comunicazione del B. ricevuta dal Comune in data 11\7\94 e deposizioni G. F. e F. G.).
La prova della falsità della data non può, quindi, essere posta in discussione con riferimento agli impianti del M. A.
Diversamente, in assenza di ulteriori riscontri accusatori, sembra che le dichiarazioni relative al M. B indichino una data corretta, considerato che la fornitura di gas era stata richiesta il 5 luglio 1993 e la prima accensione delle calderine era avvenuta nell' agosto dello stesso anno.
Si consideri infatti la lettera in data 5\7\93 della società Platamar srl alla Italgas di richiesta di sottoscrizione dei contratti per l' allacciamento al gas, istanza cui risultano allegate n. 58 dichiarazioni di conformità dell' impiantista (documentazione esistente ed effettivamente allegata, come si evince dall' elenco formato dall' Italgas, relativo alla documentazione consegnata alla Guardia di Finanza).
Conferma la veridicità della data indicata nei certificati la somministrazione del gas alla P. che aveva realizzato il M. B; la circostanza è stata affermata anche dal funzionario Italgas in udienza ed era stata evidenziata dal requirente nella requisitoria scritta ("per il M. B i contratti tra P. e Italgas portano la data del 13\7\93 (faldone C), l' attivazione della fornitura del gas alle singole utenze si ha tra il 13 ed il 19\7\93.)"

Risulta d' altra parte provato per quanto riguarda il contenuto tecnico dei certificati, che tutti gli impianti cui fa riferimento il B., attestandone la conformità a regola d' arte, non sono stati realizzati con le cautele prescritte dall' art. 7 della legge 46\1990.
Sul punto, invero, è sufficiente richiamare le conclusioni cui è pervenuto l' ing. R. "Gli impianti di riscaldamento dei due complessi M. -evidenzia all' esito di approfonditi accertamenti il Perito- non rispondono alle norme di buona tecnica vigenti. In particolare, non sono conformi gli impianti di adduzione dell' aria comburente ed evacuazione dei prodotti della combustione dei generatori di calore, sia per gli apparecchi di cottura che per quelli di riscaldamento collocati all' interno dei locali e collegati a canne fumarie. Mancano le certificazioni che dovevano essere rilasciate dalle ditte F. e\o P., costruttori delle canne fumarie e di ventilazione e delle murature esterne; la dichiarazione di conformità rilasciata dall' arch. G. è priva di valore sia in quanto non conforme al modello approvato, sia perché priva dei necessari allegati, sia perché emessa da persona diversa dal costruttore dell' impianto.
Gli impianti gas non sono conformi alla normativa vigente, sia per la collocazione delle valvole generali o per la loro assenza, sia per la collocazione delle tubazioni all' interno delle murature. Le dichiarazioni di prima accensione delle caldaie non risultano regolari sia per l' indicazione di una data diversa da quella di effettiva esecuzione dell' operazione, con conseguente annullamento della garanzia, sia per la mancata o incompleta esecuzione dei vari controlli richiesti.
Le dichiarazioni di conformità degli impianti di riscaldamento sono irregolari per varie cause:
a) per la forma e per la persona che ha certificato, per una parte degli impianti del M. 1 o A;
b) per la difformità esecutiva degli impianti dalle norme di buona tecnica, in molte unità immobiliari;
c) per la mancanza dei requisiti di aerazione ed evacuazione dei prodotti della combustione;
d) per l' utilizzo di materiale inidoneo, sia per le canne fumarie, sia per le caldaie esterne;
e) per l' assenza dei necessari allegati obbligatori a corredo della dichiarazione;
f) per l' indicazione di una data di collaudo palesemente falsa, poiché precedente alla fornitura del gas, alla dichiarazione di prima accensione delle caldaie, all' inizio dei consumi di gas ed alla terminazione degli impianti" (cfr. pagg. 234 e ss perizia).
Tali numerose e gravi irregolarità non sono, tuttavia, connesse con la formulazione dell' imputazione ascritta sub 1) e, conseguentemente, non possono costituire oggetto di valutazione nel presente giudizio.
Infatti, secondo la prospettazione accusatoria, che fa riferimento al meccanismo previsto dalla legge n. 46\1990 in relazione al reato punito dall' art. 481 c.p., le dichiarazioni di conformità non veritiere sarebbero state rilasciate dal B., nella qualità di incaricato di pubblico servizio, quale soggetto abilitato ai sensi dell' art. 2 della legge 46\90 alla installazione di impianti idraulici e di riscaldamento ed al rilascio delle relative dichiarazioni di conformità, al fine di agevolare la presentazione delle istanze di condono edilizio ed indurre in errore il Sindaco nel rilascio di concessione edilizia in sanatoria.
Tale imputazione, quindi, non fa riferimento alla irregolarità degli impianti, ma alla falsità ideologica in certificati commessa da persona esercente un servizio di pubblica necessità.
Al B., in sostanza, non viene contestato di avere realizzato impianti irregolari, ma di avere rilasciato, ai sensi dell' art. 481 c.p., quale esercente un servizio di pubblica necessità, certificati falsi quanto alla data di emissione ed alla dichiarazione della conformità delle strutture alla regola dell'arte.
Tenuto conto, quindi, della imputazione avanzata, nonostante le irregolarità concernenti gli impianti esaminati emerse nel corso del giudizio, il B. dovrà essere assolto dal reato ascritto sub 1) in forza delle considerazioni appresso svolte.
Sull' argomento giova, invero, puntualizzare che oggetto materiale del reato di cui all' art. 481 c.p. sono quei documenti che la dottrina ha efficacemente definito "quasi pubblici" ad esplicazione della particolare tutela loro accordata. Si tratta di scritture private rilasciate da privati che esercitano professioni per il cui esercizio è richiesta, quando della loro opera il pubblico è obbligato per legge ad avvalersi, una speciale abilitazione dello Stato o che adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione.
La funzione probante attribuita a tali scritture, connessa alla particolare posizione professionale dell' autore, ne giustifica la tutela sotto l' aspetto della falsità ideologica, in deroga all' art. 485 c.p. che, per quanto riguarda le scritture private, riconosce conseguenze penali unicamente alla falsità materiale.
Stante la natura della contestazione, è necessario allora valutare la rilevanza delle dichiarazioni in questione con riferimento agli impianti del complesso M. e, segnatamente, se siano state emesse da un soggetto in adempimento di un servizio di pubblica necessità e cioè, secondo l' assunto accusatorio, da un privato che esercita una professione il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando della sua opera il pubblico sia obbligato ad avvalersi.
Ciò posto, rileva esaminare la legge n. 46\1990 che prevede precisi obblighi nella progettazione ed installazione degli impianti di riscaldamento azionati da fluido liquido, aeriforme, gassoso e di qualsiasi natura e specie. Tali impianti, a cura di soggetti abilitati ai sensi degli artt. 2 e 3, devono essere realizzati a regola d' arte, utilizzando allo scopo materiali parimenti costruiti a regola d' arte.
Ai sensi dell' art. 7 della legge, si considerano a regola d' arte i materiali ed i componenti realizzati secondo le norme tecniche di sicurezza dell' Ente italiano di unificazione (UNI) e del Comitato elettrotecnico italiano (CEI), nonché nel rispetto di quanto prescritto dalla legislazione tecnica vigente in materia.
L' art. 9 della legge, inoltre, pone a carico dell' impresa installatrice l' obbligo, al termine dei lavori, di rilasciare al committente la dichiarazione di conformità degli impianti realizzati nel rispetto delle norme di cui all' art. 7.
Ai sensi del successivo art. 11, infine, il sindaco rilascia il certificato di abitabilità o di agibilità dopo avere acquisito anche la dichiarazione di conformità o il certificato di collaudo degli impianti installati, ove previsto, salvo quanto disposto dalle leggi vigenti.
Ad avviso del requirente, pertanto, il B. sarebbe "persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi dell' art. 359 n. 1 c.p. Infatti il B. è un privato che esercita una professione che non può essere esercitata senza una particolare abilitazione dello Stato: è in possesso dei requisiti tecnico professionali di cui all' art. 3 lett. a L. 46\90 è ingegnere e la sua ditta è regolarmente iscritta alla Camera di Commercio ed all' albo provinciale delle imprese artigiane previsto dall' art. 2 L. 46\90. Inoltre per legge (art. 11 L. 46\90) il pubblico è obbligato ad avvalersi della sua opera in quanto il proprietario dell' immobile non può ottenere l' abitabilità per esso senza il certificato di conformità rilasciato da un tecnico quale l' imputato." (cfr. requisitoria agli atti).
Tale impostazione non sembra condivisibile non potendosi ritenere, nel caso in esame, il B. una persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi dell' art. 359 e 481 c.p.
Deve, invero, condividersi l' opinione del pubblico ministero laddove evidenzia che l' attività posta in essere nei termini previsti dalla legge n. 46\1990 dai soggetti abilitati alla installazione degli impianti costituisce servizio di pubblica utilità ex lege.
Si tratta, infatti, di una attività di natura privata svolta da soggetti privati (gli installatori, i quali devono possedere i requisiti tecnico professionali previsti dagli artt. 2 e 3), "in nome e per conto proprio", svincolata da ogni collegamento soggettivo con la pubblica amministrazione.
Conformemente al disposto dell' art. 359 c.p. vi è anche l' obbligo da parte della collettività di avvalersi dell' opera di questi privati ove si consideri che, ai sensi dell' art. 10 della legge 46\1990, il committente od il proprietario è tenuto ad affidare i lavori di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione degli impianti di cui all' art. 1 ad imprese abilitate ai sensi dell' art. 2.
Tale attività è anche oggettivamente connotata da un rilievo e da un interesse pubblico (la progettazione e la installazione di impianti a regola d' arte) e, come tale, sottoposta a controlli da parte dello Stato. L' art 14 della legge prevede, infatti, che, "per accertare la conformità degli impianti alle disposizioni della presente legge e della normativa vigente, i comuni, le unità sanitarie locali, i comandi provinciali dei vigili del fuoco e l' Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro hanno facoltà di avvalersi della collaborazione dei liberi professionisti, nell' ambito delle rispettive competenze, di cui all' art. 6 comma 1, secondo le modalità stabilite dal regolamento di attuazione di cui all' art. 15" (cfr. anche il regolamento di attuazione della citata legge che, all' art. 10, fa riferimento alle "violazioni della legge accertate, mediante verifica o in qualunque altro modo, a carico delle imprese installatrici").
Il rilascio del certificato di conformità da parte dell' impresa installatrice al termine dei lavori costituisce un atto di natura amministrativa certificativa, imposto da una norma imperativa di ordine pubblico (cfr. Tribunale di Roma, sentenza edita su il Nuovo diritto anno 1996, pag. 620).
Conseguentemente, per valutare l' esistenza dell' illecito ascritto al B. nei termini indicati in imputazione che fa riferimento, ripetesi, alla falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità di cui per legge il pubblico è obbligato ad avvalersi, occorre stabilire se la legge richiedeva per gli impianti in questione (di riscaldamento ed idrosanitari dell' albergo turistico residenziale M.) il rilascio della dichiarazione di conformità prevista all' art. 9 della citata normativa.
Ciò in quanto, ove non fosse richiesto dalla legge il certificato di conformità per gli impianti in argomento, il B., rilasciando comunque le dichiarazioni di conformità, non avrebbe esercitato il ruolo di persona esercente un servizio di pubblica necessità e, ove dette dichiarazioni non fossero riconducibili allo schema normativo previsto dalla legge n. 46\1990, tali atti, anche se menzogneri, non possederebbero i requisiti prescritti dall' art. 481 c.p. per la punibilità della condotta di falso ideologico.
