Tribunale
di Genova - Sez. III Penale
Sentenza 21 aprile 1997, n. 398
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI GENOVA SEZ. III PENALE
così composto
Presidente: Noli
a latere: Petri (est.)
nel procedimento penale a carico di
omissis
Con decreto in data 29/2/96,
il G.I.P. presso il Tribunale di Genova disponeva il giudizio dinanzi a questo
Tribunale nei Confronti di omissis e omissis, per rispondere del reato di concorso
nellesercizio abusivo dellorganizzazione di scommesse clandestine
(art. 4 L. 13/12/89 n. 401), per mezzo di un apparecchio "video-poker"
installato nel bar gestito dagli imputati.
Alla prima udienza, gli imputati, regolarmente citati ma non comparsi, senza
addurre alcun legittimo impedimento, venivano dichiarati contumaci.
Venivano, quindi, ammesse ed assunte le prove orali e documentali dedotte dalle
parti.
CONCLUSIONI DEL P.M.
Per entrambi assoluzione perché il fatto non sussiste.
CONCLUSIONI DELLA DIFESA
Per entrambi assoluzione perché il fatto non sussiste.
In subordine assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
Allodierna udienza, esaurita laudizione dei testi, sulle conclusioni delle parti, il Tribunale emetteva sentenza, dando lettura del dispositivo in udienza.
Questi i fatti. In data 3/2/95,
lispettore della P.S. omissis e lagente omissis, in servizio mirato
al fine di controllare la gestione di apparecchi del tipo "video-giochi"
installati allinterno di pubblici esercizi nel centro storico cittadino,
entravano nel bar omissis e si avvedevano che un ragazzo stava giocando ad un
"video-poker", presente nel locale. Accertavano che lapparecchio
si azionava mediante linserimento di monete da £ 500 e che, in caso
di vincita, il gestore del bar garantiva al giocatore la consumazione al bar
di generi alimentari per un valore corrispondente ai punti effettuati. Per convenzione,
si attribuivano £ 100 ad ogni punto totalizzato.
Lapparecchio era dotato di una fessura, ove inserire le monete, e di un
cassettino chiuso a chiave, ove confluiva il denaro.
Il giocatore, identificato in omissis, dichiarava a dibattimento che le vincite
erano solitamente modeste e che in unoccasione egli aveva totalizzato
300 punti, potendo così consumare al bar un succo di frutta, per il valore
di £ 3.000.
Il giorno del controllo effettuato dalla Polizia di Stato erano presenti nel
bar colei che ne conduceva la gestione, omissis ed il suo convivente, omissis,
che si trovava al banco di mescita. Si è appurato, inoltre, che nel cassettino
situato allinterno dellapparecchio vi era una somma di £ 4.000,
metà in moneta e metà con una banconota da £ 2.000.
Così riconosciuti i fatti, ritiene il Tribunale non provata la penale
responsabilità degli imputati, per le seguenti considerazioni.
La contestazione consiste
nellaver organizzato abusivamente scommesse mediante un apparecchio "video-poker"
installato nel bar, con danno allErario dello Stato. Infatti una quota
degli importi delle scommesse per giochi e concorsi indicati nellart.
4 L. 13/12/89 n. 401 deve essere versato allErario a titolo di tributo,
che viene evaso nel caso di esercizio senza autorizzazione.
Questa finalità connota tipicamente il reato in esame, tanto che lorientamento
della Suprema Corte prevalente in materia (al quale aderisce questo Tribunale)
utilizza largomento per affermare la natura finanziaria del reato di esercizio
abusivo di attività di gioco e di scommessa, con conseguente competenza
per materia del Tribunale.
Listruttoria dibattimentale ha accertato che il video-poker installato
nel bar degli imputati consentiva di effettuarvi un gioco certamente basato
sulla casualità: totalizzando un determinato punteggio si otteneva il
diritto di continuare a giocare, ovvero si poteva optare per una consumazione
al bar, di valore equivalente. Il valore di tali vincite era, comunque, generalmente
contenuto, se si considera il prezzo di una giocata (£ 500 per cinque
mani della durata di pochi secondi) ed il guadagno corrispondente ad ogni punto
totalizzato (£ 100 per ogni punto).
Con tale convinzione è assai difficile riscontrare nella fattispecie
in esame il fine di lucro, necessario per la consumazione del reato: il gioco,
in sostanza, così come organizzato, non poteva far realizzare al giocatore
un guadagno economicamente valutabile soprattutto se rapportato alla spesa sostenuta
per continuare a giocare (in senso sostanzialmente conforme, cfr. Cass. sez.
3 10750 del 11/10/86, ud. 11/6/86, rv. 173912, secondo la quale "il fine
di lucro, ancorché associato ad altri fini, si ha tutte le volte in cui
il gioco è esercitato per conseguire vantaggi economicamente valutabili,
salvo che la posta sia esigua, tenuto conto delle modalità del gioco
e della celerità delle partite, sicché si possa affermare che
essa serva esclusivamente a dare maggiore vivacità al gioco; in tal caso
lo scopo del gioco è solo divertimento e il lucro non si prospetta né
come fine prossimo od ultimo, né come fine concorrente"). Nella
fattispecie in esame è ulteriormente indicativa dellassenza del
fine di lucro la circostanza che vi fosse la possibilità di riscuotere
in natura la vincita, che, secondo quanto affermato dal teste omissis, dava
diritto alla consumazione di una bevanda ovvero di un panino.
In considerazione di queste caratteristiche, il gioco in esame, certamente da
annoverare tra i giochi aleatori, presenta, a giudizio del Tribunale, una natura
prevalentemente di intrattenimento, non disgiunta da una certa componente di
abilità (ad esempio, sveltezza e capacità di memorizzare le carte
dellavversario).
Pertanto, per queste caratteristiche e per lassenza della prospettiva
di lucro, nel gioco in esame non si riscontra lelemento tipico dellorganizzazione
di scommesse abusive.
Si consideri che alla medesima conclusione, qui argomentata in via interpretativa,
è giunta la successiva L. 6/10/95 n. 425, che ha ridefinito il concetto
di gioco dazzardo (che si realizza in questi apparecchi e congegni automatici
che hanno insita la scommessa o che consentono vincite puramente aleatorie di
un qualsiasi premio in denaro o in natura che concretizzi lucro) ed ha precisato
che sono apparecchi da trattenimento e da gioco di abilità quelli in
cui lelemento abilità e trattenimento è preponderante rispetto
allelemento aleatorio. Per questi ultimi, il premio allabilità
ed al trattenimento del giocatore può consistere anche, nella vincita,
direttamente o mediante buoni erogati dagli apparecchi, di una consumazione
o di un oggetto, non convertibile in denaro, di modesto valore economico e tale
da escludere la finalità di lucro (cfr. art. 110 co. 4 e 5 L. 425/95).
Conseguentemente, va disposta lassoluzione di entrambi gli imputati perché il fatto non sussiste.
Genova, 21 aprile 1997