Con riferimento al primo aspetto del problema, non sembra che gli impianti di riscaldamento ed idrosanitari del complesso M. possano essere qualificati come "relativi ad edifici adibiti ad uso civile", anche alla luce dell' art. 1 del regolamento della legge, norma che, estendendo l' ambito di operatività della legge, qualifica come edifici adibiti ad uso civile, ai sensi dell' art. 1 della legge n. 46\90, le unità immobiliari o la parte di esse destinate ad uso abitativo, a studio professionale o a sede di persone giuridiche private, associazioni, circoli o conventi e simili.
L' art. 1 della legge, infatti, delimitando l' ambito di applicazione della normativa, assoggetta alla disciplina gli impianti di cui trattasi (di riscaldamento ed idrosanitari) unicamente in quanto "relativi agli edifici adibiti ad uso civile" non essendo richiesta la dichiarazione qualora tali installazioni siano relative ad immobili adibiti ad attività produttive, al commercio, al terziario ed ad altri usi. Il capoverso dell' art. 1 prevede, infatti, che "sono altresì soggetti alla applicazione della presente legge gli impianti di cui al comma 1, lettera a), relativi agli immobili adibiti ad attività produttive, al commercio, al terziario e ad altri usi" e, quindi, con esclusione per tali tipi di immobili degli obblighi di cui alle lettere b), c), d), e), f), g), tra i quali rientrano gli impianti di riscaldamento ed idrosanitari (rispettivamente lettere c e d).
L' esclusione dalla disciplina della legge n. 46\1990 per gli impianti di riscaldamento ed idrosanitari relativi ad immobili adibiti ad unità produttive, al commercio, al terziario ed altri usi è stata, quindi, espressamente voluta dal legislatore ed è stata formulata in termini inequivocabili.
Restano assoggettati alla disciplina della legge n. 46\1990 per il settore industriale e commerciale solo gli impianti concernenti la produzione, il trasporto, la distribuzione e l' utilizzazione dell' energia elettrica (art. 1 della detta legge).
I certificati rilasciati dal B. non erano, quindi, richiesti dalla legge in quanto l' albergo residenziale turistico (tale era la destinazione degli immobili M.), non può considerasi edificio adibito ad uso civile bensì ad attività produttiva.
Va anche preso in considerazione il disposto dell' art. 5 della legge n. 217 del 1983 che, disciplinando la materia, definisce come turistiche le imprese che svolgono attività di gestione di strutture ricettive ed annessi servizi turistici ( e si rammenti che l' oggetto sociale della coop. M. è proprio la gestione di complessi turistico ricettivi).
Al successivo art. 6 della legge n. 217 le strutture ricettive sono individuate negli alberghi, motels, villaggi-albergo, nelle residenze turistico alberghiere, campeggi, villaggi turistici, alloggi agro-turistici, esercizi di affittacamere, case ed appartamenti per vacanze, case per ferie, ostelli per la gioventù, rifugi alpini, definendosi espressamente le residenze turistico alberghiere quali alberghi aperti al pubblico, a gestione unitaria, che forniscono alloggio e servizi accessori in unità abitative arredate costituite da uno o più locali, dotate di servizio autonomo di cucina.
Conseguentemente, gli impianti "certificati" dal B., in quanto relativi a residenze turistico alberghiere, non erano sottoposti alla legge n. 46\90, ma ad altri controlli in ordine alla sicurezza (rimanendo, comunque, l' obbligo della realizzazione degli impianti a regola d' arte prescritto dalla legge n. 1083\1971).
Vanno anche considerate le disposizioni del D.M. 16\2\1982 le quali prevedono, tra l' altro, che "i locali le attività, i depositi, gli impianti e le industrie pericolose i cui progetti sono soggetti all' esame preventivo dei comandi provinciali dei vigili del fuoco ed il cui esercizio è soggetto a visita e controllo ai fini del rilascio del certificato di prevenzione incendi, nonché la periodicità delle visite successive, sono determinati come dall' elenco allegato che, controfirmato dal Ministro dell' Interno e dal Ministro dell' industria, del commercio e dell' artigianato, forma parte integrante del presente decreto". Non a caso nell' elenco, gli alberghi -e quindi il complesso M.- sono collocati al n. 84, immediatamente dopo i locali di spettacolo e trattenimento in genere con capienza superiore a 100 posti (n. 83) ed, addirittura, prima e con la medesima periodicità di visita delle scuole di ogni ordine e grado per oltre 100 persone presenti (n. 85) e degli ospedali, case di cura e simili con oltre 25 posti letto ( n. 86 ).
In definitiva, quindi, le unità abitative del M. ed i c.d. enti comuni, non essendo adibiti ad uso civile, non erano soggetti, per quanto riguarda gli impianti di riscaldamento ed idrosanitari, al rilascio della dichiarazione di conformità prescritta dal citato art. 9.
La stessa Amministrazione Comunale, consapevole del vincolo di destinazione gravante sul M., sin nell' atto di denuncia mostrava di non condividere la definizione edifici ad uso civile data dal B. nelle dichiarazioni in argomento ("questo Comune non sa neppure spiegarsi perché già nel 10\6\93 soltanto il locale bar è stato indicato come esistente in edificio ad uso di "commercio" mentre tutte le altre unità abitative sono state indicate come esistenti in edificio ad "uso civile" allorché l' immobile era destinato ad Albergo residenziale e gli impianti erano stati ordinati per soddisfare tale destinazione", cfr. denuncia agli atti).
Conseguentemente, trattandosi di impianti di riscaldamento ed idrosanitari ubicati in edificio adibito ad attività produttiva (alberghiera), le dichiarazioni di conformità rilasciate dal B. non possono ritenersi emesse ai sensi della legge n. 46\1990 e quindi in adempimento di un servizio di pubblica necessità; ne deriva che le dichiarazioni in esame, seppure non veritiere, non sono sanzionabili ai sensi dell' art. 481 c.p.
Il consulente tecnico del pubblico ministero sostiene che la legge si riferisce unicamente all'uso abitativo e, richiamando a tal fine anche "la definizione di abitazione riportata in qualsiasi vocabolario della lingua italiana", ritiene che le porzioni immobiliari in questione siano da considerarsi inserite in edifici adibiti ad uso civile (e, quindi, sottoposte alla disciplina prevista dal primo comma del citato art. 1 legge n.46\1990).
Sennonché, è sufficiente far riferimento agli atti di causa, per escludere ulteriormente che gli immobili venduti dalla società F., e tantomeno le c.d. parti comuni, siano edifici adibiti ad uso civile ai sensi dell' art. 1 della nota legge.
Infatti, come già ricordato in precedenza, nei contratti di compravendita, le parti acquirenti avevano espressamente accettato il regolamento d' uso per i servizi turistico-ricettivi nel complesso M. (cfr. atto a rogito notaio M. di Sanremo del 21\2\94, da F. spa a P. L. che si può ben ritenere "atto tipo" di vendita da F. ai singoli acquirenti).
Tale regolamento d' uso delinea senza ombra di dubbio la natura alberghiera delle singole unità immobiliari. Basta, infatti, considerare che, ai sensi dell' art. 1 del regolamento "il complesso ha destinazione turistico ricettiva a proprietà frazionata, al quale viene assicurata, mediante le clausole di cui al presente regolamento, la destinazione ad albergo residenziale con gestione unitaria. Agli effetti di cui sopra, le parti, società venditrice e parti acquirenti le singole unità immobiliari, in virtù della sottoscrizione dei relativi atti di acquisto e dell' accettazione del presente regolamento, che deve avvenire al momento della stipulazione del contratto preliminare e\o di acquisto, assumono espressamente per loro, loro eredi od aventi causa anche a titolo particolare gli obblighi del presente regolamento".
Il regolamento disciplina minutamente l' attività turistico ricettiva ed, all' art. 5, regola nei seguenti termini la locazione delle camere di albergo: "come sopra precisato la società venditrice o altro soggetto da questa indicato rimane sola ed esclusiva titolare dell' azienda turistico-ricettiva.
Allo scopo di consentire la locazione turistico ricettiva delle singole unità immobiliari in oggetto, le parti acquirenti in virtù dell' accettazione del presente regolamento e della sottoscrizione degli atti di acquisto si obbligano a mettere l' unità abitativa a disposizione dell' azienda turistico ricettiva e rilasciano procura alla stessa perché proceda, mediante la stipulazione dei contratti di albergo e per un periodo non inferiore a sette giorni così come prevede il 6° comma dell' art. 3 L.R. 11\82, alla locazione ricettiva delle unità immobiliari oggetto dei contratti stessi.
Tale procura ha le seguenti caratteristiche:
a) dura sino a quando sull' immobile in oggetto duri la destinazione turistico ricettiva;
b) per tutta la sua durata essa sarà assolutamente irrevocabile, perché conferita anche nell' interesse del mandatario, e cioè della società venditrice titolare dell' azienda turistico ricettiva;
c) la procura stessa viene conferita con specifico obbligo di rendiconto
… I rapporti tra la società venditrice o gestrice i servizi turistico ricettivi e la persona proprietaria dell' unità immobiliare acquirente in virtù del relativo atto notarile saranno regolati dalle seguenti norme:
a1) i prezzi di affitto minimi e massimi delle unità immobiliari verranno stabiliti come per legge dalle autorità preposte al turismo della provincia di Savona e tempestivamente comunicati al proprietario dell' unità immobiliare.
b1) la società gestrice i servizi turistico ricettivi sarà tenuta a versare alla parte proprietaria dell' unità immobiliare l' 80% dell' importo ricevuto per la locazione turistica della stessa unità immobiliare, al netto di eventuali servizi di carattere accessorio, I.V.A. ed eventuali tasse (dato atto che comunque come sopra precisato i servizi turistico ricettivi di carattere obbligatorio dovranno essere pagati dal proprietario per l' intero anno). Il residuo 20% verrà trattenuto dalla società gestrice i servizi turistico-ricettivi quale rimborso delle spese di contabilità, gestione della locazione e servizi obbligatori...
c1) dato atto che le unità immobiliari oggetto dei singoli atti di compravendita debbono obbligatoriamente essere destinate, come sopra precisato, ad albergo e quindi essere messe a disposizione del pubblico, la parte acquirente l' unità immobiliare riserva a favore proprio, nonché a favore dei propri familiari, il diritto di alloggiare, al pari e sotto le stesse norme e condizioni del contratto di albergo così come qualsiasi altro cliente dell' azienda turistico ricettiva, nell' unità immobiliare da essa parte acquistata mediante regolare rogito notarile, e pertanto: detta parte dovrà regolarmente procedere alla prenotazione della unità immobiliare che sarà a sua disposizione, con i limiti previsti dal succitato 6° comma dell' art. 3 L.R. 11\82, solamente se libera nel periodo non desiderato, la stessa potrà essere locata a terzi ( i quali non avranno precedenza a parità di prenotazione con il proprietario o con i suoi familiari); denunciarsi alla portineria mediante regolare documento di identità, così come previsto dalla legge di Pubblica Sicurezza; nonché in generale sottostare a tutte le altre norme e disposizioni relative al soggiorno turistico ricettivo. La stessa parte acquirente dell' unità immobiliare dovrà regolarmente consegnare la chiave del' unità immobiliare al servizio di ricezione ogni volta che si allontanerà dall' albergo residenziale e lasciare la chiave stessa presso lo stesso servizio quando avrà cessato di alloggiare nell' unità immobiliare per uso proprio (o dei propri familiari), affinché possa essere occupata dagli altri eventuali clienti. Durante i periodi nei quali l' unità immobiliare verrà ad essere occupata direttamente dal proprietario o dai propri familiari, il proprietario stesso, per espresso patto contrattuale, non sarà tenuto a corrispondere alcunché per l' occupazione dell' unità stessa alla società gestrice i servizi turistico ricettivi, fatta eccezione per il compenso del 20% per la prestazione dei servizi turistico-ricettivi obbligatori, delle spese di contabilità e della gestione delle locazioni, nonché del compenso per la prestazione dei servizi turistico ricettivi facoltativi, questi ultimi se richiesti".
Considerato questo meccanismo, imposto dal costruttore e recepito da tutti gli acquirenti delle porzioni immobiliari, non si comprende come possa essere messa in dubbio la natura alberghiera delle porzioni immobiliari in questione che, per giunta, avevano mantenuto intatte le loro caratteristiche alberghiere.
Significativa sul punto è la già citata relazione di accertamento tecnico richiesta dal Comune di Bergeggi l' 11\3\95 ai geometri F. ed O., allegata agli atti.
La lettura di tale documento e la diretta visione delle numerose foto allegate evidenzia, infatti, che, nel periodo degli accertamenti (effettuati nel marzo-giugno 1995), il complesso M. si presentava come una struttura alberghiera e che gli appartamenti non erano abitati (in quanto privi di arredamenti personali e di fatto quasi spogli). Si possono, anche, vedere le foto relative alle spaziose cucine dell' albergo, alle ampie sale comuni, al ristorante (quest' ultimo dotato di numerose poltroncine), al bar dell' albergo, agli uffici, alla hall con bancone reception.
Il complesso M., quindi, non può essere considerato un edificio adibito ad uso civile.
Aver ritenuto le "dichiarazioni di conformità" emesse dal B. come relative ad edifici ad uso civile (e non ad un albergo) e, quindi, conformi alla legge n. 46\1990 è valutazione che non può essere condivisa in quanto, trattandosi di impianti di riscaldamento ed idrosanitari in edificio alberghiero, le dichiarazioni rilasciate dal B. non erano richieste ai sensi dell' art. 1 della legge n. 46\1990.
Conseguentemente, le dichiarazioni non sono state rilasciate nell' esercizio di un servizio di pubblica necessità. Devono, quindi, ritenersi atti privati e, dunque, seppure non veritiere, non sono sanzionabili ai sensi dell' art. 481 c.p.
Tale ordine di argomentazioni risulta confermato da ulteriori anomalie nelle dichiarazioni di conformità che ne escludono ulteriormente la riconducibilità alla legge 46\90.
Va, infatti, considerato che numerose dichiarazioni non avrebbero dovuto essere emesse dal B. il quale, non avendo installato l' impianto, non aveva titolo a certificarne la conformità ai sensi dell' art. 9.
Anche tale circostanza, peraltro, era stata puntualmente evidenziata dal Comune nel citato atto di denunzia: "questo Comune non è in grado di dire se sono legittime le dichiarazioni di conformità rese da un soggetto per impianti eseguiti da terzi".
Come già ricordato, infatti, ai sensi della legge n. 46, l' obbligo del rilascio compete all' impresa installatrice al termine dei lavori.
Di contra, nelle dichiarazioni di conformità appresso indicate, il B., che pure non aveva realizzato l' impianto, ha rilasciato la dichiarazione, realizzando, quindi, un atto privo di effetti giuridici per il committente ed i proprietari (anzi, verosimilmente, anche dannoso ove si consideri che simili dichiarazioni -in quanto retrodatate di un anno al momento del rilascio- vanificavano di fatto gli effetti di ogni tipo di garanzia sull' installazione). Nelle citate dichiarazioni, il B. affermava, infatti, testualmente: "dichiara sotto la propria personale responsabilità che l' impianto per quanto visivamente riscontrabile e pur non essendo stato realizzato dal sottoscritto, è stato eseguito in modo conforme a quanto prescritto dall' art. 7 della legge n. 46\1990…."
Evidentemente l' odierno imputato, che non aveva effettuato i lavori, non aveva titolo a rilasciare le dichiarazioni di conformità e, consapevole del fatto, lo affermava esplicitamente nel testo della dichiarazione (il riferimento è alle dichiarazioni relative agli appartamenti contraddistinti agli interni dal numero 1 al numero 11 compreso, dal n. 23 al 32 compreso, dal n. 43 al 52 compreso, dal n. 66 al n. 75). Non essendo il soggetto installatore, egli non era tenuto ad emettere le dichiarazioni, per altro anche prive di rilevanza giuridica.
Non si vede, infatti, quali conseguenze avrebbero potuto derivare al B. nel caso di controlli sulle strutture da lui non realizzate quand' anche queste ultime fossero risultate tecnicamente inidonee.
La legge 46\1990 nel regolamento di attuazione prevede, infatti, che "le violazioni della legge accertate, mediante verifica o in qualunque altro modo, a carico delle imprese installatrici sono comunicate alla commissione di cui all' art. 4 della legge, competente per territorio, che provvede all' iscrizione nell' albo provinciale delle imprese artigiane" e che la violazione reiterata delle norme relative alla sicurezza degli impianti da parte delle imprese abilitate può comportare la sospensione temporanea dall' albo.
Evidentemente nessuna conseguenza nei casi in esame in quanto il B. non era stato il soggetto installatore, quindi non era tenuto al rilascio delle dichiarazioni di conformità e, conseguentemente, non poteva svolgere un servizio di pubblica necessità ai sensi dell' art. 481 c.p.
Rileva, altresì, considerare, come da ultimo chiarito dal perito R., che sono state emesse dal B. anche dichiarazioni di conformità per impianti addirittura inesistenti (ad. es. nell' appartamento n. 22).
Si tratta, evidentemente, di atti nulli, comunque al di fuori della portata della legge 46\1990 che, prevedendo un sistema di tutela per il committente, mira a responsabilizzare l' impresa installatrice, imponendole obblighi di garanzia.
Conseguentemente, poiché la certificazione per gli impianti di riscaldamento risulta emessa nell' esercizio di un servizio di pubblica necessità solo quando è richiesta dalla legge, e cioè quando è relativa agli impianti ubicati all' interno di edifici adibiti ad uso civile ed è rilasciata dall' installatore, avendo il B. emesso dichiarazioni non necessarie in quanto relative ad edifici non adibiti ad uso civile ed, addirittura, in numerose casi, irrilevanti ( non essendo stato il soggetto installatore) e, perfino, per impianti inesistenti, non ha agito nell' esercizio di un servizio di pubblica necessità ai sensi dell' art. 481 c.p.
Conseguentemente, nella condotta ascritta non è configurabile alcun reato di falso giuridicamente rilevante in quanto il falso ideologico in scrittura privata non è punibile, come in precedenza già rilevato.
Dal reato ascritto sub 1), quindi, l' odierno imputato deve essere assolto perché il fatto non sussiste.
Sull' argomento occorre peraltro considerare che, come evidenziato dall' ing. Ravedati, il B. ha installato numerosi impianti non conformi alle vigenti norme di sicurezza.
Tale condotta contrasta con la legge n. 1083 del 1971, la quale prescrive che tutti i materiali, gli apparecchi, le installazioni e gli impianti alimentati con gas combustibile per uso domestico ed usi similari, devono essere realizzati secondo le regole specifiche della buona tecnica, per la salvaguardia della sicurezza, ritenendosi tali gli impianti realizzati secondo le norme specifiche per la sicurezza pubblicate dall' Ente nazionale di unificazione (UNI) in tabelle con la denominazione UNI-CIG (cfr. artt. 1 e 3 citata legge).
Considerate, quindi, le numerose e gravi anomalie riscontrate negli impianti, deve disporsi la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso la Pretura Circondariale.
Prima di concludere sul punto ci si deve ancora chiedere perché il B., sia pure non essendone tenuto, ha rilasciato i certificati indicati in imputazione.
Quanto agli impianti relativi al M. B -verosimilmente rilasciati nel luglio 1993- sicuramente non per agevolare l' accoglimento delle istanze di condono, istanze di cui a quel tempo non era neppure ipotizzabile la presentazione (non potendosi prevedere all' epoca la normativa di condono).
Relativamente al M. B cade, quindi, in radice la prospettazione accusatoria laddove sostiene che queste mendaci dichiarazioni erano connesse alle domande di condono.
Per quanto concerne il M. A, riesce difficile ipotizzare un concorso tra B. e C. solo argomentando con riferimento all' effettivo pagamento degli importi dovuti dai soci della cooperativa al B., ritenuto l' unico fornitore ad essere stato interamente retribuito. Per altro neppure tale circostanza (che il B. sia stato l' unico fornitore ad essere interamente pagato nella realizzazione del complesso M.) è stata provata dall' accusa (è vero, infatti, che uno dei fornitori sentiti in udienza, il B., ha dichiarato di non essere stato interamente pagato, ma non si conosce il numero complessivo dei fornitori intervenuti e di quelli che non sono stati interamente soddisfatti).
Riservando al prosieguo la trattazione della questione, si può comunque ritenere che questi certificati interessassero al C. il quale, seppure verosimilmente intento ad esaminare le varie opzioni, a quell' epoca pareva interessato principalmente a trovare una via d' uscita ai problemi posti dall' insolvenza della società costruttrice del complesso, la Finretica, che non pagava, tra l' altro, rilevanti rate di mutuo scadute (cfr. verbale assemblea della coop. M. del 27 maggio 1994 e 2 luglio 1994).
Non risulta provato che, all' inizio del luglio 1994 -periodo in cui sono state emesse dal B. le false dichiarazioni- il C. fosse interessato a procedere a condonare porzioni del M.
A prescindere dal fatto che la legge sul condono era ancora in itinere ( il provvedimento di condono è stato disposto con D.L. 26\7\94 n. 468 non convertito in legge), il C. appariva effettivamente interessato alla gestione alberghiera del complesso (di per sé incompatibile con il mutamento d' uso dedotto successivamente in condono) al punto di avere avviato concrete trattative con gli aventi causa dalla società Platamar (e, cioè, i possessori di unità immobiliari poste nel M. B) per coinvolgerli nella gestione alberghiera (cfr. verbale assemblea coop. M. del 2 luglio 1994).
Solo qualche mese dopo, quando gli aventi causa dalla P. gli comunicavano la loro decisione di restare al di fuori della gestione alberghiera e solo quando la possibilità di gestire l' albergo era tramontata in seguito alla procedura di condono iniziata dai proprietari del M. B, il C. si attivava per ottenere il condono edilizio per gli enti comuni del M. A (dicembre-gennaio 1995). Sino a tale data, verosimilmente, il C. era orientato ad ultimare il complesso alberghiero (cfr. verbale coop. M. dell' 8 ottobre 1994).
Non essendo, quindi, provato l' intento del C. di attivarsi per intraprendere la via del condono, tantomeno può ritenersi provato il concerto con tale attività col B. il quale ha rilasciato le dichiarazioni compiacenti, verosimilmente, solo per essere regolarmente retribuito in relazione ai lavori in precedenza effettuati.

Contestazione di cui al capo 2).
Risulta provato che il C., quale presidente della cooperativa M. ha falsamente affermato, nelle otto istanze di condono edilizio presentate al Comune, la avvenuta trasformazione degli "enti comuni" in unità residenziali.
Per una migliore comprensione della vicenda, va premesso che, come appare dalla lettura degli atti notarili da ultimo acquisiti, per "enti comuni", si intendono gli spazi ubicati all' interno del M. A destinati ad ospitare i servizi alberghieri del complesso adibito a residenza turistico alberghiera (e segnatamente: portineria, cucine, ristorante, bar, sale a disposizione dei turisti alloggiati).
Tali "enti" erano stati acquistati nel 1994 dalla cooperativa M. dalla società F. allo scopo di realizzare la gestione dell' albergo turistico residenziale ed, a quanto è emerso in dibattimento (lo ha ammesso anche lo stesso C.), non hanno, di fatto, subito alcuna trasformazione in unità residenziali.
Con riferimento alle date, è anche necessario rilevare che, il 9\3\94, con atto a rogito notaio M., la D. R. srl aveva ceduto alla coop. M., d'intesa con la F., la titolarità del diritto a costituire l' azienda turistico alberghiera residenziale gestrice unitaria del complesso M. (e siccome il prezzo della vendita degli enti comuni era stato elevato, e cioè pari a £. 2.000.000.000 oltre I.V.A., per complessive £. 2.380.000.000, l' acquisto degli enti comuni e del diritto di esercitare l' azienda costituisce circostanza idonea ad evidenziare le caratteristiche alberghiere della struttura, escludendo ancora una volta la natura di "edifici ad uso civile" alle unità abitative ed agli enti comuni del complesso M.).
La trasformazione in civile abitazione in epoca anteriore al 31\12\1993 dichiarata nelle otto istanze in sanatoria e nelle considerazioni giuridiche allegate alla domanda, costituisce, quindi, una serie di dichiarazioni false, volte ad evitare "un ingente danno alla Cooperativa".
Come si legge, infatti, nel verbale del 20 gennaio 1995 di una affollata assemblea straordinaria tenutasi in Milano della coop. M. (che riuniva i proprietari delle unità abitative poste nel M. A) "il Presidente (e cioè il C.) comunica che il 23 dicembre u.s. ha avuto notizia del fatto che i proprietari delle unità immobiliari del Complesso M. 2 stavano effettuando il pagamento della oblazione prevista dalle vigenti leggi sul condono edilizio per cambiare la destinazione di uso da albergo residenziale ad unità immobiliare per abitazione. Tale iniziativa costituisce ingente danno per la Cooperativa, nella sua qualità di ente gestore del complesso, perché il risultato economico di gestione alberghiera è notevolmente pregiudicato sia perché da una parte si riducono di 59 unità gli alloggi destinati alla locazione, sia perché dall' altra parte resteranno immutati i costi di gestione per la fornitura dei servizi obbligatori della gestione alberghiera. (Anche il C., evidentemente, riteneva il complesso M. un albergo). Per questi motivi la Cooperativa ha immediatamente notiziato i soci ed ha provveduto anche al pagamento delle oblazioni per cambio di destinazione delle unità immobiliari di sua proprietà con l' obbiettivo di una successiva vendita di quelle unità immobiliari ad uso comune suscettibili di valutazione autonoma. La vendita dovrebbe consentire di compensare, sia pure parzialmente, la diminuzione di valore che subirà tutta la parte immobiliare a destinazione commerciale che era stata acquistata perché indispensabile per l' avvio della gestione alberghiero residenziale del complesso. L' iniziativa del M. 2 ha costretto anche i proprietari delle unità immobiliari dell' edificio M. 1 ad effettuare il pagamento dell' oblazione sia per evitare di dover avviare la gestione alberghiera con un ridotto numero di unità immobiliari e quindi con elevati costi di gestione, sia perché il comune di Bergeggi ha dichiarato la sua indisponibilità a rilasciare la licenza di esercizio soltanto per una parte del complesso M. … Al temine della esposizione del Presidente -si legge sempre nel verbale- si apre una ampia ed approfondita discussione sui diversi aspetti del condono", la cui scelta veniva approvata all' unanimità dai soci nei termini prospettati dal C.. Quest' ultimo si era determinato, quindi, ad intraprendere la via del condono per cercare di valorizzare gli enti comuni il cui valore economico sarebbe risultato pregiudicato dal mancato avvio dell' attività alberghiera.
La difesa, contestando con articolate argomentazioni l'imputazione, evidenzia che il falso penalmente rilevante consiste in attestazione del privato relativa a fatti, risultando escluse le dichiarazioni aventi a contenuto giudizi, valutazioni o dichiarazioni di volontà. Conseguentemente, la determinazione della data di ultimazione lavori, inerente al mutamento di destinazione d' uso, non si potrebbe qualificare un fatto storico in quanto implicherebbe una complessa valutazione di natura giuridica.
Tali argomentazioni, seppure abilmente formulate, non possono essere condivise.
Proprio sulla scorta delle anzicennate dichiarazioni del C. - da questi rese quale presidente della cooperativa- risulta provato che gli acquirenti degli appartamenti, "per limitare i danni", avevano volontariamente, e con piena consapevolezza della drammatica situazione debitoria in cui stavano sprofondando anche in seguito al fallimento della Finretica, tentato di condonare i c.d. enti comuni e le unità immobiliari abitative. La gravità della situazione, evidente anche in altri verbali assembleari, aveva reso necessari approfonditi accertamenti, posti in essere proprio dallo stesso C. Quest' ultimo, nonostante il disposto dell' art. 20 dello statuto sociale che prevede, in linea di principio, che gli amministratori non hanno diritto a retribuzione, salvo che non lo deliberi l' assemblea, proprio per l' impegno profuso, nonostante la pesante situazione debitoria in cui versavano i soci della coop. M., aveva ottenuto la corresponsione di consistenti somme per l' attività prestata: £. 72.000.000 fino al 31\12\1995, e £. 80.000.000 per l' anno 1996 (cfr. verbali 20\1\1995 e 20\10\1995).
Nel verbale da ultimo citato si legge, infatti, testualmente: "dopo ampia ed approfondita discussione l' assemblea, preso atto che l' attività della cooperativa impegna il presidente per una media giornaliera di lavoro che supera le quattro ore, con l' astensione dei soci F. R. ed E. sas, delibera di attribuire al presidente del consiglio di amministrazione dr. C., l' emolumento di £. 80.000.000 per l' anno 1996 a fronte dell' attività che egli svolgerà come presidente e come professionista della cooperativa". La somma sopraindicata, inoltre, non comprendeva neppure "la elaborazione contabile e la domiciliazione della società, attribuita alla Società O. sas.".
In presenza di una simile situazione non si può ritenere che le false dichiarazioni in esame non siano state rese senza approfondita riflessione dal C. che risulta essere stato proprio "il regista" dell' operazione e sul quale gli sfortunati soci della coop. M. facevano affidamento perché individuasse opportune soluzioni ai loro problemi.
Del pari risulta evidente che le dichiarazioni giuridiche in argomento riguardino, quantomeno in larga misura, proprio l' indicazione di fatti falsi.
Costituisce, infatti, falsa dichiarazione di fatti dichiarare nelle otto "considerazioni giuridiche sull' accoglibilità della domanda di condono" allegate alle istanze dal n. 271 al n. 278 - relative, rispettivamente, all' ex cucina, ex sala thè 1° piano, ristorante 1° piano, parti comuni 2° piano, parti comuni 3° piano, parti comuni 4° piano, ex ufficio piano terreno, ex palestra piano terreno- che tali immobili oggetto di istanza di condono erano stati trasformati in civile abitazione in epoca anteriore al 31\12\93.
Questa trasformazione, si legge nelle considerazioni, sarebbe conseguita anche alla esecuzione di "piccoli, ma decisivi interventi edilizi, univoci nel senso della soppressione di requisiti strutturali imprescindibili in una struttura alberghiero residenziale…Sono state altresì eseguite, sempre prima del 31\12\1993, altre opere incompatibili con la destinazione alberghiera. Sono stati apprestati riscaldamenti autonomi in ogni unità abitativa, tra loro differenziati a seconda delle scelte fatte dai singoli acquirenti, con contatori autonomi, taluni a gas, altri elettrici" (il riferimento agli impianti di riscaldamento suscita perplessità ed appare connesso alla falsità delle dichiarazioni in precedenza ricordate; in assenza di ulteriori deduzioni accusatorie, tuttavia, per le considerazioni in precedenza indicate, non sembra sintomatico del concorso del B. con il C.; la circostanza verrà, comunque, riesaminata nel prosieguo).
In ognuna delle otto considerazioni giuridiche si legge inoltre: "l' istanza tende a sanare il mutamento di destinazione di uso che è stato operato nell' intero fabbricato, di cui il dichiarante è l' ente preposto alla gestione per aver acquistato il relativo diritto, ed al quale sono annessi gli enti comuni di proprietà del dichiarante per i quali si presenta domanda di condono edilizio. L'immobile, approvato con destinazione alberghiera, è stato trasformato in civile abitazione in epoca anteriore al 31\12\1993."
La prova della falsità delle dichiarazioni relative alle parti comuni è data dalla situazione attuale, così come ammessa anche dal C., che, nel corso dell' udienza del 10\12\97, ha escluso la realizzazione di alcuna trasformazione.
Il riferimento è alle risposte date dall' imputato alle serrate domande del difensore della parte civile, quali risultano nei verbali agli atti: "risposta a domanda della parte civile: ciò che per me era rilevante, così come per l' atto notarile, era evidenziare nelle dichiarazioni che dovevano essere rese che non era avvenuto nessun abuso, tranne il fatto che mancavano le infrastrutture alberghiere, ma che io mi trovavo ad essere proprietario, come presidente della cooperativa, di una serie di parti commerciali delle quali a questo punto non sapevo più cosa farmene. Perché mentre il ristorante aveva una collocazione, mentre la cucina aveva una collocazione, in realtà c' erano le varie sale di lettura ed altro che erano parti commerciali ma nel futuro che si fa? e sulla base di questo viene presentata una domanda di condono dicendo: siccome tutti hanno predisposto una domanda di condono, io mi ritrovo proprietario di che cosa non lo so, chiedo la trasformazione. Quindi mi associo e voglio pagare gli oneri e quanto dovuto per trasformare…
Domanda parte civile: ma lei non li ha trasformati, il punto è lì. Perché non è una richiesta di variante edilizia, è una richiesta di sanatoria.
Risposta C.: siccome non è avvenuto nulla, allora io prendo atto dell' errore, l' ho detto prima, non sono infallibile l' ha scritto il tecnico e purtroppo non me ne sono accorto. Infatti non c' era niente……Sì perché in realtà l' ing. G. nel visionare il complesso aveva rilevato che in realtà c' erano delle aree che allo stato erano comuni però non aveva senso farle restare comuni. Faccio un esempio: l' atrio di ingresso è un affare di 200 metri quadrati. Ora diceva l' ing. G. "se dobbiamo realizzare dobbiamo cercare di recuperare l' investimento perché gli altri hanno fatto la domanda di condono e quindi non possiamo lasciare tutto quest' atrio come parte comune. Allora diciamo, siccome ci sono le finestre, siccome ci sono due bagni, uno da una parte ed uno dall' altra, qui potrebbero venire altri due appartamenti". Quindi allora aveva identificato, anche frazionando delle unità che comunque…
Domanda: ma sono sulla carta, non nella realtà?
risposta del C.: no ma tutto sulla carta….
Domanda della parte civile: terza istanza, numero 273, che riguarda l' ex sala ristorante, al piano primo del corpo A, in cui lei dice: trasformazioni da enti comuni appartenenti al complesso M. a destinazione di residenza turistica alberghiera trasformati in unità abitativa residenziale. Anche qui lavori nessuno, è vero ? sarebbe il ristorante. Perché forse il ristorante si presentava così quando ha fatto l' istanza di condono ?
risposta del C.: tuttora è così….
Parte civile: altra domanda, sempre su queste istanze. E parliamo della sala comune al piano secondo del corpo D, le famose sale comuni, si ricorda? Anche qui si dice: trasformati in unità residenziale. Anche qui nessun lavoro, è vero ?
Risposta del C.: no.
Domanda sempre della parte civile relativa all' istanza n. 275: trattasi della sala comune al piano terzo. Ed anche qui si dice: trasformati in unità residenziali. Anche qui la realtà non corrisponde alla dichiarazione fatta, credo. È così ?
risposta del C. : sì….
Domanda della parte civile: io le ho già chiesto della istanza n. 271, n. 272, n. 273, n. 274, n. 275, mi pare e stavamo parlando …Sì, 275, e per tutte queste istanze lei ha dichiarato che gli abusi, diciamo, i pretesi abusi denunciati nell' istanza di sanatoria in realtà lei non li ha compiuti ?
Risposta del C.: no.
Domanda P.C. : perché tutte le cose sono rimaste…?
Risposta C.: tali e quali…. La situazione è rimasta immutata.
Tali dichiarazioni appaiono particolarmente rilevanti in quanto rese da un soggetto qualificato (il C. è dottore commercialista, con studio in Milano), e la gestione della vicenda M. era diventata verosimilmente una sua primaria attività (come visto, infatti, lavorava per il complesso M. 4 ore al giorno, percependo elevati compensi).
Ove necessario, le dichiarazioni confessorie dell' imputato trovano esatta conferma nell' accertamento tecnico commissionato dal Comune ai geometri F. F. ed O. L. in seguito alla necessità di dover esaminare le numerosissime istanze di sanatoria relative al complesso M., accertamento che ha escluso la realizzazione di mutamenti negli enti comuni (cfr. le fotografie allegate all' accertamento in precedenza ricordato che evidenziano in modo inequivocabile lo stato dei luoghi).
Indicativa della falsità delle dichiarazioni che fanno riferimento a modifiche intervenute entro il 31\12\1993 risulta anche la semplice lettura dell' atto in data 9\3\94, relativo all' acquisto da parte della coop. M. dalle società F. spa e D. R. srl degli enti comuni (cfr. rogito notaio M. di Sanremo in data 9\3\1994, agli atti).
Nell' contratto si legge, infatti: "la medesima parte compratrice dichiara e dà atto di essere a conoscenza che in virtù della succitata convenzione edilizia ed in virtù della concessione edilizia di cui appresso, il Complesso in questione e quanto da essa parte acquistato deve essere e rimane destinato ad uso turistico-alberghiero-residenziale. A tal fine la medesima parte compratrice si obbliga ad osservare le pattuizioni tutte di cui ai succitati regolamenti che garantiscono tale destinazione. Pertanto, allo scopo di garantire l' unitarietà della gestione del complesso turistico-alberghiero-residenziale, resta in ogni caso esclusa dalla presente vendita la titolarità dell' attività connessa alla destinazione turistico-alberghiero-residenziale del complesso medesimo."
La falsità, quindi, riguarda sia la data di ultimazione dei lavori di mutamento di destinazione d' uso, sia (per le otto unità immobiliari di proprietà della cooperativa) lo stesso mutamento di destinazione d' uso che, di fatto, non era stato realizzato.
Passando ad esaminare l' ulteriore argomentazione avanzata dalla difesa del C., va considerato che il reato di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico ricorre quando si attestano falsamente al pubblico ufficiale (quale è certamente il notaio che ha ricevuto le dichiarazioni) in un atto pubblico (quale è la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà prevista dall' art. 39 della legge 724\1994) fatti che l' attestante ha il dovere giuridico di esporre veridicamente e dei quali l' atto, in cui tali dichiarazioni sono inserite, è destinato a provare la verità.
Secondo la dottrina, si tratta di un' ipotesi di falsità ideologica inesattamente definita tale e, comunque, diversa dalle altre falsità ideologiche in quanto dà luogo ad una sorta di "falsa testimonianza al di fuori del processo".
Per la configurabilità del delitto occorre, quindi, che l' atto ricevuto dal pubblico ufficiale abbia, per disposizione di legge, la speciale funzione di provare i fatti in essa attestati.
Ad avviso del difensore del C., nel caso in esame mancherebbe l' oggetto materiale del reato, in quanto l' istanza di condono dovrebbe considerarsi un atto privato volto ad ottenere un beneficio dalla pubblica amministrazione e non un atto pubblico. La domanda di condono, inoltre, non implicherebbe l' attestazione di fatti dei quali l' atto è destinato a provare la verità e l' attestazione posta in calce all' istanza dal pubblico ufficiale avrebbe unicamente la funzione di certificare le generalità del soggetto che sottoscrive la domanda. Ragionando al contrario, conclude il difensore, tutte le istanze di condono non accolte dal sindaco comporterebbero la realizzazione del reato di falsità ideologica commesso dal privato, "cosa che apparirebbe francamente assurda".
Tali argomentazioni, seppure suggestive, non possono essere condivise.
Il procedimento per ottenere la concessione o l' autorizzazione in sanatoria, infatti, inizia con la presentazione della domanda al comune ove è ubicata l' opera abusiva.
La domanda deve contenere in modo chiaro e completo tutti i dati necessari alla amministrazione procedente per eseguire la fase istruttoria.
In particolare, è onere del richiedente dimostrare l' ultimazione dell' opera entro il 31\12\1993 mediante prove documentali certe o, come è avvenuto nel caso in esame, mediante specifica indicazione nella dichiarazione resa ai sensi dell' art. 4 della legge n. 15\1968.
Il citato art. 39, semplificando la disciplina prevista dalla precedente legge n. 47\1985, consente la sostituzione della documentazione di cui all' art. 35 comma 3 L. n. 47\1985 con un' apposita dichiarazione resa ai sensi dell' art. 4 legge n. 15 del 1968 che prevede la possibilità di produrre, in luogo degli atti notori, dichiarazioni sostitutive dell' atto di notorietà concernenti fatti, stati o qualità personali che siano di diretta conoscenza dell' interessato.
Tali dichiarazioni sono state rese con le formalità previste dalla legge n. 15 del 1968.
Risulta, quindi, provata la penale responsabilità dell' imputato relativamente all' illecito in questione in quanto sussiste il reato di cui all' art. 483 c.p. qualora vengano rese "in una dichiarazione sostitutiva dell' atto notorio delle false attestazioni su fatti dei quali l' atto è destinato a provare la verità; detta dichiarazione si considera, infatti, come resa a pubblico ufficiale e le affermazioni del privato in essa contenute hanno una rilevanza probatoria inerente alla natura ed all'essenza dell'atto stesso e debbono perciò corrispondere a verità" (nella specie trattavasi di un ferroviere, il quale aveva falsamente asserito che la sua attività prevalente era quella di pescatore, Cass. Sez. V 84\16401).
Va, del pari, considerato che "l'attestazione al pubblico ufficiale di circostanze non veritiere in una dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio resa al pubblico ufficiale, integra il reato di falsità' ideologica del privato in atto pubblico, di cui all'art. 483 c.p., pure nel caso in cui quanto dichiarato possa essere altrimenti verificato dal successivo destinatario dell'atto; in tale ipotesi, invero, deve escludersi la configurabilità' del falso innocuo, atteso che l'innocuità' del falso in atto pubblico non va ritenuta con riferimento all'uso che si intende fare del documento - che non e' necessario ad integrare la condotta incriminata, e può altrimenti integrare estremi di reato diverso - ma solo se si esclude l'idoneità dell'atto falso ad ingannare comunque la fede pubblica" (Cass. 16\12\1997).
Occorre, inoltre, considerare, conformemente all' insegnamento della Suprema Corte, che "la valutazione di innocuità del falso commesso dal privato in atto pubblico, di cui all' art. 483 c.p., non può essere rapportata alla funzione che l' atto assume, quale elemento o requisito di valutazione per un diverso procedimento amministrativo, per la destinazione occasionale datagli dal privato a questo fine, giacché la tutela del falso concerne l' attestazione di per sé stessa e cioè la pubblica fede che, in ogni caso, si può riporre nel documento, alla stregua della funzione rappresentativa riconosciutagli dalla legge".
L' uso dell' atto non è, infatti, necessario per la perfezione del reato di falso, mentre può integrare la condotta di un reato ulteriore quale quello previsto dall' art. 640 c.p. (Cass. 29 luglio 1997). Condotta che, in relazione alla fattispecie in esame, ha correttamente indotto il pubblico ministero a contestare al C. l' imputazione ascritta sub 3).
Ad avviso della Corte di Cassazione, infine, "la dichiarazione sostitutiva regolata dalla legge 4 gennaio 1968 n. 15 può attenere, oltre che a stati e qualità personali, ai quali fa riferimento l' art. 2, anche a fatti, cioè ad ogni situazione concreta ed obbiettiva attinente a persone o beni di cui il dichiarante affermi di essere direttamente a conoscenza, poiché l' ambito di operatività previsto dall' art. 4 è più ampio di quello previsto dall' art. 2. Né ha alcun rilievo che il funzionario che riceve l' atto e vi appone l' autenticazione della sottoscrizione non sia competente od espressamente delegato a tale funzione, o che i timbri posti in calce al documento non facciano alcun riferimento a tale delega, potendosi escludere la falsità solo quando, essendo l' organo o l' ente nell' ambito del quale il funzionario stesso opera del tutto sfornito di competenza in tal senso, debba parlarsi di inesistenza dell' atto medesimo" (Cass. 20\12\1996, nell' affermare il detto principio la Corte ha precisato che integra gli estremi dell' art. 483 c.p. la falsa dichiarazione sostituiva di un atto di notorietà presentata al capo dell' ufficio tecnico del comune con il quale l' interessato attesta l' esistenza pluriventennale di un manufatto edilizio).
La falsa dichiarazione resa dal C. per la cooperativa M. appare di particolare importanza, perché, qualora gli enti comuni caratterizzanti la residenza turistico alberghiera M. fossero stati effettivamente trasformati in ordinarie unità abitative, la tesi dei condomini del M. miranti ad ottenere il condono avrebbe avuto maggior possibilità di essere accolta.
Appare, inoltre evidente, la particolare rilevanza della personalità del C. all' interno della cooperativa M. di cui era stato un socio fondatore, il primo presidente (operando nel periodo più delicato) e da cui era stato remunerato (proprio in considerazione della intensa attività professionale prestata) con consistenti indennità, trattamento non riservato al successore.
Non può, tuttavia, condividersi l' impostazione accusatoria laddove sostiene che B. e C., agendo tra loro in concorso, avrebbero indotto in errore i proprietari degli appartamenti del complesso inducendoli a presentare domande di condono.
I proprietari, infatti, come emerge dai verbali di assemblea in precedenza riportati, erano ben consapevoli della reale situazione di fatto ed interessati a limitare il danno conseguente al lievitare dei prezzi degli immobili acquistati e dei sopraggiunti costi di gestione.
Nel verbale in data 20\1\95, nel corso di una assemblea a cui parteciparono 47 soci, l' intero consiglio di amministrazione ed i sindaci, si legge, infatti, che, "al termine della esposizione del presidente, si apre una ampia ed approfondita discussione sui diversi aspetti del condono nonché sulle opere da realizzare per rendere l' immobile pienamente godibile.
Terminata la discussione l' assemblea all' unanimità delibera:
- di approvare quanto finora svolto dalla cooperativa in tema di condono edilizio, da coltivare fino a trasformare la unità ad uso comune in unità abitative nella eventualità che il Comune di Bergeggi dovesse rifiutare o frapporre ostacoli al rilascio della licenza per casa vacanze;
- che ogni proprietario coltiverà secondo le personali esigenze, la propria pratica di condono edilizio che sarà affidata all' ing. Gabriele Giordano per uniformità di indirizzo e, a tal fine, la cooperativa presterà ogni assistenza ai propri soci".
Conformi sul punto anche le deposizioni dei soci della coop. M. sentiti in udienza secondo cui:
"il condono era da fare, si riteneva opportuno farlo e mi sono adeguato agli altri e l' ho fatto. S' era detto di fare il condono dato che la legge aveva permesso di farlo. La legge diceva di fare il condono. In TV lo dicevano in televisione. Abbiamo deciso di fare il condono" (Felisari Gianni).
"Per il condono ho parlato con l' ing. Giordano di Spotorno che mi ha fornito un modulo, l' ho compilato e restituito al G. So che era stato preparato da un legale della cooperativa. L' istanza di condono è stata presentata dall' ing. Giordano che ho pagato io" (S.).
"Il condono era da farsi perché si riteneva opportuno che andasse bene farlo ed io mi sono allineato agli altri e l' ho fatto…Di sicuro l' ho firmato. Nessuno mi ha messo la pistola alla tempia per firmarlo, l' ho firmato di mia spontanea volontà. … ha mai conosciuto l' ing. B. ? Mai visto" (P.).
"La voce già circolava in noi tutti di fare questa domanda di condono. L' idea diciamo era collettiva, eravamo tutti d' accordo di farlo" (B.).
"Le considerazioni sono state fatte dall'avvocato G. La consulenza allo studio A. è stata chiesta secondo me parallelamente al mio intervento circa il condono; l' avvocato G. era stato contattato anche prima per il condono del M. B. Non ho fatto riferimento ai certificati di conformità, non servivano per il condono" (ing. G.).
Non sussiste, pertanto, alcuna prova di una concreta attività ingannatoria posta in essere da B. e C. nei confronti dei soci della cooperativa al fine di indurli a rendere le false dichiarazioni in esame.
Risulta, invece, provato che la presentazione di tutte le istanze di condono era conforme agli interessi dei soci della cooperativa M. i quali, divenuti consapevoli della disastrosa situazione economica in cui stavano sprofondando anche in seguito al fallimento della Finretica, cercavano ogni sistema per limitare ulteriori esborsi di somme e "compensare la diminuzione di valore che subirà tutta la parte immobiliare a destinazione commerciale che era stata acquistata perché indispensabile per l' avvio della gestione alberghiero residenziale del complesso" (cfr. il già citato intervento dei C. all' assemblea straordinaria del 20\1\95).
Del resto, come già osservato, non sussiste alcun riscontro in ordine al concorso tra il C. ed il B. nella attività criminosa nei termini prospettati in imputazione, ed è stata in precedenza evidenziata la sostanziale irrilevanza delle dichiarazioni di conformità ai fini del rilascio del condono alla cui istanza non erano state neppure allegate.
Il B., con ogni probabilità, ha sottoscritto i certificati di conformità non veritieri e di compiacenza per esigenze economiche relative ai pagamenti dei lavori effettuati, ma, in assenza di ulteriori deduzioni accusatorie sul punto, non certo per agevolare l' istanza di condono, di cui in cooperativa si era discusso nel gennaio 1995 e, quindi, diversi mesi dopo la presentazione dei documenti i del M. A in Comune (prodotti nel luglio 1994), mentre, come già ricordato, i certificati del M. B risalgono addirittura al luglio 1993.
Significativa sul punto appare anche la circostanza, che può ritenersi provata, che le dichiarazioni relative al M. A furono emesse dopo i pagamenti delle spettanze dovute al B., e proprio poco dopo tale pagamento, il B. fece pervenire i certificati in Comune.
Che, in seguito, l' estensore delle considerazioni giuridiche allegate al condono mesi dopo abbia parlato della installazione di impianti di riscaldamenti autonomi per confermare l' avvenuta realizzazione dei "piccoli ma decisivi interventi edilizi" è contingenza che, in assenza di ulteriori deduzioni accusatorie, non può, evidentemente, ritenersi sintomatica del concorso tra B. e C. nel reato ascritto sub 2, anche considerato la irrilevanza delle dichiarazioni di conformità per l' ottenimento di condono, dichiarazioni non allegate alle relative domande.
Ininfluente sul punto, in quanto non sintomatico di un concorso, anche il fatto che il B. sia stato uno dei pochi fornitori ad essere interamente pagati dagli acquirenti gli immobili del complesso M.
Il pagamento delle spettanze dovutegli per l' esecuzione dei lavori (solo di questo risulta essersi trattato, non di somme aggiuntive) appare la conseguenza di una decisa ed accorta linea difensiva adottata nei confronti della società Finretica e della cooperativa M. dal B. il quale, a sostegno delle proprie ragioni creditorie, si era precedentemente rivolto ad un avvocato savonese ed aveva anche ottenuto un sequestro conservativo a carico della inadempiente società F. (cfr. ricorso per sequestro conservativo in data 16\2\1994, lettera avvocato R. in data 22\4\1994 e dichiarazioni del C. all' udienza del 3\12\1997).
Seppure la circostanza non sia stata chiarita compiutamente né dal requirente né dal difensore e neppure dallo stesso B., il quale ha anche rifiutato di sottoporsi ad esame, la conflittualità tra l' imputato e la cooperativa presieduta dal C. emerge anche dalla semplice lettura della lettera scritta dall' avvocato R. per conto del B. e indirizzata alla Finretica, all'avvocato G. ed alla coop. M..
Mediante tale missiva, infatti, che appare anche indicativa della falsità delle dichiarazioni di cui al capo 1), l' avvocato R. faceva notare che al 22\4\1994 non erano ancora stati consegnati alla ditta B. i necessari materiali e che la F. era inadempiente ai pagamenti nei termini concordati, concludendo drasticamente: "avverto che non verrà dato seguito ad altre lettere che dovessero da Voi pervenire".

Il C. ha commesso il reato di cui all' art. 483 c.p. anche in relazione all' appartamento di sua proprietà esponendo nell' istanza di condono e nell' allegato due circostanze false: la trasformazione del suo appartamento in civile abitazione in epoca anteriore al 31\12\1993 e l' esecuzione dei piccoli, ma decisivi interventi edilizi, univoci nel senso della soppressione dei requisiti strutturali imprescindibili in una struttura alberghiero residenziale, anche alla più bassa classificazione di legge (riferendosi fra l' altro anche alla soppressione della chiamata di allarme nei servizi, alla chiamata di personale, alla linea telefonica con apparecchi di uso comune).
È risultato, infatti, che tali lavori sono stati realizzati e tali requisiti soppressi solo nel 1994 e 1995 (cfr. contratto con B. in data 2\4\1994, dichiarazione di conformità in data 28\6\1994 che attesta di avere correttamente realizzato ad uso residenza turistico alberghiera l' impianto luce, F.M., telefonico -quest' ultimo alla data del 26\10\94 risultava ancora da realizzare, cfr. lettera del C., agli atti- e ricezione TV, in via Aurelia, Comune di Bergeggi ed osservazioni c.d. "relazione di accertamento tecnico" dei geom. F. ed O. a seguito dell' incarico ricevuto dal comune di Bergeggi). Nella citata relazione i geometri incaricati dal Comune evidenziano addirittura "che durante gli accessi (avvenuti dal 18\3\95 al 3\6\95) si è rilevata la presenza nei corridoi ai vari livelli di quadri indicatori di chiamata selettiva (vedi foto C) che sono stati poi rimossi come da successivo riscontro (vedi foto D)".
Risulta, quindi, provato che i "lavori" volti a modificare la destinazione d' uso -i quali, come si può agevolmente considerare dalle altre numerose foto allegate alla relazione che evidenziano l' esistenza di un struttura alberghiera con cucine, uffici, hall, sale di ricevimento- sono avvenuti dopo la presentazione delle domande di condono in Comune ed, addirittura, durante il corso degli accertamenti predisposti dal Comune per valutare le domande di sanatoria.
Appare, infine, decisivo considerare che, alla data del 31\12\1993, mancava nei proprietari la volontà di modificare la destinazione d' uso dell' immobile M. A, intento che si manifesta solo una anno dopo (fine 1994, inizio 1995, cfr. il citato verbale di assemblea straordinaria in data 20\1\1995).
Proprio dalla lettura dei verbali si legge, infatti, che, nell' assemblea in data 8 ottobre 1994, il presidente C. aveva testualmente dichiarato: "premesso che il complesso immobiliare, se sarà tenuto inattivo, sarà soggetto a deterioramento sia per effetto della salsedine, sia per eventuali atti vandalici e senza peraltro valutare il rischio di eventuali occupazioni abusive ad opera di terzi, invita i presenti a valutare, sotto l' aspetto economico, l' opportunità di completare il complesso e di avviarne l' esercizio." Nel successivo verbale in data 4 novembre 1994, inoltre, i soci della cooperativa, dopo ampia ed approfondita discussione deliberavano all' unanimità: di demandare al Consiglio di amministrazione ogni decisione in merito alle opere da eseguire per completare il complesso M. e gli ulteriori impegni già di Finretica derivanti dalla convenzione stipulata con il comune di Bergeggi a condizione:
a) che l' ingresso di nuovi soci apporti il capitale necessario per la loro esecuzione;
b) che la variante alla convenzione, da stipulare con il comune di Bergeggi, consenta la classificazione del complesso e l' avvio dell' attività alberghiero-residenziale."

Contestazione di cui al capo 3).
Al B. ed al C. è stato contestato il reato di cui agli artt. 110, 56, 48, 480 c.p. perché "in concorso tra loro con le dichiarazioni di cui ai capi precedenti, compivano atti idonei, diretti in modo non equivoco ad ottenere dal Sindaco di Bergeggi, mediante inganno nei suoi confronti, il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L. 724\94 recante da un lato la falsa attestazione dell' ultimazione delle opere edilizie nel termine indicato nelle false dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà e dall' altro la trasformazione di otto enti comuni del complesso M. A a destinazione di residenza turistico alberghiera in unità residenziali, non riuscendo nell' intento per cause indipendenti dalla propria volontà".
Occorre, quindi, chiarire la portata dell' art. 48 c.p. e valutare la ammissibilità stessa della imputazione che è stata contestata dalla difesa del C..
Il difensore ha sostanzialmente eccepito la carenza in origine del fatto reato "essendo pacifico che il Sindaco non ha rilasciato nessuna concessione, né tantomeno ha tentato di rilasciarla". Affermazione, quest' ultima, peraltro, smentita dalle numerosissime domande di condono provenienti dai proprietari M. che hanno investito un Comune di modeste dimensioni quale è Bergeggi (il Sindaco, in udienza, con termine espressivo, ha parlato di "valanga di domande di condono").
È bene ricordare, insiste il difensore, che, "presupposto della responsabilità dell' autore mediato, è la commissione da parte del soggetto ingannato di un fatto obiettivamente conforme all' ipotesi delittuosa tipica e, cioè, la realizzazione della fattispecie legale del reato almeno nella forma del tentativo (Cass. 12 novembre 1973). Il tentativo -conclude- deve pertanto riguardare non la condotta ingannatoria posta in essere dagli autori mediati, bensì la condotta realizzata dall' autore immediato che nella fattispecie non si è minimamente verificata, neppure allo stadio di tentativo."
Tali considerazioni non possono essere condivise.
L' art. 48 c.p., invero, prevede l' efficacia scusante dell' errore sul fatto originato dall' inganno del terzo e sancisce la responsabilità del determinatore per il fatto commesso dal soggetto indotto in errore.
Secondo la giurisprudenza dominante ed anche a giudizio di una parte minoritaria della dottrina, l' art. 48 c.p. indicherebbe un caso di responsabilità dell' autore mediato, ossia di chi si serve per commettere il reato di un altro soggetto utilizzato quale strumento inconsapevole, prevedendo la norma che l' autore immediato agisca per volontà viziata in conseguenza dell'inganno operato dall' autore mediato. Si ritiene comunemente, infatti, che l' art. 48 c.p. preveda "l' ipotesi di responsabilità dell' autore mediato, cioè di chi si serve come strumento, per commettere un reato, di un altro soggetto (autore immediato) inducendolo in errore mediante artificio od altro mezzo atto a sorprenderne la buona fede ed a determinarlo a commettere il fatto reato (Cass. 6\1\1981). Significativa anche Cass. 29\4\1985 secondo cui l' art. 48 del codice penale contempla l' ipotesi di responsabilità dell' autore mediato, ossia di chi si serve per commettere un reato di altro soggetto come strumento. La norma postula che l' autore immediato (ossia lo strumento) agisca per volontà viziata, cioè in conseguenza dell' inganno adoperato su di lui dallo autore mediato.
Ad integrare l' inganno vale qualsivoglia mezzo di persuasione o suggestione idoneo a sorprendere l' altrui buona fede. Ne deriva che l' art. 48 c.p. non richiede una particolare idoneità causale della condotta ingannatrice a provocare l' errore, in quanto, diversamente opinando, si verrebbe a restringere arbitrariamente la portata della norma.
Si ritiene comunemente, infatti, che l' inganno da cui deriva la responsabilità ai sensi dell' art. 48 c.p. possa "consistere in qualunque artificio o altro comportamento atto a sorprendere l' altrui buona fede attraverso il quale l' autore mediato induca in errore l' autore immediato del delitto" (nella specie era stata taciuta al provveditore agli studi da parte del funzionario del Ministero della P.I., una situazione di incompatibilità rispetto all' ufficio di presidente di commissione di esame, in cui si trovava un professore il cui nominativo era stato suggerito al provveditore dal funzionario medesimo e che implicava la strumentalizzazione ad interesse privato della predetta nomina, Cass. 10\7\1990).
È pur vero che, anche di recente, in giurisprudenza si è fatto riferimento all' idoneità dell' azione ingannatoria che andrebbe valutata "in rapporto alle qualità ed alle capacità dell' autore immediato con la conseguenza che qualora questo sia un pubblico ufficiale occorre tenere conto del grado di preparazione che la sua qualifica richiede e dei doveri di controllo che gli incombono. Pertanto, quando alla luce di siffatti dati le prospettazioni del privato non valgono ad alterare la realtà fattuale, deve escludersi induzione mediante errore, da parte di tale soggetto nei confronti di quello pubblico alla commissione del reato." (Cass.19\1\98; nella memoria prodotta dalla difesa del C. è puntualmente allegato anche il testo integrale della detta sentenza da cui si evince, peraltro, una particolare situazione di fatto data dalla contraddittorietà dei documenti depositati che mal si conciliava con una volontà ingannatoria in capo all' imputato).
Tale requisito della idoneità ingannatoria, in linea di massima superato dalla giurisprudenza, non può, comunque, essere accolto in quanto conseguente all' accoglimento dello schema dell' autoria mediata, schema che, conformemente all' avviso della dottrina non può ritenersi ammissibile nel nostro ordinamento in quanto fonte di inutili complicazioni e privo di alcuna concreta utilità.
Evidenti argomentazioni (la disciplina positiva del concorso ed, in particolare, il disposto degli artt. 111, 112 e 119 c.p.) hanno, infatti, indotto da tempo la dottrina a superare la teoria dell' autore mediato -nata non a caso nell' ordinamento tedesco che limita la punibilità alle tradizionali forme di autore- inserendo il fenomeno nella disciplina del concorso.
Argomentazioni che vanno condivise in quanto maggiormente aderenti alla disciplina codicistica del concorso di persone nel reato e per i risultati concreti che consentono di conseguire, risultati che in questa sede maggiormente interessano per la verifica della colpevolezza degli imputati.
Collocando, infatti, l' art. 48 c.p. all' interno della disciplina del concorso si risolvono agevolmente alcune questioni pratiche che rilevano sotto il profilo della idoneità causale dell' inganno, del concorso ex art. 48 c.p. nel reato proprio e quanto alla configurabilità del tentativo. Appare, infatti evidente che, aderendo alla tesi del concorso, è configurabile il tentativo quando il comportamento del soggetto ingannatore presenti i requisiti di idoneità ed inequivocità previsti dall' art. 56 c.p.
Ciò posto, l' accusa ha contestato ai prevenuti di avere tentato, con atti idonei e non equivoci, di indurre in errore il Sindaco (senza volontà colpevole e, quindi, esente da pena ai sensi dell' art. 48 c.p.) al fine di indebitamente ottenere il rilascio della concessione in sanatoria ai sensi della legge 724\1994.
Quanto al B. si comprende che il tentativo di induzione in errore sarebbe avvenuto rilasciando false dichiarazioni di conformità degli impianti idraulici e di riscaldamento delle unità immobiliari del complesso M. e, quanto al C., sarebbe avvenuto presentando istanze di condono contenenti false dichiarazioni di fatti che, ove veri, avrebbero legittimato il Sindaco al provvedimento di condono; i due imputati avrebbero agito tra loro in concorso.
Si è già considerato che nessuna prova è emersa con riferimento al concorso B.-C. nella condotta ingannatoria.
In relazione all' ottenimento del condono va, altresì, considerato che nessuna idoneità ai sensi dell' art. 56 c.p. può essere riconosciuta alla condotta del B. allorché ha rilasciato le false dichiarazioni di conformità (che, come si è evidenziato, erano ininfluenti per il mutamento di destinazione d' uso da albergo residenziale ad immobile contenente tutte unità residenziali in quanto il riscaldamento c.d. comune non è essenziale per l' esistenza di una entità alberghiera) .
Tale inidoneità risulta pure dalla semplice lettura del ricorso al TAR avanzato anche personalmente dal C. per ottenere l' annullamento del rigetto di istanze in sanatoria per abusi edilizi, laddove, a fronte di svariate argomentazioni a sostegno della tesi della illegittimità del diniego, gli impianti di riscaldamento in quanto autonomi sono ritenuti unicamente "un sintomo rivelatore che concorre con tutti gli altri (la sottolineatura è degli stessi estensori del ricorso) e che non può essere atomisticamente considerato elemento del mutamento di destinazione d' uso" (cfr. pag 30 del ricorso in data 1 marzo 1996 in precedenza ricordato, agli atti).
In ogni modo, le dichiarazioni di conformità, di cui è stata esaminata l' ininfluenza, non erano state allegate alle istanze di condono e, quindi, nessuna valenza può essere loro annessa in quanto atti non valutabili in occasione del rilascio del provvedimento amministrativo comunale.
Dal reato ascritto sub 3), conseguentemente, il B. deve essere assolto per non avere commesso il fatto.
Ben diversa appare la posizione processuale del C. relativamente al quale l' accusa ha ampiamente provato il reato contestato sotto il profilo sia giuridico che di fatto.
Risulta dimostrato, come in precedenza esaminato, che il C., quale presidente della cooperativa M. ed in proprio, ha falsamente affermato nelle istanze di condono edilizio presentate al Comune, la avvenuta trasformazione degli "enti comuni" in unità residenziali e la trasformazione del suo appartamento in civile abitazione in epoca anteriore al 31\12\1993 con l' esecuzione di idonei interventi edilizi.
La contestazione è giuridicamente fondata in forza delle considerazioni che precedono. Anche la Suprema Corte, del resto, ha ritenuto sussistente il reato di cui all' art. 480 c.p. nel fatto del privato che, nel richiedere una licenza di costruzione, esibisca a corredo della domanda una falsa planimetria indicante una superficie del suolo superiore a quella reale, inducendo così in errore gli organi del comune che, omettendo gli accertamenti del caso, concedono la richiesta autorizzazione sul presupposto, falso, che fosse rispettato il rapporto tra area del suolo e cubatura della costruzione (Cass. 2\7\1979, Giust. Pen 80, II, 418; cfr. anche Cass. 21\5\98 secondo cui: quando a corredo della richiesta di concessione edilizia viene allegata documentazione redatta da professionista qualificato e tale documentazione non è veritiera -sicché il pubblico ufficiale viene indotto in errore nell' ambito della sua attività di controllo con lo strumento urbanistico- il privato deve rispondere di falsità ideologica mediata in atto pubblico ex artt. 48 e 479 c.p.).
La fattispecie contestata ricalca, inoltre, l' ipotesi prevista dall' art. 48 c.p.
Vi è stato, infatti, il tentativo di far rilasciare la concessione edilizia in sanatoria, provvedimento che non avrebbe dovuto essere disposto in quanto era stato rappresentato falsamente il presupposto di fatto. In tal modo il Sindaco, qualora avesse provveduto, avrebbe inconsapevolmente commesso il reato proprio (di cui è ipotizzabile il concorso ai sensi dell' art. 117 c.p.) di falsità in autorizzazione amministrativa, quale è sicuramente il provvedimento di condono, atto pubblico in senso lato in quanto redatto da un pubblico ufficiale (il Sindaco di Bergeggi).
Sussiste, come già considerato in precedenza, l' inganno perpetrato dal C. che era ben consapevole della reale situazione di fatto in precedenza diffusamente evidenziata.
Sussiste l' univocità della condotta, essendo pacifico che le false dichiarazioni avevano come unico scopo quello di ottenere il provvedimento da parte del Comune di Bergeggi.
Quanto all' idoneità, risulta evidente, anche in relazione alle considerazioni in precedenza formulate in ordine ai contenuti della domanda di condono ed al meccanismo di prova previsto dall' art. 39 quarto comma della legge 724\1994, l' attitudine causale delle false dichiarazioni a consentire il rilascio della concessione in sanatoria.
La complessità della domanda (riconosciuta anche dagli stessi proprietari delle unità abitative nel citato ricorso al TAR laddove, a proposito della straordinaria lunghezza dei provvedimenti di diniego, fanno riferimento "al sintomo evidente della difficoltà giuridica nella quale si è trovato il Comune di Bergeggi"), la molteplicità delle istanze (non a caso il Sindaco ha parlato di valanga di richieste), il fatto che Bergeggi sia un piccolo Comune (meno di 1000 abitanti), sono tutte circostanze che, congiuntamente considerate, potevano far ritenere probabile il rilascio del chiesto condono.
L' evento imprevedibile intervenuto è stata la ferma reazione dell' Amministrazione comunale che, denunciando tempestivamente i fatti per cui è causa -per il cui accertamento è stata necessaria una impegnativa attività investigativa- ha sostenuto uno sforzo enorme per una meditata risposta alle istanze, non esitando a sostenere notevoli costi economici (nomina di avvocati per seguire la vicenda, impiego di personale per effettuare indagini ed accessi sul luogo, nomina dei geometri Freccero ed Odello per accertare la situazione di fatto nel 1995).
Il comportamento appare, infine, pienamente ascrivibile al C., professionista qualificato, che, a sua volta, si era fatto assistere da numerosi altri professionisti perfettamente a conoscenza degli aspetti tecnici della legge sul condono edilizio e che, come risulta anche dagli elevati compensi ricevuti, era stato nominato come una sorta di "plenipotenziario" dagli sfortunati soci della cooperativa M. per risolvere i loro problemi tra cui vi era, sicuramente, quello della perdita di valore dei c.d. enti comuni in seguito al mancato decollo dell' attività alberghiera.
Nessun dubbio, inoltre, sulla giuridica configurabilità del tentativo nel reato di falso ideologico che si perfeziona solo quando l'atto menzognero è definitivamente formato.
Il caso in esame, nel quale vi è stato un preciso "iter criminis" con il comportamento del soggetto ingannatore che presenta i requisiti di idoneità ed inequivocità prescritti dall' art. 56 c.p. evidenzia, infatti, in modo emblematico l' inconsistenza dell' opinione -peraltro diffusa in giurisprudenza- che non ritiene concepibile il tentativo valutando come irrilevante l' attività anteriore di preparazione. In particolari situazioni, comunque, anche la giurisprudenza ha ammesso il tentativo di falso ideologico ritenendo, ad esempio, che debba essere "qualificato come tentativo di falsità ideologica il comportamento del pubblico ufficiale che firmi in bianco una attestazione, delegando altri al riempimento del relativo modulo, qualora siffatto riempimento non abbia avuto luogo" ( cfr. Cass. n. 4169 del 19\4\1995).

Il requirente, nel corso dell' odierna udienza, ha invitato il giudicante a valutare l' opportunità di restituire gli atti in relazione al reato di truffa che sarebbe stata realizzata nei confronti della pubblica amministrazione dal C. con la condotta ascritta.
L' ipotesi delittuosa ipotizzata non sembra, tuttavia, fondata in quanto, "non integra il tentativo di truffa il comportamento dell' agente che abbia chiesto al comune una licenza edilizia in base ad estratto di mappe catastali falsificate poiché in tale caso manca la possibilità giuridica del realizzarsi del danno che è insita nei reati contro il patrimonio. Invero, il danno è suscettibile di valutazione economica solo in un secondo momento, e cioè nel caso di lesione degli interessi del comune a rispettare l' equilibrio sociologico ed ecologico e l' osservanza della disciplina urbanistica" (cfr. Cass. 9\5\1981 n. 4287).

Contestazione di cui al capo 4).
Al C. è stato contestato il reato di all' art. 20 lettera c) legge n. 47\1985 perché nel proprio appartamento nel M. A, quest' ultimo immobile sottoposto al vincolo per la tutela della bellezze naturali relativo al promontorio di Bergeggi, "realizzava senza concessione edilizia ed in violazione dell' art. 9 NTA del SUA della zona e della convenzione relativa all' attuazione di detto strumento urbanistico le seguenti opere volte a mutare la destinazione d' uso dell' immobile da unità abitativa in civile abitazione:
- opere di finitura personalizzate pavimenti, rivestimenti, portone d' ingresso blindato, porte interne, impianti idrico sanitario ed elettrico
- soppressione di requisiti strutturali alberghieri quali la chiamata di allarme nei servizi, la chiamata del personale, la linea telefonica con apparecchi di uso comune;
- impianto di riscaldamento autonomo per ogni abitazione con autonomi contatori".
Viene contestato, quindi, il mutamento di destinazione d' uso posto in essere con la realizzazione di opere (c.d. materiale).
Com' è noto, il mutamento di destinazione d' uso viene considerato materiale quando è compiuto attraverso opere edili costruite sull' immobile preesistente, mentre è ritenuto funzionale quando consegue ad una semplice modificazione dell' utilizzo che non comporti trasformazioni materiali; solo il mutamento funzionale richiede, per essere integrato, l' effettiva modifica della destinazione dell' immobile, mentre il mutamento materiale si consuma sin dall' inizio dei lavori edilizi finalizzati al cambio di destinazione, purché tale finalizzazione sia desumibile attraverso mezzi probatori di natura logica o storica (conf. Cass. n. 3104 del 13\11\1997).
Nel caso in esame, già il TAR con la detta sentenza del 6 marzo 1998 ha espressamente ritenuto ininfluenti, in quanto inidonee a realizzare il mutamento d' uso, le cosiddette opere di finitura personalizzate e l' impianto autonomo di riscaldamento (in quanto non essenziali per l' esistenza di una entità alberghiera organizzata nei termini in precedenza indicati trattando il reato ascritto sub 1).
Ci si deve, quindi, chiedere se la soppressione della chiamata di allarme nei servizi, della chiamata del personale e delle linee telefoniche con apparecchi di uso comune concretizzino interventi edilizi e, precisamente, esecuzione di opere edilizie.
A tali quesiti non si può che dare risposta negativa tenuto conto del fatto che l' eliminazione della chiamata di allarme nei servizi implica la rimozione di una "cordicella", la soppressione della chiamata del personale consiste verosimilmente nel rendere inattivo un interruttore elettrico e la disattivazione di una linea telefonica implica addirittura agire su cavetti (verosimilmente anche "sotto traccia").
Risulta provato, come ampiamente ricordato in precedenza con l' indicazione degli interventi contenuti nei verbali assembleari, che, sino al dicembre 1994, la volontà dei soci della coop. M. era quella di perfezionare l' ultimazione della azienda alberghiera (e, quindi, non disattivarne alcuni servizi ritenuti essenziali dalla legge come quelli in argomento).
La modifica, quindi è stata compiuta non dall' impresa attuatrice dell' intervento edilizio nel M. (la società F.), ma dal C. successivamente all' acquisto della sua unità immobiliare, nel corso del 1994. Si consideri il già citato accertamento tecnico per conto del Comune redatto dai geom. O. e F. ove, relativamente, all' appartamento del C. di cui all' imputazione, si legge testualmente "il campanello di chiamata soccorso con comando a strappo, posto nei servizi igienici, risulta sprovvisto di cordino per essere azionato". La disattivazione dell' impianto telefonico, altresì, non può che essere successiva alla sua realizzazione che, come dichiarato dal B., si colloca verso la primavera del 1994.
Non trattandosi di interventi edilizi non può essere, quindi, contestato il reato previsto dalla lettera c) dell' art. 20 della legge n. 47\1985 ma l' illecito previsto dalla lettera a) del medesimo articolo. Conformemente all' insegnamento della Suprema Corte, infatti, "quando la modificazione ambientale ex lege 8 agosto 1985 n. 431 non venga realizzata con interventi edilizi, ma comporti egualmente un mutamento dell' assetto territoriale (secondo le destinazioni del piano regolatore e degli altri strumenti urbanistici ed i regolamenti locali) e del paesaggio (quale recepito nel territorio sottoposto a vincoli ambientali -come nel caso per cui è processo-), può essere applicata quale sanzione anche quella più lieve dell' art. 20 lettera a) legge 28\2\1985 n. 47 (Cass. 23\4\94 n. 4707 pubblicata su Riv. Pen. 1994, 12, 1240, relativa ad arbitraria occupazione di una vsta area con caratteristiche agricole, sottoposta a vincolo archeologico e paesaggistico con un grande numero di autovetture).
Conseguentemente deve dichiararsi non doversi procedere in ordine all' illecito ascritto al C., in quanto il reato di cui alla lettera a) dell' art. 20 della legge n. 47\1985 è punito con la sola ammenda, e poiché, secondo il capo di imputazione, i fatti contestati si sarebbero esauriti nel giugno 1994, si è verificata la prescrizione della contravvenzione in esame.

Con riferimento al reato ascritto al capo 5) anche il requirente ha ritenuto la contraddittorietà dell'accusa perché in contrasto con il capo 2) in quanto le relative istanze di condono edilizio erano ideologicamente false non esistendo le opere edilizie volte a modificare la destinazione d' uso dei c.d. enti comuni.
Da tale reato, quindi, il C. deve essere assolto perché il fatto non sussiste.

Va ravvisata la continuazione dei vari reati dei quali è stata riconosciuta la penale responsabilità, avendo il C. agito con l' intento di valorizzare gli immobili del complesso M. cercando di conseguire un indebito provvedimento di condono da parte dell' Amministrazione comunale di Bergeggi dovendosi ritenere più grave il reato ascritto sub 3) in quanto sanzionato con pena più elevata nel minimo.
All' imputato, stante la situazione di incensuratezza, possono essere concesse le attenuanti generiche.
Pertanto, valutati gli elementi di cui all' art. 133 c.p., considerata la particolare gravità del fatto, ritenuto più grave il reato ascritto sub 3), concesse le attenuanti generiche e disposto l' aumento per la continuazione, risulta applicabile la pena di mesi nove di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali ( p.b. mesi sei di reclusione, ridotti per le generiche a quattro ed aumentati a nove per la continuazione).
Conseguentemente, oltre al pagamento delle spese processuali, il C. deve essere condannato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, Amministrazione comunale di Bergeggi, da liquidarsi in separata sede civile.
Il C. è altresì tenuto alla refusione delle spese di costituzione e rappresentanza, che tenuto conto della particolare durata dell'istruttoria dibattimentale, vanno liquidate in favore della costituita parte civile in £. 27.926.636 compreso spese Iva e CPA.
Con i benefici di legge, potendosi presumere che, per l' avvenire, l' imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati.
Stante la complessità degli argomenti trattati, l' ufficio si era riservato giorni 90 per il deposito della motivazione.

P.Q.M.

Visto l' artt. 530 c.p.p. assolve B. G. dal reato ascritto sub 1) perché il fatto non sussiste;
visto l' art. 530 c.p.p. assolve B. G. dai residui reati ascritti per non avere commesso il fatto;
visto l' art. 530 c.p.p. assolve C. M. dal reato ascritto sub 5) perché il fatto non sussiste;
visti gli artt. 521 e 531 c.p.p., qualificato il fatto ascritto sub 4), nel reato previsto dall' art. 20 lettera a) della legge n. 47 del 1985, dichiara non doversi procedere nei confronti di C. M. per estinzione del reato in seguito a prescrizione;
visti gli art. 533 e ss c.p.p. dichiara C. M. responsabile dei residui reati ascritti in continuazione e, ritenuto più grave il reato sub 3) e concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi nove di reclusione (p.b. ritenuto più grave il reato sub 3, mesi sei di reclusione, ridotti per le generiche a quattro ed aumentati per la continuazione a mesi nove), oltre al pagamento delle spese processuali.
Dispone la sospensione condizionale della pena come sopra inflitta e la non menzione della condanna
Visti gli artt. 538 e ss c.p.p. condanna il predetto C. M. al risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede dinanzi al competente giudice civile.
Condanna il predetto C. M. alle spese di costituzione e difesa che liquida in £. 27.926.636 compreso spese, CPA ed IVA.
Relativamente alla posizione processuale di B. G. con riferimento agli artt. 3 e 5 della legge 6 dicembre 1971 n. 1083 (norme per la sicurezza dell' impiego del gas combustibile) dispone la trasmissione degli alla Procura della Repubblica presso la Pretura Circondariale.
Riserva gg. 90 per il deposito della motivazione.
Savona, 26 novembre 1998.

Il pretore
Princiotta

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